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La fine della vita. Ida Dominijanni intervista Stefano Rodota'
Dal "Il manifesto" del 27 settembre 2006.

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Nell'ultimo libro di Stefano Rodota', La vita e le regole, uno dei capitoli parla della fine. La fine, piu' che la morte: giacche' "nella nostra cultura l'attenzione non e' rimasta ferma al momento della morte, ma si e' estesa al morire, un processo di cui non e' possibile descrivere e definire i termini". Ma a cui e' possibile cercare di conferire un profilo umano, dignitoso, equo, che non costringa la soggettivita' a piegarsi all'accettazione passiva della fatalita' o rassegnata della sofferenza.
La costellazione concettuale che il morire chiama in causa non e' meno complessa di quella con cui la politica e il diritto si rapportano al vivere: autodeterminazione, soggettivita', diritti non c'e' ragione che escano di scena proprio nell'ora della sera. Ma la parola "eutanasia" non rende questa complessita': non a caso il lessico giuridico va sostituendola con espressioni come "morire con dignita'", "morire bene", "diritti del morente". Anche commentando l'impennata del tema nel dibattito politico di questi giorni, Rodota' terra' ferma la necessita' di questo approccio complesso. Con una notazione preventiva, che riguarda la sollecitazione di Napolitano al parlamento dopo il drammatico appello di Piergiorgio Welby: "E' stata una mossa istituzionale importante: per questa via il parlamento puo' incontrare la vita, piu' di quanto finora abbia saputo fare".

- Ida Dominijanni: Eppure quella mossa non tutti l'hanno apprezzata: c'e' chi come sempre sostiene che in campo bioetico la politica deve fare un passo indietro. E Rutelli non ha gradito l'idea del dibattito parlamentare, anche se poi ha corretto il tiro.

- Stefano Rodotà: La politica non deve invadere la vita ne' farne campo di dominio, ma questo non la esenta dal prendersi le sue responsabilita', anzi. Quanto a Rutelli, dev'essersi reso conto che il clima sociale e' tutt'altro che ostile ad affrontare il tema, come dimostrano i sondaggi di Mannheimer pubblicati sul "Corsera" di ieri, che danno quasi un cattolico su due favorevole alla legalizzazione dell'eutanasia Gia' due anni fa del resto da una ricerca dell'Universita' Cattolica di Milano risultava che la maggior parte dei medici intervistati si era trovata a intervenire in casi delicati. E piu' di dieci anni fa, in una trasmissione televisiva sull'eutanasia cui partecipavo io stesso, l'opinione del pubblico, all'inizio prevalentemente contraria, alla fine divento' prevalentemente favorevole, grazie anche a un ottimo intervento di padre Turoldo. L'importante e' impostare correttamente la questione. Parlare di eutanasia, da questo punto di vista, non aiuta: gia' il 16 febbraio del 2002, "Le Monde" titolava "L'eutanasia e' superata".

- Ida Dominijanni: Perche'?

- Stefano Rodotà Perche' e' un termine generico per situazioni differenziate, alcune ormai risolte sia sul piano etico sia sul piano giuridico. La bussola che orienta il diritto e' quella di un soggetto morale padrone della propria vita e dunque anche, per quanto e' possibile, della propria morte. Non siamo all'anno zero. Il consenso informato - previsto dalla Carta dei diritti dell'Unione Europea, dalla Convenzione sulla
biomedicina, dal Codice di deontologia medica del 1999 - da regola della vita sta diventando anche regola del morire, e segna il passaggio dal potere del terapeuta alla responsabilita' del paziente. Ricorderai che di recente due persone, qui in Italia, hanno potuto rifiutare l'amputazione di un arto scegliendo piuttosto di morire. E col consenso informato anche la possibilita' di rifiutare l'accanimento terapeutico rientra nella piena disponibilita' del paziente.

- Ida Dominijanni: E il testamento biologico, di cui si avvia a discutere il parlamento italiano?

