Appunti n.138
(indice Appunti)
Regione Marche: L’applicazione della riforma dell’assistenza e del Piano sociale
Fabio Ragaini - Gruppo Solidarietà
Si analizza lo stato di attuazione a livello regionale delle indicazioni della legge di “riforma dell’assistenza” e del Piano sociale prendendo come punto di riferimento e osservazione gli interventi e i servizi a favore dei cittadini con più difficoltà.
Lo scorso 1º agosto è stata pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione
Marche (n. 86/2001) la delibera 1670/2001 contenente le Linee guida per l'attuazione
del Piano regionale per un sistema integrato di interventi e servizi sociali.
Si tratta dell'Atto applicativo - insieme a quello che definisce gli Ambiti
territoriali - più importante dopo l'approvazione del Piano sociale regionale
(Delibera amministrativa n. 306 del 1.3.2000, BUR, n. 35/2000) (1).
Tra gli aspetti più importanti affrontati dalle Linee guida le indicazioni riguardanti:
L'attivazione degli Ambiti Territoriali (AT); Il Coordinatore di ambito; Gli
uffici di promozione sociale; Il Piano di zona; L'integrazione socio-sanitaria;
Il Bilancio sociale. Gli Ambiti territoriali (già definiti con DGR 337/2001)
costituiscono il livello di governo locale delle politiche sociali. Per ogni
AT viene nominato dal Comitato dei sindaci dei Comuni dell'ambito il Coordinatore
della rete dei servizi dell'ambito territoriale con funzioni di coordinamento,
programmazione, attuazione del Piano territoriale dei servizi sociali (Piano
di zona). La regione provvede all'Istituzione dell'Elenco Regionale dei Coordinatori
di Ambito e all'approvazione dei criteri e delle modalità per l'iscrizione (D.G.R.
n. 1674 del 17.7.2001). Con perfetto rispetto dei tempi con DGR 2564/2001, la
Regione (BUR n. 131 del 15.11.2001) ha approvato l'elenco nominativo degli aspiranti
al ruolo di Coordinatore. In fase di avvio del Piano sociale regionale, i Comitati
dei Sindaci degli AT inviano alla regione entro il 31 marzo 2002 il Piano annuale
a stralcio per l'anno 2002.
Successivamente al Piano sociale regionale a livello nazionale è stata emanata
la cosiddetta legge di "riforma dell'assistenza" (L. 328/2000, in sup. G.U.,
n. 265 del 13.11.2001), che impegna fortemente le regioni nell'approvazione
di numerosi atti applicativi (dalla definizione degli ambiti territoriali -
già normati nelle Marche perché previsti anche dal Piano sociale - alla applicazione
del D. lgs di riordino delle IPAB, dalla definizione dei requisiti minimi per
l'accreditamento, alla regolamentazione del rapporto tra enti locali e del terzo
settore ai fini dell'affidamento di servizi). Alle scadenze del Piano si sommano
quindi quelle previste dalla riforma nazionale.
Le scadenze del Piano regionale. Provvedimenti da emanare
Entro il 30 settembre 2000, dovevano emanarsi i seguenti provvedimenti:
La Giunta regionale definisce i livelli minimi di servizi, prestazioni e attività;
Il Consiglio regionale determina "linee guida" nei diversi campi dell'integrazione
socio sanitaria ed individua i livelli minimi di integrazione da attuare in
ogni A.T.; Gruppi di lavoro coordinati dalla regione individuano le figure professionali
corrispondenti agli operatori di base e agli operatori tecnici di medio livello;
Il Consiglio regionale individua le tipologie di strutture soggette all'autorizzazione.
