Appunti n.144
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Ripartire dai diritti. Diritto all'assistenza e diritto alla salute alla luce della riforma del titolo V della Costituzione
Mauro Perino, Direttore Consorzio Intercomunale
Servizi alla Persona (CISAP), Collegno e Grugliasco (TO)
Le imponenti novità derivanti dalla modifica della Costituzione
innovano in modo sostanziale anche in riferimento ai settori dell'assistenza
sociale e della sanità. L'analisi di alcuni recenti provvedimenti legislativi
nella prospettiva della tutela dei soggetti deboli
La riforma costituzionale
Con le leggi costituzionali n.1 del 1999 e n.3 del 2001 è stato fortemente innovato
il titolo V della parte II della Costituzione. Le nuove disposizioni costituzionali
sono tese a dare pieno riconoscimento e valorizzazione agli Enti locali sulla
base del principio di sussidiarietà. La posizione dei Comuni, delle Province,
delle Città metropolitane muta in modo rilevante e questi enti vengono a collocarsi
- in base al nuovo testo dell'articolo 114 della Costituzione - sullo stesso
livello costituzionale delle Regioni e dello Stato (con i quali costituiscono,
al medesimo titolo, la Repubblica).
Il secondo elemento di grande novità è rappresentato dal nuovo testo dell'art.
117 che parifica la potestà legislativa statale e quella regionale - non più
sovraordinate l'una all'altra ma distinte tra loro solamente per i diversi ambiti
di competenza - assogettando entrambi i soggetti al rispetto della Costituzione,
dell'ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali. Inoltre, la competenza
legislativa esclusiva dello Stato è ora limitata a 17 materie e in quella concorrente,
allo Stato spetta - fatta salva la potestà legislativa delle Regioni - la sola
determinazione dei principi fondamentali. In buona sostanza sono le Regioni
e i legislatori regionali a essere titolari della competenza generale prima
assegnata alla legge statale. E' ben vero - come osserva Francesco Pizzetti
- che "alcune materie in cui è stabilita la competenza esclusiva del legislatore
statale si configurano come 'materie trasversali' e dunque pervasive di ampi
settori dell'ordinamento (si pensi ad esempio alla tutela della concorrenza
e alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale)" ma in ogni caso si può affermare che, nel nuovo sistema, non esiste
più la legge come fonte normativa subcostituzionale dotata di un potere unificante
nell'ambito delle materie regolate e disciplinate dalla legge stessa.
Il terzo elemento innovativo attiene alla potestà regolamentare che spetta allo
Stato nelle materie di legislazione esclusiva ed alle Regioni in ogni altra
materia. Ai Comuni, alle Province ed alle Città metropolitane spetta inoltre
l'esercizio del potere regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione
e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite secondo i criteri fissati
dal nuovo testo dell'articolo 118 secondo il quale "Le funzioni amministrative
sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano
conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base del principio
di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza". Inoltre i Comuni, le Province
e le Città metropolitane - titolari di funzioni amministrative proprie e di
quelle conferite con legge statale e regionale secondo le rispettive competenze
- le esercitano favorendo "l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati,
per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio
di sussidiarietà".
Pur competendo in via esclusiva allo Stato la determinazione delle funzioni
fondamentali dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane, si può
ben dire che gli Enti locali (ed i Comuni in particolare) hanno oggi quella
competenza generale (intesa come competenza residuale) all'esercizio delle funzioni
amministrative che prima apparteneva allo Stato stesso.
L'impatto sulla legge 328/2000…
La riforma del titolo V° della Costituzione lascia alle regioni la possibilità
di legiferare in materia di "assistenza sociale" anche approvando norme difformi
dalla legge quadro nazionale. Con la legge di riforma costituzionale vengono
inoltre definitivamente trasferite al welfare municipale le responsabilità gestionali
e finanziarie del welfare di stato, accentuando in tal modo i processi di differenziazione
dei livelli di prestazioni fornite sia a livello delle regioni che dei comuni.
In attesa che lo Stato - avvalendosi della competenza legislativa esclusiva
- determini livelli essenziali delle prestazioni, da garantire su tutto il territorio
nazionale, più definiti e cogenti di quelli genericamente elencati all'articolo
22 della legge 328/2000 è auspicabile che il legislatore regionale svolga i
propri compiti nel pieno rispetto del dettato dell'articolo 38 della Costituzione.
Alle Regioni si richiede in sostanza di assicurare - nel proprio ambito territoriale
- il diritto soggettivo "al mantenimento e all'assistenza sociale" di "ogni
cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere" ricordando
che "un diritto 'subordinato alle risorse' è semplicemente un non diritto" ed
inoltre che "il diritto soggettivo si differenzia dal semplice interesse o dalla
semplice aspettativa per il fatto di essere esigibile, cioè per l'esistenza
nell'ordinamento di mezzi che ne garantiscano l'attuazione" .
La legge 328/2000 - ponendo il limite delle risorse finanziarie e patrimoniali
disponibili alla programmazione ed organizzazione del sistema integrato - non
assicurava la piena esigibilità di tale diritto da parte di cittadini individuati
dall'articolo 38 della Costituzione ma assumeva il criterio della priorità di
accesso per "i soggetti in condizioni di povertà o con limitato reddito o con
incapacità totale o parziale di provvedere alle proprie esigenze per inabilità
di ordine fisico e psichico, con difficoltà di inserimento nella vita sociale
attiva e nel mercato del lavoro, nonché i soggetti sottoposti a provvedimenti
dell'autorità giudiziaria che rendano necessari interventi assistenziali" .
Ai minori privi delle cure familiari, ai disabili intellettivi, agli anziani
non i grado di provvedere alle proprie esigenze, alle gestanti e madri in difficoltà
ed a tutte le persone che necessitano di prestazioni specifiche per uscire dalla
schiavitù dell'emarginazione, non basta assicurare che non verranno esclusi
e che non saranno ostacolati da barriere informative, culturali o fisiche nell'accesso
ai servizi . La normativa regionale può (e deve, pena un arretramento rispetto
a quanto si è realizzato negli ultimi vent'anni in applicazione dell'articolo
23 del D.P.R 616/77) prevedere che a queste persone vengano in ogni caso garantite
le prestazioni necessarie. A tal fine è inoltre necessario che si provveda,
a livello regionale, alla puntuale quantificazione delle risorse finanziarie,
umane e patrimoniali che devono venire obbligatoriamente destinate alla realizzazione
di tali servizi da parte degli enti locali titolari delle funzioni sociali.
