Appunti n.130 (indice Appunti)
Alcune considerazioni critiche sullo stato di attuazione della legge 68/99 Carlo Lepri, Gabriella Papone - ASL 3 “Genovese” Centro Studi per l’Integrazione lavorativa delle persone disabili (indice) L’articolo affronta alcuni aspetti di criticità contenuti nella legge e negli Atti applicativi che rischiano di spogliare la legge di molti dei suoi contenuti innovativi. In particolare ci si sofferma su due aspetti: le aziende e il loro “obbligo” e il percorso delle persone disabili rispetto agli accertamenti e ai sostegni all’inserimento lavorativo "Appunti" ci chiede un breve intervento sullo stato di applicazione della legge 68/99 "Norme per il diritto al lavoro dei disabili" soprattutto dopo la pubblicazione di alcuni atti applicativi da parte del Ministero del Lavoro. Immaginiamo che questa richiesta sia legata al fatto che Genova e il nostro Centro Studi, in tutti questi anni, sono stati uno dei punti di riferimento per coloro che concretamente sperimentavano modelli alternativi al vecchio e superato "collocamento obbligatorio" (vedi legge 482/68). Ci avrebbe fatto piacere, se non altro per essere stati tra i primi in Italia a parlare e a perseguire il "collocamento mirato" delle persone disabili, poter esprimere un giudizio positivo su questi primi mesi di applicazione della nuova normativa. Purtroppo non è così. Gli elementi di criticità che cogliamo dal nostro osservatorio sono molteplici e il pericolo è che, se essi non vengono messi a fuoco e affrontati, rischiano di spogliare la legge di molti dei suoi contenuti innovativi riportando i disabili, le imprese, i servizi e le istituzioni in una logica di "gioco delle parti" in cui, alla fine, apparentemente nessuno vince ma in realtà a perdere saranno ancora una volta i più deboli. Molti hanno rilevato che uno dei limiti più evidenti della legge 68 era la quantità di atti di normazione secondaria previsti. Numerosi nodi che la legge non affrontava venivano infatti rinviati agli atti di indirizzo e al regolamento. Oggi disponiamo di una parte di questi atti e non possiamo non notare una sostanziale contraddittorietà tra essi e lo spirito della legge tanto da fare pensare che, nel legislatore, con la normazione secondaria sia ritornata la visione del disabile come "peso", come "fardello" come soggetto portatore di diritti affermati ma non esigibili. Ci limitiamo ad alcune osservazioni critiche rispetto a due temi fondamentali: la platea delle aziende e il loro "obbligo" e il percorso delle persone disabili rispetto agli accertamenti e ai sostegni all'inserimento lavorativo. Le Aziende "obbligate" Per quanto sia diffusa la cultura dell'integrazione e sia cambiato l'atteggiamento del mondo aziendale verso il sociale, l'obbligo di assumere persone disabili è sicuramente ancora vissuto dalle aziende come "imponibile di mano d'opera". Per contrastare e superare questo atteggiamento si sono volute fare, con la legge 68, scelte precise. La filosofia del collocamento mirato è accompagnata da una serie di misure che vanno incontro alle esigenze e alle richieste del mondo imprenditoriale: la possibilità di stipulare convenzioni e "graduare" quindi nel tempo le assunzioni, la garanzia di servizi e strumenti di supporto, le agevolazioni fiscali previste, la possibilità di ricorrere in grande misura alla chiamata nominativa (e quindi alla scelta della persona disabile da inserire) indicano la precisa volontà di rendere possibile la piena collaborazione del mondo aziendale senza determinare penalizzazioni eccessive. Tutto questo avrebbe dovuto significare un coinvolgimento di tutte (o quasi tutte) le realtà produttive con il conseguente aumento delle opportunità di un inserimento lavorativo effettivamente "mirato" per le persone disabili. In realtà le circolari applicative e il regolamento di esecuzione della 68 (ad oggi non ancora pubblicato ufficialmente ma già approvato e diffuso) rischiano di determinare una situazione che, a nostro giudizio, si discosterà da quella prevista dalla