Garantire alle fasce più deboli l'accesso ai servizi essenziali
"Se è indispensabile che i servizi definiti universalistici (scuola, sanità,
trasporti ecc...) possano essere utilizzati da tutti i cittadini, compresi quelli
più deboli, è altrettanto importante che non si mettano sullo stesso piano giuridico
le esigenze vitali con il soddisfacimento di aspettative, pur legittime, ma
non strettamente indispensabili. E' dunque necessario che, nella programmazione
regionale e locale, si garantisca davvero priorità e certezza di accesso ai
servizi socio-assistenziali per i soggetti in condizioni di povertà o con limitato
reddito o incapacità totale o parziale di provvedere alle proprie esigenze per
inabilità". Così concludeva il proprio intervento Mauro Perino (2) al seminario
promosso dal Gruppo Solidarietà a Jesi lo scorso 27 ottobre dal titolo "Dopo
la riforma dell'assistenza: le prospettive a livello regionale" (cfr. in questo
numero a pag. 2). Dunque, la definizione della rete dei servizi essenziali da
realizzare all'interno di ogni ambito territoriale (o per ambiti associati data
la presenza di 8 ambiti di poco superiori o inferiori ai 20.000 abitanti), diventa
un metro importante per valutare se effettivamente alle persone in situazione
di particolare difficoltà verranno assicurati alcuni interventi e servizi. Ovvero
se le norme regionali applicative garantiranno ciò che la legge nazionale ha
solamente auspicato. Diventa pertanto fondamentale che per i soggetti di cui
all'art. 2, comma 3, della legge 328/2000 vengano assicurati prestazioni,
interventi e servizi, cui hanno estrema necessità, all'interno degli ambiti
territoriali. Non vorremmo, che a fronte di difficoltà di vario tipo (scarsità
di interventi e servizi attualmente erogati, risorse economiche insufficienti)
la rete dei servizi, non a caso definiti essenziali, non abbia come riferimento
il parametro fondamentale: i bisogni delle persone indicate all'art. 2, della
legge di riforma dell'assistenza.
Strettamente legato a questo punto è quello relativo alla definizione dei requisiti
strutturali ed organizzativi per l'autorizzazione all'esercizio delle strutture
diurne e residenziali. Anche questo Atto in via di emanazione, riveste grande
importanza. Dovrà dimostrare se la regione intende promuovere servizi diurni
e, soprattutto, residenziali lontani da logiche istituzionalizzanti, oppure
servizi nei quali la dimensione "familiare", diventa punto fondamentale di riferimento.
Particolare attenzione dovrà riguardare la proposta sulle strutture residenziali
per l'handicap, per verificare, se si intendono incentivare residenze a dimensione
familiare inserite nei normali contesti abitativi (fortemente carenti nella
nostra regione) oppure se in nome di una supposta particolare gravità si proporranno
strutture istituzionali ancorate ad una logica sanitario-custodialistica, di
dimensioni non inferiori ai 20 posti letto, comunque finalizzate al contenimento
del costo retta. Appare peraltro assai grave che a tutt'oggi nessun confronto
è stato attivato né dall'assessorato, né da dalla Commissione Consiliare che
sta esaminando il testo.
Ambiti territoriali e coordinatori d'ambito
Con l'approvazione dell'elenco regionale dei Coordinatori d'ambito, è iniziato
il percorso che entro gennaio 2002 dovrebbe portare alla nomina - da parte dei
Comitati dei sindaci - dei 29 Coordinatori. Alleghiamo in proposito la nota
inviata dal Gruppo Solidarietà, lo scorso 17 ottobre all'assessore regionale
ai servizi sociali nella quale si chiedeva che con il massimo rigore venissero
vagliati i requisiti per l'ammissione all'elenco regionale.
La lettera del Gruppo Solidarietà sui Coordinatori d'ambito
Questa associazione, impegnata ininterrottamente da un ventennio in attività
di promozione e tutela delle persone più in difficoltà, in riferimento all'oggetto,
chiede proprio in relazione alla fondamentale importanza dei Coordinatori d'ambito
nello sviluppo di politiche sociali territoriali a tutela delle fasce più deboli
della popolazione, che con la massima severità siano vagliati i requisiti per
l'ammissione all'elenco regionale. In particolare si auspica vivamente una rigorosa
analisi circa l'effettivo svolgimento delle funzioni di coordinamento e programmazione
definite dalla DGR 1674/2001. Si auspica e ci si augura pertanto, che i
Comitati dei sindaci, possano attingere da un elenco di persone di comprovata
ed effettiva esperienza e competenza nel settore.
