Appunti n.136
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Politiche di comunità: le
reti di responsabilità, attivazione e governo*
* Relazione al Seminario “Assistente Sociale, Assistente Domiciliare, Educatore
Professionale”, “Bottega del Possibile” - Torre Pellice 10/11 maggio 2001.
Mauro Perino - Direttore Consorzio Intercomunale dei Servizi Alla Persona, Comuni
di Collegno Grugliasco (TO)
Un approfondimento sulla riforma dell’”assistenza a partire dall’analisi dei compiti e delle responsabilità deii servizi sociali, delle amministrazioni locali e delle organizzazioni del terzo settore
Responsabilità e compiti dei servizi sociali
E' da tempo evidente che i servizi socio assistenziali (oggi "sociali")
hanno pochissimi strumenti per svolgere azioni dirette ad eliminare le cause
che provocano le richieste di intervento. Ne consegue che la prevenzione del
bisogno non può - con riferimento alle situazioni di esclusione ed emarginazione
- essere una funzione primaria del settore dei servizi di assistenza sociale,
ma che su di esse possono molto più efficacemente intervenire i settori del
lavoro, della formazione professionale, delle pensioni, della sanità, dei trasporti
ecc.
I servizi sociali svolgono, tuttavia, l'importantissimo compito di individuare
non solo gli effetti dell'esclusione ma anche le cause e possono,
conseguentemente, operare in senso promozionale nei confronti degli altri
settori coinvolti nelle politiche sociali (specie locali) al fine di
introdurre i cambiamenti occorrenti per la riduzione o l'eliminazione dei fattori
che generano difficoltà e disagio sociale. Per "rimuovere e superare le condizioni
di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua
vita" (art. 128 del D.Lgs. n.112/98) è assolutamente necessario che le prestazioni
assistenziali (o, più modernamente, di servizio sociale) siano fornite
in modo da assicurare la massima autonomia dei soggetti e, nello stesso tempo,
da promuovere il corretto utilizzo delle risorse rese disponibili dal
sistema delle politiche sociali nel suo complesso (casa, scuola, sanità,
previdenza ecc.).
I servizi sociali di cui alla recente legge 328/2000 si configurano dunque come
uno dei molteplici "servizi alla persona e alla comunità" - indicati
al Titolo IV del decreto legislativo 112/1998 - chiamati ad espletare le funzioni
che principalmente caratterizzano le politiche sociali attuate a livello
locale ("tutela della salute", "istruzione scolastica", "formazione professionale",
"beni ed attività culturali, "spettacolo" e "sport"). In merito ai "servizi
alla persona e alle famiglie" la legge quadro 328/2000 mentre all'articolo
3, comma 2, afferma il carattere universalistico del sistema, all'articolo 22,
comma 1, precisa che lo stesso "si realizza mediante politiche e prestazioni
coordinate nei diversi settori della vita sociale".
Il contesto operativo nel quale si situano i servizi sociali è dunque quello
definito dalle politiche che i comuni producono per promuovere lo sviluppo
della comunità locale che istituzionalmente rappresentano. Nella definizione
dell'ambito d'azione dei servizi sociali locali è dunque opportuno tener conto
delle considerazioni sin qui formulate e, conseguentemente, ritengo che gli
assi principali di intervento dei servizi sociali possano essere - alla luce
dell'art.1, comma 1, della legge di riforma - , nell'ordine, così individuati:
Tutela del diritto all'assistenza. Assicurando "alle
persone e alle famiglie" l'accesso al sistema integrato di interventi
e servizi sociali nel rispetto dell'obbligo di consentire l'accesso prioritario
ai soggetti rientranti nelle condizioni previste dall'art.2, c.3, della
legge quadro.
Promozione ed accompagnamento. L'esercizio della funzione di tutela
del diritto all'assistenza, sancito dall'art. 38 della Costituzione,
comporta, in primo luogo, l'assunzione di compiti di promozione degli
interventi per garantire la qualità della vita, pari
opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza nell'ambito
della comunità locale. E' dunque necessario che si operi per la realizzazione
di programmi intersettoriali ed integrati finalizzati a far sì che i servizi
fondamentali della sanità, dell'istruzione, dei trasporti, della casa ecc.,
rivolti all'insieme della cittadinanza, siano organizzati in modo da rispondere
al meglio anche alle esigenze delle fasce più deboli della popolazione
- spesso escluse dai contesti di normalità - verso i quali vanno accompagnate.
Concertazione. L'attività di promozione - che con la nuova legge assume
una dimensione strategica anche a causa della controversa questione dell'effettivo
grado di esigibilità di livelli adeguati di prestazioni e servizi - è connessa
allo sviluppo della concertazione, in ambito locale, per favorire il
riordino ed il potenziamento del sistema integrato di interventi e servizi sociali.