…e quello sui "LEA - livelli essenziali di assistenza sanitaria"
Successivamente all'approvazione della legge 328/2000 ed in attuazione dell'art.3
septies del D.Lgs. 502/192 e s.m.i - è stato emanato il D.P.C.M 14.02.2001 "Atto
di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio-sanitarie". Il
decreto "Amato-Turco-Veronesi" ridefinisce i confini delle prestazioni socio-sanitarie
e introduce nuovi criteri di ripartizione della spesa tra ASL e Comuni. Con
il D.P.C.M si "transitano" inoltre le competenze su alcune "categorie" di cittadini
dal comparto sanitario a quello socio-sanitario (con conseguente accollo degli
oneri di intervento relativi alle attività ritenute non strettamente sanitarie
ai Comuni). All'utenza già individuata dalle Regioni in applicazione del precedente
atto di indirizzo - rappresentata dall'area materno infantile, dai disabili,
dagli anziani cronici non autosufficienti - si aggiungono: le persone non autosufficienti
con patologie cronico degenerative; i soggetti dipendenti da alcool e da droga;
gli affetti da patologie psichiatriche; gli affetti da H.I.V. Il servizio sanitario
mantiene a completo carico solamente le "prestazioni e trattamenti palliativi
in regime ambulatoriale domiciliare, semiresidenziale, residenziale" dei pazienti
terminali.
Il 22 novembre 2001 la "Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano" esprime parere favorevole
allo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri - elaborato
in accordo con i Ministri della Salute, dell'Economia e delle Finanze (il Ministero
del "welfare" non è coinvolto) - sui "livelli essenziali di assistenza sanitaria".
La principale novità del provvedimento - emanato ai sensi dell'articolo 6 del
decreto legge 18 settembre 2001 n.347, convertito in legge 16 novembre 2001,
n. 405 (G.U, n.268 del 17/11/2001) - è costituita dall'inserimento di alcune
prestazioni strettamente sanitarie tra quelle ("assistenziali") che il decreto
"Amato-Turco-Veronesi" assoggetta alla contribuzione, in percentuale, da parte
del cittadino e del comune.
Grazie al "combinato disposto" dei due decreti, si accollano direttamente ai
cittadini ed in seconda istanza ai comuni le spese per prestazioni sanitarie
- fondamentali per la tutela della salute - che vengono, evidentemente, considerate
"accessorie" rispetto ai "livelli essenziali di assistenza sanitaria" .
La "tutela della salute" è però - in base alla riforma costituzionale - materia
di legislazione concorrente: spetta cioè alle Regioni legiferare, salvo il rispetto
dei principi fondamentali la cui determinazione è riservata alla legislazione
dello Stato. A questo proposito giova ricordare che sono tutt'ora vigenti i
principi indicati dall'articolo 1 della legge 23 dicembre 1978, n.833 che così
recita "La repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo
e interesse della collettività mediante il servizio sanitario nazionale. La
tutela della salute fisica e psichica deve avvenire nel rispetto della dignità
e della libertà della persona umana. Il servizio sanitario nazionale è costituito
dal complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività
destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica
e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali
o sociali e secondo modalità che che assicurino l'eguaglianza dei cittadini
nei confronti del servizio. L'attuazione del servizio sanitario nazionale compete
allo Stato, alle regioni e agli enti locali territoriali, garantendo la partecipazione
dei cittadini. Nel servizio sanitario nazionale è assicurato il collegamento
ed il coordinamento con le attività e con gli interventi di tutti gli altri
organi, centri, istituzioni e servizi, che svolgano nel settore sociale attività
comunque incidenti sullo stato di salute degli individui e della collettività.
Le associazioni di volontariato possono concorrere ai fini istituzioanli del
servizio sanitario nazionale nei modi e nelle forme stabiliti dalla presente
legge".
In buona sostanza, se lo Stato vorrà modificare i principi sui quali si fonda
il sistema di tutela della salute dovrà farlo con una legge e non utilizzando
dei decreti amministrativi. Se le Regioni vorranno normare la materia dell'integrazione
socio - sanitaria dovranno, a loro volta, intervenire con proprie leggi, nel
rispetto dei principi fissati dalla legge 833/78 e garantendo la partecipazione
dei cittadini. Se poi il potere politico (legislativo ed amministrativo) non
vorrà porsi come primo garante del diritto alla salute, al cittadino - ed al
Comune che lo rappresenta - non resterà che utilizzare lo strumento giudiziario
"non per sostituire la via giudiziaria a quella politica, ma per rimediare alle
inerzie e omissioni dell'amministrazione e per richiamarla (ferma la discrezionalità
che le compete) ai vincoli che la Costituzione le impone"
Sussidiarietà e diritti: il ruolo dei Comuni
L'impianto normativo in materia di sanità e di assistenza che è venuto delineandosi
negli ultimi anni va a mettere in discussione il principio (già abbondantemente
intaccato) "per cui dei servizi statali - primi fra tutti i servizi del welfare
- deve fruirsi per 'diritto'" . Si è infatti in gran parte realizzato il passaggio
dal welfare di stato al welfare municipale, attraverso il quale è la comunità
locale che viene chiamata a "prendersi cura" di se stessa essenzialmente per
far fronte alla riduzione delle risorse rese disponibili dal sistema nazionale
di sicurezza sociale.