Su 262 domande pervenute, per 83 persone la regione ha ritenuto non essere presenti
i requisiti per l'iscrizione. Sono, quindi, 179 le persone iscritte all'elenco
regionale che possono essere scelte dai Comitati dei sindaci per la nomina a
Coordinatore. A una prima valutazione, sembra, che la regione abbia svolto un
ruolo esclusivamente "certificativo" (forse cercando di evitare il pericolo
di massicci contenziosi), escludendo dall'iscrizione soltanto i candidati manifestamente
privi di requisiti. Rimangono notevoli dubbi e perplessità sul fatto che i 179
candidati ammessi abbiano svolto - come specificava il bando - effettivamente
la funzione di coordinamento e programmazione nei servizi sociali,
socio-sanitari ed educativi.
La valutazione dei candidati sarà effettuata ora dai Comitati dei sindaci. Più
di un dubbio si ha circa la capacità degli stessi Comitati di accertare le "capacità
di elaborazione progettuale, capacità relazionali, capacità di coordinamento,
capacità nella gestione delle risorse, conoscenza approfondita del territorio
marchigiano e di sua parte, capacità di analisi ed elaborazione dei dati sui
bisogni e sulle risorse, conoscenza della organizzazione della Pubblica Amministrazione".
(DGR 2564/2001). Se si pensa che: - i 29 Ambiti Territoriali rappresentano 246
comuni; l'88% di questi hanno una popolazione inferiore ai 10.000 abitanti;
- solo 11 Comuni delle Marche hanno una popolazione superiore ai 30.000 abitanti;
- pochissime esperienze di gestione associata hanno riguardato il territorio
regionale; - la stragrande maggioranza dei Comuni marchigiani, a causa, principalmente
della bassissima popolazione residente, esercita le funzioni socio assistenziali
in assoluta carenza di personale (assistenti sociali ed operatori con effettivo
compito di programmazione), diventa molto difficile poter pensare che nella
stragrande maggioranza degli Ambiti esistano le condizioni per un valutazione
ispirata alle indicazioni della delibera regionale.
Altro aspetto che riveste particolare importanza e delicatezza e che dovrà trovare
formale definizione è quello relativo alla possibilità che i singoli Comuni
non appartenenti all'Ambito possano non delegare allo stesso alcune funzioni.
Così come si dovranno definire i servizi che hanno come riferimento un territorio
che non necessariamente coincide con la dimensione di oltre il 30% degli Ambiti
territoriali. Diventa quindi essenziale definire il bacino di popolazione (coincidente
o meno con l'A.T.), all'interno del quale assicurare alcuni interventi e servizi.
L'applicazione dell'ISEE
La legge di riforma all'art. 25, Accertamento delle condizioni economiche
del richiedente, stabilisce che ai fini dell'accesso ai servizi, la verifica
della condizione economica del richiedente è effettuata secondo le indicazioni
del D.lgs 109/98, come modificato dal D. lgs 130/2000. Sempre nella stessa legge,
all'art. 8, comma 3, lett., g, si affida alle regioni il compito di definire
i criteri per la determinazione del concorso da parte degli utenti al costo
dei servizi. Il D. lgs 130/2000 stabilisce che per le prestazioni sociali "erogate
a domicilio o in ambiente residenziale a ciclo diurno o continuativo, rivolte
a persone con handicap permanente grave di cui all'articolo 3 della legge 104/1992,
nonché a soggetti ultrasessantacinquenni la cui non autosufficienza fisica o
psichica sia stata accertata dalle Aziende Unità Sanitarie" verrà presa in considerazione
la situazione economica del solo assistito e non quella del nucleo familiare
o dei parenti "tenuti agli alimenti". Dal punto di vista formale tale Atto
attende un ulteriore DPCM ma è del tutto evidente, in particolare dopo l'emanazione
dell'Atto di indirizzo sull'integrazione socio sanitaria (DPCM 14.2.2001), che
la mancata applicazione di tale previsione ha l'unico fine di ritardarne il
più possibile l'applicazione per evitare l'aumento dei costi a carico degli
enti locali. Peraltro il D. lgs 130/2000 ha stabilito in maniera inequivocabile
che non subiscono alcuna modifica le norme del codice civile sugli alimenti,
compreso l'art. 438, "Gli alimenti possono essere chiesti solo da chi versa
in stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento".
