LA CORTE COSTITUZIONALE
(...)
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale
degli artt.
10 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 [1] (Tutela delle
lavoratrici madri) e 6
della legge 9 dicembre 1977, n. 903 [2] (Parità di trattamento
tra uomini e donne in materia di lavoro) e dell'art.
45, comma 1, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 [3]
(Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela della
maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo
2000, n. 53), promossi con ordinanze del 9 ottobre 2001 dal Tribunale
di Trieste nel procedimento civile vertente tra Rigo Rossella e la Regione
Friuli-Venezia Giulia e del 24 luglio 2001 dal Tribunale di Ivrea nel
procedimento civile vertente fra l'INPS e Bersano Giovanni ed altra iscritte
rispettivamente ai nn. 165 e 294 del registro ordinanze 2002 e pubblicate
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17 e n. 25, prima serie speciale,
dell'anno 2002.
Visti gli atti di costituzione di Rigo
Rossella, dell'INPS, della Regione Friuli-Venezia Giulia nonché gli atti
di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 19 novembre
2002 il Giudice relatore Francesco Amirante;
uditi l'avvocato Franco Berti per Rigo
Rossella e l'avvocato dello Stato Gaetano Zotta per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.- Nel corso di una controversia di lavoro
promossa da Rossella Rigo Vanon nei confronti della Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia, sua datrice di lavoro, il Tribunale di Trieste ha sollevato questione
di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 37 della
Costituzione, dell'art. 10 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela
delle lavoratrici madri), e dell'art. 6 della legge 9 dicembre 1977, n.
903 (Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro).
Il giudice a quo specifica che la ricorrente,
avendo ottenuto, insieme con il proprio marito, l'affidamento preadottivo
di due bambini nati rispettivamente nel 1991 e nel 1994, ha chiesto in
sede cautelare di poter essere ammessa a fruire dei periodi di riposo
giornaliero di cui all'art. 10 della legge n. 1204 del 1971. Il provvedimento,
concesso dal medesimo giudice remittente in sede cautelare, è stato poi
annullato dal Tribunale a seguito di reclamo.
Instauratosi il giudizio di merito, il
giudice a quo, nel sollevare la presente questione, ricorda di aver accolto
l'istanza cautelare della ricorrente in base al convincimento per cui
il termine annuale previsto dall'impugnato art. 10 deve decorrere, in
caso di affidamento preadottivo, non dalla nascita, bensì dall'ingresso
effettivo del minore in famiglia. A tale convincimento egli precisa di
essere giunto sulla base di una lettura sistematica delle norme vigenti,
compiuta alla luce delle sentenze di questa Corte n. 1 del 1987, n. 332
del 1988, n. 341 del 1991 e n. 179 del 1993. Le misure di protezione originariamente
previste per la sola madre biologica, infatti, sono state estese, grazie
alla legge n. 903 del 1977 ed alle citate sentenze, tanto in favore del
padre che dei genitori adottivi ed affidatari, facendo decorrere i termini
di fruibilità per questi ultimi dal momento dell'effettivo ingresso del
minore nella famiglia.
Nelle more del giudizio, tuttavia, sono
entrati in vigore la legge 8 marzo 2000, n. 53, ed il testo unico approvato
con decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151; quest'ultimo ha chiarito
(art. 45) che le disposizioni relative ai riposi giornalieri si applicano
anche in caso di adozione e di affidamento "entro il primo anno di
vita del bambino". Siffatta disposizione, unitamente al carattere
non innovativo del menzionato testo unico, desumibile dall'art. 15 della
legge n. 53 del 2000 (che contiene la relativa delega), induce il remittente
a ritenere che anche per il passato i permessi in questione potessero
essere goduti dal genitore affidatario solo entro il primo anno di vita
del bambino.
E' proprio tale limitazione temporale,
peraltro, a far sorgere nel remittente dubbi di legittimità costituzionale
delle norme impugnate. Nella quasi totalità dei casi, infatti, i bambini
dati in affidamento preadottivo o in adozione entrano nella famiglia quando
hanno già compiuto il primo anno di età, sicché i permessi in oggetto
finirebbero con l'essere prerogativa pressoché esclusiva dei genitori
biologici, con evidente violazione del principio di eguaglianza. Oltre
a ciò, l'anzidetta limitazione si pone in contrasto anche con l'art. 37
Cost. perché la madre adottiva, qualora non possa (per motivi economici)
o non voglia avvalersi della c.d. astensione facoltativa (oggi congedo
parentale), si trova nella sostanziale impossibilità di assistere il minore
che le è stato affidato; sicché non le resta altra soluzione che la permanenza
nel posto di lavoro, con tutti gli effetti negativi che inevitabilmente
derivano a carico del figlio.
