Appunti n.156
(indice Appunti)
- L’azienda sociale consortile per la gestione di politiche
sociali integrate: alcune domande, Alessandro Battistella,
Milano
- Diritti soggettivi e interessi legittimi nei
servizi sociali, Fabrizio Gaiotti, Torino
- Finanziaria 2005: disabili, l’isola che non c’è,
Gianni Selleri, Bologna
- Piccoli gulag crescono, Cecco Bellosi, Lecco
- Handicap: il “dopo di noi” non
è un fatto privato, Fondazione Promozione Sociale,
Torino
- Regione Marche. Sul protocollo regionale sulla “non
autosufficienza”,Comitato Associazioni Tutela (CAT),
Ancona.
Diritti soggettivi
e interessi legittimi nei servizi sociali
Fabrizio Gaiotti, dottore in Giurisprudenza, Torino
Vengono affrontati i temi dei livelli essenziali delle prestazioni
sociali e del diritto a ricevere determinati interventi, dopo la legge
di riforma dei servizi sociali e del Titolo V della Costituzione con le
nuove competenze assegnate a Stato e Regioni.
Il legislatore italiano, con la riforma costituzionale del 2001, ha tentato
di costruire un nuovo modello di relazioni fra lo Stato e le Regioni;
un modello caratterizzato anche da un maggior coinvolgimento delle Istituzioni
territoriali nelle politiche sociali e nella garanzia di tali diritti.
Il riformato Titolo V presenta, all’art. 117 secondo comma lettera m),
la cosiddetta “clausola sui livelli essenziali”con cui il legislatore
per la prima volta introduce nella Costituzione italiana l’espressione
“diritti sociali”.
Essa prevede che allo Stato spetti la competenza per la determinazione
dei livelli essenziali concernenti i diritti civili e sociali che devono
essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Non si tratta soltanto
di livelli “minimi” ma anche di “essenziali”: devono corrispondere a prestazioni
adeguate per rispondere a quei bisogni.
Di conseguenza, allo Stato spetta anche la definizione delle prestazioni
individuate per realizzare i “livelli essenziali”. L’uniformità delle
tipologie di prestazione dovrebbe essere l’obiettivo della produzione
legislativa statale.
Vi sono esigenze di prestazione che chiedono di essere garantite su tutto
il territorio nazionale quali espressioni dirette dei principi costituzionali,
in particolare del principio di uguaglianza. Lo scopo è quello di assicurare
a tutti i soggetti in stato di bisogno, sull’intero territorio nazionale,
il godimento delle prestazioni garantite come contenuto essenziale di
tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle.
In quest’ottica i “livelli essenziali” devono essere capaci di garantire
un’efficace e appropriata protezione dei diritti costituzionali, tanto
più alla luce del nuovo quadro di distribuzione delle competenze fra Stato
e Regioni.
I “Livelli Essenziali”
La nozione di “livelli essenziali” si ritrova anche nella legge quadro
sull’assistenza (l. 328/2000); mentre la tutela della salute è stata inserita
fra le materie affidate alla potestà legislativa concorrente di Stato
e Regioni, quella dei servizi sociali non è più citata dal nuovo testo
dell’art. 117 Cost.. Per questa ragione la materia dei servizi sociali
non può che ricadere nella generale competenza esclusiva delle Regioni
ai sensi del 4 comma.. Tuttavia, la “clausola sui livelli essenziali”
affida allo Stato la determinazione di tali livelli anche in tema di servizi
sociali. La materia dell’assistenza sociale si trova perciò a dover essere
considerata da una prospettiva del tutto particolare, caratterizzata da
un ampliamento dei poteri legislativi attribuiti alle Regioni dalla riforma
costituzionale e dalla riserva allo Stato della determinazione dei livelli
essenziali delle prestazioni, cui fanno da corollario i poteri statali
di riequilibrio finanziario e quelli sostitutivi delle amministrazioni
autonome. La legge quadro in materia di assistenza manterrà la sua validità
fino a quando le Regioni non adotteranno disposizioni in materia nell’esercizio
delle proprie competenze legislative e, comunque, andranno fatti salvi
alcuni principi legati ai livelli essenziali. Ad esempio, non è in discussione
il Fondo nazionale previsto dalla legge 328/2000, proprio perché esso
è finalizzato alla realizzazione degli interventi costituenti il livello
essenziale delle prestazioni erogabili.