E' però assolutamente indispensabile che il principio di sussidiarietà - definitivamente
introdotto nel nostro sistema costituzionale dal nuovo articolo 118 della Costituzione
- non venga inteso come il prevalere "della beneficenza" o del "sociale degli
affari" sul "sociale dei diritti" ma, semmai, come "restituzione di competenza"
alla comunità locale. Il tema della sussidiarietà - come quelli connessi del
federalismo e della governance - non può "essere ridotto semplicemente al tema
della prossimità territoriale e nemmeno a quello della semplice suddivisione
del potere: si tratta invece di superare la stessa centralità della dimensione
del potere, non per un astratto dover essere, ma per una più concreta comprensione
del reale. Se si supera la dicotomia società / stato si superano anche le obiezioni
rivolte al federalismo da parte di coloro che in esso ravvisano semplicemente
uno scontro tra gli interessi dei gruppi: non è di questo federalismo che si
tratta, ma di un complesso intreccio di aggregazioni di soggettività, che sono
caricate di dignità e anche di responsabilità politica". Proprio con riferimento
alla responsabilità politica delle istituzioni repubblicane va ribadito con
forza che:
il Servizio sanitario deve assicurare "attraverso le risorse finanziarie pubbliche
individuate ai sensi del comma 3 e in coerenza con i principi e gli obiettivi
indicati dagli articoli 1 e 2 della legge 23 dicembre 1978, n.833, i livelli
essenziali e uniformi di assistenza definiti dal Piano sanitario nazionale nel
rispetto dei principi della dignità della persona umana, del bisogno di salute,
dell'equità nell'accesso all'assistenza, della qualità delle cure e della loro
appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze, nonché dell'economicità nell'impiego
delle risorse"
nella leggi con le quali le Regioni normeranno l'integrazione tra servizi sociali
e servizi sanitari - auspicabilmente nel rispetto delle titolatità delle competenze
- deve essere pienamente applicato il disposto costituzionale che prevede la
valorizzazione del ruolo dei Comuni, in particolare con riferimento alla "verifica
del raggiungimento dei risultati di salute definiti dal Programma delle attività
territoriali" che viene "proposto sulla base delle risorse assegnate e previo
parere del Comitato dei sindaci di distretto, dal direttore generale, d'intesa,
limitatatamente alle attività socio sanitarie, con il Comitato medesimo e tenuto
conto delle priorità stabilite a livello regionale"
La definizione di assetti più funzionali alla gestione delle attività socio-sanitarie
- che consentano l'effettivo esercizio di una programmazione partecipata da
parte della comunità locale - non può dunque che avvenire attraverso la piena
applicazione dell'articolo 3-quater del D.Lgs.502/92 e s.m.i che individua nei
Comitato dei sindaci di distretto l'organismo istituzionale più idoneo alla
tutela del diritto alla salute a livello locale. Attraverso questo strumento
- l'unico al quale la vigente normativa nazionale in materia di sanità assegna
un qualche potere, sarà forse possibile, ai Comuni, adottare "sul piano territoriale
gli assetti più funzionali alla gestione, alla spesa ed al rapporto con i cittadini
per consentirne l'esercizio del diritto soggettivo a beneficiare delle… prestazioni"
.
Ben sapendo che "la logica dei diritti è arrivata qua e là, al capolinea di
una avvincente parabola storica, che è condannata a zoppicare perché è costitutivamente
in imbarazzo quando deve garantire differenze, che è malata di occidentalità
e di occidentalismo, ma che nel suo insieme va superata solo da chi voglia conservarla,
rimodularla e potenziarla. Forse va presa per quello che è: non uno slogan per
tutte le stagioni, magari nemmeno il telaio di un programma politico onnicomprensivo,
ma certo una trincea. Chi la difende non fa la rivoluzione, ma chi la abbandona
sceglie di avventurarsi nella notte".
(indice)
Tutela dei soggetti deboli
nelle politiche socio sanitarie della Regione Marche
Gruppo Solidarietà
Riportiamo di seguito due documenti, del 27 e del 6 novembre 2002, del Gruppo
Solidarietà riguardanti la Proposta di Piano Sanitario regionale 2003-05
e Le linee guida sulla predisposizione dei Piani di zona. I due documenti seguono
altri analoghi documenti che fanno riferimento a proposte regionali o chiedono
di intervenire su specifici punti (1) in particolare riguardo il riconoscimento
della titolarità sanitaria di tutti gli interventi e servizi per adulti
e anziani colpiti da malattia cronica e non autosufficienza. Vedi anche in questo
numero a pag. 2.
Osservazioni alla proposta di Piano Sanitario Regionale 2003-2005 (27
novembre 2002)
Le osservazioni che seguono hanno come riferimento la bozza (18 ottobre 2002)
di PSR 2003-2005, "Un welfare marchigiano universale, equo, solidale e di qualità",
letta in stretta connessione con atti e documenti degli assessorati alla sanità
ed ai servizi sociali. In particolare ci si riferisce alle tabelle "Long term
care" dell'assessorato alla sanità dello scorso settembre nelle quali si stimano
anche i costi sanitari del sistema residenziale extraospedaliero, al documento
"Prospettive del welfare marchigiano" (maggio 2002); all'approvazione della
recente legge sull'autorizzazione l'accreditamento delle strutture sociali,
nonché alle bozze dei Regolamenti attuativi delle strutture normate dalla stessa
legge. La lettura che viene fatta assume come prospettiva quella degli interventi
rivolti a soggetti in particolare situazione di debolezza che necessitano a
diversi livelli di interventi e servizi volti a tutelare il loro stato di salute.
La situazione attuale. Riguardo le residenze extraospedaliere previste
dal PSR 1998-2000 ricordiamo che ad oggi non sono definiti (stralciati dal Manuale
di autorizzazione) gli standard di personale per RSA demenze, RST, NAR. Per
le RSA anziani rimangono in vigore la Del. 3240/90 e la L. R. 36/1995; entrambe
definiscono standard assistenziali tra di loro molto diversi; la legge 36 definisce
anche standard strutturali ed organizzativi peraltro in forte contrasto con
le norme inserite nel manuale di autorizzazione. La stessa quota alberghiera
a carico degli utenti viene stabilita (ad eccezione delle Rsa derivanti dalla
disattivazione del 1992, che fanno riferimento alla DGR 3240/1992) senza alcuna
indicazione regionale. In realtà per queste ultime strutture la previsione della
quota alberghiera (che scatta dal 90º giorno se proveniente dall'ospedale, dal
1º se proveniente dal domicilio), è del tutto iniqua in quanto l'utenza che
vi afferisce è del tutto assimilabile a quella delle strutture di riabilitazione
e lungodegenza. Per le RSR e le RSA disabili il Manuale di autorizzazione fa
riferimento ad un numero complessivo di minuti di assistenza (180 m/die per
RSR intensive, 140 m/die per RSR estensive ed RSA disabili), senza specificazione
riferita alle figure professionali di riferimento. Contemporaneamente 3000-3500
anziani anche gravemente malati e non autosufficienti sono ricoverati presso
strutture assistenziali autorizzate per la sola accoglienza di soggetti autonomi
con una assistenza sanitaria (presenza infermieristica, riabilitativa, accessi
del medico), regolamentata con il criterio dell'ADI.