Il Tribunale di Trieste, pertanto, chiede
che le norme impugnate vengano dichiarate costituzionalmente illegittime
"nella parte in cui non prevedono a favore delle madri adottive o
affidatarie in preadozione il diritto di fruire dei periodi di riposo
giornaliero entro l'anno dall'effettivo ingresso del bambino nella famiglia
adottiva o affidataria".
2.1 - Si è costituita in giudizio la ricorrente
Rossella Rigo Vanon, chiedendo che la questione venga decisa nel senso
indicato dal remittente.
Rileva la parte privata che, ove venisse
accolta l'interpretazione restrittiva indicata dal Tribunale di Trieste,
le norme impugnate non potrebbero sottrarsi alle indicate censure di illegittimità
costituzionale. La legislazione protettiva della maternità, infatti, non
si limita a prendere in considerazione le esigenze fisiologiche del minore,
bensì tiene presenti anche quelle relazionali ed affettive, tanto che
i termini di ammissione al congedo obbligatorio e facoltativo, sebbene
collegati all'età del minore adottando, decorrono dal momento in cui questi
compie il proprio ingresso nella famiglia. E non si vede per quale motivo
analoga previsione non debba valere anche per i permessi di cui all'art.
10 della legge n. 1204 del 1971.
2.2 - In prossimità dell'udienza la parte
privata Rossella Rigo Vanon ha presentato un'articolata memoria, insistendo
per l'accoglimento delle rassegnate conclusioni.
Premette la parte che la vicenda processuale
in oggetto si è svolta prima dell'entrata in vigore del testo unico di
cui al d. lgs. n. 151 del 2001 e che il diritto dei genitori adottivi
di fruire dei permessi giornalieri deve ritenersi già previsto dall'ordinamento
ancor prima dell'entrata in vigore del testo unico medesimo.
La Rigo Vanon richiama innanzitutto il
dibattito svoltosi in seno alla giurisprudenza di legittimità relativamente
all'estensibilità in favore dei genitori adottivi ed affidatari delle
provvidenze di cui alla legge n. 1204 del 1971 per il periodo anteriore
all'entrata in vigore della legge n. 903 del 1977 - il cui art. 6 ha espressamente
risolto il quesito in senso favorevole (almeno a partire da quella data)
- e ricorda la sentenza n. 332 del 1988 di questa Corte con la quale sono
state dichiarate costituzionalmente illegittime (quindi, con effetto retroattivo)
una serie di norme della legge n. 1204 del 1971 nella parte in cui non
estendevano le provvidenze ivi previste ai genitori adottivi ed anche
agli affidatari provvisori, fissando in tutti i casi i termini di fruizione
dalla data di effettivo ingresso del minore nella famiglia.
La parte privata prosegue poi richiamando
altre pronunce di questa Corte di fondamentale importanza nella materia
in questione, ossia le sentenze n. 1 del 1987, n. 341 del 1991 e n. 179
del 1993.
Alla luce della giurisprudenza costituzionale
evocata, la parte privata ritiene che la disciplina di cui all'art. 10
della legge n. 1204 del 1971 debba applicarsi anche in favore dei genitori
adottivi ed affidatari, attraverso un procedimento interpretativo di carattere
"logico-sistematico" che collega le norme esistenti, così come
riviste dalla Corte costituzionale, con i principi fondamentali dell'ordinamento.
Secondo la parte privata, del resto, sarebbe
molto difficile, sul piano della legittimità costituzionale, dare una
spiegazione accettabile del perché la fruibilità dei permessi giornalieri
debba essere ristretta anche per i bambini adottivi al solo primo anno
di vita, dettando una regola che in concreto renderebbe l'istituto pressoché
inapplicabile e che risulterebbe incomprensibile da un punto di vista
logico, oltre che in contrasto con l'obiettivo fondamentale di salvaguardare
nel modo migliore l'evoluzione psico-fisica del minore. Siffatta interpretazione
restrittiva, d'altra parte, risulterebbe in evidente contrasto con tutti
i parametri costituzionali invocati dal giudice remittente.
3.- Si è costituita in giudizio la Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia, parte convenuta nel giudizio a quo, chiedendo
che la prospettata questione venga dichiarata inammissibile o infondata.