Al finanziamento delle politiche sociali sono chiamati: lo Stato, Le Regioni
e i Comuni. Regioni e Comuni devono avere, all’interno dei loro bilanci,
una voce specifica che preveda l’accantonamento di risorse per il finanziamento
delle politiche sociali secondo diversi parametri quali l’effettivo numero
di soggetti in stato di bisogno e i potenziali destinatari degli interventi
assistenziali, corrispondenti almeno ai livelli essenziali di assistenza
che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.
Uno dei punti più controversi (anche alla luce della riforma del Titolo
V della Costituzione) della l. 328/2000 è la qualificazione della situazione
giuridica dei destinatari degli interventi sociali, posto che in più punti
è utilizzato il termine “diritto”.
Per le prestazioni economiche di cui all’art. 24 il destinatario vanta
senza dubbio una posizione di diritto soggettivo che configura un vero
e proprio obbligo per lo Stato di fornire tali prestazioni economiche,
cui deve essere estranea ogni possibile variazione delle risorse disponibili
per la spesa assistenziale. Il diritto soggettivo alle prestazioni assistenziali
previste dall’art. 24 diviene immediatamente azionabile ed esigibile da
parte del soggetto che ne è il titolare.
Invece, il secondo comma dell’articolo 2, tempera l’espressione “diritto”;
esso infatti introduce il concetto di livelli essenziali affrontandolo
dal lato del programmatore e statuendo che i soggetti di cui all’art.
1 comma 3 sono “tenuti a realizzare il sistema (…) che garantisce i livelli
essenziali di prestazioni”. Se da un lato la legge quadro rende obbligatoria
la definizione dei livelli essenziali, dall’altro l’art. 22 li mette in
relazione con le risorse del fondo nazionale per le politiche sociali,
tenuto conto delle risorse ordinarie già destinate dagli enti locali alla
spesa sociale: vi è perciò uno stretto legame fra il concetto di livello
essenziale e definizione delle risorse.
L’individuazione dei livelli essenziali nell’art. 22 della legge quadro
si arresta però all’elencazione delle misure e degli interventi ritenuti
imprescindibili, affidando al Piano nazionale l’indicazione delle caratteristiche
e dei requisiti delle prestazioni essenziali. I livelli essenziali delle
prestazioni sociali che la legge quadro indica al secondo comma dell’art.22
non sono ancora stati oggetto di una specifica norma statale successiva
alla riforma costituzionale che appare più che mai necessaria vista la
genericità con cui la legge quadro li definisce. Gli unici interventi
successivi alla legge 328/2000 si sono registrati nel campo della definizione
statale dei livelli essenziali delle prestazioni socio-sanitarie con Decreto
del Presidente del Consiglio dei Ministri 29 novembre 2001 e con il Dpcm
14.02.2001.
Poiché è riservata allo Stato la competenza esclusiva nella determinazione
dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili
e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale,
non si può dubitare che nelle “prestazioni” che lo Stato ha il compito
di definire puntualmente come essenziali (al fine di porre in capo ai
potenziali utenti posizioni giuridiche di diritto soggettivo) siano comprese
sia quelle sanitarie che quelle sociali; non può che conseguirne l’omogeneità
delle posizioni giuridiche dei destinatari di tali servizi. Così come
le posizioni giuridiche corrispondenti ai servizi sanitari definiti come
essenziali sono certamente di diritto soggettivo, non possono non esserlo
anche quelle corrispondenti ai servizi sociali analogamente definiti e
quindi il conseguente diritto alle prestazioni assistenziali garantito
dai livelli essenziali non può che considerarsi diritto pieno ed immediatamente
esigibile. Da questo punto di vista la legge 328/2000 non riesce a garantire
compiutamente il nucleo essenziale del diritto all’assistenza, anzi tramuta
il diritto costituzionale in una priorità di accesso ai servizi nell’ambito
della programmazione.
Inoltre, la definizione statale dei livelli essenziali non è l’unica versione
dell’essenzialità. Ci può essere un livello essenziale definito oggettivamente
e astrattamente attraverso procedure normative, e un livello essenziale
definito dal giudice in rapporto all’individualità dei bisogni e delle
situazioni dei soggetti interessati. Non può dirsi, per esempio, che le
situazioni di bisogno tipiche ad una data realtà locale del nord del Paese
coincidano con quelle vantate dal sud, ovvero quelle di una grande città
a quelle del piccolo paese. La nozione di livello o contenuto essenziale
dei diritti o delle prestazioni concernenti appare difficilmente traducibile
in significati univoci oggettivi e definitivi: l’essenzialità si pone
come una misura dell’eguaglianza, della dignità, dei diritti della persona.
