Gruppo Solidarietà
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Gruppo Solidarietà, Via S. D'acquisto 7, 60030 Moie di Maiolati (AN), Tel. e fax 0731.703327. grusol@grusol.it
28 gennaio 2003

- Commissario Straordinario AUSL 5
- Presidente Conferenza dei sindaci AUSL 5
- Presidente e direttore Istituzione Centro Servizi Sociali
- Coordinatore d'Ambito
- Assessore regionale alla sanità
- Direttore Dipartimento Servizi alla Persona

Oggetto: Continuità delle cure

Da anni questa associazione, con scarsissimi risultati in verità, si batte perché alle persone vengano assicurate le necessarie risposte in tutte le fasi della malattia comprese quelle in cui si è in presenza di un quadro di minima responsività. Ciò che si vive nei nostri territori è sotto gli occhi di ogni persona che con onestà osservi la situazione in cui si trova oggi un soggetto, in particolare anziano, che si trovi a causa di qualsiasi malattia a percorrere le fasi dell'acuzie, della post acuzie, della cosiddetta stabilizzazione, della totale o parziale non autosufficienza.
La conclusione, quando per i più vari motivi, non è possibile, per malattia e non autosufficienza, il rientro a domicilio è, salvo rarissime eccezioni, sempre la stessa: il ricovero presso l'illegittima Casa di riposo.
Purtroppo con estrema amarezza dobbiamo constatare che ben poco è cambiato in questi anni; anzi negli ultimi periodi, in concomitanza con il riordino sanitario regionale, sembra che un imbarazzante silenziatore sia stato messo ad ogni dibattito e discussione in merito alla tutela della salute di alcune fasce di cittadini. Sembra quasi che si ritenga immutabile l'attuale situazione. Una situazione che per mantenersi ha bisogno che si dica solo ciò che non provoca scossoni (ovvero non dire la verità o non dirla tutta) ad una sistema iniquo ed ingiusto che però, fatti alla mano, nessuno vuole cambiare. Siccome, come più volte abbiamo fatto notare, queste situazioni coinvolgono non ipotetici utenti ma persone che hanno nomi e cognomi (e che oggi o domani potrebbero identificarsi in nostro padre o nostra madre, fratello, figlio o altro familiare) siamo obbligati ad intervenire. E non possiamo che dispiacerci per il ruolo omissivo dell'assessorato regionale alla sanità che, pur conoscendo benissimo i termini delle questioni, continua a considerarle di nessuna importanza.

Un primo aspetto riguarda l'informazione. Oltre alla normativa vigente si ricordano le note - per gran parte disattese - del direttore sanitario del 10 marzo 1998 e 7 gennaio 2000. Ad esempio:
- si informano i malati ed i loro familiari che il periodo di stabilizzazione deve essere fatto in strutture ospedaliere di lungodegenza (che hanno standard assistenziali ben diversi da quelli delle Rsa) e che dunque la funzione delle Rsa è ben diversa da quella della riabilitazione e lungodegenza post acuzie?
- Che nelle RSA non è scritto da nessuna parte che la degenza è limitata a 3 mesi, ma solo che alla scadenza del terzo mese, dopo valutazione, scatta il pagamento della quota alberghiera e che comunque la degenza può anche essere permanente?
- Che su indicazione del medico di reparto date condizioni assimilabili a quelle di un ricovero ospedaliero (che poi sono la maggior parte di quelli che superano i 90 giorni di ricovero), come indicato dalle note del direttore sanitario sopra riportate, la degenza può continuare ad essere a completo carico sanitario?
- Le UVD informano gli utenti che le nostre Case di Riposo (tranne che per qualche decina di posti letto autorizzati che comunque rimangono sempre strutture del settore sociale) non hanno l'autorizzazione per accogliere soggetti non autosufficienti, compresi i malati con patologia psichiatrica? Che nelle stesse ci sono standard assistenziali di fatto incompatibili con la gestione di gran parte dei malati ricoverati molti dei quali in condizione di estrema gravità.

