Appunti n.142
(indice Appunti)
Prestazioni socio sanitarie
e competenze istituzionali
Mauro Perino - Direttore Consorzio Intercomunale Servizi alla Persona
(CISAP), Collegno e Grugliasco (TO)
Alla luce della normativa con la quale si intende regolare lerogazione
delle prestazioni sociali e sanitarie diventa opportuna una ulteriore e più
approfondita riflessione riguardante la competenza istituzionale degli interventi.
Si è da tempo diffusa la convinzione che l'integrazione tra sociale e sanitario
presuppone che siano chiari i diritti delle persone , definiti i soggetti deputati
a garantirli, certe le risorse per attuarli.
Per quanto attiene al tema del diritto alle cure molto è stato detto e scritto
- anche sulle pagine di questa rivista - con riferimento alle implicazioni derivanti
dall'applicazione dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri 14 febbraio
2001 (1) e del 29 novembre 2001 (2).
Ormai da più parti si richiede che vengano abrogati entrambi i decreti riaffermando
così "la piena competenza del Servizio sanitario nazionale nei confronti
di tutti i malati, siano essi giovani o adulti o anziani, colpiti da patologie
acute e croniche, guaribili o inguaribili, autosufficienti o non autosufficienti".
(3)
Per quanto attiene al problema delle risorse - che sta alla base del tentativo
di espulsione dei disabili, degli anziani cronici, delle persone non autosufficienti
con patologie cronico degenerative, dei soggetti dipendenti da alcool e droga,
dagli affetti da patologie psichiatriche o da HIV dal comparto sanitario - ho
avuto occasione di dire che, a mio parere, la tutela del diritto alla salute
ed all'assistenza impone di agire sulla dislocazione delle risorse che,
per il livello essenziale di ogni intervento previsto dalla normativa,
deve essere necessariamente vincolata (4).
Proprio alla luce della normativa con la quale si intende regolare l'erogazione
delle prestazioni sociali e sanitarie è però opportuna una ulteriore e più approfondita
riflessione.
Posto che l'esplicita finalità di entrambi i decreti amministrativi è di separare
la competenza istituzionale relativa alle cure dei malati acuti da quella concernente
gli interventi per i malati cronici si tratta di capire se l'impianto normativo
realizzato - incardinato sull'utilizzo strumentale del concetto di integrazione
tra sociale e sanitario (5) - metta davvero la parola fine alla possibilità
della fascia più debole della popolazione di esigere dal sistema sanitario
le prestazioni necessarie ad assicurare il diritto alla salute.
L'integrazione socio sanitaria nella riforma ter
L'articolo 3 septies del D. lgs. 502/92 e s.m.i sviluppa nel dettaglio il
concetto di integrazione socio - sanitaria fornendo, al primo comma,
una definizione delle prestazioni socio-sanitarie.
"Si definiscono prestazioni socio sanitarie tutte le attività atte a soddisfare,
mediante percorsi assistenziali integrati, bisogni di salute della persona che
richiedono unitariamente prestazioni sanitarie e azioni di protezione sociale
in grado di garantire, anche nel lungo periodo, la continuità tra le azioni
di cura e quelle di riabilitazione".
Il secondo comma dell'articolo individua due tipologie di prestazioni socio-sanitarie:
a) le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, ovvero le "attività
finalizzate alla promozione della salute, alla prevenzione, individuazione,
rimozione e contenimento di esiti degenerativi o invalidanti di patologie congenite
e acquisite";
b) le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria, cioè tutte le "attività
del sistema sociale che hanno l'obiettivo di supportare la persona in stato
di bisogno, con problemi di disabilità o di emarginazione condizionanti lo stato
di salute".
Alle tipologie di cui sopra si aggiungono le prestazioni ad elevata integrazione
sanitaria che il quarto comma definisce come "caratterizzate da particolare
rilevanza terapeutica e intensità della componente sanitaria e attengono prevalentemente
alle aree materno - infantile, anziani, handicap, patologie psichiatriche e
dipendenza da droga, alcool e farmaci, patologie per infezioni da Hiv e patologie
in fase terminale, inabilità o disabilità conseguenti a patologie cronico-degenerative".
Pur rinviando "all'atto di indirizzo e coordinamento di cui all'articolo
2, comma 1, lettera n) della legge 30 novembre 1998, n. 419" l'individuazione
delle prestazioni da ricondurre alle tipologie a), b) e di quelle da inserire
nella fattispecie delle prestazioni ad elevata integrazione sanitaria, nell'articolo
in oggetto vengono fissati alcuni punti fermi in ordine al problema delle competenze
istituzionali.
Le prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria sono
"assicurate dalle aziende sanitarie e comprese nei livelli essenziali di
assistenza sanitaria, secondo le modalità individuate dalla vigente normativa
e dai piani nazionali e regionali, nonché dai progetti - obiettivo nazionali
e regionali".
Le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria "sono di competenza dei
comuni che provvedono al loro finanziamento negli ambiti previsti dalla legge
regionale ai sensi dell'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 31 marzo
1998, n. 112".
L'individuazione del soggetto competente ad erogare le prestazioni sanitarie
a rilevanza sociale è, nell'articolo esaminato, meno precisa e va
ricercata nel precedente articolo 3 quinquies, comma 1, lettera c), ove si afferma
- con riferimento alle funzioni e risorse del distretto sanitario - che quest'ultimo
deve garantire "l'erogazione delle prestazioni sanitarie a rilevanza sociale,
connotate da specifica ed elevata integrazione, nonché delle prestazioni sociali
di rilevanza sanitaria se delegate dai comuni".