Diritti soggettivi ed interessi legittimi
Il tema dei livelli essenziali è strettamente legato a quello del contenuto
essenziale dei diritti all’uguaglianza materiale. Il problema è che il
contenuto essenziale dei diritti all’eguaglianza materiale e quindi anche
del diritto all’assistenza non è un elemento che possa essere determinato
in sé e per sé astrattamente e una volta per tutte.
I soggetti creditori di solidarietà sociale hanno la possibilità di agire
in giudizio per rivendicare il loro diritto ad avere le prestazioni assistenziali
ritenute essenziali. Il giudice come può ordinare che venga effettuata
una prestazione ritenuta essenziale dalla legge, così può non ritenere
sufficiente la definizione normativa di essenzialità data dal decisore
politico in rapporto al caso specifico e concreto del soggetto interessato.
Quanto al soggetto istituzionale da citare in giudizio, non sembrano esserci
dubbi per quanto riguarda le prestazioni assistenziali di carattere economico
stabilite dall’art. 24 della legge quadro. In questi casi è lo Stato il
soggetto che deve rispondere dell’eventuale mancata erogazione di tali
prestazioni economiche a favore del soggetto in stato di bisogno.
Più complesso appare stabilire la “responsabilità” per il mancato ricevimento
da parte del soggetto in stato di bisogno degli interventi e dei servizi
corrispondenti ai livelli essenziali delle prestazioni assistenziali di
cui all’art. 22 secondo comma della legge quadro. Questo perché il diritto
soggettivo ad ottenere quelle prestazioni non è riconosciuto solo nei
confronti del soggetto “gestore” ma anche direttamente nei confronti dell’ente
“erogatore”: cioè il Comune, fra i cui compiti espressi rientra, per l’appunto,
l’erogazione dei servizi. Alla tutela di quel diritto sembrano teoricamente
dover rispondere in solido tutti i livelli istituzionali (Stato, Regioni
e Comuni) coinvolti nella determinazione e nel finanziamento dei livelli
essenziali, anche alla luce dell’obbligo costituzionale (art. 117 secondo
comma lettera m) di garantirli su tutto il territorio nazionale; mentre,
sul piano pratico, occorrerà verificare di volta in volta la “responsabilità”
di ciascun livello sulla base di quanto previsto dagli atti di pianificazione
nazionale, regionale e zonale e sull’adeguatezza delle risorse messe effettivamente
in campo per il raggiungimento degli obiettivi previsti.
Qualora poi lo Stato, in ipotesi, abbia omesso di determinare o definire
con caratteristiche di crescente livello quantitativo e qualitativo i
livelli essenziali concernenti il diritto sociale all’assistenza o la
prestazione prevista risulti concretamente insufficiente al soggetto in
condizione di bisogno per condurre una vita libera e dignitosa, il giudice
ordinario potrà porre rimedio all’eventuale lacuna attraverso la condanna
della P.A. al pagamento di una somma di denaro oppure, in ipotesi, ad
un facere specifico.
A presidio dei diritti dei privati e dei doveri del pubblico stanno i
giudici. La distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi
è fondamentale per determinare gli organi giurisdizionali competenti per
eventuali controversie giudiziarie. Infatti alla giurisdizione ordinaria
è generalmente rimessa la tutela dei diritti soggettivi.
L’art. 442 del c.p.c. prevede la competenza del giudice del lavoro per
le controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie che
sono forme di tutela relative a malattie, invalidità, inabilità, vecchiaia,
sospensione dal lavoro. Alla giurisdizione amministrativa (T.A.R. e Consiglio
di Stato) è rimessa la tutela degli interessi legittimi.
