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Appunti n.143
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Volontariato solidale: genuina proposta di vita e di società

Caritas italiana
Riportiamo parte del documento (il testo integrale del documento può essere consultato sul sito del Gruppo Solidarietà) della Caritas Italiana presentato alla recente Conferenza Nazionale del Volontariato (Arezzo, 11-13 ottobre 2002). Un volontariato che mostra sempre più evidente la difficoltà a coniugare autonomia, gratuità e difesa dei deboli.

I Volontari nella cultura e nella società
L'impegno spontaneo da parte di persone e gruppi a favore di una necessità o utilità sociale non è un fatto nuovo o soltanto caratteristico della nostra società: dalle calamità alle pestilenze, dalle mobilitazioni contro le molteplici aggressioni, alle guerre di ogni tipo, dall'aiuto a chi è più debole, a cominciare da donne e bambini, alle raccolte e alle mense per i non abbienti: sempre la storia conosciuta e non scritta dell'umanità è stata costellata da molteplici figure di "volontari" per questa o quella causa, per una necessità sociale o, semplicemente, per un bisogno altrui. Questa dimensione solidale dell'umanità, riconosciuta e promossa da diverse culture e pensatori, ha determinato le caratteristiche attuali della società influenzando il comportamento sociale delle persone.

1. 1970-1990: il volontariato come fenomeno sociale
Alla fine degli anni '60, nel mondo occidentale, emerge il volontariato come fenomeno sociale e non solo relegato al vissuto dei singoli o dei gruppi. Il termine, raramente usato in precedenza, vuole descrivere e rappresentare una convergenza di esperienze, personali e di gruppo, che si esprimono in una gratuita e continuativa disponibilità, oltre l'adempimento dei doveri sociali e professionali, a favore di persone, collettività e contesti sociali in condizione di bisogno.
Hanno destato interesse le molteplici esperienze di persone e gruppi che, non accontentandosi di adempiere al complesso di doveri e oneri della vita sociale, investivano tempo, energie e risorse proprie a favore di altre persone in difficoltà.
Il volontariato ha rappresentato un percorso esperienziale di solidarietà vissuta, abbastanza praticabile dai più, attraverso il quale molte persone e gruppi hanno cercato di attuare, nella propria vita e in quella delle realtà coinvolte, una risposta alle istanze di giustizia e di cambiamento sociale che contemporaneamente incontravano altri tentativi di soluzione spesso più stringenti o intransigenti. Per questi ultimi il "mito del volontariato" era un espediente o una chimera che non poteva sortire altro che un annacquamento delle più lucide e genuine aspirazioni al progresso ed alla giustizia sociale. La caduta delle ideologie dominanti, e spesso confliggenti, il disincanto rispetto alla via politica al cambiamento, l'affermarsi progressivo delle leggi del mercato nei diversi ambiti della vita sociale e della mercantilizzazione di ogni bene con lo strascico di nuove e vecchie vittime degli egoismi individuali e collettivi, ha comunque posto sempre più in evidenza il potenziale di progresso sociale e culturale che il "volontariato" ha continuato ad alimentare e a trasmettere nelle società occidentali e nel resto del pianeta nei decenni successivi.

a. Una prima definizione
In Italia in particolare, il ventennio 1970-1990 ha visto una crescita esponenziale della cultura e della maturazione sociale e civile del "volontariato" che, in un crescente sforzo verso la promozione integrale dei destinatari del suo aiuto e verso la rimozione delle cause sociali, istituzionali e culturali del disagio, si è sempre riconosciuto come esperienza, individuale o di gruppo, di persone che, adempiuti gli obblighi professionali e sociali, impegnano gratuitamente tempo, capacità e risorse proprie, spontaneamente e con continuità, a favore di persone e collettività in stato di bisogno;
coscienti che, accanto a tali esperienze, altre precedenti o successive, affini per alcuni aspetti e diverse per altri, concorrevano al raggiungimento di molti obiettivi comuni (..).