In sintesi il quadro delle competenze - delineato con legge dello
Stato - risulta così composto: alle ASL compete l'erogazione delle prestazioni
sanitarie a rilevanza sociale connotate da specifica ed elevata integrazione
e di quelle ad elevata integrazione sanitaria; ai Comuni quelle sociali
a rilevanza sanitaria (salvo delega alle ASL).
Alla competenza ad erogare le prestazioni è collegata, in modo però diversificato,
l'attribuzione dell'onere finanziario degli interventi. Infatti se vi
è perfetta coincidenza tra gestione e "pagamenti" per quanto attiene alle prestazioni
sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria (fondo sanitario) ed a quelle
sociali a rilevanza sanitaria (fondi comunali), per le prestazioni sanitarie
a rilevanza sociale si procede diversamente.
L'articolo 3 septies, comma 3, del D. lgs 502/92 e s.m.i demanda infatti ad
uno specifico "atto di indirizzo" l'individuazione, sulla base dei principi
e criteri direttivi fissati nell'articolo, non solo delle prestazioni da ricondurre
alle tipologie individuate dalla legge ma anche "i criteri di finanziamento
delle stesse per quanto compete alle Unità sanitarie locali e ai comuni".
Nella fattispecie delle prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, connotate
da specifica ed elevata integrazione, avremo dunque - secondo questa chiave
di lettura - una titolarità in capo all'Unità sanitaria locale - che
dovrà gestire gli interventi attraverso il distretto di cui all'art.3 ter del
decreto legislativo - ed una competenza finanziaria da suddividere tra
fondo sanitario e fondo assistenziale.
Le indicazioni dell'atto di indirizzo
A tali indirizzi sembra conformarsi il DPCM 14.02.2001 "Atto di indirizzo
e coordinamento in materia di prestazioni socio-sanitarie" che, addirittura,
attribuisce alle ASL le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale anche se non
connotate da specifica ed elevata integrazione.
L'articolo 3, comma 1, del decreto afferma infatti che le prestazioni sanitarie
a rilevanza sociale, in quanto tali, sono "di competenza delle aziende unità
sanitarie locali ed a carico delle stesse, sono inserite in progetti personalizzati
di durata medio/lunga e sono erogate in regime ambulatoriale, domiciliare o
nell'ambito di strutture residenziali e semiresidenziali".
Lo stesso articolo, al comma 3, con riferimento alle prestazioni socio-sanitarie
ad elevata integrazione sanitaria conferma che "sono erogate dalle aziende
sanitarie e sono a carico del fondo sanitario. Esse possono essere erogate in
regime ambulatoriale domiciliare o nell'ambito di strutture residenziali e semiresidenziali
e sono in particolare riferite alla copertura degli aspetti del bisogno socio-sanitario
inerenti le funzioni psicofisiche e la limitazione delle attività del soggetto,
nelle fasi estensive e di lungoassistenza".
Infine, al comma 2 dell'articolo, nel ribadire che le prestazioni sociali a
rilevanza sanitaria sono "di competenza dei comuni, sono prestate con partecipazione
alla spesa, da parte dei cittadini, stabilita dai comuni stessi" precisa
che esse "si esplicano attraverso:
a) gli interventi di sostegno e promozione a favore dell'infanzia, dell'adolescenza
e delle responsabilità familiari;
b) gli interventi per contrastare la povertà nei riguardi dei cittadini impossibilitati
a produrre reddito per limitazioni personali o sociali;
c) gli interventi di sostegno e di aiuto domestico familiare finalizzati a favorire
l'autonomia e la permanenza nel proprio domicilio di persone non autosufficienti;
d) gli interventi di ospitalità alberghiera presso strutture residenziali e
semiresidenziali di adulti e anziani con limitazione dell'autonomia, non assistibili
a domicilio;
e) gli interventi, anche di natura economica, atti a favorire l'inserimento
sociale di soggetti affetti da disabilità o patologia psicofisica e da dipendenza,
fatto salvo quanto previsto dalla normativa vigente in materia di diritto al
lavoro dei disabili;
f) ogni altro intervento qualificato quale prestazione sociale a rilevanza sanitaria
ed inserito tra i livelli essenziali di assistenza secondo la legislazione vigente.
Dette prestazioni, inserite in progetti personalizzati di durata non limitata,
sono erogate nelle fasi estensive e di lungo assistenza".
L'articolo 3 septies, comma 3, del D. lgs 502/92 e s.m.i rinviava tra l'altro
al decreto la definizione dei livelli uniformi di assistenza per le prestazioni
sociali a rilevanza sanitaria. Gli interventi che definiscono le prestazioni
sociali a rilevanza sanitaria elencati nell'atto di indirizzo del 14.02.2001
costituiscono pertanto il livello essenziale delle prestazioni sociali assegnate
alla competenza dei comuni che vengono così chiamati:
- ad erogare, nelle fasi estensive e di lungo assistenza, le prestazioni
sociali a rilevanza sanitaria definite dagli interventi elencati dall'articolo
3, comma 2, lettere a), b), c) d) ed e) del DPCM 14.02.2001;
- ad erogare inoltre, in base alla successiva lettera f), ogni altro intervento
qualificato quale prestazione sociale a rilevanza sanitaria ed inserito tra
i livelli essenziali di assistenza secondo la legislazione vigente.