La legge di riforma individua infatti nel "Piano di zona" - di norma
adottato attraverso accordo di programma tra i comuni, le ASL, le ONLUS, gli
organismi locali della cooperazione, delle associazioni, degli enti di promozione
sociale ecc. - lo strumento per la realizzazione di programmi coordinati e per
la gestione integrata degli interventi sociali e sanitari anche con il concorso
delle risorse locali di solidarietà e di auto aiuto.
Connessione. L'attività di concertazione in sede di programmazione
- da sviluppare a livello orizzontale, nell'ambito della comunità locale, ma
anche "verticale" nei confronti di Provincia e Regione - comporta l'adozione
di una strategia delle connessioni, degli interventi realizzati
dai soggetti che operano nel sistema delle politiche sociali, per favorire
il continuum agio/disagio, combinando la logica di protezione con quella di
promozione, ricercando un corretto equilibrio tra interventi di sostegno
alle situazioni di disagio ed interventi, più complessivi, di promozione del
benessere.
Infine la gestione (diretta o indiretta nelle forme previste dalla
normativa) di quel complesso di attività che sino alla approvazione della legge
328/2000 definivamo (senza troppi complessi di inferiorità) socio-assistenziali.
A fronte di una legge che si pone l'obiettivo generale di promuovere politiche
di aiuto alla normalità della vita delle persone va infatti ribadita la specificità
dei servizi di assistenza sociale che, come si è detto, occupano un campo
d'azione ben definito nell'ambito del sistema locale dei "servizi alla persona
e alla comunità". Occorre inoltre ricordare sempre che
l'agire per il cambiamento - non solo della persona ma anche del contesto
di vita e di relazione - è parte integrante e sostanziale del compito tecnico
degli operatori sociali.
Responsabilità e compiti delle organizzazioni del terzo settore
La produzione legislativa degli ultimi anni ha messo in moto una serie di
importanti innovazioni: la centralità del comune e della comunità locale; il
cittadino al centro del sistema dei servizi; un ruolo crescente per cooperative
sociali, volontariato, ONLUS, associazioni di pubblica utilità; un nuovo ruolo
per le fondazioni bancarie; l'affermarsi del principio della sussidiarietà verticale
dei servizi. Più in generale sono state poste le premesse per un passaggio dal
welfare state al welfare community secondo il principio della
stretta correlazione tra risorse e servizi.
Alla necessità di dare puntuale risposta a vecchi e nuovi bisogni si accompagna,
infatti, la limitatezza delle risorse disponibili e la conseguente necessità
di far sì che la comunità locale sia coinvolta appieno nel community care,
che si attrezzi cioè a "prendersi cura" di se stessa. Nella fase di transizione
al welfare plurale viene pertanto richiesto, a tutti i soggetti chiamati
a fornire servizi alla comunità locale di operare in coerenza con il principio
della stretta correlazione tra risorse e servizi. Assume dunque importanza
strategica la funzione di programmazione svolta a livello locale e, in particolare,
l'art.19 della nuova legge chiama in causa i comuni associati che a tutela
dei diritti della popolazione, d'intesa con aziende unità sanitarie locali,
provvedono, nell'ambito delle risorse disponibili, per gli interventi
sociali e socio-sanitari, secondo le indicazioni del piano regionale, a
definire il "piano di zona".
Il Piano - individuato come strumento strategico dei comuni associati per il
governo locale dei servizi - è finalizzato a programmare la rete di interventi
e servizi che devono dare risposta alle problematiche espresse dalle comunità
locali. Al "piano di zona" si richiede di individuare i bisogni prioritari delle
persone; le strategie di prevenzione; le risorse a disposizione; i soggetti
(istituzionali e non) coinvolti; i risultati attesi; gli standard operativi
e di efficacia; le responsabilità di governo e di gestione, le forme di controllo;
le modalità di verifica ed i criteri di valutazione degli interventi.