legge. Vediamo rapidamente perché, toccando solo alcuni aspetti. La prima questione riguarda il calcolo del numero dei dipendenti che determinano l'aliquota d'obbligo: ai criteri previsti dalla 68, e in gran parte condivisibili, si aggiunge l'indicazione che non vanno calcolati come dipendenti i lavoratori assunti con contratto di formazione lavoro, di apprendistato, di reinserimento, di lavoro a domicilio e di lavoro temporaneo (Regolamento - art. 3 punto 1). E' evidente che questo significa un forte ridimensionamento della base su cui calcolare la forza lavoro delle aziende e di conseguenza degli obblighi e dei posti di lavoro disponibili. La seconda questione riguarda i contratti a tempo parziale. Per la determinazione della quota di riserva i lavoratori dipendenti con contratto a part time vengono giustamente considerati in proporzione all'orario di lavoro. Ma si utilizza il criterio opposto per il conteggio dei lavoratori disabili assunti con contratto a tempo parziale. E' sufficiente infatti che il tempo di lavoro sia superiore al 50% dell'orario pieno perché la persona disabile assunta conti come unità (Circolare n. 41 del 26/6/00 - "Contratto a tempo parziale"). Chi si occupa di mondo del lavoro sa molto bene che il tempo parziale è ormai il tipo di assunzione maggiormente utilizzato, soprattutto in settori forti e in espansione come la grande distribuzione, la ristorazione, le aziende di servizi; avremo quindi anche in questo caso una diminuzione dei posti di lavoro disponibili, insieme alla implicita (e speriamo non voluta) equivalenza tra lavoro per disabili e tempo parziale. Un esempio può aiutare a capire il significato di queste nuove indicazioni, che rischiano, a nostro giudizio, di stravolgere lo spirito e i contenuti della legge. Una azienda ha 85 dipendenti, 40 dei quali con un contratto a part time per 20 ore alla settimana, e 10 con contratti di formazione lavoro e apprendistato. Si potrebbe pensare che questa azienda deve assumere sei persone disabili (il 7%). Il realtà il numero di lavoratori su cui fare il computo è 55 e quindi l'obbligo è di quattro assunzioni. E' sufficiente che questa azienda assuma quattro lavoratori disabili a 24 ore alla settimana per essere assolutamente adempiente. Un ragionamento simile va fatto per le aziende di piccole dimensioni (dai 15 ai 35 dipendenti), che per la prima volta affrontano "per legge" il tema dell'inserimento lavorativo di persone disabili. Il collegare l'obbligo alla prima assunzione voleva, ipotizziamo, dar tempo a queste realtà di "prepararsi" alla nuova esperienza. Ma è possibile che per molte di queste aziende l'obbligo finisca per non scattare mai, o per scattare molto in là nel tempo. Non sono considerate nuove assunzioni infatti quelle dei lavoratori assunti con contratto di formazione lavoro, di apprendistato o con contratto a termine fino a 9 mesi (Circolare n. 41 del 26/6/00). Peraltro quando l'obbligo scatta esse hanno dodici mesi di tempo per adempiere e, se assumono una persona disabile con una percentuale di invalidità superiore al 50%, il lavoratore conta come unità qualsiasi sia il suo orario di lavoro (Regolamento - art. 3 punto 5). Un ulteriore elemento di preoccupazione (o di allarme?) è il contenuto degli atti deliberativi che alcune Regioni stanno predisponendo per la attuazione della legge a livello locale. La Regione Lombardia ha emanato un testo che conferma la linea di tendenza descritta e, se possibile, la rende ancora più "favorevole" al modo aziendale e, indirettamente, "sfavorevole" alle persone disabili. La delibera della Regione Lombardia n° 13 del 6 luglio 2000 prevede, infatti, la possibilità di convenzioni triennali che sospendono gli invii a fronte di assunzioni che coprono, con la convenzione, solo il 12 % delle carenze all'anno (e ancora meno se si programmano tirocini o si assumono persone con disabilità intellettiva). La preoccupazione che l'insieme di queste indicazioni finisca per limitare in modo consistente i posti di lavoro, e quindi le opportunità di