Nella sostanza il decreto - pur confermando le competenze istituzionali indicate
dalla legge di riferimento - rinvia alle regioni la concreta definizione
delle prestazioni socio-sanitarie di cui all'articolo 3 septies del D. lgs.
502/92 e s.m.i limitandosi ad indicare alcuni criteri di riferimento:
- l'assistenza socio-sanitaria viene prestata sulla base di "progetti personalizzati
redatti sulla scorta di valutazioni multidimensionali";
- le prestazioni sono definite tenendo conto della natura del bisogno, della
complessità, dell'intensità e della durata dell'intervento assistenziale;
- l'intensità è stabilita in base a fasi temporali: la fase intensiva, quella
estensiva ed infine la fase di lungo assistenza.
Appare evidente dall'esame della tabella "prestazioni e criteri di finanziamento",
allegata al DPCM, che le fasi dovranno scandire le competenze finanziarie
dei soggetti istituzionali chiamati in causa: la prima fase - di durata
breve e definita - dovrebbe coincidere con la piena attribuzione degli oneri
al comparto sanitario; nella fase estensiva - di medio o prolungato periodo
- dovrebbero intervenire finanziariamente sia la sanità che l'assistenza; nella
fase di lungoassistenza gli oneri delle prestazioni verrebbero a gravare in
gran parte sul comparto assistenziale.
Titolarità istituzionale e competenza finanziaria
Se l'atto di indirizzo risolve - attraverso la suddivisione in fasi - il
problema della competenza finanziaria lascia però aperto quello relativo alla
individuazione dei soggetti deputati a garantire, dal punto di vista istituzionale,
il complesso delle prestazioni. Dalla percentuale di spesa attribuita
non si può infatti far derivare - sempre ed in modo automatico - la titolarità
istituzionale.
E' significativo il caso delle prestazioni di "Cura e recupero funzionale
di soggetti non autosufficienti non curabili a domicilio, tramite servizi residenziali
a ciclo continuativo e diurno, compresi interventi e servizi di sollievo alla
famiglia" rivolti ad "Anziani e persone non autosufficienti con patologie
cronico degenerative".
Nella tabella allegata al decreto si pone a carico del SSN il 100% degli oneri
derivanti dall'assistenza in fase intensiva e dalle prestazioni ad elevata integrazione
nella fase estensiva. Nella fase di lungo assistenze semiresidenziali e residenziali,
il costo addebitato al fondo sanitario si riduce al 50% e per la restante parte
interviene l'utente e/o il comune.
Le prestazioni erogate in ambito semiresidenziale e residenziale in quest'ultima
fase sembrerebbero afferire alla tipologia degli interventi sanitari a rilevanza
sociale di competenza istituzionale delle Unità sanitarie locale per i quali
è prevista - dalla legge - la compartecipazione finanziaria dei comuni. Di contro,
se fossimo in presenza di prestazioni sociali a rilevanza sanitaria,
ai Comuni verrebbe richiesto di farsi carico, in toto, dell'intervento e della
relativa spesa.
Detta in altri termini: alle Unità sanitarie locali compete l'attivazione e
la gestione - in forma diretta, convenzionata o accreditata - delle strutture
semiresidenziali e residenziali destinate ad anziani e persone non autosufficienti
con patologie cronico degenerative. Ai Comuni il decreto assegna esclusivamente
l'onere di contribuire alla spesa per la quota non coperta dall'utente.
Il ragionamento sembra filare perché - alla luce delle leggi vigenti - le competenze
gestionali delle RSA (6) già gravano sul comparto sanitario. Se andiamo però
ad esaminare la tabella - nella parte riferita alle prestazioni in regime semiresidenziale
e residenziale rivolte ai disabili gravi - dovremmo trarre le stesse conclusioni
ed affermare che - trattandosi di "attività finalizzate alla promozione della
salute, alla prevenzione, individuazione, rimozione e contenimento di esiti
degenerativi o invalidanti di patologie congenite e acquisite" e, come tali,
afferenti alla tipologia della prestazioni sanitarie a rilevanza sociale - spetta
alle Unità sanitarie locale fornirle ai cittadini, fatto salvo l'obbligo dei
comuni ad intervenire finanziariamente.
Questo secondo esempio complica certamente il quadro perché, attualmente, sono
i comuni, in genere, a gestire i Centri socio terapeutici e le Comunità
per disabili gravi (7). Non è un caso, infatti, che nel decreto si preveda
la possibilità che l'assistenza possa avvenire "in strutture accreditate
sulla base di standard regionali". (8)
L'integrazione socio sanitaria nei LEA
A completare lo scenario normativo di riferimento interviene il DPCM 29.11.2001
che, all'allegato 1.C, definisce i livelli essenziali di assistenza (LEA)
con riferimento all'area dell'integrazione socio sanitaria. E' dunque opportuno
esaminarlo per capire se introduce novità nella definizione delle competenze
istituzionali fissate dalla decreto legislativo di riferimento e ribadite -
nelle linee generali - dall'atto di indirizzo del 14.02.2001.