Resta dunque confermato che solo l'interessato ha la piena e assoluta facoltà
di chiedere gli alimenti ai propri congiunti. Gli enti pubblici, precisa il
decreto, non possono sostituirsi all'interessato nella richiesta degli alimenti.
Nonostante ciò, ed in contrasto con quanto sopra, è sotto gli occhi di tutti
le cifre esorbitanti (80.000-100.000 L. al giorno) richieste ad esempio agli
anziani malati non autosufficienti ed ai loro parenti ricoverati presso residenze
sociali o socio-sanitarie, ma anche a soggetti con handicap o con malattia mentale
ricoverati presso strutture assistenziali. In alcuni casi poi per aggirare le
norme sull'ISEE si prende (nei servizi domiciliari e diurni) in considerazione
il reddito dell'assistito ma conteggiando, del tutto illegittimamente, anche
l'indennità di accompagnamento, determinando così un reddito ben superiore a
quello riferibile al minimo vitale e dunque giustificando la partecipazione
al costo da parte dell'assistito. Diventa pertanto opportuno che al più presto
la regione emani un Atto, nel quale si chieda agli enti locali il rispetto delle
indicazioni del D.lgs 130/2000.
L'integrazione socio sanitaria
Strettamente collegato con l'applicazione del Piano sociale e della riforma
dell'assistenza è il recepimento a livello regionale delle indicazioni contenute
nell'Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio sanitarie"
(G.U. n. 129 del 6/6/2001) (3), in attesa della pubblicazione del DPCM riguardante
i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) approvato lo scorso 30 novembre, che
contiene indicazioni riguardanti le cosiddette prestazioni socio sanitarie.
In una regione come quella marchigiana nella quale la gran parte della spesa
sanitaria è concentrata sui servizi ospedalieri a danno dei servizi territoriali
rivolti alle fasce più deboli della popolazione (4), come ad esempio soggetti
con handicap grave, anziani e malati non autosufficienti, malati mentali, è
necessario che la tanto invocata integrazione socio sanitaria non diventi uno
strumento utilizzato esclusivamente ai fini del contenimento dei costi spostando
dalla sanità all'assistenza prestazioni e servizi (dunque oneri). Uno spostamento
che si traduce anche nel passaggio verso servizi con crescente abbassamento
degli standard assistenziali. E' infatti fin troppo evidente, che sempre più
spesso l'introduzione della parola "sociale", ha il solo fine di far gravare
oneri (i famosi costi alberghieri, quando parliamo di residenze) su altri soggetti
(Comuni, famiglie, utenti). Se il sistema sanitario regionale che lamenta una
situazione di elevato deficit (la prima finanziaria regionale è stata varata
lo scorso 19 dicembre attraverso la L.R. 19/2001 Provvedimenti tributari
in materia di addizionale regionale all'IRPEF, di tasse automobilistiche e di
imposta regionale sulle attività produttive) non verrà spinto ad
assumere oneri che gli competono, attraverso la piena titolarità anche
finanziaria di alcuni interventi spostando finanziamenti dall'ospedale al territorio,
per tutte quelle persone che a causa di gravi malattie versano in situazione
di non autosufficienza e non sono curabili a domicilio, alcuni interventi non
verranno mai realizzati e non si libereranno risorse che il settore "sociale"
può investire in settori assolutamente scoperti (vedi piccole comunità residenziali,
per situazioni di handicap, minori, pronta accoglienza). Ma soprattutto i cittadini,
che si trovano in situazione permanente o temporanea di grande difficoltà legata
a malattia e non autosufficienza continueranno, a meno che non dispongano di
ingenti risorse economiche, a trovarsi nella grandissima difficoltà di trovare
servizi rispondenti ai loro bisogni ed a ricorrere alle uniche strutture - del
tutto improprie - disponibili sul territorio: le case di riposo, che nate ed
autorizzate per i bisogni di persone autonome o parzialmente non autosufficienti,
si trovano ad accogliere per la stragrande maggioranza dei propri posti letto
malati non autosufficienti con oneri a completo carico dell'assistito e dei
suoi familiari.