collocamento mirato per i disabili, ci sembra più che fondata. Sarebbe necessario contrapporre a queste norme "buone prassi" locali, ma è comunque indispensabile arrivare in tempi brevi a interpretazioni chiare e a favore della piena attuazione del diritto al lavoro sancito dalla 68 e quindi all'eliminazione di ciò che questo diritto limita. Il percorso delle persone disabili e il ruolo delle commissioni e dei servizi Già in fase di elaborazione della legge e di dibattito dopo la sua pubblicazione sono emerse due esigenze che non trovano risposta nella legge. La prima è quella di garantire alla persona disabile il diritto ad accedere alla 68 con il minimo possibile di disagi e il massimo possibile di valorizzazione delle sue capacità; la seconda, strettamente legata alla prima, è di tradurre l'impianto istituzionale previsto dalla nuova legge (Commissioni, Comitato tecnico, Uffici competenti, Servizi di inserimento) in una organizzazione trasparente e funzionale e in un sistema di servizi integrato e competente. Il quadro di riferimento attuale non scioglie in alcun modo i nodi legati a queste esigenze. Le circolari e il regolamento affrontano pochissimo questi temi, e il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del gennaio 2000, emanato in attuazione dell'art.1, sui criteri di accertamento delle condizioni di disabilità per accedere al sistema per l'inserimento lavorativo lascia inalterate le criticità. Il Decreto prevede fondamentalmente tre fasi: · l'accertamento da parte delle Commissioni della legge 104/92 delle condizioni di disabilità attraverso un profilo socio-lavorativo steso "in raccordo con il Comitato tecnico" (art. 4 del Decreto) e una diagnosi funzionale (art. 5) della persona disabile; · la stesura da parte della Commissione di una relazione conclusiva, con suggerimenti sulle forme di sostegno e sugli strumenti necessari per l'inserimento (art. 6); · la trasmissione della relazione e della documentazione alla Azienda USL e alle Commissioni mediche del Ministero del Tesoro e della sola relazione alla persona disabile e alla commissione provinciale per le politiche del lavoro (art.7). E' da riconoscere come positivo il tentativo di uscire da una logica di accertamento prevalentemente sanitaria, e in questo senso le schede allegate al decreto sono un passo in avanti, così come va sottolineata sempre positivamente l'indicazione di arrivare ad un'unica visita per definire sia l'invalidità civile sia l'accesso alla 68. Restano però , come si è detto, alcuni passaggi critici irrisolti. Né la Commissione 104 né il Comitato tecnico danno di per sé, per la composizione prevista, garanzie sulla possibilità di conoscere davvero la persona disabile e tantomeno di formulare una ipotesi di percorso verso il lavoro. Possono farlo se, casualmente o per scelta delle singole UU.SS.LL. e delle singole Province, sono presenti al loro interno operatori che hanno competenze specifiche sull'inserimento lavorativo delle persone disabili (gli operatori della mediazione) e che conoscono la persona (operatori dei servizi territoriali). Ma non vi è la garanzia che questo avvenga. Non viene comunque riconosciuto il possibile ruolo, in questi come in altri passaggi strategici dell'applicazione della legge, dei servizi di mediazione, di quei numerosi servizi presenti nel nostro paese, con nomi diversi e con diversa appartenenza istituzionale (USL., Comuni, Consorzi di Comuni, Formazione Professionale, Coop.Soc.), ma con capacità e competenze professionali ed esperienze egualmente consolidate.1 Lo spazio a loro ufficialmente riconosciuto resta sostanzialmente quello di sostegno agli inserimenti previsti nelle convenzioni di integrazione lavorativa (art. 11 della 68). Il rischio che questi servizi restino esterni e residuali rispetto al nuovo sistema di fantomatici "Uffici competenti" per il collocamento dei disabili è reale. E' necessario che la nuova organizzazione prevista dalla legge sappia "raggiungere il nuovo valorizzando l'esistente" Semplificando siamo di