Nella premessa dell'allegato si afferma che "Nella tabella riepilogativa,
per le singole tipologie erogative di carattere socio sanitario, sono evidenziate,
accanto al richiamo alle prestazioni sanitarie, anche quelle sanitarie di rilevanza
sociale ovvero le prestazioni nelle quali la componente sanitaria e quella sociale
non risultano operativamente distinguibili e per le quali si è convenuta una
percentuale di costo non attribuibile alle risorse finanziarie destinate al
Servizio sanitario nazionale. In particolare, per ciascun livello sono individuate
le prestazioni a favore di minori, donne, famiglia, anziani, disabili, pazienti
psichiatrici, persone con dipendenza da alcool, droghe e farmaci, malati terminali,
persone con patologie da HIV".
Se la congiunzione coordinativa disgiuntiva "ovvero" è da intendersi
come "oppure" siamo in presenza di una tipologia di prestazioni non prevista
dal D. lgs.502/92 e s.m.i. In tal caso "le prestazioni nelle quali la componente
sanitaria e quella sociale non risultano operativamente distinguibili e per
le quali si è convenuta una percentuale di costo non attribuibile alle risorse
finanziarie destinate al Servizio sanitario nazionale" vanno ricondotte,
pena l'illegittimità dell'atto amministrativo, alla tipologia delle prestazioni
sanitarie a rilievo sociale (in quanto assoggettate a contribuzione da parte
delle ASL e degli utenti/comuni).
Se, di contro, con quel termine, si intendeva specificare che tra le
prestazioni sanitarie di rilevanza sociale rientrano anche quelle "a
componente non distinguibile" (ma finanziariamente attribuibile) allora
vale quanto già detto con riferimento all'atto di indirizzo del 14.02.2001.
In buona sostanza ritengo si possa sostenere che i due decreti amministrativi
attuativi del D.Lgs.502/92 e s.m.i assegnano comunque la titolarità delle
prestazioni assoggettate ad una suddivisione della spesa tra diversi soggetti
istituzionali al comparto sanitario in quanto rientranti - come del resto indica
la legge di riferimento - tra le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale.
A tutti i soggetti deboli menzionati dai decreti le ASL dovranno dunque assicurare
- pur con contribuzione a carico degli interessati, come sciaguratamente prevedono
entrambi i decreti - tra le altre prestazioni, l'assistenza residenziale e semiresidenziale
presso strutture che la normativa esaminata assegna alla loro titolarità.
(9)
Del resto non è una novità in quanto, già nel 1996, la Corte di Cassazione aveva
sentenziato che "le prestazioni sanitarie, al pari di quelle a rilievo sanitario,
sono oggetto di un diritto soggettivo, a differenza di quelle socio-assistenziali,
alle quali l'utente ha solo un interesse legittimo". (10)
Il ruolo delle regioni
A questo punto non resta che tornare alla lettura del disposto dell'articolo
3 septies del D.Lgs.502/92 e s.m.i - legge dalla quale sia l'Atto di Indirizzo
che il DPCM sui LEA traggono fondamento - che, al comma 8, recita testualmente:
"Fermo restando quanto previsto dal comma 5 (le prestazioni sociosanitarie
ad elevata integrazione sono garantite dalle ASL e comprese nei LEA) e dall'articolo
3 quinquies, comma 1, lettera c) (l'erogazione delle prestazioni sanitarie
a rilevanza sociale, connotate da specifica ed elevata integrazione, gravano
sul distretto sanitario) le regioni disciplinano i criteri e le modalità
mediante i quali comuni e aziende sanitarie garantiscono l'integrazione, su
base distrettuale, delle prestazioni socio sanitarie di rispettiva competenza,
individuando gli strumenti e gli atti per garantire la gestione integrata dei
processi assistenziali socio- sanitari".
E dunque la Regione che - anche con l'autonomia ed i nuovi poteri che le derivano
dalla modifica del testo costituzionale - deve mettere in condizione i comuni
e le aziende sanitarie di garantire "l'integrazione, su base distrettuale,
delle prestazioni socio sanitarie di rispettiva competenza".
Si è detto all'inizio che per ricondurre la pratica dell'integrazione sui giusti
binari, è necessario far chiarezza sui diritti delle persone e sui soggetti
deputati a garantirli avendo certezza delle risorse per attuarli. E' dunque
essenziale che le Regioni, i Comuni e gli Enti gestori delle funzioni socio
assistenziali comprendano che tra i presupposti per l'avvio di un processo virtuoso
di integrazione, rientra il riconoscimento della esclusiva titolarità del
sistema sanitario a garantire il diritto alla salute a fronte della
piena responsabilità a rendere esigibile il diritto all'assistenza da parte
del sistema dei servizi sociali.
La "gestione integrata dei processi assistenziali socio-sanitari" è essenziale
ma implica la chiara definizione dei soggetti istituzionali chiamati
a garantire i servizi e ad erogare, tramite questi, le diverse prestazioni.
Non è pensabile trasferire ad uno strumento operativo professionale, quale è
l'equipe integrata di distretto, le prerogative istituzionali di una
ASL o di un Comune.
La discriminante, certo non sempre facile da individuare, è rappresentata dalla
condizione di salute: i servizi ed i presidi preposti alla cura ed alla riabilitazione
delle persone malate - siano esse minori, adulte o anziane ed affette da patologie
croniche oppure acute - devono essere affidati al comparto sanitario a prescindere
dalle professionalità (sociali o sanitarie) necessarie all'erogazione delle
prestazioni e dagli oneri di spesa eventualmente previsti.