(indice)
Adulti e anziani malati non
autosufficienti non curabili a domicilio: realtà e prospettive nelle Marche
*
Fabio Ragaini - Gruppo Solidarietà
Un recente seminario ha riproposto la situazione dei servizi residenziali
extraospedalieri nella Regione marche. In particolare l’attenzione è stata posta
sull’offerta di servizi sanitari residenziali per persone malate non curabili
a domicilio
Vorremmo che a guidare gli interventi di questo incontro fosse la domanda:
Quale prospettiva si apre alle famiglie con un congiunto malato non autosufficiente
e non curabile a domicilio? Quali servizi, a livello regionale, vengono offerti?
Vorremmo anche che la risposta avesse come riferimento un territorio regionale
reale e non virtuale; ma soprattutto che a guidarci in queste riflessioni sia
costante il riferimento alle persone e alle famiglie che si trovano a vivere
nella condizione di grave malattia e non autosufficienza.
L'obiettivo di fondo rimane sempre quello di evitare il ricorso alle strutture
residenziali. E' evidente che la categoria dei "non curabili a domicilio" è
in relazione alla possibilità di avvalersi di un valido supporto familiare,
ma anche della possibilità di fruire di un sistema compiuto di cure domiciliari.
Oggi - vogliamo dare per scontato (pur sapendo che non è così) - che il sistema
delle cure a domicilio funziona e che nonostante questo ci sono malati che devono
comunque ricorrere alla struttura residenziale.
Il sistema ospedaliero ed extraospedaliero nelle Marche
Il sistema ospedaliero di riabilitazione e lungodegenza. Non si
può affrontare il tema della risposta residenziale "permanente" senza partire
dall'analisi del sistema ospedaliero di riabilitazione e lungodegenza. Il PSR
prevedeva, nel triennio 1998-2001, di arrivare a realizzare 862 posti letto
(0,65 per 1000 abitanti); contro l'indicazione nazionale - confermata dalla
recente recente "Legge Sirchia" (1) - che prevede 1 posto letto per 1000 abitanti
(circa 1.440).
La DGR 2090/2000 riguardante il fabbisogno di strutture prevede che gli 862
p.l. debbano essere per metà destinati alla funzione di riabilitazione e l'altra
metà a quella di lungodegenza (431 + 431). Dati del 1998 riportati nella Relazione
sullo stato sanitario del Paese, a cura del Ministero della sanità stimano
per questa funzione (riabilitazione + lungodegenza) nelle Marche la presenza
di 0,2 posti letto per mille abitanti (circa 270) senza distinguere tra le due
funzioni; Un recente studio di Franco Pesaresi (2) stima in 72 il numero dei
posti di lungodegenza presenti nelle Marche nel 1997; 42 di questi appartengono
a strutture private rivolte a persone con malattia mentale. In pratica in tutta
la regione si tratta di qualche decina di posti letto. Alcune unità operative
dovrebbero essere state successivamente attivate, ma ben lontani si è da una
presenza di tali posti letto in tutte le ASL. Dei circa 200 posti letto di riabilitazione,
130 appartengono al Gruppo S. Stefano e sono presenti nelle strutture di Ancona
(40) e Porto Potenza Picena (90). Anche da questi dati si rileva la grande carenza
di posti letto in gran parte delle ASL della regione. La presenza di tali posti
letto, in ogni AUSL, permetterebbe di poter usufruire di tempestivi interventi
di riabilitazione intensiva e di continuità di cure. In tale quadro non può
che prodursi un utilizzo improprio delle strutture del sistema extraospedaliero
o la non effettuazione di alcuni interventi.