La prospettiva del riordino. La regione attraverso i documenti sopra citati
sta ridisegnando una offerta di servizi sanitari e sociosanitari che ha il seguente
principio ispiratore "Nelle fasi di sviluppo della malattia (diagnosi
precoce - acuzie/post-acuzie - riabilitazione) le componenti tecniche svolgono
il ruolo determinante per favorire il recupero della salute e/o la minimizzazione
del danno. Più intenso è il contributo della componente sanitaria nelle fasi
di acuzie, mentre sempre più rilevante è l'impegno della componente sociale
man mano che ci si allontana dalla fase acuta, qualora permangono esiti più
o meno invalidanti. Il ruolo della componente politica è quello di monitorare
periodicamente, in collaborazione con i vari attori sociali territoriali, l'accessibilità,
la fruibilità e la qualità "percepita" dagli utenti dei servizi. Ritorna rilevante
il ruolo della componente politica al pari di quella degli operatori sociali
negli stati di cronicità permanente, in cui diventa fondamentale la garanzia
della costruzione e della manutenzione delle reti di protezione sociale ai soggetti
'fragili'" (Bozza PSR, Prospettive welfare marchigiano).
Si assegna così al sistema sociale (fatta salva una quota sanitaria nel costo
dei servizi) la competenza in tutte le situazioni di cronicità e non
autosufficienza con un lento e progressivo disimpegno del sistema sanitario
in termini di servizi e prestazioni; ; si pongono così le basi per il disegno
di un sistema che prefigura una competenza (titolarità istituzionale) del settore
sanitario in maniera esclusiva nella fase acuta e post acuta della malattia,
affidando al "sistema sociale", la gestione di tutti gli interventi rivolti
a soggetti anche gravemente malati colpiti da malattie croniche che producono
non autosufficienza (malati di Alzheimer, persone con grave patologia psichiatrica,
adulti e anziani totalmente non autosufficienti, ecc…).
Tutto questo è assolutamente evidente nella scelta di assegnare alle Residenze
protette, la funzione delle RSA delegandole la risposta per tutte le situazioni
di non autosufficienza non curabili a domicilio. Ciò è tanto più chiaro se si
pensa che le residenze protette del sistema sociale (vedi legge autorizzazione
e regolamenti attuativi), che sostituiscono i NAR e che di fatto assumono la
funzione di RSA "che devono diventare parte di un sistema di servizi (..) dove
svolgono funzioni di carattere eminentemente sanitario e per un limitato periodo
di tempo", vengono normate direttamente dal settore sociale, senza alcuna interferenza
del settore sanitario, al quale evidentemente non si riconosce (e sicuramente
la sanità ne è ben felice) alcuna competenza regolamentare riguardo servizi
rivolti a persone malate croniche e non autosufficienti.
Il sistema ospedaliero di riabilitazione e lungodegenza. La proposta
di PSR dichiara la necessità di raggiungere la dotazione (fissata dalla normativa
nazionale) di un posto letto per mille abitanti per la funzione riabilitazione
lungodegenza (per 1470 posti letto complessivi). Se per la funzione di lungodegenza
si prevede l'attivazione dei 648 p.l. (il problema è come fare in modo che tale
riconversione non sia esclusivamente nominale); diversa è la situazione riguardante
la riabilitazione perché in modo non corretto vengono conteggiati all'interno
dei posti letto ospedalieri anche posti letto extraospedalieri (addirittura
con carattere estensivo), di fatto lasciando inalterata l'attuale offerta di
posti letto ospedalieri di riabilitazione. Non si può pertanto dire che "si
intendono superare i parametri programmatori del PSR 1998-2000", in quanto i
421 p.l. previsti, seppur non realizzati, di riabilitazione (circa 0,30 per
mille) ospedaliera sono addirittura superiori a quelli ora indicati che si assestano
intorno ai 200. E dunque con questa previsione di p.l. si continua a non rispondere
ai problemi posti dall'accorciamento dei tempi di degenza, indotto dal sistema
di remunerazione dei ricoveri ospedalieri (che) genera un crescente bisogno
di dimissioni protette, in assenza delle quali si determina un vuoto assistenziale
che è spesso causa anche di discontinuità delle cure riabilitative, discontinuità
al cui superamento possono contribuire le strutture del sistema residenziale
così come riaffermato dalla proposta di Piano. Dunque la proposta di PSR finge
di proporre un potenziamento della riabilitazione ospedaliera indicando uno
standard dello 0,5 p.l. per 1000 abitanti, confermando invece pari pari la situazione
esistente (dunque già si sta rispettando l'indicazione dello 0,5) trasferendo
funzioni extraospedaliere all'interno del sistema ospedaliero e riconducendovi
addirittura i posti letto classificati come RSR estensive. Il PSR, dunque, al
di la dei numeri indicati propone il mantenimento dell'attuale, insufficiente,
offerta riabilitativa ospedaliera, ritenendola quindi sufficiente a coprire
i bisogni riabilitativi residenziali dei soggetti in post acuzie. In sintesi,
la previsione di posti letto ospedalieri di riabilitazione e lungodegenza si
assesta intorno allo 0,65 per mille (di cui circa 0,15 di riabilitazione). A
questo punto viene il dubbio che lasciata inalterata l'offerta di p.l. di riabilitazione,
un trasferimento automatico di molti dei p.l. di medicina in quelli di lungodegenza
(con degenze indicative di 60 giorni) determini una situazione del tutto analoga
all'attuale.
Il sistema residenziale. Correttamente la proposta di PSR, abbandona
l'idea di realizzare le Residenze Sanitarie Terapeutiche (anche se sarebbe opportuno
non fare riferimento a sperimentazioni mai avvenute) a favore dei posti letto
di lungodegenza; non è però chiaro il passaggio in cui si afferma che questa
funzione potrà essere garantita anche in "strutture residenziali particolarmente
attrezzate". Si intende tentare ciò che si è proposto nella parte riguardante
la riabilitazione ospedaliera, classificando come lungodegenza posti letto classificati
come extraospedalieri? Considerato inoltre che questa definizione viene dopo
aver affermato che la lungodegenza potrà essere realizzata "all'interno di complessi
ospedalieri per acuti, in case di cura private, in ospedali in riconversione",
non pare facile capire quali potranno essere queste strutture residenziali
particolarmente attrezzate i cui posti andranno comunque conteggiati tra quelli
della lungodegenza. Sembra pertanto opportuno che venga fatta chiarezza.