Non mi dilungo oltre sul "Piano di zona" se non per rimarcare l'elemento di
novità introdotto dall'articolo 19 della legge che - modificando implicitamente
l'art. 34 del D.Lgs. 267/2000: "Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli
enti locali" - introduce la possibilità di stipulare "accordi di programma"
con i soggetti di cui all'art.1, c. 4, e all'art.10 ovvero con gli organismi
non lucrativi di utilità sociale, con gli organismi della cooperazione, delle
associazioni e degli enti di promozione sociale, delle fondazioni e degli enti
di patronato, delle organizzazioni di volontariato, degli enti riconosciuti
delle confessioni religiose (che abbiano stipulato accordi con lo Stato) ed
infine con le IPAB. E' evidente l'importanza che questi soggetti vengono ad
assumere nel sistema dei servizi se si considera che la legge di riforma
prevede che gli Enti Locali riconoscano ed agevolino il ruolo del Terzo Settore
non solo nella gestione - come già avviene - ma anche nella programmazione e
nella organizzazione del sistema integrato che ha, tra gli altri scopi,
la promozione della solidarietà sociale. Solidarietà (politica,
economica e sociale) che l'art. 2 della Costituzione definisce come dovere
inderogabile dei cittadini e delle formazioni sociali che essi esprimono.
La considerazione che emerge da questa lettura della legge è che alle organizzazioni
sociali e del Terzo Settore è richiesto un nuovo protagonismo, anche politico,
non solo a livello nazionale e regionale ma anche nell'ambito della comunità
locale. Queste formazioni sociali avranno la possibilità di denunciare i vuoti
(antichi e recenti) di risposte sul piano delle politiche sociali e di contrastare
le tendenze (presenti e future) a perseguire uno snaturamento e una strumentalizzazione
del Terzo Settore in maniera funzionale allo smantellamento dello stato sociale
e dell'universalità dei diritti sociali e di cittadinanza (vedi la modifica
dell'art.117 della Costituzione introdotta dalla legge sul federalismo secondo
la quale allo Stato compete la (sola) determinazione dei livelli essenziali
concernenti i diritti civili e sociali).
Le organizzazioni sociali potranno favorire un nuovo protagonismo di cittadinanza
ricostruendo conflitto sociale e negoziazione in forme diverse da quelle
conosciute in passato, quando esistevano forti organizzatori della socialità
e forti strumenti di rappresentanza sociale. Potranno, inoltre, lavorare per
la costruzione di una democrazia diffusa a livello della comunità locale assumendosi
delle responsabilità di rappresentanza, promuovendo tavoli per una assunzione
condivisa delle decisioni, stimolando tutti i soggetti coinvolti a non considerarsi
autosufficienti nella lettura del territorio e nell'individuazione degli interventi
necessari .
Ma l'assunzione di questi compiti richiede una profonda svolta culturale, in
qualche modo un ritorno alle origini del movimento cooperativo. Per vincere
la sfida posta dal nuovo quadro normativo è necessaria, in buona sostanza, una
presa di distanza dall'adozione acritica del modello
aziendale (attualmente in voga) che pone al centro la committenza pubblica
e l'organizzazione e non i destinatari; che cerca di standardizzare le risposte
invece di personalizzarle; che tende a lavorare solo sui bisogni qualificati
oggetto della tradizionali politiche di settore (educative, socio assistenziali,
sanitarie) senza porre attenzione alla dimensione territoriale della vita delle
persone.
Responsabilità e compiti delle Amministrazioni locali
Come insegnano le recenti esperienze dei "Patti territoriali" per lo sviluppo
economico ed occupazionale locale ed i "tavoli" per la realizzazione - mediante
definizione di accordi di programma - dei piani di intervento previsti dalla
legge 285/1997 non è facile costruire quello strumento fondamentale di programmazione
locale che Franco Vernò chiama il "Piano regolatore dei servizi".
Eppure - se si condivide il concetto che proprio nella comunità locale si esprimono,
accanto ad una pluralità di bisogni, anche molteplici risorse umane, progettuali
e finanziarie per la predisposizione delle risposte - appare necessaria la creazione
di reti che favoriscano l'azione coordinata e regolata di una pluralità
di attori, di sistemi in grado di far interagire le risorse locali e
regionali di tipo economico, sociale e culturale con le opportunità offerte
in sede nazionale ed europea. Fare sistema, partnership, rete negli ambiti territoriali
non è però, di per sé, garanzia di sviluppo regolato e sostenibile, di coesione
sociale e promozione delle opportunità. E' necessario che i comuni operino con
intenzionalità politica attraverso l'adozione di una metodologia di concertazione
locale che consenta di negoziare e di attivare un sistema di regole e
convenienze per tutti i soggetti in gioco, puntando alla realizzazione di
ogni possibile sinergia.