E' dunque alle aziende sanitarie o a quelle ospedaliere che il cittadino deve
potersi rivolgere per tutelare i propri diritti in tema di salute. Così come
è dai Comuni che si deve pretendere il rispetto degli standard di servizi e
prestazioni rivolte ai soggetti individuati dalla legge 328/2000. Fatta questa
chiarezza si può e si deve lavorare insieme, sia sul piano della programmazione
regionale e locale degli interventi che nella pratica operatività quotidiana
delle professionalità espresse da entrambi i settori.
Ma se anche non si volesse procedere, da parte delle Regioni, a tale doveroso
riconoscimento di competenze non si potrà ignorare - pur in vigenza dei due
decreti esaminati - che alle ASL compete comunque, per legge, l'erogazione
delle prestazioni sanitarie a rilevanza sociale e di quelle ad elevata
integrazione sanitaria attraverso la gestione dei servizi e delle strutture
che sono preposti a fornirle. Conseguentemente è ad esse che è affidata la responsabilità
istituzionale di consentire ai cittadini "l'esercizio del diritto soggettivo
a beneficiare delle suddette prestazioni" al quale fa riferimento l'articolo
4, comma 2, del DPCM 14.02.2001.
NOTE
(1) D.P.C.M. 14 febbraio 2001, "Atto di indirizzo in materia di prestazioni
socio-sanitarie".
(2) D.P.C.M. 29 novembre 2001, "Definizione dei livelli essenziali di assistenza".
(3 )"Una petizione per difendere le esigenze e i diritti della fascia più debole
della popolazione dai truffaldini livelli essenziali di assistenza", Prospettive
assistenziali, n. 137, gennaio-marzo 2002, p. 2.
(4) Mauro Perino: "I livelli essenziali di assistenza: riduzione della spesa
sanitaria e nuova emarginazione", Prospettive assistenziali, n. 137, gennaio-marzo
2002, p. 7.
(5) Mauro Perino: "Con la scusa dell'integrazione", Appunti sulle politiche
sociali, n. 3/2002, p. 6.
(6) Dal "Progetto Obiettivo Anziani": "La denominazione Residenza Sanitaria
Assistenziale è stata preferita rispetto ad altre dizioni perché l'aggettivo
'sanitaria' sottolinea che si tratta di una struttura propria del SSN, a valenza
sanitaria, di tipo extraospedaliero (residenza), la cui gestione è finanziabile
con il FSN e di cui le USL possono garantire direttamente la gestione; l'aggettivo
'assistenziale', rimarca che la residenza ha anche una valenza socio - assistenziale
inscindibilmente connessa alla valenza sanitaria, il che legittima l'impiego
da parte del SSN di figure professionali di tipo sociale (…) Le RSA devono essere
realizzate tipologicamente secondo quanto descritto dal DPCM 22-12- 89".
(7) Nella Regione Piemonte per le residenze destinate ad disabili gravi sono
previsti gli standard delle RAF. Le RAF rappresentano però "un adattamento"
regionale del modello unico nazionale RSA. Il DPR 14.1.1997 "Approvazione
dell'Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni e alle province autonome
di Trento e Bolzano, in materia di requisiti strutturali, tecnologicio ed organizzativi
minimi per l'esercizio delle attività sanitarie da parete delle strutture pubbliche
e private" fornisce le seguenti indicazioni in merito alle tipologie d'utenza
ospitabili in RSA: "Le Residenze Sanitarie Assistenziali sono presidi che
offrono a soggetti non autosufficienti, anziani e non, con esiti stabilizzati
di patologie, fisiche, psichiche, sensoriali o miste, non assistibili a domicilio,
un medio livello di assistenza medica, infermieristica e riabilitativa, accompagnata
da un livello 'alto' di tutela assistenziale ed alberghiera generica sulla base
dei modelli assistenziali adottati dalle Regioni e Province autonome (….) Sono
da prevedere: ospitalità permanenti, di sollievo alla famiglia non superiori
ai 30 giorni, di completamento di cicli riabilitativi eventualmente iniziati
in altri presidi".
(8) Fatta salva la titolarità sanitaria - dalla quale deriva la responsabilità
ad assicurare gli interventi - potrebbero venire accreditate dalle ASL
le strutture comunali già esistenti con relativa copertura della retta nella
misura del 70%.
(9) "Le prestazioni sanitarie comprese nei livelli essenziali di assistenza
- e tra queste quelle contenute nell' allegato 1.C. Area dell'integrazione socio
sanitaria del DPCM 29.11.2001 - sono garantite dal servizio sanitario nazionale
a titolo gratuito o con la partecipazione alla spesa, nelle forme e secondo
le modalità previste dalla legislazione vigente". (art. 1, comma 3, D. lgs.
502/92 e s.m.i.).
(10) Corte di Cassazione, Sezione 1^, sentenza n.10150 del 20 novembre 1996
riferita ad un ricorso contro il DPCM 8 agosto 1985 "Atto di indirizzo e coordinamento
alle regioni e alle province autonome in materia di attività di rilievo sanitario
connesse con quelle socio assistenziali ai sensi dell'art. 5 della legge 23
dicembre 1978, n. 833".
(indice)
Handicap intellettivo: un
progetto per il potenziamento delle autonomie personali
Massimiliano Casalini - Cooperativa sociale Idealcoop, Pomarance, (PI)
Dal dicembre 2001 è attivo a Pomarance (PI) un progetto per giovani
e adulti con disagio mentale lieve e medio-lieve. Il progetto prevede la permanenza
nei fine settimana di alcuni giovani della zona in un appartamento al fine di
potenziare le proprie autonomie personali.