c. 1991: la codificazione
Al culmine di questa chiara e convergente presa di coscienza, e di un serrato dialogo su tutti i fronti del bisogno, e della politica sociale con la società organizzata, nel 1991 le realtà più impegnate nella crescita di questa cultura del volontariato italiano promuovono un'azione parlamentare per il riconoscimento ed il supporto dello Stato all'azione del "volontariato".
Il riconoscimento da parte della Repubblica sarà pieno. Esso si riferisce in particolare al ruolo fondativo che la solidarietà espressa dal volontariato esercita nei confronti dell'organizzazione sociale stessa: sulla base di questa "solidarietà" ed in base ad essa nascono infatti fra gli uomini le istituzioni sociali private e pubbliche.
Il volontariato viene pertanto riconosciuto, alla luce di una successiva sentenza della Corte Costituzionale interpretativa dell'articolo 1 della legge 266/91, come speciale vivaio o fucina di solidarietà sociale nelle sue caratteristiche genuine di gratuità, solidarietà altruistica e perseguimento della giustizia sociale, alimentate ed espresse dai cittadini che vi si impegnano.
Particolare sarà anche, in base alla legge 266/91, l'attenzione da parte dello Stato alle realtà di volontariato che, in base a precise caratteristiche, saranno denominate "organizzazioni di volontariato". Tali saranno infatti considerate quegli organismi, a comprovata organizzazione democratica, operanti in continuità, composti in prevalenza da persone che agiscono gratuitamente, per fini di solidarietà, a favore di terze persone o collettività in stato di bisogno.
In loro favore lo Stato offre percorsi preferenziali di partecipazione civile, sgravi fiscali ed inoltre, in via esclusiva, "fondi speciali" a carico delle Fondazioni bancarie che dovrebbero supportare e qualificare l'attività delle organizzazioni di volontariato, ai quali andavano ad aggiungersi altri fondi (per la verità molto modesti), destinati al medesimo scopo, da parte del costituendo Osservatorio Nazionale del Volontariato.

d. Una corsia "preferenziale"
Il fattore economico (fondi e finanziamenti), rivelatosi subito un privilegio esclusivo rispetto alle diverse altre realtà del non profit che, pur perseguendolo, avevano, al massimo, ottenuto spazi di partecipazione o sgravi fiscali, come nel caso delle cooperative sociali, o, semplicemente, la promessa di ciò, come nel caso dell'associazionismo o dell'auto-mutuo-aiuto, evidenziava, ancora di più, l'attenzione speciale del Parlamento verso la peculiare realtà non profit rappresentata dalle organizzazioni con prevalenza di volontari. Ma in cosa poteva giustificarsi lo speciale gettito di fondi per il volontariato, rispetto a quanto offerto ad altre realtà sociali?
Forse le cifre esorbitanti sui presunti 4 o 7 milioni di adulti volontari facevano pensare ad una forza sociale o un luogo di consenso da ingraziarsi o controllare nella sua capacità di critica e vigilanza sulle politiche sociali nazionali, regionali (proprio come la ripartizione dei fondi delle casse di risparmio) o locali, che cresceva in quel volontariato tanto gratuito quanto libero da influenze e condizionamenti?
O forse invece, essendo già molto diffusa a livello locale una certa liberalità degli amministratori verso i già noti luoghi di consenso o dissenso del gratuito e libero volontariato, i promotori del volontariato volevano prevenire un ammorbidimento ed inquinamento dei gruppi da parte di spregiudicati "faccendieri locali", attraverso una normativa nazionale trasparente sul finanziamento? A distanza di dieci anni si può comunque constatare che, nonostante questo supporto dello Stato, la partecipazione civile non è certo cresciuta, forse solo in parte migliorata, a favore, invece, di una significativa crescita della difesa dei diritti dei più deboli contro ogni sfruttamento (advocacy) tra i cui responsabili viene, non di rado, compreso anche lo Stato, la sua politica economica, sociale ed estera.
Il tentativo di inquinare l'identità, anche sotto la pressione dei finanziamenti, sta creando molti problemi all'opera dei volontari, alle loro collaborazioni, soprattutto con le altre realtà del non profit e, non da ultimo, all'incisività del loro operato nell'incontro col mondo del disagio, della sofferenza e dell'esclusione sociale.