Il compito richiesto alle Amministrazioni è di produrre, a livello locale, legami
e relazioni che promuovano processi di identificazione e contrastino la
dissoluzione delle appartenenze tradizionali. Politiche di comunità, dunque,
che attraverso la partecipazione favoriscano il "sentirsi parte di un insieme",
di una società civile con regole comuni, da tutti rispettate e condivise,
adatte a consentire una vita quotidiana più controllabile e gestibile. Nelle
relazioni di comunità è infatti la fiducia l'elemento cardine per costruire
reti di umanità che consentano il passaggio dalle solidarietà corte
alle solidarietà lunghe. La fiducia è il bene relazionale che
pone il sociale e le sue risposte alla portata delle persone e costituisce un
orizzonte di senso per percorsi di vita significativi (Sergio Dugone, "Dallo
stato assistenziale alla comunità solidale", Politiche sociali, n.6/99).
Al Comune in quanto governo locale spetta il compito di produrre politiche
che promuovano inclusione e questo vuol dire, sul piano della programmazione
territoriale, la capacità di considerare le porzioni di territorio a rischio
di emarginazione e di abbandono come luoghi nei quali è possibile investire
per ricomprenderli nei processi di trasformazione delle città; avendo a monte
una concezione del territorio non come condizione geografica ma come ambito
di vita e di relazione di individui e gruppi. Ciò richiede una progettazione
partecipata che riconosca - ai soggetti ed alle organizzazioni di rappresentanza
che hanno concorso alla definizione dei progetti - responsabilità diretta nella
gestione degli interventi di riqualificazione, di miglioramento della "qualità
del vivere quotidiano" e della sicurezza di vita in generale.
La corretta applicazione del principio di responsabilità - ribadito più
volte dalla legge di riforma - comporta decentramento del potere, riconoscimento
di nuove sedi di partecipazione che siano anche luogo di condivisione
delle responsabilità in fase di attuazione. Ai comuni è richiesto, in sintesi,
di trasformare le politiche di settore in politiche di comunità - finalizzate
all'inclusione sociale - che non abbiano la presunzione di definire a priori
e dall'alto tutti i possibili obiettivi ma che si sviluppino, dal basso, con
una logica di tipo incrementale.
Vorrei concludere accennando al tema dei diritti. Una funzione fondamentale
dello Stato sociale è, come sappiamo, di agire come regolatore nel rapporto
tra diritti sociali e doveri di solidarietà. Il nuovo quadro normativo
fa coincidere con l'ambito regionale e con quello locale, amministrato dai comuni,
un'ampia parte della politica sociale volta alla tutela di tali diritti. Le
leggi più recenti assumono infatti inequivocabilmente la scelta della sussidiarietà.
E' dunque il comune in primo luogo che ha il compito di regolamentare, nell'ambito
della comunità locale, il rapporto tra diritti e doveri. Ed è sempre il comune
che viene direttamente chiamato a promuovere l'adozione, da parte delle regioni,
degli "strumenti e procedure di raccordo e di concertazione, anche permanenti,
per dare luogo a forme di cooperazione" (previsti dall'art. 8, comma 2,
della legge 328/2000) tra i soggetti istituzionali preposti alla realizzazione
del sistema integrato dei servizi. Per far si che questi compiti vengano espletati
è indispensabile che la comunità amministrata trovi una sua identità forte,
sia coesa e solidale e tutti i suoi membri concorrano a produrre le risorse
necessarie ad assicurare, a livello locale, la necessaria giustizia sociale.
Lo sviluppo di un'etica della responsabilità è condizione necessaria
perché i diritti siano esigibili per tutti ma ognuno fruisca di ciò che è
disponibile tenendo conto dei suoi reali bisogni e delle sue personali risorse.
La legge di riforma delinea un "Welfare di comunità" plurale, con poteri
e responsabilità condivise. La comunità ha, in genere, molte risorse che non
vengono raccolte e valorizzate, ma a volte addirittura avvilite da interventi
che tendono ad accrescere la dipendenza dai servizi. Bisogna favorirne la crescita
responsabilizzando i cittadini nel processo di riconoscimento e di selezione
delle proprie necessità e bisogni e nella programmazione gestione
e verifica dei servizi. L'applicazione della legge di riforma richiede un
sistema di governo allargato, nel quale accanto alla promozione ed alla
regolazione pubblica convive la co-progettazione che coinvolge soggetti pubblici,
privati e del privato sociale con un esercizio di responsabilità comuni.
La qualità dei servizi alle persone e alle famiglie non può infatti compiutamente
realizzarsi se non si coniugano i saperi professionali con i saperi sociali;
se non si promuove una "cittadinanza attiva e competente" anche sapendo
che ciò comporta l'accettazione del rischio di una sfida alle regole consolidate
della partecipazione locale e di momenti di conflitto con le Amministrazioni
ed i servizi locali.