RSA e Residenza protetta per adulti e anziani non autosufficienti. La
Residenza protetta (normata, secondo le indicazioni della legge sull'autorizzazione,
dal settore sociale) diventa la struttura deputata ad accogliere i soggetti
adulti e anziani non autosufficienti non curabili a domicilio (peraltro nella
legge, neanche si fa riferimento ad una condizione stabilizzata, ma si specifica
che si tratta di esiti). Come indicavamo, essa assume, nei fatti per
quanto riguarda gli anziani la funzione della RSA, giustificando in tal modo
la riduzione del 50% dei posti previsti dalla delibera sul fabbisogno e ritornando
ad una previsione di poco superiore a quella della prima bozza del PSR 1998-2000
che ne prevedeva 600. Peraltro gli 800 posti previsti includono anche i Nuclei
speciali Alzheimer senza alcuna specificazione quantitativa tra i due tipi di
servizi. Rispetto a quest'ultima malattia, dunque, nessuna previsione viene
fatta in ordine alla previsione di servizi diurni e residenziali. Ma in realtà
le indicazioni del PSR legittimano e riconoscono alle RSA la funzione di accoglienza
di pazienti non stabilizzati (così come sta avvenendo da oltre un decennio nel
territorio marchigiano); le riconoscono, anzi, un ricovero finalizzato alla
stabilizzazione delle condizioni cliniche, ai fini, nel caso di impossibilità
di rientro al domicilio, di un successivo trasferimento verso le residenze protette.
Dunque si disegna una RSA a carattere terapeutico riabilitativo con una chiara
degenza a termine. Nessun anziano, per quanto gravemente malato, secondo l'indicazione
della proposta di PSR, potrà risiedere dunque presso una struttura a titolarità
sanitaria, ma solo in una struttura normata dal settore sociale. Nulla in proposito
contano le indicazioni della normativa nazionale che si riportano.
Dal Progetto Obiettivo Anziani. Le Rsa "Costituiscono
una forma di risposta alle situazioni di bisogno sanitario di persone ultrasessantacinquenni
non autosufficienti o a grave rischio di non autosufficienza, che per ragioni
molteplici non possono essere assistite in ADI o OD (..) La denominazione Residenza
Sanitaria Assistenziale è stata preferita rispetto ad altre dizioni perché l'aggettivo
"sanitaria" sottolinea che si tratta di una struttura propria del SSN, a valenza
sanitaria, di tipo extraospedaliero (residenza), la cui gestione è finanziabile
con il FSN e di cui le USL possono garantire direttamente la gestione; l'aggettivo
"assistenziale", rimarca che la residenza ha anche una valenza socio-assistenziale
indiscibilmente connessa alla valenza sanitaria, il che legittima l'impiego
da parte del SSN di figure professionali di tipo sociale (..) Le RSA devono
essere realizzate tipologicamente secondo quanto descritto dal DPCM 22-12-89".
Dal DPR 14.1.1997. "Le Residenze Sanitarie Assistenziali sono
presidi che offrono a soggetti. non autosufficienti, anziani e non, con esiti
stabilizzati di patologie, fisiche, psichiche, sensoriali o miste, non assistibili
a domicilio, un medio livello di assistenza medica, infermieristica e riabilitativa,
accompagnata da un. livello "alto" di tutela assistenziale ed alberghiera generica
sulla base dei modelli assistenziali adottati dalle Regioni e Province autonome.
Le RSA sono destinate a soggetti non autosufficienti non curabili a domicilio,
portatori di patologie geriatriche, neurologiche e neuropsichiatriche stabilizzate.
Sono da prevedere: ospitalità permanenti, di sollievo alla famiglia non superiori
ai 30 giorni, di completamento di cicli riabilitativi eventualmente iniziati
in altri presidi.
Quando si parla di utenza differenziata (vedi riferimento al RUG), tra RSA e
RP ("alle RSA la gestione a medio termine (da 60 a 180 gg della post-acuzie)
di pazienti in via di stabilizzazione a prevalente impegno sanitario; alle Residenze
protette l'accoglienza, tendenzialmente definitiva, di pazienti non autosufficienti
cronici e stabilizzati con basso carico sanitario"), sembrerebbe logico
ci si riferisse a due strutture con funzioni analoghe differenziate per tipologia
di utenza (vedi la distinzione proposta nelle Rsa disabili); la distinzione
appare invece fuorviante; infatti per la prima si prevede una funzione assimilabile
alla lungodegenza (e quindi con un ricovero volto alla stabilizzazione; ci si
chiede anche come sia possibile proporre una differenziazione tra utenza della
lungodegenza e della RSA), per la seconda la gestione di malati teoricamente
stabilizzati con degenza permanente e con funzione di mantenimento. Dunque
anche la distinzione tra alto e basso carico sanitario che differenzierebbe
le due strutture pare indimostrabile. C'è infatti una fase della malattia (post
acuzie) nella quale si propone una differenziazione delle strutture; passata
questa fase (peraltro è noto che la condizione di "stabilizzazione" in soggetti
non autosufficienti con pluripatologie è spesso più teorica che reale), anche
se permane la necessità di "elevati livelli di tutela sanitaria" riconducibili
al ricovero in RSA, si afferma chiaramente che la struttura deputata alla gestione
di questi malati è la Residenza Protetta, una struttura per "pazienti con basso
carico sanitario". Quindi, come già è stato fatto cenno più sopra, per tutte
le condizioni di grave malattia e non autosufficienza per adulti e anziani non
autosufficienti, indipendentemente dalle condizioni cliniche, dopo un periodo
definito di ricovero in strutture sanitarie, si deve transitare verso le cosiddette
residenze protette, che, e qui si inserisce la differenza sostanziale, non potranno
avere standard sanitari di una certa rilevanza altrimenti diventerebbero (e
costerebbero) come le RSA. Ciò che cambierà rispetto alla situazione attuale
è soltanto che la struttura finale dei "non autosufficienti", non sarà l'illegittima
casa di riposo, ma la legittima residenza protetta, che dunque, in base
alla quota sanitaria sarà "autorizzata" a ricoverare qualsiasi situazione di
"non autosufficienza" (fino ad arrivare ai malati terminali, ed a stati comatosi,
ecc…).
Diventa dunque essenziale capire con quale livello assistenziale andranno a
funzionare queste strutture. Il solo riferimento alla presenza del MMG (almeno
6 ore - e dunque saranno sicuramente 6 - settimanali per 30 persone), indica
chiaramente a quale livello di tutela sanitaria vanno incontro queste persone
(a proposito avremmo piacere che tra le tante ricerche se ne potesse fare una
che analizzasse, anche in chiave economica: numero e motivo dei ricoveri ospedalieri
e/o dell'invio al Pronto Soccorso dalle residenze protette e dalle case di riposo
e i livelli di autosufficienza in ingresso in ospedale e in dimissione. Si ha
la convinzione che la stragrande maggioranza dei ricoveri sarebbe evitato da
un maggior livello di tutela sanitaria nelle strutture e che gran parte dei
soggetti inviati in condizione di parziale o totale autonomia rientrino con
un livello di autosufficienza fortemente ridotto rispetto all'ingresso). Ma,
altrettanto importante è capire (ad oggi non è così) anche con quali standard
assistenziali funzioneranno le RSA che gestiranno (o meglio continueranno a
gestire) soggetti in post acuzie. L'esperienza di questi dieci anni, questa
si, qualche cosa avrebbe dovuto insegnare circa la necessità di presidi con
presenza e competenza qualificata.