L'idea, innovativa e unica, almeno nella Zona Socio Sanitaria di PISA, prende
spunto dalle esperienze di Case Famiglia già condotte anche a Volterra su utenti
psichiatrici ex O.P., e si estende a giovani non istituzionalizzati con lieve
ritardo mentale, tendenzialmente con adeguate condizioni familiari e di assistenza:
anche i Sindaci della Zona hanno appoggiato il progetto già in fase di rilevamento
delle priorità sociali all'interno del Piano di Zona (L.R.72/97, L. 328/00)
per l'anno 2000. Nel percorso di attivazione è stata perseguita una logica di
collaborazione tra il soggetto titolare, la ASL 5-Zona Alta Val di Cecina e
il soggetto gestore, la Cooperativa Sociale Idealcoop di Pomarance già
dal momento della progettazione. Dall'analisi dei bisogni condotta dai due soggetti
sopramenzionati è emersa la necessità di creare luoghi e spazi sia fisici che
culturali in cui persone con disagio mentale di vario grado potessero integrarsi,
così da recuperare quei principi di "reale" integrazione socio-culturale espressi
nella L.104/92, ma rallentati da un riaffacciarsi di processi istituzionalizzanti
tout court. Il metodo di lavoro seguito è stato quello della integrazione
tra diversi soggetti, con pari dignità, Idealcoop, Asl, Associazioni, già dal
momento della ricerca progettuale.
Le fasi e la strutturazione del progetto
1) Incontri periodici tra il responsabile dell'Area Progettuale Idealcoop,
la Referente ASL per l'handicap, con il responsabile Servizi Sociali USL; avendo
presente l'obiettivo abbiamo strutturato il progetto nella sua forma più generale,
individuando inizialmente (febbraio 2001): a) Comune del Distretto Socio-Sanitario
in cui svolgere il progetto, b) Disponibilità dell'appartamento, c) Numero indicativo
dei partecipanti, d) Numero indicativo degli Educatori Professionali coinvolti.
2) Suddivisione delle funzioni: la Referente ASL ha organizzato GOM adulti per
socializzare la proposta progettuale con le altre professionalità presenti nel
gruppo; il Referente Idealcoop ha elaborato il progetto con la collaborazione
della Educatrice che operativamente avrebbe attivato lo stesso.
3) Presentazione del progetto nel bando del Piano di Zona 2000(L.72/97).
4) Suddivisione delle funzioni: Idealcoop: organizzazione e allestimento dell'appartamento
(già in affitto alla cooperativa); ASL: organizzazione GOM al fine di individuare
utenti e famiglie da coinvolgere nel progetto (Giugno-Settembre 01).
5) Idealcoop presenta il progetto in una assemblea dei soci che si impegnano
a fornire materiale d'arredo, supporto operativo e possibilità di volontariato
all'interno dell'appartamento.
6) Allestimento definitivo dell'appartamento (Novembre 2001).
7) Incontri preliminari con operatori, famiglie e giovani, con Istituzioni,
ASL e associazioni.
8) Attivazione del progetto (Dicembre 2001).
Gli operatori. La fase preliminare l'attivazione del progetto è funzionale
anche all'individuazione degli operatori: si procede a una riunione informativa
con tutto il personale educativo della Cooperativa. Sono 5 gli Educatori Professionali
che danno la propria disponibilità, anche per rimanere a dormire pur non essendo
previsto nel progetto; la sesta è una Assistente Sociale. Tutti gli operatori
lavorano nei servizi ASL a tempo indeterminato e con orario full-time. Si stabilisce
quanto già affrontato nelle riunioni preliminari con i Referenti ASL: ogni educatore
lavora con un gruppo per quattro fine settimana (alternati con l'altro gruppo),
cioè due mesi di tempo, per un totale di sei mesi di durata complessiva, quanto
appunto previsto dal progetto approvato. Con tale modalità di rotazione, il
carico di lavoro per ogni E.P. è limitato e diluito pur non venendo a mancare
la possibilità di incidere dal punto di vista educativo sulla base degli obiettivi
previsti: inoltre in questo modo è minore la probabilità di situazioni di "dipendenza"
utente-operatore, come talvolta può accadere, che inibiscono fortemente la capacità
di autonomia degli utenti e che non rientrano nello spirito del progetto.
Gli utenti. Sono stati individuati e contattati dagli operatori
ASL. Sono 8 giovani adulti compresi in una fascia d'età che va dai 25 ai 43
anni con deficit mentale medio-lieve e già in carico ai Servizi. Vengono costituiti
due gruppi su base geografica composti da 4 utenti ciascuno: Volterra-Montecatini
e Pomarance-Castelnuovo. Le caratteristiche dei due gruppi sono tendenzialmente
le stesse. Il canale di contatto per i servizi è stato, in ognuno dei casi,
la famiglia.