Tutto questo richiede tempo da dedicare e la capacità di Amministratori e tecnici
di essere disponibili, di saper ascoltare, di non farsi prendere dall'ansia
dei risultati. Le Amministrazioni devono inoltre riconoscere investimenti su
tempi lunghi, legittimando il lavoro dei tecnici e professionisti dei servizi
e delle organizzazioni sociali che operano nel territorio, non come sperimentale
e di nicchia, ma come investimento strategico.
Come afferma Eleonora Artesio (Assessore del Comune di Torino con notevole esperienza
in materia) "la letteratura sullo sviluppo di comunità ci ha ormai insegnato
che se si dedica sufficiente tempo ed ascolto a capire il problema, la soluzione
nasce dal rapporto che si è stabilito per capire quel problema". Le soluzioni
non vengono dunque soltanto dalle capacità di chi analizza il problema ma soprattutto
dal processo che si è costruito per risolverlo.
L’Atto di indirizzo sulla
integrazione socio sanitaria
Fabio Ragaini - Gruppo Solidarietà
Dopo lunga attesa l’Atto è stato emanatolo scorso giugno. Riportiamo alcune considerazioni generali in merito alla applicazione. Un atto che si intreccia con l’applicazione della “riforma dell’assistenza” ma anche con le norme riguardanti il riccometro.
Nella Gazzetta ufficiale n. 129 del 6 giugno 2001 è stato pubblicato il Decreto
del Presidente del Consiglio dei Ministri 14 febbraio 2001, "Atto di indirizzo
e coordinamento in materia di prestazioni socio sanitarie" (vedi
allegato). Il decreto attuativo dell'articolo 3-septies del Decreto legislativo
229/99 (1) definisce le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale di competenza
delle ASL, quelle sociali a rilevanza sanitaria di competenza dei Comuni e quelle
ad elevata integrazione sanitaria a carico del fondo sanitario nazionale.
Il ritardo con cui è stato emanato (scadenza prevista, ottobre 1999) e le varie
tabelle - in bozza - che via via si sono succedute, indica le difficoltà di
accordo tra Ministero della solidarietà sociale e quello della sanità (ora della
salute!) in merito agli oneri finanziari in carico all'uno o all'altro settore.
Spetta ora alle regioni (vedi scheda), l'applicazione di gran parte delle indicazioni
contenute nell'Atto di indirizzo. Regioni che dovranno tener conto dei criteri
di finanziamento presenti nell'Atto sia in riferimento ai servizi già presenti
che a quelli che dovranno realizzarsi in attuazione della "riforma dell'assistenza"
e dei successivi atti applicativi (2).
Compiti delle regioni (DPCM 14.2.2001, Atto di indirizzo e coordinamento
in materia di prestazioni socio-sanitarie)
Art. 2. Tipologia delle prestazioni
- L'assistenza socio-sanitaria viene prestata alle persone che presentano
bisogni di salute che richiedono prestazioni sanitarie ed azioni di protezione
sociale, anche di lungo periodo, sulla base di progetti personalizzati redatti
sulla scorta di valutazioni multidimensionali. Le regioni disciplinano
le modalità ed i criteri di definizione dei progetti assistenziali personalizzati.
Art. 4. Principi di programmazione e di organizzazione delle attività
- Nell'ambito della programmazione degli interventi socio-sanitari (la regione)
determina gli obiettivi, le funzioni, i criteri di erogazione delle prestazioni
socio-sanitarie, ivi compresi i criteri di finanziamento, tenendo conto di quanto
espresso nella tabella allegata. A tal fine si avvale del concerto della Conferenza
permanente per la programmazione sanitaria e socio-sanitaria regionale di cui
all'art. 2, comma 2-bis, del decreto legislativo n. 502 del 1992, e successive
modifiche e integrazioni, o di altri organismi consultivi equivalenti previsti
dalla legislazione regionale.
- Svolge attività di vigilanza e coordinamento sul rispetto di dette
indicazioni da parte delle aziende sanitarie e dei comuni al fine di garantire
uniformità di comportamenti a livello territoriale.
- Per favorire l'efficacia e l'appropriatezza delle prestazioni socio-sanitarie
necessarie a soddisfare le necessità assistenziali dei soggetti destinatari,
l'erogazione delle prestazioni e dei servizi è organizzata di norma attraverso
la valutazione multidisciplinare del bisogno, la definizione di un piano di
lavoro integrato e personalizzato e la valutazione periodica dei risultati ottenuti.
La regione emana indirizzi e protocolli volti ad omogeneizzare a livello
territoriale i criteri della valutazione multidisciplinare e l'articolazione
del piano di lavoro personalizzato vigilando sulla loro corretta applicazione
al fine di assicurare comportamenti uniformi ed omogenei a livello territoriale.