La proposta di Piano indica in circa 6000 le persone anziane "gravemente disabili"
nel territorio marchigiano. Una cifra che appare sottostimata se Il PO Anziani
indicava un bisogno di posti letto di Rsa pari al 2% (circa 6.300) della popolazione
ultrasessantacinquenne (circa 315.000 nella nostra regione). Siccome la gran
parte di anziani non autosufficienti vive in casa la previsione di 3.800 p.l.
(800 Rsa + 3.000 RP) appare di gran lunga sottostimata (circa 1,20% della popolazione
ultrasessanticinquenne) e di fatto fotografa il numero di soggetti parzialmente
o totalmente non autosufficienti ricoverati attualmente nelle residenze assistenziali
della nostra regione. Inoltre, assegnando alle Rsa una funzione assimilabile
alla lungodegenza di fatto la previsione si attesta intorno ai 3.000 posti letto.
Quanto alla definizione del costo retta nelle Residenze protette si ritiene
che la percentuale indicata nei LEA e nell'Atto di indirizzo pari al 50% tra
Asl e utenti/Comuni debba essere rivista, in ragione dell'utenza ospitata, con
una percentuale almeno del 60% a carico della sanità, così da arrivare ad una
quota a carico dell'utente o dei comuni non superiore alle 60.000 L. al giorno.
Le RSA disabili e le residenze del sistema sociale. Già si è detto dell'inserimento
all'interno del sistema ospedaliero di riabilitazione delle strutture extraospedaliere
ed anche di quelle oggi classificate come RSR estensive. Questa associazione
più volte aveva evidenziato come in molti casi attualmente l'utenza delle RSR
estensive e delle Rsa disabili fosse assimilabile. D'altra parte lo stesso Manuale
di autorizzazione le assimilava in termini di standard assistenziali. Ora
però si ripropone una distinzione (Gravi disabilità - accoglienza e mantenimento)
con una previsione (240 + 280) di 520 posti letto (circa l'attuale offerta RSA
e RSR estensiva), prefigurando due residenze con carattere di permanenza (in
una situazione peraltro in cui non è definita la capacità recettiva delle stesse,
permettendo comunque accorpamenti anche con altre tipologie di RSA, e dunque
riproponendo un modello istituzionale, si veda ad esempio la struttura Abitare
il tempo a Loreto), mentre contestualmente la legge sull'autorizzazione
delle strutture sociali indica due tipologie di residenze (Comunità protetta
e comunità socio educativa riabilitativa) entrambe rivolte a soggetti con gravi
disabilità. Se poi si aggiunge che nel materiale citato in premessa alle due
strutture della bozza di PSR si applicavano le indicazioni finanziarie previste
dall'atto di indirizzo sull'integrazione e dal DPCM sui LEA (70/30 per la prima
e 40/60 per la seconda rispettivamente a carico della sanità e dell'assistenza),
pare chiara una situazione di estrema confusione. Se già pare indefinibile una
differenziazione tra utenza della futura Residenza Protetta e delle attuali
RSA, impossibile pare andare a distinguere tra tre tipologie di residenze del
tutto assimilabili quanto a tipologia di utenza. Si ritiene pertanto, proprio
per la peculiarità delle strutture residenziali per i soggetti disabili che
occorra sviluppare al massimo piccole comunità residenziali di dimensioni familiari
a titolarità sociale (seppur con quota sanitaria nel costo retta) inserite in
normali contesti abitativi, ridefinendo completamente l'attuale offerta classificata
in RSA disabili, prima di avviare ogni altro modello residenziale del tutto
assimilabile. Considerazioni analoghe valgono in riferimento ai servizi diurni.
Anche in questo caso i Centri diurni (socio educativi riabilitativi) della legge
sull'autorizzazione e quelli classificati come ex art. 26 (terapeutico riabilitativi),
sono assolutamente identici quanto a tipologia di utenti e una differenziazione
sarebbe del tutto artificiosa.
Le Residenze per disabili psichici. La proposta di PSR afferma "Le
Residenze Sanitarie per Disabili Psichici sono strutture che devono trovare
una coerente collocazione nell'ambito del setting dei servizi afferenti al Dipartimento
di Salute Mentale e le cui funzioni e caratteristiche sono regolamentate nell'ambito
del Progetto Obiettivo Salute Mentale allegato al PSR". Nella tabella riepilogativa
del sistema residenziale si indicano tre tipologie di residenze (RST disabili
psichici cronici, SRR psichiatriche e Comunità alloggio) per complessivi 440
posti letto (0,30 per 1000 abitanti), suddiviso per provincia. Le prime due
sarebbero a totale carico del Fondo sanitario; per la comunità alloggio la sanità
assumerebbe il 40% del costo retta contro il 60 a carico dell'assistenza (utenti
e/o comuni). Per le singole tipologie non viene indicato il numero dei posti
letto. L'allegato POSM presenta un sistema residenziale difforme da quello della
bozza di PSR; in particolare sembra che i contenuti dello stesso non siano stati
aggiornati dopo l'elaborazione della proposta di Piano. Quindi ogni valutazione
potrà essere fatta solo dopo l'aggiornamento del POSM. Si formulano, in via
generale le seguenti richieste:
- La necessità che l'offerta di p.l. venga definita per singole tipologie di
residenze e non come complessivo;
- la totale contrarietà per strutture da 20 p.l. che non possono che riproporre
un modello istituzionale;
- la non applicazione quanto alla classificazione di "comunità alloggio" della
previsione di un costo per il 60% a carico degli utenti o del Comune che avallerebbe
la inaccettabile percentuale prevista dai LEA.
Il sistema delle cure domiciliari. Naturalmente il ricorso alla residenzialità
permanente può essere contrastato in presenza di compiuti servizi di cure domiciliari.
Ma i servizi domiciliari possono porsi l'obiettivo di evitare o ritardare l'istituzionalizzazione
solo se sono in grado di offrire un effettivo sostegno ai nuclei familiari.