I volontari. Come previsto nel progetto gli educatori, sono supportati
da volontari. Nel nostro caso, immediatamente dopo l'assemblea dei Soci, due
ragazze hanno fatto formale richiesta di partecipazione al progetto in qualità
di volontarie. Una terza ragazza in un momento successivo, mentre la quarta
è l'assistente sociale sopramenzionata che ha dato la propria disponibilità
a partecipare alla prima fase come volontaria insieme alla educatrice. Se inizialmente
la scelta di inserire volontari era dovuta ad una logica "politica" di ampliamento
della capacità di coinvolgimento dei nostri progetti di persone "esterne" alla
struttura, ci siamo resi ben presto conto che ciò ha rappresentato un valore
aggiunto del progetto: i partecipanti hanno, attraverso la presenza dei volontari,
percepito la "novità" dell'iniziativa e hanno nel tempo tratto giovamento da
questa esperienza. Questo aspetto di integrazione tra Educatori e Volontari
non è da sottovalutare in un approccio quale quello che noi adottiamo che è
"relazionale". Le volontarie, 4 ragazze giovani (questo è un dato importante),
hanno da qualche anno terminato la Scuola Superiore e presentano elementi di
"spinta" emotiva personale (talvolta mutuata dalla famiglia) nel lavoro sociale,
tipica del volontariato. Il coordinamento del volontariato è avvenuto tramite
il responsabile del progetto.
L'attivazione. Il GOM Zonale individua due gruppi di utenti in relazione
a due diverse zone: il Gruppo A, di Volterra-Montecatini V.C., il Gruppo B,
di Pomarance-Castelnuovo V.C., con caratteristiche relazionali e cognitive in
linea con gli indirizzi e gli obiettivi del progetto. La Referente ASL organizza
una serie di incontri con le famiglie e con gli utenti individuati al fine di
stabilire i due gruppi che parteciperanno al progetto. Successivamente vengono
organizzati in collaborazione con Idealcoop, gli incontri preliminari con i
giovani utenti, le famiglie, ASL, Comuni, Associazioni e stampa per attivare
il progetto. La fase successiva è l'attivazione vera e propria del progetto.
Fino ad oggi sono stati effettuati complessivamente 20 fine settimana (10 per
ogni gruppo) e ne restano ancora 2 per ogni gruppo: il termine del progetto
è previsto per il giorno 5 luglio 02. La prima fase è, soprattutto per
gli educatori, di analisi del gruppo, delle sue dinamiche interne e esterne,
ma anche della adeguatezza dei partecipanti agli obiettivi del progetto. Per
gli utenti è il momento dell'"adattamento": alla casa, ai propri compagni, agli
operatori, alla nuova cittadina, ai ritmi nuovi della giornata. In nessun caso
si è avuto una defezione e questo è dovuto soprattutto al "clima" informalmente
positivo che gli operatori sono riusciti sempre a creare: cene, musica, videoregistratore,
uscite, attività manuali rappresentano l'anima del progetto, poiché momenti
strutturati in cui si può validamente valutare i livelli di autonomia dei ragazzi
e intervenire laddove ci siano difficoltà in questo senso. Questa fase è stata
ben mediata dagli educatori che hanno avuto soprattutto il compito di valutare
le reali potenzialità dei ragazzi onde strutturare "informalmente" il proprio
intervento.
Il carattere di sperimentalità e… i risultati conseguiti
E' da ricordare che il progetto ha avuto almeno in questi primi sei mesi carattere
di sperimentalità; essendo un progetto unico nella Provincia, non esistono riferimenti
scientifici da cui trarre spunto. Gli elementi sperimentati sono, a nostro modo
di vedere:
a) Appartamento. Ha dato le risposte adeguate che ci aspettavamo: per
la sua ampiezza (4 camere doppie, due bagni, cucina, sala da pranzo, salotto),
per la sua collocazione centrale, per la sistemazione stessa delle stanze situate
"intorno" ad un grande disimpegno centrale, facilmente rintracciabili dai ragazzi.
I complementi di arredo sono stati in gran parte acquistati dalla Idealcoop,
ma nel periodo primavera - estate 2001 è stata promossa tra i soci una specie
di "campagna" di raccolta di oggetti domestici in buono stato come tovaglie,
tende, tazzine, asciugamani, frigorifero, e quant'altro fosse utile per l'adeguatezza
dell'appartamento. La raccolta ha avuto un buon successo. Inoltre una serie
di lavori domestici indispensabili (imbiancatura, impianto elettrico, impianto
idraulico ecc.) sono stati effettuati direttamente da alcuni soci.
b) Turn-over operatori. E' elemento positivo per operatori e utenti:
ambedue non sentono il peso dell'attaccamento né del distacco dal gruppo, né
il peso di uno sforzo personale (gli Educatori sono tutti lavoratori a tempo
indeterminato che operano nei vari presidi territoriali a orario pieno) che
viene con questa modalità di alternanza, mitigato.
c) Volontari. Come già affermato sono elemento centrale in progetti come
questi che si basano su elementi di informalità sia nei rapporti utenti-operatori
che operatori-volontari: l'arricchimento che queste persone hanno portato è
sempre stato fondamentale, ma non è mai stato vissuto, né dagli uni, né dagli
altri, come esclusivo e irrinunciabile e questo ha dato alla relazione un aspetto
di "ritrovata simmetria" tra utente e operatore in un contesto disteso ma allo
stesso tempo responsabilizzante. E' comunque da mettere in evidenza la difficoltà
di reperire volontari (a questo proposito sono stati fatti incontri con l'Assessore
alle politiche sociali del Comune di Pomarance, con il parroco di Pomarance
e inviato lettere di sensibilizzazione ai nostri soci); le ragazze che inizialmente
si sono rese disponibili hanno ampiamente superato il numero di ore che avevamo
inizialmente stabilito, nella prospettiva di trovare altri volontari.