Art. 5. Criteri di finanziamento
- Nella ripartizione delle risorse del Fondo per il servizio sanitario
regionale con il concorso della Conferenza di cui all'art. 3, comma 1, tengono
conto delle finalità del presente provvedimento, sulla base di indicatori
demografici ed epidemiologici, nonché delle differenti configurazioni territoriali
e ambientali.
- definisce i criteri per la definizione della partecipazione alla spesa
degli utenti in rapporto ai singoli interventi, fatto salvo quanto previsto
per le prestazioni sanitarie dal decreto legislativo n. 124 del 1998 e per quelle
sociali dal decreto legislativo n. 109 del 1998 e successive modifiche e integrazioni.
Saranno sempre le regioni che dovranno definire - tenendo conto delle indicazioni
del DPCM - le prestazioni ed i servizi ad elevata integrazione sanitaria e quindi
a totale carico del FS ("tutte le prestazioni caratterizzate da particolare
rilevanza terapeutica e intensità della componente sanitaria (..) Tali prestazioni
sono quelle, in particolare, attribuite alla fase post-acuta caratterizzate
dall'inscindibilità del concorso di più apporti professionali sanitari e sociali
nell'ambito del processo personalizzato di assistenza, dalla indivisibilità
dell'impatto congiunto degli interventi sanitari e sociali sui risultati dell'assistenza
e dalla preminenza dei fattori produttivi sanitari impegnati nell'assistenza.
Dette prestazioni a elevata integrazione sanitaria sono erogate dalle aziende
sanitarie e sono a carico del fondo sanitario. Esse possono essere erogate in
regime ambulatoriale domiciliare o nell'ambito di strutture residenziali e semiresidenziali
e sono in particolare riferite alla copertura degli aspetti del bisogno socio-sanitario
inerenti le funzioni psicofisiche e la limitazione delle attività del soggetto,
nelle fasi estensive e di lungoassistenza), da quelli sanitari a rilevanza
sociale (a titolarità sanitaria ma non a completo carico del FS). Il rischio
è quello di tendere a ricondurre (per evidenti ragioni di contenimento dei costi)
all'elevata integrazione solo gli interventi in post-acuzie e di far passare
nel sanitario a rilievo sociale (se non nel sociale a rilievo sanitario), tutto
ciò che viene definito "estensivo" (va comunque ricordato che il DPCM rimane
pur sempre un atto amministrativo e che per quanto riguarda il diritto alle
cure sanitarie - gratuito e senza limiti di durata - esso è sancito dalle leggi
692/1955, 132/1968, 386/1974, 180/78 833/1978). Quanto poi le prestazioni ed
i servizi di natura "sociale" per i quali è prevista la partecipazione al costo
del servizio da parte dell'utente vanno richiamate le indicazioni del D. lgs
130/2000 (3), nella parte in cui si stabilisce che per alcune categorie di persone
(handicap in situazione di gravità, ultrasessantacinquenni la cui non autosufficienza
fisica o psichica sia stata accertata dalle ASL), la partecipazione alla spesa
deve avere come riferimento il solo reddito del richiedente la prestazione e
non su quello del nucleo familiare o dei tenuti agli alimenti (vedi in questo
numero a p. 17).
Riguardo la tabella allegata al DPCM negli interventi rivolti a persone in situazione
di handicap, nell'ultima stesura è stata aggiunta per quanto attiene
i servizi residenziali una ulteriore differenziazione (40% a carico del SSN
e 60% a carico dei Comuni, aggiunta alla precedente 70% a carico SSN e 30% a
carico dei Comuni). La distinzione tra le due tipologie di servizi è abbastanza
difficile da definire. In tutte e due i casi i riferimenti normativi sono gli
stessi e identica è la definizione della disabilità (grave). Nel 2º caso si
fa riferimento a "strutture accreditate sulla base di standard regionali" (anche
riguardo ai servizi semiresidenziali), nel 1º, oltre alla gravità si aggiunge
"privi di sostegno familiare nei servizi di residenzialità permanente". Sempre
nella stessa parte si fa riferimento ad interventi di assistenza educativa a
completo carico dei Comuni; va notato che tale intervento viene fruito, in diverse
realtà, anche da disabili molto gravi che per le ragioni più diverse non frequentano
Centri Diurni (in alcuni casi perché non istituiti).
Per quanto riguarda gli anziani e altre persone non autosufficienti con
patologia cronico degenerativa si stabilisce che nei servizi residenziali e
semiresidenziali a completo carico del Fondo sanitario ci sono "l'assistenza
in fase intensiva e le prestazioni ad elevata integrazione nella fase estensiva".