Il sistema residenziale extraospedaliero. Il sistema residenziale extraospedaliero
come definito dal PSR e da successivi atti regionali, presenta diverse tipologie
di strutture: le RST, Le RSR (suddivise a loro volta in intensive ed estensive),
le RSA (previste a seconda della tipologia di utenza per: anziani, disabili,
malati mentali, tossicodipendenti) ed i Nuclei di assistenza residenziale (NAR)
previsti all'interno delle strutture assistenziali. Le previsioni sono le seguenti
(PSR + DGR 2090/2000): RST (361); RSR intensive + estensive (552);
RSA anziani (1597); RSA disabili (410); RSA malati mentali
(506); RSA tossicodipendenti (564).
Per le strutture RST e RSA demenze non è stato ancora definito alcun
standard assistenziale. Per le RSA anziani rimangono in vigore la
Del. 3240/90 e la L. R. 36/1995; entrambe definiscono standard assistenziali
tra di loro molto diversi; la legge 36 definisce anche standard strutturali
ed organizzativi peraltro in forte contrasto con le norme inserite nel manuale
di autorizzazione. Pare, come ci permettiamo di suggerire da tempo, urgente
un rapido riordino del quadro normativo; che fissi oltre agli standard del personale,
i costi sanitari e quelli alberghieri ed ogni altro aspetto riferito a queste
strutture (3).
Siamo arrivati all'accreditamento (4) senza, almeno appare, rendersi conto che
per la maggior parte di queste strutture non sono stati definiti elementi essenziali
di funzionamento. Alcune strutture non risultano attivate (vedi RST o RSA demenze),
altre (vedi RSA anziani, derivanti dalla disattivazione del 1992) assumono funzioni
incompatibili con la classificazione ricevuta; altre ancora (vedi NAR),
rimangono nella totale indefinizione.
Se poi analizziamo le stime sul fabbisogno e prendiamo solo quelle relative
alle RSA, vediamo come la previsione di 1597 posti letto di RSA (una prima stesura
prevedeva questa cifra come fabbisogno complessivo RSA+NAR) nell'intero territorio
regionale è mirata forse sulle risorse economiche non certo sui bisogni delle
persone.
Il Progetto Obiettivo Anziani (POA) stimava la necessità di posti letto
in RSA pari al 2% della popolazione ultrasessantacinquenne. Considerando che
tale popolazione nella nostra regione è di circa 300.000 persone si determinerebbe
la necessità di circa 6.000 posti. La previsione della delibera in oggetto si
assesta invece intorno allo 0,5%. A questo va poi aggiunto che molte delle attuali
RSA non funzionano come RSA (gestione di malati non autosufficienti stabilizzati)
ma come RST, RSR, lungodegenze, ecc…, prevedendo comunque una permanenza
a termine e dirottando i malati verso strutture assistenziali (5).
Si prenda ad esempio il caso dei NAR (Nuclei di assistenza residenziale),
introdotti dal PSR: entro 4 mesi (febbraio 1999) la Giunta regionale avrebbe
dovuto definire le forme di partecipazione alla spesa da parte del SSN. La delibera
sul fabbisogno di strutture (2090/2000) non ha indicato la determinazione dei
posti letto previsti, rimandando ad un successivo atto entro 60 giorni (dicembre
2000), tale definizione. Dunque dal 1998 si attivano strutture per le quali
nessun Atto ha definito: standard di personale, costo retta e percentuale
di quota a carico della sanità e dell'assistenza sociale ed infine la previsione
di posti letto da realizzare nell'intero territorio regionale.