Il cittadino, per la tutela del diritto all’assistenza, potrà rivolgersi
all’apparato giurisdizionale anche mediante la procedura del provvedimento
d’urgenza. Tale procedura è pacificamente azionabile nei confronti della
pubblica amministrazione per la tutela dei diritti soggettivi. A tal proposito,
si deve considerare positiva la recente decisione di un giudice ordinario
che ha ordinato ad un Comune di versare ad un disabile la somma di denaro
necessaria per assumere un assistente personale, considerando tale prestazione
implicita nel contenuto minimo dei diritti fondamentali. Ci riferiamo
all’ordinanza del 5 maggio 2001 del Tribunale di Firenze. Il caso in questione
è quello di una signora totalmente inabile e bisognosa di assistenza personale
e continuativa 24 ore su 24 che non dispone di alcun familiare che possa
accudirla. La signora ha fruito dell’assistenza di un obiettore di coscienza
per sei ore quotidiane, sei giorni alla settimana per un determinato periodo
di tempo, oltre ad un contributo economico di 1.500.000 lire. Poiché tale
sostegno da parte dell’obiettore viene meno, il Comune di Firenze decide
di erogare una somma complessiva di 3.400.000 lire mensili e al tempo
stesso la Direzione comunale informa la signora che il contributo economico
massimo potrà essere di 3.800.000 lire mensili. A questo punto la signora
lamenta che tale contributo è assolutamente inadeguato per coprire l’assistenza
continuativa di 24 ore di cui necessita (quindi l’assunzione di una persona
di fiducia in grado di assisterla), anche perché il suo reddito mensile
è di lire 1.600.000 (che serve a coprire l’affitto dell’appartamento in
cui vive e le spese per la personale sussistenza) e l’indennità di accompagnamento
è pari a 817.330 lire.
Il giudice, nella valutazione della congruità della somma di denaro che
possa garantire alla signora un’esistenza dignitosa, afferma che in questo
caso sono in gioco diritti primari (quali quello alla salute e alla sopravvivenza);
questi ultimi non tollerano limitazioni, compressioni o dilatazioni discrezionali.
Il giudice (facendo riferimento al contratto collettivo nazionale delle
badanti), nell’accogliere il ricorso, risultando provata l’urgenza indifferibile
di provvedere alle immediate necessità vitali di minima assistenza della
signora, ordina che alla stessa sia corrisposta una somma mensile pari
a 5.000.000.
Quello che ci preme osservare è che in questo caso il Comune non può a
priori stabilire una somma massima di spesa in base al suo bilancio da
elargire alla signora senza considerare l’effettivo e concreto stato di
bisogno del soggetto in questione; si tratta di garantire il contenuto
minimo essenziale del diritto all’assistenza rispetto al quale le disponibilità
economiche indicate dell’ente passano in secondo piano.
(indice)
Handicap: il “dopo
di noi” non è un fatto privato
Fondazione Promozione Sociale, Torino
La Fondazione promozione sociale è interessata a conoscere il Vostro
parere al riguardo ed è a disposizione per ogni chiarimento. Per
informazioni: Maria Grazia Breda, Via Artisti 36, 10124 Torino, Tel. 011/812.44.69,
Fax 011/812.25.95, e-mail: info@fondazionepromozionesociale.it
Le iniziative di promozione per ottenere finanziamenti per realizzare
comunità alloggio, devono nel contempo coinvolgere con maggior
fervore i Comuni e gli enti gestori dei servizi socio-assistenziali i
quali hanno precisi obblighi di legge che impongono loro di assistere
mediante il ricovero i minori, i soggetti con handicap e gli anziani che
non sono in grado di provvedere alle loro esigenze.
Sono numerose le iniziative assunte recentemente dal privato sociale
(fondazioni, banche, associazioni di persone in situazione di handicap…),
volte a individuare una risposta al cosiddetto problema del “dopo di noi”.
L’esigenza riguarda principalmente le famiglie delle persone con handicap
intellettivo o fisico con limitata autonomia che, pensando al momento
in cui non saranno più in grado di fare fronte ai bisogni dei loro figli
ormai adulti, desiderano tuttavia assicurare loro la possibilità di continuare
a vivere in un contesto familiare e cioè in una casa-famiglia o in una
comunità alloggio.
E’ noto, infatti, che, nei casi in cui non siano attuabili soluzioni più
personalizzate (affido, case e gruppi famiglia, ecc.), solo in un piccolo
ambiente, con al massimo 8-10 persone che vivono insieme in un appartamento
o in una piccola villetta, situata in un normale contesto sociale, si
possono stabilire relazioni personali e affettive che ripropongono un
clima familiare.
Certamente il problema del “dopo di noi” preoccupa, perché ancora troppi
sono i ricoveri in istituti di dimensioni notevoli e che prevedono ancora
sovente la comunanza tra persone con problematiche diverse: anziani malati
cronici non autosufficienti e persone con problemi psichiatrici sovente
vivono a fianco di persone con handicap intellettivo. Anche se in nuclei
separati, restano comunque convivenze forzate, sottoposte peraltro a regole
e comportamenti tipici delle istituzioni totali che, sin dal 1970, stiamo
cercando di eliminare dalle risposte assistenziali, perché veri luoghi
di emarginazione sociale.