d) Famiglie. Sono state coinvolte sin da subito soprattutto dal personale
ASL; è fondamentale il rapporto con le famiglie in un'ottica soprattutto consensuale,
ma anche per valutare insieme il percorso che i ragazzi fanno/hanno fatto all'interno
dell'appartamento. Continuiamo infatti a pensare debba esistere un "filo" educativo
che lega le esperienze dei/nei servizi e la quotidiana vita familiare. E' necessario
perciò che le famiglie, comprendendo la portata del progetto, si adoperino affinché
le piccole conquiste dei loro figli trovino un fertile terreno di applicazione
anche nei propri appartamenti. In questo senso sono stati fatti un incontro
per gruppo prima dell'attivazione del progetto e uno a metà del tempo cronologico
del progetto; è previsto quello finale a ridosso della fine del progetto stesso
prevista per l'inizio di luglio.
e) Utenti. Hanno tratto benefici e rafforzato la loro esperienza nel
quotidiano rafforzando l'insieme delle autonomie personali. E' importante valutare
sempre obbiettivamente l'andamento del gruppo degli utenti e i loro percorsi
individuali per non rischiare di far prevalere una visione eccessivamente positiva
e ottimistica che corrisponde nel migliore dei casi a quella degli operatori,
ma non necessariamente a quella degli utenti. Dal punto di vista educativo e
pedagogico in senso stretto non è importante che i partecipanti si limitino
a "eseguire" azioni del quotidiano all'interno della propria sfera vitale, ma
soprattutto che ne abbiano "consapevolezza" e che sappiano collocarle in un
contesto spazio temporale e sociale ben definito che tenga conto di una serie
di fattori: il gruppo e le varie esigenze dei suoi partecipanti, sono tra i
principali. E' questo un percorso che rappresenta non poche difficoltà; queste
difficoltà risiedono non nelle reali capacità cognitive degli utenti, ma nel
livello di coinvolgimento, e quindi di collaborazione, che si riesce a creare
con le famiglie. Teniamo infatti presente che uno degli obiettivi del progetto
è quello di creare delle condizioni minime di vita "autonoma" in soggetti con
deficit mentale lieve al fine di poter escludere per questi, quasi del tutto,
l'inserimento in Istituti per handicappati in casi di dipartita dei genitori.
Questa autonomia va colta, sperimentata, "allenata" e mai ignorata dalle famiglie
nel loro contesto anche in quei casi in cui il livello di "adeguatezza" del
ragazzo è abbastanza elevato da far sorvolare su alcuni aspetti. Su questo gli
Educatori hanno indirizzato il loro lavoro e le loro conoscenze: i risultati
sembrano buoni, anche se ovviamente con livelli di elaborazione differenti tra
un utente e l'altro. Uno dei primi risultati conseguiti è stata l'introiezione
delle "fasi" delle due mezze giornate che il gruppo trascorre insieme: l'arrivo,
la sistemazione, i saluti e la discussione, la lista dei cibi per la cena, la
spesa, l'apparecchiatura ecc. Abbiamo rilevato che la capacità adattiva è aumentata
nel tempo e in questo senso è stato fondamentale la continuità nelle presenze
che i ragazzi stessi hanno mostrato. Gli spazi individuali (ad esempio spazi
per lasciare le lenzuola e altro) non sono state motivo di contrasto tra i due
gruppi, ma di percezione di vicinanza e voglia di conoscenza. Sul piano degli
alimenti lo stesso; è da notare che sulla "selezione" dei cibi da acquistare
da parte dei ragazzi ci sono maggiori difficoltà di orientamento e minore capacità
di discriminazione e questo senz'altro dipende dal ruolo assistenziale e sostitutivo
che le famiglie hanno sin qui svolto. Altro risultato che consideriamo più evidentemente
positivo è la continuità nella partecipazione dimostrata e la bassissima percentuale
di assenze da parte dei ragazzi. Ciò dimostra quanto gli utenti vivano positivamente
il fine settimana alla Casa delle Autonomie.
E per il futuro?
"La Casa delle Autonomie" è stato finanziato attraverso fondi previsti nel
PdZ anno 2000 per la Zona Alta Val di Cecina. Nell'anno in corso il progetto
verrà ripresentato per una continuità di finanziamento nell'ambito del PdZ 2002.
E' previsto un potenziamento delle attività e la ricerca di un appartamento
nel centro del paese o comunque maggiormente inserito nel tessuto sociale: ci
sembrerebbe molto interessante la presenza di vicini di casa sia per tentare
di "lasciare da soli" talvolta i ragazzi che per incentivare gli aspetti relazionali.
Infatti come spiegato al paragrafo precedente il carattere di sperimentalità
sembra essere stato "superato" almeno per quanto riguarda aspetti di tipo pedagogico-educativo
e di congruenza del progetto rispetto agli obiettivi posti: la parte organizzativa
merita una ulteriore riflessione sia dal punto di vista dell'utilizzo degli
educatori che dal punto di vista burocratico e "legale" in relazione all'appartamento
e alla vita in comunità. Un altro problema potrebbe essere rappresentato dall'individuazione
di volontari disponibili a fare questa esperienza. E' ora necessario rifinire
il progetto nei suoi aspetti strutturali affinché gli obiettivi di autonomia
degli utenti posti inizialmente possano essere raggiunti con sempre maggior
successo. E' risultata positiva, per cui verrà proseguita, la modalità sinergica
di progettazione, gestione, e verifica tra ASL5 zona AVC e Idealcoop.
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