2. Finanziamenti, non profit, identità del volontariato
Infatti mai, come dal 1991 in poi in Italia, il volontariato è stato oggetto dell'interesse dei centri di ricerca privati, delle università, delle grandi organizzazioni del non profit e dell'impresa sociale.
Da allora, le realtà più vivaci ed intraprendenti del non profit, rappresentate spesso da persone provenienti dal "gratuito" e con una forte abilità e propensione a valorizzare le minime risorse per trasformarle in fiorenti organizzazioni di intervento sociale in diverse aree di disagio (dimenticando spesso realtà come: il nomadismo, la devianza, etc.), hanno continuato a vestire la loro pur preziosa opera non profit coi panni del gratuito e del volontariato per poter utilizzare i fondi destinati esclusivamente al "prevalentemente gratuito volontariato".
Lo stesso termine "non profit" viene elaborato per considerare dentro un unico contenitore, connotato dalla comune caratteristica di "organizzazioni non aventi scopo di lucro" (dall'inglese NOT FOR PROFIT al neologismo non profit), sia le organizzazioni di impresa sociale che quelle operanti in gratuità (in inglese NO-PROFIT = nessun profitto). Da allora, sia nel parlare che nello scrivere i due termini non profit e no-profit , ben distinti nel significato, si usano con estrema disinvoltura in modo inappropriato e con effetto mistificante.
Il crescendo di una "linea economica" che si incunea nel volontariato, ha visto, dal 1991 in poi, pur partendo dal "niente soldi diretti alle organizzazioni", dapprima "alcuni progetti annualmente finanziati dall'Osservatorio Nazionale" (composto da membri di grandi organizzazioni), poi i finanziamenti a progetti locali di organizzazioni locali da parte dei Centri di Servizio ed in ultimo, proponendo modifiche alla legge quadro per le quali risulterebbero beneficiarie dei fondi anche organizzazioni che erogano rimborsi forfettari ai loro "volontari".
Se, infatti, si guardano le caratteristiche di quelle realtà che oggi sono finanziate dalle istituzioni pubbliche come Organizzazioni di Volontariato, si trova sempre meno gratuità, azione a favore di terzi in difficoltà, e sempre più impresa sociale, auto-aiuto, associazionismo di tempo libero o educazione, advocacy molto acclamante ma meno in contatto con la realtà dei "difesi".
Tutto questo mondo si veste così talmente bene di volontariato che i volontari, quelli delle gratuite e altruistiche relazioni di condivisione e di promozione di chi è nel disagio, cominciano a far fatica a riconoscersi, incontrarsi o a collaborare e far valere il loro indispensabile apporto, integrativo di qualsiasi altro tipo di intervento sociale e non concorrenziale o alternativo come spesso accade.
Del resto il mondo del non profit non ha talora tralasciato, negli ultimi dieci anni, di avvalersi dei contributi di insigni studiosi e ricercatori per mostrare i diversi volti del volontariato continuando, nello stesso tempo a celebrare la fine di quel volontariato che inizialmente si è voluto riconoscere e sostenere.
Nel decennio 1990-2000 non sono stati fatti grandi passi avanti nell'offerta di formazione e nel supporto qualificante alle piccole e grandi organizzazioni del volontariato da parte dei Centri di Servizio. Questi, forse perché in buona parte espressione del terzo settore e del privato sociale più imprenditoriale, si sono caricati di tecnici e di consulenti limitandosi ad erogare consulenze legali e fiscali ad un volontariato sempre più preoccupato di registrarsi e sempre più lontano dalla sua autentica funzione di approccio diretto col disagio: fattore in cui si può riscontrare la causa del suo declino. Di fatto, alcune indagini e certe disamine partono sempre più da contesti molto vicini a grandi imprese e molto ben collaboranti con le imprese sociali, ma soprattutto sempre più lontani dai contesti di esclusione in cui invece le persone che vi sono relegate incontrano ancora molti volontari.

3. Il dono di autentiche e solidali relazioni di aiuto
Le nuove e vecchie povertà, sempre più frutto dell'indifferenza e della perdita dei valori e della prossimità fra gli uomini, evidenziano invece il bisogno ineludibile di un aiuto che instauri relazioni umane significative con chi è nel disagio, lacerato dai dinamismi devastanti e feroci insiti nell'odierna vita sociale, e che, su queste relazioni autentiche, fondi percorsi di speranza, di liberazione e di riscatto avvalendosi di tutte le possibili risorse della solidarietà organizzata e diffusa. Il ruolo chiave del volontariato riparte dalle persone e dai gruppi che, senza ricerca di tornaconto personale e professionale, offrono agli altri, fuori dai diversi obblighi - di parentela, associativi o mutuali - una condivisione ed una presa in carico del disagio per dare una risposta senza umiliare le risorse ed il legittimo protagonismo di chi soffre rispetto alla propria vicenda di vita personale e familiare.
Quali relazioni significative, continuative e di fiducia possono instaurarsi con chi è nel disagio, sulla base del rispetto di bilanci d'impresa? Questi pur necessari approcci ai problemi degli esclusi acquistano potere ed incidenza nelle situazioni di disagio solo se e quando mediati dall'apporto stimolante e rigenerante di autentiche relazioni d'aiuto basate soprattutto sulla fiducia in chi è nel bisogno e sul sentire quel bisogno come una condivisa condizione di disagio da affrontare e superare insieme: su questo sentire si fonda la gratuità e il dono dei volontari e su questa gratuità si riescono a costruire alleanze di fiducia e di speranza con i poveri della terra e di ogni condizione umana.
E' questa prospettiva e questa alleanza che può fare dei volontari persone esperienzialmente coscienti delle contraddizioni e delle ingiustizie sociali e porli come vigili sensori e propugnatori di giustizia sociale, a fianco di chiunque voglia genuinamente battersi per questa causa!