L'inammissibilità deriverebbe dalla completa
carenza di motivazione in punto di rilevanza, poiché il remittente non
ha neppure precisato quale sia stata l'effettiva data di ingresso dei
minori nella famiglia della ricorrente.
Nel merito, la parte osserva che la parificazione
tra genitori biologici e genitori adottivi è stata compiuta dalle leggi
vigenti in riferimento al congedo di maternità ed al congedo parentale
(che attualmente indicano l'astensione obbligatoria e quella facoltativa).
I riposi giornalieri di cui all'art. 10
della legge n. 1204 del 1971 hanno, invece, una finalità ben diversa,
che è quella di accudire il neonato nella fase immediatamente successiva
alla nascita; tale necessità di assistenza diretta si conclude, secondo
la valutazione del legislatore, col compimento del primo anno di vita.
Estendere la fruibilità di tali permessi entro l'anno dall'effettivo ingresso
del minore nella famiglia significa snaturare la portata dell'istituto,
compiendo una valutazione che è di politica legislativa; anche per le
madri biologiche, d'altra parte, i permessi non sono più concedibili una
volta trascorso il primo anno di vita del bambino, restando alle medesime
la sola facoltà di avvalersi del congedo parentale, di modo che nessuna
diversità di trattamento può essere ravvisata nel sistema vigente.
Da tanto consegue l'infondatezza della
questione.
4.- E' intervenuto in giudizio il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale
dello Stato, con atto difensivo di contenuto identico a quello della Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia.
5.- Il Tribunale di Ivrea - adìto in sede
di reclamo avverso il provvedimento d'urgenza concesso dal giudice monocratico,
ai sensi dell'art. 700 cod. proc. civ., col quale veniva riconosciuto
al ricorrente, padre adottivo di un minore, il diritto alla fruizione
dei riposi giornalieri entro l'anno dall'ingresso del bambino nella famiglia
- ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 29, 30, 31, 37 e 77 della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 45 del
decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni
legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità,
a norma dell'art. 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53).
Osserva il giudice a quo che l'impugnato
provvedimento d'urgenza è stato emesso in primo grado in base al convincimento
per cui i riposi giornalieri previsti dall'art. 10 della legge 30 dicembre
1971, n. 1204, e dall'art. 3, comma 5, della legge n. 53 del 2000, possono
essere fruiti dai genitori adottivi non entro l'anno dalla nascita del
minore, bensì entro l'anno dal momento in cui lo stesso ha fatto il suo
effettivo ingresso nella famiglia. In sede di reclamo, proposto dall'Istituto
nazionale della previdenza sociale, tanto quest'ultimo quanto il datore
di lavoro hanno eccepito l'erroneità del provvedimento favorevole al lavoratore,
sostenendo che il quadro normativo complessivo, da leggersi alla luce
del sopravvenuto art. 45 del d. lgs. n. 151 del 2001, imponeva di limitare
la concessione dei permessi in questione al primo anno di vita del bambino.
Ciò premesso in punto di fatto, il Tribunale
di Ivrea, accogliendo e facendo propria l'eccezione avanzata in sede di
reclamo dal lavoratore (che insisteva nel contempo per la conferma dell'impugnato
provvedimento), ha ritenuto di dover sollevare questione di legittimità
costituzionale del citato art. 45 "nella parte in cui dispone che
le norme in materia di riposi di cui agli artt. 39, 40, 41 dello stesso
decreto si applicano anche in caso di adozione e di affidamento soltanto
entro il primo anno di vita del bambino" (comma 1).
Nel motivare sulla non manifesta infondatezza
della questione, il Tribunale remittente ricorda che la normativa sui
permessi giornalieri di maternità trovava in origine il proprio fondamento
nell'esigenza dell'allattamento; tale esigenza, benché non superata, può
tuttavia considerarsi non più esclusiva alla luce sia di quanto sostenuto
da questa Corte nella sentenza n. 179 del 1993 sia del testo dell'art.
6-ter della legge n. 903 del 1977, introdotto con la menzionata legge
n. 53 del 2000. Non si tratta, infatti, soltanto di permettere alla madre
(o al padre) di badare alle fondamentali esigenze fisiche del bambino,
ma anche di curare l'aspetto relazionale del rapporto genitoriale, favorendo
il contatto affettivo fra il genitore ed il figlio. L'art. 39 del d. lgs.
n. 151 del 2001, d'altra parte, sembra aver recepito tale mutamento di
prospettiva, facendo riferimento agli asili nido piuttosto che alle camere
di allattamento.