Se solo pensiamo che la stragrande maggioranza delle Asl non eroga il servizio
di igiene alla persona così come previsto dalla delibera 105/96 (a questo si
aggiunga che i servizi di AD comunale hanno una selettività in base al reddito
e che, in linea generale, sono gratuiti solo per situazioni di indigenza, mentre
anche per redditi medio bassi il livello di compartecipazione è pari a quello
del costo di una prestazione in nero o reperibile sul mercato,
con il vantaggio della flessibilità) difficilmente è ipotizzabile che in questa
situazione si possa contrastare efficacemente l'istituzionalizzazione. Pare
infine importante ricordare che attualmente la stragrande maggioranza del fondo
regionale riguardante l'ADI viene utilizzato dalle Aziende sanitarie per il
pagamento di figure professionali all'interno delle strutture assistenziali
autorizzate per l'accoglienza di soggetti autonomi che ospitano invece impropriamente
soggetti non autosufficienti; dunque per un servizio che ha ben poco a che fare
con il sostegno alla domiciliarità. Pare pertanto importante ricondurne l'utilizzo
alla sua originaria funzione.
Osservazioni alle Linee Guida per la predisposizione e l'approvazione dei Piani
di Zona 2003 (6 novembre 2002)
Le osservazioni che proponiamo vogliono richiamare l'attenzione sulla necessità
di assicurare alcuni interventi e servizi (rete dei servizi essenziali) all'interno
dell' Ambito territoriale, sulla definizione giuridica dello stesso.
1) Indicazioni chiare sulle priorità
L'art. 2, comma 3 della legge 328/2000 stabilisce che i soggetti
in condizioni di povertà o con limitato reddito o con incapacità totale o parziale
di provvedere alle proprie esigenze per inabilità di ordine fisico e psichico,
con difficoltà di inserimento nella vita sociale attiva e nel mercato del lavoro,
nonché i soggetti sottoposti a provvedimenti dell'autorità giudiziaria che rendono
necessari interventi assistenziali, accedono prioritariamente ai servizi e alle
prestazioni erogati dal sistema integrato di interventi e servizi sociali;
successivamente l'art. 22, al comma 4, elenca le prestazioni da assicurare all'interno
di ogni Ambito Territoriale. Ci sembra che il richiamo ai soggetti indicati
dall'art. 2, della legge 328 sia importante per richiamare a livello di programmazione
locale la necessità di avviare un percorso che garantisca ai soggetti in maggior
difficoltà la fruizione di alcuni essenziali interventi e servizi. D'altra
parte ciò sarebbe in linea con le stesse L.G. quando affermano "va altresì
ribadito come la logica della territorialità "trasversalità" degli interventi
non comporta il totale superamento della logica di settore in quanto la stessa
L. 328/00 indica chiaramente come la selettività degli interventi riguarda particolari
categorie di soggetti in difficoltà e che presentano specifici problemi legati
alla marginalità sociale. È proprio l'attenzione alle specificità nell'ambito
della dimensione complessiva che permette di operare il progressivo passaggio
a criteri più ampi di programmazione senza che ne costituisca un ostacolo. La
stessa tendenza in atto, a livello nazionale, di svincolare il "fondo unico"
dalle destinazioni di settore, non può essere funzionale a rimettere in discussione
diritti acquisiti ed tutelati da importanti norme di settore, ma deve valorizzare
la funzione degli Enti pubblici territoriali nell'essere attenti alle priorità
dei bisogni nei territori".
Ci pare però che successivamente le stesse L.G. (vedi Modello organizzativo
del sistema della rete di servizi e interventi sociali nel quale si
propone un ventaglio di interventi e servizi nel quale non viene stabilita alcuna
priorità riguardo i soggetti sopra indicati) non intendano spingere verso una
traduzione di questa garanzia verso i soggetti più in difficoltà del territorio
attraverso una più puntuale definizione della rete dei servizi essenziali
da garantire all'interno di ogni Ambito Territoriale; anzi nessun richiamo viene
fatto in termini di priorità. Infatti si specifica che La griglia definisce
pertanto il modello organizzativo del sistema dei servizi sociali di cui tutti
gli Ambiti territoriali dovranno tendenzialmente dotarsi nel processo di implementazione
del sistema integrato previsto dalla nuova normativa nazionale e regionale,
senza tuttavia indicare, in questa fase di avvio, scadenze temporali o parametrazioni
quantitative, e senza nessuna pretesa di esaustività rispetto alla gamma di
interventi attivabili, non escludendo in alcun modo la possibilità di innovazioni
o sperimentazioni, che non rientrano però in questa fase nella struttura del
sistema dei servizi.Si ritiene infatti che la Regione debba svolgere un ruolo
promozionale e di sostegno al processo di pianificazione territoriale, fornendo
strumenti per la lettura della domanda e dell'offerta presenti nei diversi territori,
supportando la ridefinizione delle esperienze già consolidate e stimolando 1'attivazione
di risposte nuove o innovative. L'elenco dei servizi costituenti il sistema
dei servizi intende essere quindi un obiettivo di scenario, in questa fase di
prima attuazione del Piano regionale per un sistema integrato di interventi
e servizi sociali, e di avvio alla riorganizzazione della rete dei servizi.
Si sollecitano i Comuni, associati negli Ambiti territoriali, a prevedere
nei Piani di Zona annuali e triennali, a partire da un'attenta rilevazione dell'esistente,
le modalità e i tempi per l'attivazione dei servizi che mancano, il potenziamento
di quelli insufficienti rispetto ai bisogni evidenziati, nonché le modalità
per garantire l'accesso ai servizi già esistenti soltanto in alcuni dei Comuni
dell'Ambito ai residenti in tutti i Comuni dell'Ambito stesso, e a quanti si
trovano nel territorio bisognosi di interventi non differibili (per gli interventi
per l'emergenza). Alcuni dei servizi sociali elencati, per complessità organizzativa
o tecnico-gestionale, o per le caratteristiche della domanda cui sono chiamati
a rispondere, possono richiedere un coordinamento tra più Ambiti, o addirittura
una dimensione provinciale.