Si fa poi riferimento ad una spesa percentuale del 50% tra Comuni e Asl del
costo "nelle forme di lungo assistenza semiresidenziali e residenziali", o in
alterativa costo del personale sanitario, più 30% dei costi dell'assistenza
tutelare e alberghiera. Nell'Assistenza Domiciliare Integrata (ADI) l'onere
dell'"assistenza tutelare" è ripartito al 50% tra Comuni e ASL. Rimandiamo comunque
alla lettura della tabella allegata al DPCM anche in riferimento alle altre
aree (materno infantile, dipendenza da droga, alcool e farmaci, malattia mentale,
patologie da HIV, malati terminali).
Per una considerazione più generale, per quanto riguarda i servizi extraospedalieri
diurni e residenziali rivolti a soggetti disabili, anziani non autosufficienti,
malati mentali, occorre ricordare una situazione assolutamente diversificata
nelle varie regioni. La tendenza è comunque quella di considerare a completo
carico del Fondo sanitario interventi molto limitati nel tempo (post-acuzie)
per passare poi verso strutture (sociosanitarie) a più bassa intensità assistenziale
e con la partecipazione al costo da parte dell'utente.
In linea generale tutta la residenzialità extraospedaliera viene classificata
con diverse tipologie di strutture, alcune a completo carico del FSN altre con
partecipazione alla spesa (quota sociale o alberghiera). Ad esempio nelle Marche
(4) ce ne sono 4 a titolarità sanitaria, RST, RSR (int-est), RSA; per 3 di queste
gli oneri sono a completo carico del FS (nella RSA c'è la partecipazione alberghiera
a carico dell'utente); ci sono poi i Nuclei di assistenza residenziale (NAR)
all'interno delle strutture assistenziali che prevedono una quota sanitaria
nel costo retta. Ma la stragrande maggioranza di anziani e adulti non autosufficienti
sono all'interno di strutture assistenziali con retta a completo carico dell'utente
e/o dei familiari per cifre che oscillano tra le 80.000 e 120.000 L. al giorno
(se in situazione di indigenza interviene il Comune).
C'è da augurarsi, pertanto, pur senza troppe illusioni, che le regioni utilizzino
l'Atto nella prospettiva di offrire maggiore tutela e non in quella del mero
contenimento dei costi spostando dalla sanità all'assistenza prestazioni e servizi
(dunque oneri). Uno spostamento che si traduce anche nel passaggio verso servizi
con crescente abbassamento degli standard assistenziali.
E' invece fin troppo evidente in un ottica di riduzione dei costi, l'introduzione
della parola "sociale", al solo fine di far gravare oneri (i famosi costi alberghieri)
su altri soggetti (Comuni, famiglie, utenti). E purtroppo non sempre ciò appare
ben compreso da molti degli attori del sistema dei servizi.
(1) Articolo 3-septies, D. Lgs 229/1999 "Integrazione sociosanitaria"
1. Si definiscono prestazioni sociosanitarie tutte le attività atte a soddisfare,
mediante percorsi assistenziali integrati, bisogni di salute della persona che
richiedono unitariamente prestazioni sanitarie e azioni di protezione sociale
in grado di garantire, anche nel lungo periodo, la continuità tra le azioni
cura e quelle di riabilitazione.
2. Le prestazioni sociosanitarie comprendono:
a) prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, cioè le attività finalizzate alla
promozione della salute, alla prevenzione, individuazione, rimozione e contenimento
di esiti degenerativi o invalidanti di patologie congenite e acquisite;
b) prestazioni sociali a rilevanza sanitaria, cioè tutte le attività del sistema
sociale che hanno l'obiettivo di supportare la persona in stato di bisogno,
con problemi di disabilità o di emarginazione condizionanti lo stato di salute.
3. L'atto di indirizzo e coordinamento di cui all'articolo 2, comma 1,
lettera n), della legge 30 novembre 1998, n. 419, da emanarsi, entro tre mesi
dalla data di entrata in vigore del presente decreto, su proposta del Ministro
della sanità e del Ministro per la solidarietà sociale, individua, sulla base
dei princìpi e criteri direttivi di cui al presente articolo, le prestazioni
da ricondurre alle tipologie di cui al comma 2, lettere a) e b), precisando
i criteri di finanziamento delle stesse per quanto compete alle unità sanitarie
locali e ai comuni. Con il medesimo atto sono individuate le prestazioni sociosanitarie
a elevata integrazione sanitaria di cui al comma 4 e alle quali si applica il
comma 5, e definiti i livelli uniformi di assistenza per le prestazioni sociali
a rilievo sanitario.