Nell'evidenziare la caotica situazione delle strutture non dobbiamo dimenticare
che questa analisi ha come punto di partenza le persone e ci occupiamo delle
strutture solo perché questa situazione di indefinizione somma alla sofferenza
dovuta alla malattia quella derivanti dalla inappropiatezza dei servizi.
Il percorso
Dopo la fase acuta in ospedale (che sappiamo sempre più contratta) il sistema
regionale (ma dovremmo anche diversificare i percorsi in base all'età: per i
più anziani a parità di condizioni cliniche l'accesso alla riabilitazione lungodegenza
è sempre più impervio) offre, dunque, pochissimi posti di riabilitazione-lungodegenza,
dei posti di riabilitazione intensiva in regime extraospedaliero e i posti classificati
in RSA. Il percorso (per quelle persone che avevamo definito in situazione di
totale non autosufficienza, ma anche per gli esiti di demenze) si conclude,
generalmente, dopo qualche mese, qualunque sia la condizione clinica, nel ricovero
presso una qualsiasi struttura assistenziale (con costi giornalieri a carico
dell'utente o dei loro familiari oscillanti tra le 80.000 e le 120.000 al giorno).
Tali strutture, deputate ad accogliere anziani autosufficienti e parzialmente
non autosufficienti (l.r. 43/88, art. 41, comma 1, let. e), hanno, ma non sempre,
il supporto di un infermiere per un turno con un rimborso delle spese da parte
delle Aziende sanitarie attinti dal cospicuo, e si capisce perché, fondo regionale
ADI (di circa 40 miliardi).
Degli oltre 4.500 posti presenti all'interno delle strutture assistenziale una
percentuale di ospiti intorno al 60-70% è in condizione di non autosufficienza
(comprese persone con malattia mentale); tra queste per un imprecisato numero
di posti letto (e comunque ipotizzabili con una stima approssimativa in 400-500
complessivi) sono presenti dei "posti protetti", per i quali esistono convenzioni
tra l'ente gestore e la ASL territoriale che assume parte dell'onere del costo
retta. Tutto questo in assenza di indirizzi regionali. Ma cosa più grave e drammatica
è che se all'interno della residenza che contiene anche i cosiddetti "posti
protetti", ci sono - come sempre accade - persone in condizioni uguali o anche
peggiori di quelle inserite nei posti convenzionati, per questi non vale la
regola degli altri e quindi la stessa persona (ed i familiari) oltre ad avere
standard assistenziali più bassi si trova ad avere a proprio carico tutto il
costo retta.
Se una qualsiasi struttura autorizzata per fare alcune cose, in questo
caso: accoglienza di anziani autosufficienti o parzialmente tali; ne fa altre:
accoglienza di malati non autosufficienti, non siamo in presenza ad una situazione
di abusivismo?
C'è anche un altro paradosso: perché le UVD così attente nelle valutazioni quando
devono decidere l'inserimento nei cosiddetti posti protetti, scompaiono totalmente
quando la stessa persona chiede un ricovero presso una struttura assistenziale?
Chi si fa garante della rispondenza tra bisogno e risposta? Chi decide la congruità
del ricovero? Si è attenti solo quando si deve vigilare sui servizi nei quali
il settore sanitario interviene finanziariamente? L'attenzione alla appropiatezza
ha, dunque, solo una caratteristica "aziendale"?