Se è vero che nessuna indicazione da parte del governo è venuta riguardo
l'individuazione dei livelli essenziali ed uniformi delle prestazioni; ciò non
impedisce le regioni, che hanno competenza esclusiva nell'ambito dei servizi
sociali, di dare attuazione con più specifiche indicazioni riguardo la rete
dei servizi essenziali da realizzare in ogni ambito territoriale. D'altra
parte se ogni definizione di "standard" ha necessità di fare riferimento alla
situazione esistente, ci si chiede come mai dopo 7 anni dal primo affidamento
per la predisposizione del Piano, ad oltre due dalla emanazione dello stesso
(che prevedeva anche una analisi della situazione dei servizi) ancora oggi ci
si trovi a non poter offrire valide indicazioni operative data la mancanza di
un dato certo circa la diffusione dei servizi nei territori (Non sarebbe il
caso di fare al contrario? Partire da quelli che dovrebbero esserci per poi
sottrarre quelli che ci sono?).
Nella stragrande maggioranza del territorio marchigiani i Comuni singoli o associati
potevano da sempre realizzare (e infatti c'è chi lo ha fatto) quegli interventi
e servizi previsti nel Modello organizzativo del sistema della rete di
servizi e interventi sociali delle Linee Guida; se fino ad ora non lo
hanno fatto forse c'è da chiedersi se basta proporre una griglia di possibili
servizi per fare in modo che in tutti i territori siano offerti ai soggetti
in maggior difficoltà quei servizi non a caso ritenuti essenziali (dall'assistenza
domiciliare, ai servizi diurni e residenziali). Pur prendendo atto dell'impegno
di predisporre una revisione ragionata e partecipata delle scelte che faranno
i 24 Ambiti territoriali rispetto alle prestazioni e agli interventi che intendono
garantire con l'attuazione del primo Piano di Zona, annuale (..) finalizzata
alla costruzione di un'indicazione generale, congrua e conciliabile con l'esistente,
sui livelli essenziali di assistenza da garantire con la presentazione del successivo
Piano di Zona triennale si sarebbe preferito che già in questa fase si fossero
offerte indicazioni su alcuni servizi, oltre all'Ufficio di Promozione Sociale,
da assicurare in ogni AT o, per territori più ampi quando l'Ambito risulta sottodimensionato.
Per questi motivi si chiede che indipendentemente dalla scelta di predisporre
successivamente uno specifico atto riguardante la "rete dei servizi essenziali"
da realizzare in ogni AT, le LG indichino nella elaborazione dei PdZ specifiche
priorità nella realizzazione di interventi e servizi per i soggetti indicati
all'art. 2, comma 3 della legge 328. I PdZ in sostanza dovranno, secondo la
nostra proposta, elaborare programmi di intervento con assoluta priorità riguardo
i soggetti sopra indicati. Soggetti che hanno estrema necessità di interventi
e servizi di assistenza sociale.
2) Ambiti territoriali e ambiti gestionali
La realizzazione di una rete di servizi essenziali richiama la definizione
del governo della stessa. La stessa legge 328 indica la costituzione di ambiti
territoriali per la gestione unitaria del sistema locale dei servizi a rete.
Dunque la prospettiva, dal nostro punto di vista, deve essere quella di avere
come riferimento un territorio ed un governo dello stesso. Per evitare che
l'ambito diventi un luogo di coordinamento e di libera collaborazione tra i
Comuni si ritiene che debbano essere fissati dei tempi entro i quali:
- l'AT assume una forma giuridica definita per il governo dei servizi sociali
di quel territorio, con la conseguente chiara indicazione degli interventi e
servizi che dovranno afferire alla responsabilità dell'AT. Ripetiamo ancora
una volta che, a nostro parere, la logica da seguire con speditezza deve essere
un territorio (l'AT) un governo (con la scelta dello strumento). D'altro canto
esortare i Comuni a prevedere le modalità per garantire l'accesso ai servizi
già esistenti soltanto in alcuni dei Comuni dell'Ambito ai residenti in tutti
i Comuni dell'Ambito stesso, e a quanti si trovano nel territorio bisognosi
di interventi non differibili (per gli interventi per l'emergenza), dal
nostro punto di vista sembra confermare un carattere di eccessiva discrezionalità
nei riguardi dell'AT. Ci pare peraltro che il giusto sbocco della programmazione
di territorio (PdZ) non possa che sfociare in una zona che abbia compiti di
gestione.
- Al Coordinatore d'ambito siano affidate le conseguenti responsabilità gestionali
(d'altra parte se i CA e direttori di distretto costituiscono funzioni di raccordo
tra sociale e sanitario, non pare pensabile che il primo sia slegato da ogni
responsabilità di gestione e che assuma una funzione di "progettista" di qualcosa
che non è poi chiamato a gestire). Si ritiene infatti che proprio il necessario
sviluppo del sistema sociale richieda, fissato un necessario ambito di riferimento,
la conseguente definizione della conduzione tecnica dello stesso. Se in questa
prima fase di avvio può essere funzionale un CA con funzione di raccordo e coordinamento,
successivamente, riteniamo non rinviabile l'affidamento di una responsabilità
gestionale. Un CA senza tali responsabilità assumerebbe nei fatti di una funzione
consulenziale che riteniamo non gioverebbe allo sviluppo e al potenziamento
del settore sociale.
1) In particolare ricordiamo il documento "Una petizione a tutela della
salute" sottoscritto da 15 associazioni di volontariato della regione Marche
in data 12 giugno (cfr. Appunti sulle politiche sociali, 4/2002, p. 7)
e altri documenti riguardanti l'applicazione del d. lgs 130/2000, la illegale
situazione delle residenze sociali che senza autorizzazione accolgono malati
non autosufficienti, la caotica situazione delle residenze extraospedaliere.
Su questi aspetti rimandiamo alle pag. 84-106 del quaderno Dalla riforma
dei servizi sociali ai livelli essenziali di assistenza, Gruppo Solidarietà
2002 e al sito www.comune.jesi.an.it/grusol al link voce sul sociale
(interventi e approfondimenti), nel quale sono riportati tutti
i nostri interventi. Successivamente, in data 10 gennaio il Gruppo Solidarietà
ha inviato un ulteriore documento in merito alla proposta di PSR 2003-05 leggendolo,
nella parte riguardante la tutela dei soggetti fragili, in relazione alle bozze
assai avanzate di Regolamento delle strutture diurne e residenziali previste
dalla legge regionale 20/2002 riguardante l'autorizzazione al funzionamento
delle strutture a titolarità sociale nel quale sono incluse le cosiddette residenze
protette per adulti e anziani malati non autosufficienti. Le Linee guida
sulla predisposizione dei Piani di zona, sono state approvate con DGR 1968/2002
(anche queste consultabili nel nostro sito).
(indice)
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