fronte a due strade. La prima è quella di un'applicazione "pedissequa" e riduttiva della legge, con il prevalere di una logica burocratico/amministrativa. Le Commissioni 104 non potranno che stendere profili e relazioni probabilmente poco significative; gli "uffici competenti" lavoreranno sul collocamento mirato in modo certamente più positivo rispetto al vecchio sistema ma senza quel salto di qualità auspicato e possibile, e questo al di là delle capacità e della volontà degli operatori; i Servizi di mediazione al lavoro saranno chiamati in causa "a giochi fatti", per seguire singoli inserimenti all'interno di rapporti con aziende e persone già stabiliti e con un apporto quindi poco significativo. La seconda strada è quella di un'applicazione che oltre a rispettare lo spirito della 68, si muova in una prospettiva imprenditiva e innovativa, che sappia tenere conto delle risorse del territorio costruendo un sistema di servizi che superi la logica burocratica degli adempimenti e che sia realmente orientato al "risultato" mettendo al centro dell'attenzione il "cittadino utente". In questa logica assume una dimensione strategica la capacità delle Province dei Comuni e delle ASL di costruire una rete gestionale trasversale attraverso accordi di programma o convenzioni. L'inserimento lavorativo mirato può effettivamente attuarsi se gli "uffici competenti" sono in grado di conoscere e comprendere realmente la storia della persona disabile, il suo progetto di vita e a che punto è il suo percorso verso il ruolo lavorativo. Solo così la decisione su "dove" collocare la persona disabile ma soprattutto su "come" deve avvenire il collocamento (cioè i tempi e le metodologie di supporto) assumerà una dimensione di rispetto della persona e della sua storia e di considerazione delle ineliminabili esigenze aziendali. Lungo questa strada ci sono alcuni punti fermi: - integrazione e collegamento tra le commissioni, i servizi di mediazione al lavoro, e i servizi territoriali; - commissioni 104 integrate da operatori dei servizi di mediazione al lavoro; - comitato tecnico costruito non per "rappresentanze" ma per "competenze"; - servizi di mediazione al lavoro come braccio tecnico degli uffici per la conoscenza delle persone, l'interfaccia con le aziende, la costruzione delle convenzioni, la gestione degli inserimenti per i disabili che hanno bisogno di progetti di "accompagnamento" attraverso strumenti di mediazione specifici. 1 Vedi il volume "Lavori in corso" Edizioni del Cerro - Pisa (1999) Cosa cambia nel rapporto tra imprenditori e servizi pubblici nella gestione del collocamento obbligatorio Elisa Duò, Laureata in giurisprudenza, Trento, 2000 con la tesi La costituzione del rapporto di lavoro con i soggetti disabili (indice) Alcune realtà regionali e provinciali, tra le quali l’Agenzia del Lavoro della Provincia autonoma di Trento, avevano già elaborato modelli di inserimento lavorativo dei disabili che in parte sono stati recepiti dalla riforma in particolare con l’introduzione dell’istituto del collocamento mirato La disciplina delle assunzioni obbligatorie è stata completamente modificata dalla legge 12/03/99, n.68, entrata in vigore per esteso il 18/01/2000. L'istituto più importante della riforma è sicuramente il collocamento mirato, definito dall'art. 2 della legge come "quella serie di strumenti tecnici e di supporto che permettono di valutare adeguatamente le persone con disabilità nelle loro capacità lavorative e di inserirle nel posto adatto, attraverso analisi di posti di lavoro, forme di sostegno, azioni positive e soluzioni dei problemi connessi con gli ambienti, gli strumenti e le relazioni interpersonali suoi luoghi quotidiani di lavoro e di relazione". Più precisamente quando si parla di collocamento mirato si intende una forma di inserimento nel mondo del lavoro del disabile che si realizza con interventi e azioni promossi dagli "uffici competenti"(vedere in tal senso la legislazione provinciale ed in specifico per la Provincia Autonoma di Trento, l'art. 26 