4. Le prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria sono caratterizzate
da particolare rilevanza terapeutica e intensità della componente sanitaria
e attengono prevalentemente alle aree materno-infantile, anziani, handicap,
patologie psichiatriche e dipendenze da droga, alcool e farmaci, patologie per
infezioni da HIV e patologie in fase terminale, inabilità o disabilità conseguenti
a patologie cronico-degenerative.
5. Le prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria sono
assicurate dalle aziende sanitarie e comprese nei livelli essenziali di assistenza
sanitaria, secondo le modalità individuate dalla vigente normativa e dai piani
nazionali e regionali, nonché dai progetti-obiettivo nazionali e regionali.
6. Le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria sono di competenza dei Comuni
che provvedono al loro finanziamento negli ambiti previsti dalla legge regionale
ai sensi dell'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.
112. La regione determina, sulla base dei criteri posti dall'atto di indirizzo
e coordinamento di cui al comma 3, il finanziamento per le prestazioni sanitarie
a rilevanza sociale, sulla base di quote capitarie correlate ai livelli essenziali
di assistenza.
7. Con decreto interministeriale, di concerto tra il Ministro della sanità,
il Ministro per la solidarietà sociale e il Ministro per la funzione pubblica,
è individuata all'interno della Carta dei servizi una sezione dedicata agli
interventi e ai servizi sociosanitari.
8. Fermo restando quanto previsto dal comma 5 e dall'articolo 3 quinquies, comma
1, lettera c), le regioni disciplinano i criteri e le modalità mediante i quali
comuni e aziende sanitarie garantiscono l'integrazione, su base distrettuale,
delle prestazioni sociosanitarie di rispettiva competenza, individuando gli
strumenti e gli atti per garantire la gestione integrata dei processi assistenziali
sociosanitari.
(2) Legge 8 novembre 2000, n. 328, Legge quadro per la realizzazione del
sistema integrato di interventi e servizi sociali (Sup. G.U. n. 265 del
13.11.2000); Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della solidarietà
sociale, Decreto 21 maggio 2001, n. 308, Regolamento concernente "Requisiti
minimi strutturali e organizzativi per l'autorizzazione all'esercizio dei servizi
e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale, a norma dell'articolo
11 della legge 8 novembre 2000, n. 328" (G.U., n. 174 del 28.7.2001). Per
quest'ultimo atto, occorre far notare per quanto riguarda l'handicap il dimensionamento
delle "strutture protette" che prevede fino a 20 posti letto, un modello che
ha poco a che vedere con il tanto sbandierato riferimento familiare (120 in
quelle per anziani). Strutture che paiono del tutto assimilabili alle RSA (tanto
che una prima stesura dell'atto veniva specificato che le disposizioni del decreto
sostituivano quelle del DPR 14.1.97 in materia di RSA). Considerato inoltre
che la normativa non sembra proibire "accorpamenti" di strutture diverse è facile
che si sommino ai 120, gli 80 previsti per quelle a prevalenza accoglienza alberghiera.
Dunque un atto che tende a fotografare e confermare l'esistente e che non incoraggia
per nulla modelli alternativi alle grandi strutture.
(3) Art. 3. Dlgs 130/2000. Modificazioni all'articolo 3 del decreto legislativo
31 marzo 1998, n. 109
2-ter. Limitatamente alle prestazioni sociali agevolate assicurate
nell'ambito di percorsi assistenziali integrati di natura sociosanitaria, erogate
a domicilio o in ambiente residenziale a ciclo diurno o continuativo, rivolte
a persone con handicap permanente grave, di cui all'articolo 3, comma 3, della
legge 5 febbraio 1992, n. 104, accertato ai sensi dell'articolo 4 della stessa
legge, nonché a soggetti ultrasessantacinquenni la cui non autosufficienza fisica
o psichica sia stata accertata dalle aziende unita' sanitarie locali, le disposizioni
del presente decreto si applicano nei limiti stabiliti con decreto del Presidente
del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri per la solidarietà sociale
e della sanità. Il suddetto decreto e' adottato, previa intesa con la Conferenza
unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281,
al fine di favorire la permanenza dell'assistito presso il nucleo familiare
di appartenenza e di evidenziare la situazione economica del solo assistito,
anche in relazione alle modalità di contribuzione al costo della prestazione,
e sulla base delle indicazioni contenute nell'atto di indirizzo e coordinamento
di cui all'articolo 3-septies, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre
1992, n. 502, e successive modificazioni.
(4) Cfr, Politiche sanitarie nelle Marche e tutela dei soggetti deboli,
in "Appunti", n.1/2001, p. 8.
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