A ciò andrebbe aggiunto che:
- il pagamento della quota a carico dell'utente dopo i 90 giorni, che in realtà deve essere considerata come una tassa sulla degenza e non come una quota alberghiera avviene - nei rari casi in cui non si dimette - anche per riacutizzazioni, per malati terminali, ecc… ovvero per persone gravemente malate e non dimissibili;
- si continuano a gestire pazienti non stabilizzati in post acuzie se non in acuzie vera e propria con medici di guardia a rotazione e con incarichi trimestrali senza che alcuno mai si sia posto se tale situazione è compatibile con la gestione di pazienti, quali quelli ricoverati in RSA, in situazione di acuzie o post acuzie mai stabilizzati;
- si continua peraltro a non capire qual'è la funzione dell'Unità Valutativa (riportiamo più sotto le indicazioni del vigente PSR). Valuta in ammissione e in dimissione? Qual è il criterio di dimissibilità; in base a quale valutazione viene definito un programma di permanenza. Vede il malato o smista le diagnosi?

La Unità Valutativa Distrettuale nel PSR (l. 34/98)

Il Governo della Salute a livello Distrettuale presuppone una costante azione di verifica dell'adeguatezza della risposta in relazione ai bisogni e alla disponibilità dei servizi assistenziali.
Obiettivi principali di questa azione sono:
a) organizzare e rendere compiutamente accessibili i servizi che costituiscono la rete differenziata dell'offerta, garantendo il loro utilizzo appropriato;
b) rilevare e classificare le condizioni di bisogno per poter disegnare il percorso ideale di trattamento del paziente.
In particolare questa seconda azione richiede l'intervento di una équipe professionale, con competenze multidisciplinari,
che sia in grado di leggere le esigenze di pazienti con bisogni sanitari e sociali complessi. Una lettura di questo tipo è necessaria anche per altre fasce di popolazione fragile, come i portatori di handicap, i pazienti affetti da malattie sociali, i pazienti psichiatrici, i pazienti con dipendenze da alcool, droghe e farmaci etc.
Per questo motivo è necessario programmare un approccio multidisciplinare alle situazioni di scompenso socio-sanitario, tramite una Unità Valutativa di Distretto (U.V.D), che affronta tali situazioni e programma interventi socio-sanitari coordinati e coerenti al fine di: - prevenire lo scompenso socio-sanitario (passaggio dallo stato di autosufficienza alla dipendenza); - prendere in carico il paziente (attraverso lo sportello per la salute); - definire percorsi ottimali e supportare le scelte. (..) Attraverso questo strumento (UVD), che andrà attivato in ogni Distretto, viene definito il percorso assistenziale del paziente tra le seguenti strutture: Servizi Ambulatoriali (Poliambulatorio, Servizi specialistici); Servizi Domiciliari (ADI, ADP, assistenza infermieristica, assistenza sociale), Case di Riposo o Residenze Protette, Strutture Residenziali (RSA, RSM) o semiresidenziali Ospedale.
La UVD al termine di una valutazione multidimensionale, individua la figura professionale (responsabile del caso o case-manager) che sarà il punto di riferimento del cittadino nel percorso individuato. La dinamica del percorso presuppone la continuità della tutela socio-sanitaria del paziente e l'uso dell'ospedale per le sole patologie critiche e la diagnostica complessa, indirizzando rapidamente il paziente alle altre strutture per tutti i servizi compatibili.

Aggiungiamo come, anche questa volta più volte ripetuto, nel caso in cui il percorso segua l'iter più appropriato (ospedale acuti, riabilitazione lungodegenza, Rsa); la persona non autosufficiente dopo un periodo di ricovero di alcuni mesi può terminare il ciclo residenziale in RSA e arrivare a 5-7 mesi di ricovero senza partecipazione al costo retta; se invece entra in un regime meno adeguato o inappropriato come quello della RSA, dopo il terzo mese c'è o l'interruzione residenziale o il pagamento delle 50.000 £ giornaliere.