della legge provinciale 20/03/2000, n.3 ), volti a realizzare percorsi formativi e occupazionali studiati per la singola persona con riferimento alla singola azienda. Vengono quindi valutate le caratteristiche concrete dei soggetti coinvolti nel sistema del collocamento obbligatorio, per consentire il più proficuo inserimento del disabile e la migliore soddisfazione delle esigenze della produzione. La necessità di raggiungere questi obiettivi è stata anche sottolineata a livello europeo dal Consiglio di Lussemburgo del dicembre 1997 e dal Consiglio di Vienna del dicembre 1998. Per quanto riguarda lo sviluppo del mercato del lavoro, nell'ambito della direttrice delle pari opportunità, gli Stati membri sono stati invitati a realizzare una politica del lavoro che tenga conto anche delle problematiche dell'inserimento nel mondo del lavoro dei portatori di handicap. Secondo il Consiglio infatti questi soggetti sono gli ultimi a trovare un posto di lavoro e i primi a perderlo nel caso di riduzione del personale. La legge 68/99 coglie le linee guida fornite dalla Comunità europea e crea a livello nazionale un sistema di avviamenti obbligatori mirati. Quanto proposto dalla nuova normativa non è comunque del tutto nuovo; infatti alcune realtà regionali e provinciali, tra le quali l'Agenzia del Lavoro della Provincia autonoma di Trento, avevano già elaborato, grazie anche al progressivo decentramento amministrativo relativamente al mercato del lavoro, modelli di inserimento lavorativo dei disabili che in parte sono stati recepiti dalla riforma. Strumenti per il collocamento mirato Numerose disposizioni della nuova legge dimostrano l'attenzione che il legislatore ha prestato all'inserimento mirato. Innanzitutto per quanto riguarda gli accertamenti sanitari l'Atto di indirizzo e coordinamento del Presidente del Consiglio dei Ministri, emanato il 13/01/2000, ha ribadito la necessità di verificare le condizioni di disabilità del soggetto richiedente l'iscrizione non solo con riferimento alla diagnosi funzionale, ma anche riguardo alla residua capacità lavorativa, globale e potenziale. Per raggiungere l'obiettivo del più efficace collocamento anche nel rispetto delle caratteristiche della realtà produttiva, obbligata all'assunzione, la legge 68/99 prevede, agli artt.11 e 12, quattro tipi di accordi, denominati convenzioni (le convenzioni di inserimento lavorativo, di integrazione lavorativa, di inserimento mirato e di inserimento temporaneo) stipulabili tra gli uffici competenti e i datori di lavoro. Tramite le convenzioni i soggetti obbligati possono adempiere in modo flessibile all'obbligo di legge, fissando modalità e tempi diversi per effettuare le assunzioni per il patto di prova (art.11, comma 2), svolgendo tirocini formativi, assumendo anche con contratto a termine oppure a tempo indeterminato, con la possibilità di distacco temporaneo per 12 mesi rinnovabili una sola volta su parere degli uffici competenti presso una cooperativa sociale o un disabile libero professionista, studiando particolari percorsi per i disabili con maggiori difficoltà (art.11, commi 4 e 7), sfruttando le agevolazioni economiche riconosciute dall'art.13. L'elasticità della nuova legge si può desumere anche dalla riduzione delle quote di riserva che passano dal 15% al 7% e dal diritto riconosciuto ai datori di lavoro dall'art.7 di assumere nominativamente i lavoratori disabili pur nel rispetto di determinati limiti numerici, destinati a venir meno nel caso di stipulazione di una convenzione. In base alla nuova legge i datori di lavoro che occupano da 15 a 35 dipendenti e che sono tenuti all'assunzione di un solo disabile, provvedono sempre con chiamata nominativa; per i soggetti che impiegano tra 36 e 50 dipendenti, obbligati all'assunzione di due disabili, procedono a chiamata nominativa per il 50% delle assunzioni, mentre nelle aziende con più di 50 lavoratori dipendenti le assunzioni sono nominative per il 60% della quota di riserva. L'art.16 della legge 482/68 prevedeva la chiamata nominativa