(..) La tappa di Arezzo, carica di attenzioni anche istituzionali, in Italia e in Europa, ad esperienze nuove (servizio civile volontario) o rinnovate (protezione civile), oltre che ad un quadro legislativo sul volontariato in evoluzione - seppur limitato al rapporto tra Istituzioni e organizzazioni - può costituire un momento importante di confronto e discussione su alcuni problemi del volontariato italiano: la deriva del gratuito, il problema dei 'registri', il sogno e la realtà dei 'Centri di servizio', che non possono sostituire la rappresentanza del volontariato, la necessità di distinguere il 'Terzo settore' dal volontariato, il problema educativo dei giovani al e nel volontariato, le modalità di partecipazione attiva dei volontari ai tavoli territoriali e ai diversi livelli della programmazione politica, spazi di rappresentanza per il volontariato di advocacy, la necessità di altri supporti (…).

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Sulla proposta di riforma psichiatrica. L’appello di Psichiatria Democratica
Psichiatria democratica - www.psichiatriademocratica.com

La proposta di legge Burani-Procaccini privilegia la difesa sociale ed il controllo, rilanciando il concetto di pericolosità. Infatti:
- prevede "l'inserimento coatto in una struttura protetta" quando i comportamenti della persona" affetta da disturbi mentali costituiscono rischio per sé o per gli altri";
- stabilisce la separazione tra divisioni ospedaliere psichiatriche e servizi territoriali, azzerando il concetto della centralità territoriale e dell'integrazione degli interventi in salute mentale, sancito dalla legge 180;
- esaspera l'aspetto medico-ospedaliero quando pre vede che "la divisione…si articola in area di degenza per acuzie, area di degenza post-acuzie e riabilitazione precoce, area degenze specializzate per patologie specifiche, are degenza diurna per sub acuzie" (art. 6);
- restringe fortemente la libertà personale, violando un diritto fondamentale sancito dalla Costituzione Italiana, quando prevede che il Trattamento Sanitario Obbligatorio Urgente (TSOU) può essere effettuato anche per affezioni non psichiatriche, per "patologie fisiche o per soggetti anziani ultrasessantenni". Il TSOU, per il quale scompaiono le garanzie a favore del paziente, può essere esteso a persone con problemi di alcol e tossicodipendenza (art. 7);
- espropria il Giudice Tutelare dei compiti di difesa e garanzia della libertà individuale, relegandolo al ruolo di una "Commissione con funzioni ispettive e di controllo" (art. 7);
- stabilisce, per ogni Regione; la costituzione di almeno 3 strutture residenziali ad alta protezione, ciascuna di 20 letti, "per accogliere le persone affette da gravi psicopatologie e che rifiutino l'inserimento in altre strutture e comunità", dove sono ricoverati anche "i malati destinati all'ospedale psichiatrico giudiziario". "Dovranno essere dotate di aree residenziali protette per assicurare il rispetto dello svolgimento di eventuali misure di sicurezza emesse dalla Autorità Giudiziaria";
- ripropone l'ergoterapia e la rieducazione forzata, squalificando l'impresa sociale, quando considera la remunerazione del lavoro come un optional ("eventuali compensi devono essere assegnati al paziente che ha svolto il lavoro", art. 8)
- riserva alla gestione pubblica i soli interventi di urgenza ed emergenza nonché quelle di ispezione sulle strutture private, possibile anche una sola volta ogni due anni (art. 9),
- riapre concretamente i manicomi quando prevede che "le aree e gli edifici degli ex Ospedali psichiatrici sono utilizzati per la realizzazione di strutture in favore delle persone affette da disturbi mentali" (art. 12).
Questi sono i motivi principali per cui Psichiatria Democratica ritiene fermamente che questo testo sia inemendabile e, sulla base di una trentennale esperienza pratica di lavoro nei servizi, inapplicabile perché incapace di affrontare e risolvere i problemi degli utenti e delle loro famiglie.