Ma ciò che lascia più perplessi è che alla grande solerzia volta alla riduzione dei tempi di degenza in tutte le strutture sanitarie (ospedale e residenze) non segue alcun effettivo sviluppo delle cure a domicilio. Viene anzi il dubbio che la soluzione più facile per tutti, quella insomma che crea meno problemi (anche economici in quanto la degenza - salvo rarissime eccezioni - è a completo carico dell'utente), sia proprio il ricovero nell'ospizio. In proposito avremmo piacere che si analizzasse: numero e motivo dei ricoveri ospedalieri e/o dell'invio al Pronto Soccorso dalle strutture assistenziali e i livelli di autosufficienza in ingresso in ospedale e in dimissione. Si ha la convinzione che la stragrande maggioranza dei ricoveri sarebbe evitato da un maggior livello di tutela sanitaria nelle strutture e che gran parte dei soggetti inviati in condizione di parziale o totale autonomia rientrino con un livello di autosufficienza fortemente ridotto rispetto all'ingresso.

E' chiaro che il sostegno alla domiciliarità chiama in causa anche la competenza degli enti locali ed è auspicabile che in tutti i Comuni sia attivato il servizio di assistenza domiciliare, ma come più volte abbiamo ripetuto nei tavoli di concertazione, o il sistema di cure a domicilio, proprio nelle situazioni di malattie gravi, garantisce il malato e la sua famiglia dal punto di vista della tutela sanitaria oppure diventa impensabile ridurre ospedalizzazione e istituzionalizzazione.
Si prenda ad esempio l'assistenza infermieristica e riabilitativa a domicilio. Quanti sono i malati che fino al giorno precedente, ricoverati presso strutture sanitarie, ricevevano prestazioni infermieristiche (vedi medicazioni piaghe da decubito) quotidiane, al rientro al domicilio, in identiche situazioni, ricevono lo stesso trattamento quotidiano? Per quanto riguarda la riabilitazione, il servizio a domicilio continua ad essere svolto tutto in ex art. 26 (e dunque con nessuna relazione con i servizi in ADI); non erogando riabilitazione domiciliare in regime ADI, si ha come risultato, dato che questo regime è molto costoso (oltre 80.000 £/h), che in linea generale in tutte le situazioni di stabilizzazione vengano concessi, nel migliore dei casi, alcuni cicli annuali con funzione di mantenimento in un'ottica esclusivamente prestazionale e dunque di dubbia utilità; contemporaneamente si rischia di perdere, anche per gli interventi in cui quel regime è appropriato e necessario, la specificità dell'intervento in ex art. 26. La presenza di riabilitazione in ADI permetterebbe , se ben organizzato, invece un intervento continuativo in risposta ad un bisogno permanente con una chiara distinzione tra regimi assai diversi.

A questo punto, constatando la permanente mancanza di volontà volta a modificare tale ingiusta situazione, l'unica possibile soluzione pare quella di invitare i malati in dimissione ospedaliera, ed inviati presso le RSA, a pretendere per la continuità delle cure un ricovero presso le strutture di riabilitazione e/o lungodegenza; ai malati invece in dimissione dalla Rsa qualora non siano curabili a domicilio di rifiutare l'invio presso le residenze assistenziali. Forse a quel punto nascerà l'esigenza di realizzare i p.l. di riabilitazione e lungodegenza e di avviare anche un intervento di cure domiciliari che possa configurarsi come vero sostegno alla domiciliarità.

In questo quadro nel ribadire l'urgenza di attivare la funzione di riabilitazione e lungodegenza al fine di evitare il subdolo utilizzo delle Rsa ribadiamo la necessità che si faccia chiarezza rispetto ai posti di Rsa in via di realizzazione a Jesi che si aggiungeranno ai 60 funzionanti; non sarebbe, infatti, tollerabile continuare in questa situazione di totale indefinizione ed incoerenza tra classificazione e funzione a tutto danno delle persone che devono fruire degli interventi; chiediamo pertanto alla Conferenza dei sindaci di attivarsi - vista la prossima scadenza del PdZ che impone una programmazione anche riguardo gli interventi ed i servizi rivolti ad anziani ed adulti non autosufficienti - anche al fine di adempiere alle indicazioni normative in merito al ruolo dei Comuni nella "verifica dei risultati di salute" di un territorio.

Distinti saluti


Gruppo Solidarietà