solo per i lavoratori di concetto, per i lavoratori specializzati, per il personale destinato a mansioni di fiducia. Apparentemente il nuovo regime per la chiamata nominativa sembra essere più restrittivo rispetto a quello precedente, che non disponeva alcun limite numerico, ma soltanto di mansione. Questa "restrizione", prevista dalla riforma, si può giustificare con la necessità di garantire un certo ruolo agli Uffici competenti nell'ambito degli avviamenti e soprattutto di stimolare i datori di lavoro a sfruttare le convenzioni, che ammettono la chiamata nominativa senza limiti di alcun genere (in tal senso Massi E. in Diritto & Pratica del Lavoro, n.17/99 ). Bisogna comunque puntualizzare che le convenzioni che consentono di coinvolgere maggiormente i datori di lavoro per realizzare al meglio l'inserimento mirato all'interno delle aziende, sono quelle previste dall'art.11 della legge, non invece le convenzioni trilaterali di inserimento temporaneo disciplinate dall'art.12, che consentono il distacco presso soggetti - cooperative sociali o disabili liberi professionisti - che abitualmente accolgono disabili e soggetti svantaggiati. Chiamata nominativa, denunce, richieste, qualifiche professionali In merito alla chiamata nominativa è opportuno anche ipotizzare la possibilità di assunzioni effettuate nominativamente oltre la quota consentita dalla legge. In tal caso l'azienda che ha adempiuto per l'intero ammontare della quota di riserva con chiamata nominativa potrebbe ritenersi apparentemente in regola dal punto di vista numerico, ma non dal punto di vista del dettato legislativo che limita il diritto del datore di lavoro. A mio parere in tal caso l'Agenzia del Lavoro potrebbe considerare non computabili nella quota di riserva i disabili nominativamente assunti, con una conseguente "scopertura" dell'azienda coinvolta. Cambia anche il sistema delle denunce e delle richieste previste dagli artt.16 e 20 della L. 482/68 che vengono sostituite dai prospetti e dalle richieste, disciplinati dall'art. 9. La prima importante novità riguarda i prospetti che entro il 31 gennaio di ogni anno i datori di lavoro obbligati devono inviare; per espressa disposizione di legge queste comunicazioni hanno anche il valore di richiesta di avviamento nel caso in cui l'azienda obbligata sia "scoperta". La legge 482/68 distingueva le denunce dalle richieste, escludendo che le prime sostituissero le seconde, ammettendone tuttavia la contestualità se nella denuncia fosse stata riscontrabile una inequivoca manifestazione della volontà del datore di lavoro di richiedere l'avviamento. I prospetti previsti dalla nuova legge sono più completi. Come ha stabilito il decreto del Ministro del Lavoro del 22/11/99 queste comunicazioni, oltre a fornire precise informazioni sulla situazione occupazionale dell'azienda, devono anche indicare le mansioni e i posti disponibili per i lavoratori disabili, in maniera tale che gli uffici competenti possano già disporre di notizie utili sulle possibili occupazioni dei portatori di handicap. La riforma è molto chiara anche per quanto riguarda la rilevanza delle qualifiche professionali che il datore di lavoro può richiedere. L'art. 9, comma 2, stabilisce che nel caso di impossibilità di avviare lavoratori con la qualifica richiesta o con altra concordata con il datore di lavoro, gli uffici competenti avviano lavoratori con qualifiche simili, previo addestramento o tirocinio presso le cooperative sociali secondo le modalità previste per le convenzioni di inserimento temporaneo (art.12). Viene così riconosciuto il diritto del soggetto obbligato a chiedere l'avviamento di un disabile con determinate qualifiche diversamente da quanto stabilito dalla legge 482/68 che attribuiva valore solo alla distinzione tra operai e impiegati, con la conseguenza che qualsiasi altra indicazione fornita dal datore di lavoro relativa alle capacità professionali dell'invalido da avviare divenivano irrilevanti. La possibilità di chiedere professionalità specifiche è comunque