L'Italia è oggi un Paese senza manicomi
Questa grande scelta di civiltà e di progresso è stata possibile anche perché è ormai sedimentata nella nostra cultura la consapevolezza che non ci si prende cura delle persone con disturbi psichici rinchiudendole e privandole della loro libertà, ma ascoltandole e trovando concrete risposte ai loro bisogni.
La proposta di legge Burani-Procaccini, riproponendo il concetto di pericolosità dei malati mentali, ricaccia il vivere civile a cento anni fa: si torna, nei fatti, alla "legge speciale" del 1904, fondamento degli orrori ben noti dei manicomi. E' un salto indietro, nel buio, per tante persone affette da disagio mentale il cui diritto ad essere curate dignitosamente sul territorio è violato.
Se questa legge dovesse sciaguratamente essere approvata, anche i familiari ne soffrirebbero, nel vedere i loro congiunti sottoposti ad obblighi ed imposizioni, ridotti ad oggetto in mano ad una psichiatria che opprime.
Le parole: "controllo", "obbligatorio", "forze dell'ordine", spesso adoperate, sono più adatte ad una legge di polizia che ai bisogni socio-sanitari dei cittadini sofferenti e le stesse strutture residenziali indicate, dove si prevede non la vita ma solo controllo e segregazione, assomigliano più a caserme, più a carceri, con regole rigide, che a luoghi che accolgono e curano.
Questa proposta, postulando un controllo ossessivo sul comportamento del paziente, induce e stimola regressione, sofferenza addizionale, opposizione, determinando la circolare risposta più repressiva del sistema, come ormai ben noto: il paziente, cioè, "diviene pericoloso" man mano che trova insopportabile la detenzione.
Meraviglia che la Burani-Procaccini sia presentata come un'innovazione quando ripete tutte le procedure del paradigma manicomiale. Infatti la suddivisione in "aree di degenza" esige che il paziente si adatti a strutture separate che ricordano decisamente l'organizzazione di un'istituzione totale, con i suoi reparti diversificati sulla base del comportamento.

Psichiatria Democratica rifiuta categoricamente la logica del nuovo internamento che è alla base di ciascun articolo di questa proposta, che farebbe uscire l'assistenza psichiatrica dal circuito dei servizi pubblici a favore dello sviluppo di aggregazioni private, cui affidare la custodia delle persone.
L'impegno di Psichiatria Democratica contro il testo Burani-Procaccini va al di là dello specifico della psichiatria: è una battaglia di civiltà contro un sistema istituzionalizzato che produrrebbe sequestri di persona, sottraendo alla magistratura il ruolo di garante dei diritti.
In questi trent'anni, nonostante enormi ostacoli frapposti dai "padroni" dei manicomi e delle cliniche private sempre pronti a trarre profitto dalla sofferenza delle persone e dai drammi delle famiglie, si sono realizzate in Italia, al Nord, come al centro, come al Sud, esperienze di grande livello qualitativo, che molti paesi nel mondo stanno imitando.
Non si vogliono negare alcune mancate risposte ai bisogni di salute mentale della gente, soprattutto nelle grandi aree urbane. Deve essere chiaro, però, che questo dipende principalmente dalla mancata attuazione del Progetto Obiettivo Nazionale 1998-2000 "Tutela della Salute Mentale", a causa della scarsità e della sottrazione delle risorse necessarie.
Stupirebbe che questa maggioranza parlamentare, dopo aver bocciato un emendamento alla precedente Legge Finanziaria, che tendeva a vincolare una quota appena sufficiente del Fondo Sanitario per realizzare o potenziare i Dipartimenti di Salute Mentale, volesse adesso cimentarsi nella discussione di una proposta di legge, la quale, oltre che pericolosa per gli elementari diritti di cittadinanza, richiederebbe per la sua applicazione un'enorme quantità di risorse economiche aggiuntive.

Psichiatria Democratica, esprime il proprio sostegno e l'attiva solidarietà agli utenti, ai loro familiari e a quegli operatori che, attraverso il loro duro lavoro accanto a chi soffre, hanno dimostrato che è possibile far Salute Mentale vicino alla gente, senza avere mai più bisogno di vecchi o nuovi manicomi.
Lancia un appello a tutti coloro che hanno a cuore la difesa dei più deboli e la lotta contro ogni forma di repressione di impegnarsi affinché il disegno di legge Burani-Procaccini non sia tramutato in legge dello Stato.

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