- Stefano Rodota': Anch'esso e' gia' previsto dalla Convenzione europea di biomedicina, che l'Italia ha sottoscritto nel marzo 2001, e che obbliga i medici a riconoscere i desideri precedentemente espressi dal paziente che si trovi in condizioni di incapacita' di intendere e di volere. Per il testamento biologico, dunque, non e' del "se", ma del "come" che il parlamento italiano puo' e deve discutere. Ora, sul "come" c'e' un parere
del Comitato italiano di bioetica che vorrebbe ammettere l'obiezione di coscienza da parte dei medici. Non sarei d'accordo: oltretutto significherebbe spalancare la porta a contenziosi giuridici infiniti, come insegna il caso di Terry Schiavo negli Usa. Mi auguro inoltre che non si prevedano procedure troppo rigide: il testamento biologico dev'essere informale e revocabile in ogni momento. E' giusto invece prevedere la
possibilita' di disattenderlo qualora fra il momento in cui esso e' stato consegnato e il momento della decisione finale siano intervenute novita' terapeutiche rilevanti.

- Ida Dominijanni: Ma il caso di Welby dove si colloca? Welby sopravvive grazie all'idratazione e all'alimentazione forzata. Non gli basterebbe rifiutare l'accanimento terapeutico? Che bisogno c'e' di una nuova normativa?

- Stefano Rodota': Col caso di Welby entriamo nella situazione piu' delicata e controversa, l'unica in realta' davvero aperta e irrisolta, quella dell'"aiuto a morire", o "eutanasia attiva". E' un caso analogo a quello di
Luana Englaro, che sopravvive in stato vegetativo e per la quale il padre invoca da tempo la sospensione della terapia. Il punto e' che nel suo caso i giudici di Milano obiettano che non si tratta di una cura, bensi' di un "trattamento di sopravvivenza", che non si puo' interrompere senza macchiarsi di omicidio. La commissione Veronesi si era occupata di questa controversia proponendo di equiparare questo tipo di trattamenti alle terapie. Negli Stati Uniti, quando la Corte fu chiamata a esprimersi sulla legge dell'Oregon che consente l'eutanasia attiva, risolse il caso lasciando liberta' di legiferare ai singoli stati, con l'argomento che se e' vero che non esiste un diritto costituzionale a morire con dignita', e' vero altresi' che non c'e' una tutela costituzionale della vita tanto forte da impedirlo.
Per l'occasione, i maggiori filosofi morali americani - Walzer e Dworkin fra gli altri - inviarono alla Corte un parere incentrato sul principio di uguaglianza: se chi sopravvive solo grazie a una terapia ha il diritto di
rifiutarla, chi sopravvive senza farmaci ma in preda a dolori atroci, o a malattie incurabili, deve avere il diritto di essere aiutato a morire. Naturalmente qui si aprono nuovi dilemmi morali: in questi casi qualcuno deve staccare la spina; chi la stacca, qual e' il ruolo delle persone piu' prossime al malato?

- Ida Dominijanni: Col testamento biologico si puo' rifiutare di essere mantenuti in vita con l'accanimento terapeutico; ma si puo' anche chiedere, ad esempio, di essere sottoposti a terapie antidolore anche qualora
accorcino la vita. Anche la terapia del dolore comporta dilemmi nuovi, quali?

- Stefano Rodota': Si', e va apprezzato l'impegno espresso dalla ministra Turco in questo campo. Non basta dire di si' alla somministrazione di morfina: quali servizi richiede la terapia del dolore? Su chi ricadono i
costi? Ne' l'assistenza ne' i costi possono gravare solo sulle famiglie: lo Stato deve farsene carico in qualche modo, salvo firmare una doppia condanna, del morente alla sofferenza e della sua famiglia alla disperazione. In Gran Bretagna viene formato personale specializzato ad accompagnare il paziente in questo percorso, se lo ha scelto.

- Ida Dominijanni: In Italia la "questione cattolica" pesa sempre moltissimo in campo bioetico, come ben sappiamo dalla legge 40. Anche sui diritti del morente bisogna aspettarsi la stessa rigidita'?

- Stefano Rodota': Spero davvero di no. Nel mondo cattolico questo genere di questioni hanno sempre trovato ascolto, sulla base del sentimento cristiano della compassione. Certo, in altri tempi non c'era il clima iper-ideologico di oggi, che oggi non aiuta. Ma bisogna provare in tutti i modi ad affrontare la materia: non solo il testamento biologico, che - ripeto - e' questione gia' risolta, ma l'aiuto a morire, che e' il problema piu'
spinoso. Ma senza sciogliere questo problema spinoso, non si risponde alla richiesta di Napolitano. Del resto non siamo senza bussola: Olanda, Belgio, Svizzera, Oregon forniscono precedenti rigorosi e attendibili.