Perché il privato, benché “sociale”, non può bastare
Le numerose iniziative finora intraprese si sono mosse sul fronte della
ricerca di fondi per finanziare la realizzazione di piccole comunità alloggio,
in alcuni casi coinvolgendo anche grandi enti pubblici, come è stato il
caso del Comune di Roma che è promotore di una fondazione per il “dopo
di noi”, ma prevalentemente cercando finanziamenti da parte di fondazioni
bancarie o attraverso iniziative benefiche di raccolta,
Tutto questo è senz’altro positivo perché ha richiamato l’interesse generale
sul problema e, soprattutto, ha sottolineato che la risposta non può essere
l’istituto, ma deve essere una piccola comunità alloggio o una casa-famiglia.
Inoltre, è senz’altro utile e opportuno incoraggiare, anche attraverso
le fondazioni, le donazioni di privati finalizzate a questi scopi, piuttosto
che a incrementare i patrimoni di vecchie istituzioni private che perseverano
nell’emarginazione di queste persone.
Tuttavia, queste iniziative possono al massimo contribuire a incrementare
la diffusione e realizzazione di comunità alloggio nel nostro paese, ma
non assicurano di per sé il diritto al ricovero per tutte le persone in
situazione di handicap che ne avrebbero la necessità.
Infatti, come è stato rilevato già da alcuni osservatori attenti, il problema
principale consiste nel trovare i fondi necessari alla gestione delle
comunità alloggio e delle case-famiglia.
Il costo annuale di una comunità alloggio per 8 persone in situazione
di handicap è di circa 300-350 mila euro. Un importo insostenibile per
una famiglia e che nessuna polizza assicurativa intenderà mai coprire
se non a fronte del pagamento di premi esorbitanti inavvicinabili ai più.
I Comuni hanno obblighi di legge precisi
Fermo restando quindi le valide iniziative di promozione per ottenere
finanziamenti per realizzare comunità alloggio, è altrettanto indispensabile
tornare a coinvolgere con maggior fervore i Comuni e gli enti gestori
dei servizi socio-assistenziali.
Vi sono obblighi di legge ben precisi, mai abrogati, e quindi ancora oggi
agibili in caso di necessità, che impongono proprio ai Comuni il dovere
di assistere mediante il ricovero i minori, i soggetti con handicap e
gli anziani che non sono in grado di provvedere alle loro esigenze.
Ci riferiamo agli ancora vigenti articoli 154 e 155 del regio decreto
773/1931, che le Regioni, nel dare attuazione alla legge 328/2000, dovrebbero
riprendere per confermare il diritto esigibile al ricovero per i soggetti
incapaci di provvedere alle loro esigenze fondamentali di vita, così come
è stato fatto dalla Regione Piemonte con la legge 1/2004.
Sono i Comuni che devono garantire il diritto al ricovero e sono i Comuni
i soli in grado di sostenere i costi di gestione di una comunità alloggio1
.
Come garantire il diritto a vivere in piccole comunità alloggio
Le sopra citate disposizioni del regio decreto 773/1931 prevedono solamente
il ricovero come diritto esigibile, ricovero che potrebbe però essere
effettuato anche in un istituto.
Le iniziative di promozione sociale fin qui intraprese dovrebbero quindi
procedere nella direzione di ottenere la realizzazione da parte dei Comuni
e degli Enti gestori dei servizi assistenziali l’approvazione di delibere
che sanciscano il diritto al ricovero in comunità alloggio alle persone
in situazione di difficoltà e il dovere per l’Ente locale di provvedervi,
nel rispetto delle norme vigenti.
E’ attraverso l’assunzione di impegni precisi e cioè leggi regionali e
delibere comunali, che si possono anche garantire le risorse necessarie
per assicurare non solo la realizzazione, ma soprattutto la gestione delle
comunità alloggio e delle case-famiglia necessarie.
Questo anche al fine di tutelare tutti gli aventi diritto e non solo chi
ha la possibilità di effettuare donazioni.
A questo proposito si segnala che la legge della Regione Piemonte n. 1/2004
prevede prestazioni esigibili da parte di coloro che sono in una situazione
di grave disagio personale, familiare e sociale, per cui il problema del
“Dopo di noi” è risolto a livello legislativo/regionale. Restano da verificare
la correttezza e la tempestività dell’attuazione della suddetta legge
da parte dei Comuni singoli e associati del Piemonte.
(indice)
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