finalizzata a consentire un effettivo inserimento del disabile, scopo irraggiungibile senza considerare anche le esigenze produttive dell'azienda obbligata. Bisogna tuttavia considerare anche l'eventualità che i soggetti obbligati richiedano agli uffici competenti l'avviamento di lavoratori con qualifiche eccessivamente elevate Se quindi gli uffici competenti non dovessero rispettare queste modalità di avviamento, il datore di lavoro potrebbe legittimamente rifiutare l'assunzione. In questo caso l'art.9, comma 8, è molto chiaro: la Direzione provinciale del lavoro redige un verbale che trasmette agli uffici competenti e all'autorità giudiziaria. Tuttavia, a rigor di logica, il rifiuto sarà giustificato quando non siano state rispettate le indicazioni fornite dal soggetto obbligato con la richiesta di avviamento. Bisogna tuttavia considerare anche l'eventualità che i soggetti obbligati richiedano agli uffici competenti l'avviamento di lavoratori con qualifiche eccessivamente elevate per i disabili iscritti agli elenchi in maniera tale la "scopertura" possa essere apparentemente considerata legittima. Per evitare un'interpretazione letterale del dato normativo in frode alla legge l'art. 7 dello schema del regolamento di esecuzione per l'attuazione della legge 68/99 approvato il 4/08/2000 e in attesa del parere della Corte dei Conti, ha stabilito che qualora esperita la procedura per individuare qualifiche simili a quella richiesta, non sia stato raggiunto alcun accordo e quindi non sia possibile per causa non imputabile al datore di lavoro l'avviamento questi potrà chiedere l'esonero parziale ai sensi dell'art.5, comma 4, della legge stessa, versando quindi al Fondo regionale per l'occupazione dei disabili il previsto contributo. Bisogna anche affrontare il problema delle conseguenze nel caso di illegittimità del rifiuto di assunzione da parte del datore di lavoro. In vigenza della legge 482/68 la giurisprudenza era costante nel riconoscere al lavoratore solo il diritto al risarcimento del danno, ritenendo inammissibile l'applicazione dell'art.2932 del Codice Civile, relativo all'esecuzione specifica dell'obbligo di concludere il contratto, a causa dell'insufficiente precisione dell'oggetto del contratto di lavoro. Una più recente tendenza giurisprudenziale, orientandosi verso la soluzione dell'applicabilità dell'art. 2932 Codice Civile, aveva superato il suddetto ostacolo, determinando l'oggetto del contratto per relationem, cioè basandosi sulla legge e sui contratti collettivi. Più precisamente nel caso di rifiuto del datore di lavoro motivato dalla qualifica errata, si sarebbe potuto fare riferimento alla qualifica operaia o impiegatizia con la quale l'invalido era stato iscritto all'elenco e a quella richiesta dal datore di lavoro, e, nel caso di rifiuto a causa della incompatibilità tra handicap e mansioni, il giudice avrebbe potuto procedere a un accertamento nel corso del giudizio, con una possibile integrazione del contratto anche sotto questo profilo. A mio parere la legge 68/99 fornisce ulteriori spunti a favore dell'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di assumere. Ci sono tre elementi se cui far leva: innanzitutto la qualifica specifica che oggi, alla luce dell'art. 9, comma 2, il datore di lavoro può indicare nella richiesta di avviamento; in secondo luogo l'applicazione ai lavoratori disabili del medesimo trattamento economico e normativo previsto dalle leggi e dai contratti collettivi (art.10, comma 1); infine, con riferimento alle mansioni, l'indicazione nel prospetto, in base all'art.3, lett. e) del decreto del Ministro del Lavoro del 22/11/99, dei posti e delle mansioni disponibili per i lavoratori disabili. Il giudice ha quindi a disposizione una serie di informazioni che potrebbero consentirgli di determinare tutti gli elementi del contratto e di emettere una sentenza costitutiva del rapporto di lavoro. Questa è soltanto un'interpretazione; bisognerà attendere le prime sentenze relative all'applicazione della legge 68/99. |