Ma chiediamoci anche in tutte queste strutture assistenziali (protette e non)
quanto spende il servizio sanitario attraverso le ASL di residenza? Nelle Case
di Riposo non più di qualche migliaio di lire al giorno (basta dividere
il costo del personale sanitario (rimborsato) per il numero dei soggetti ricoverati
classificati in ADI); nelle strutture protette una cifra giornaliera
che difficilmente supera il costo di 2h di assistenza domiciliare. Costi, così
bassi richiamano standard assistenziali certamente non elevati. Ciò che diventa
inaccettabile è il totale disimpegno del sistema sanitario regionale per la
stragrande maggioranza di malati (adulti e anziani) cronici non autosufficienti
e non curabili a domicilio. Ciò avviene attraverso un razionamento occulto delle
prestazioni che passa attraverso la negazione del bisogno sanitario: "Il paziente
è stabilizzato, non c'è più necessità di cura, ma solo di assistenza e dunque
il problema è sociale"
E' evidente la difficoltà a mettere mano ad un sistema totalmente squilibrato
nell'offerta dei servizi (strutture assistenziali nate e sviluppate per ospitare
persone autonome in luogo di strutture rivolte a persone malate e non autosufficienti),
ma è necessario farlo, partendo dal principio che, purtroppo ci sono malattie
che producono non autosufficienza e dunque, se da un lato "deve modificarsi
il privilegio dell'acuto che ancora caratterizza largamente sia la mentalità
medica che la mentalità della popolazione" (Cfr. Documento del Consiglio superiore
di sanità, Questioni etiche nell'assistenza alle persone affette da patologie
croniche), dall'altro è necessario capire che tutto questo non può essere
fatto a costo zero. Ad esempio se accettiamo che la RSA sia la struttura deputata
ad accogliere il malato non autosufficiente stabilizzato e non curabile a domicilio,
dobbiamo anche pensare che alcuni standard di personale fissati in proporzione
del costo retta non possono essere considerati accettabili; o peggio ancora
che vengano definite e classificate come RSA anche strutture assistenziali con
un modesto supporto di figure sanitarie.
Vogliamo pertanto evidenziare l'iniquità del sistema che a nostro parere deve
mutare radicalmente prospettiva, offrendo un sistema di cura e di tutela della
salute a livello residenziale anche ai cittadini che purtroppo richiedono permanenti
interventi sanitari.
Pochi giorni fa ascoltavamo l'assessore dire che il sistema sanitario marchigiano
è di riferimento per molte realtà italiane. Se quanto sopra è vero, e così ci
pare, non possiamo concordare e anzi diciamo che affermazioni come queste non
ci aiutano a comprendere la necessità e l'urgenza di intervenire su un sistema
così fortemente incompleto. Il continuo richiamo alla centralità e al rinforzo
dei servizi territoriali ci pare in netto contrasto e in fortissima contraddizione
con l'organizzazione dell'attuale sistema extraospedaliero marchigiano. Bisogna
che tutti ne abbiamo piena coscienza.
In conclusione che cosa ci proponiamo con questo incontro:
- Continuare ad informare sulla situazione di tante persone che alla sofferenza
derivante dalla malattia sommano quella derivante dalla inappropiatezza delle
strutture. Ricordare al sistema sanitario che nessuna norma stabilisce che le
sue competenze si fermano al termine della fase acuta della malattia e che laddove
la malattia si prolunga nel tempo (cronicità), provocando non autosufficienza
tale da determinare il ricovero in struttura è compito, attraverso la titolarità
dei servizi, del settore sanitario, intervenire.
- Stimolare l'amministrazione regionale perché, e non è scontato, a partire
dalle esigenze delle persone: a) metta mano ad un sistema che riteniamo oltre
che contraddittorio, fortemente iniquo; b) costruisca un percorso di servizi
non virtuali ma reali, identificando con chiarezza le tipologie di strutture
fissando, standard essenziali di funzionamento ed impedendo alle ASL subdoli
cambi di destinazione delle stesse al solo fine del contenimento dei costi.
(indice)
* Dall’introduzione al seminario promosso a Jesi dal Gruppo
Solidarietà il 24 novembre 2001. Hanno partecipato: Augusto Melappioni, Assessore
alla sanità regione Marche, Enrico Brizioli, Direttore sanitario AUSL 5 - Jesi,
Carlo Hanau, Dipartimento scienze statistiche, Università di Bologna, Franco
Pesaresi, Dirigente servizi sociali, Comune di Falconara (AN).
|