A tale evoluzione della tutela della maternità
e della paternità si è affiancata una crescente attenzione del legislatore
nei confronti della famiglia adottiva, tradottasi in una serie di norme
che di fatto equiparano i genitori adottivi a quelli biologici.
Sulla base di tali premesse, al Tribunale
remittente la norma censurata pare in contrasto con i numerosi parametri
costituzionali citati. Innanzitutto con l'art. 3 Cost., inteso sia come
principio di eguaglianza che come principio di ragionevolezza, perché
il legislatore ha fissato un medesimo termine di fruibilità dei permessi
in oggetto mentre è evidente che l'inserimento del bambino nella famiglia
adottiva avviene, a differenza che per la famiglia biologica, in un momento
successivo alla nascita, sicché la parità di trattamento finisce col tradursi
in un evidente ostacolo alla crescita armoniosa del figlio adottivo, a
dispetto di tutte le indicazioni provenienti proprio dalla giurisprudenza
costituzionale; e ciò è tanto più irrazionale in quanto il legislatore,
nel regolare il congedo per la malattia del figlio, ha dimostrato di tener
presente la diversa situazione dei figli adottivi, consentendo ai genitori
di assentarsi fino al compimento del sesto anno di età da parte del minore.
Altrettanto evidente appare al Tribunale
il contrasto con gli artt. 29, 30 e 31 Cost., norme tutte finalizzate
alla protezione della famiglia e della filiazione; l'art. 45 impugnato,
infatti, dimostra di trascurare le esigenze di carattere affettivo e relazionale
del figlio che sono senz'altro presenti anche nel caso della filiazione
adottiva, dettando una regola che nella grande maggioranza dei casi finirà
col non poter essere utilizzata, perché la complessità della procedura
di adozione è tale che l'effettivo ingresso del minore nella famiglia
avviene quando il medesimo ha già compiuto il primo anno di vita. Ragioni
del tutto analoghe inducono a ritenere violato l'art. 37 Cost., perché
la norma in oggetto contrasta con l'obiettivo di protezione della lavoratrice
madre (e del lavoratore padre) alla luce delle sentenze costituzionali
n. 179 del 1993 e n. 341 del 1991, le quali hanno chiarito che le esigenze
di equilibrata crescita del minore rendono necessaria la presenza di entrambi
i genitori, con un criterio che vale anche in rapporto all'affidamento
ed all'adozione.
Ultima censura ravvisata dal remittente
è la violazione dell'art. 77 Cost. sotto il profilo dell'eccesso di delega:
in contrasto con i criteri direttivi fissati dall'art. 15, comma 1, lettera
c), della legge n. 53 del 2000 - secondo cui il legislatore delegato aveva
il potere di modificare le norme esistenti soltanto allo scopo di garantirne
la coerenza logica e sistematica - la norma impugnata pone, infatti, un
limite per l'applicabilità delle disposizioni sui riposi giornalieri nel
caso di adozioni o affidamenti non previsto dalla previgente normativa.
La questione si palesa rilevante, d'altra
parte, perché, stante l'immediata applicabilità ratione temporis dell'art.
45 del d. lgs. n. 151 del 2001, in caso di rigetto della proposta questione
da parte della Corte, il Tribunale non potrebbe che accogliere il reclamo,
annullando la prima ordinanza cautelare e negando la sussistenza del diritto
del padre ricorrente a fruire dei periodi di riposo in esame, essendo
stati i medesimi concessi in relazione ad un momento in cui il minore
adottato aveva già compiuto il primo anno di età (mentre non era ancora
trascorso il primo anno dall'ingresso nella famiglia).
6.- Si è costituito in giudizio l'INPS,
chiedendo che la questione venga dichiarata non fondata.
Osserva l'ente previdenziale che i riposi
giornalieri dei quali si discute sono stati istituiti con lo scopo primario
di consentire l'allattamento del bambino, ossia per soddisfare un'esigenza
di alimentazione e di crescita, tanto che in passato parecchie aziende
avevano creato le apposite camere di allattamento. Mutato radicalmente
l'assetto della società, tali permessi sono stati concessi anche ai padri
lavoratori, sicché alla funzione originaria dei medesimi se ne sono affiancate
altre, le quali tuttavia non hanno eliminato la ratio fondamentale per
cui essi costituiscono un vero e proprio diritto del lavoratore. Se, d'altronde,
la funzione alimentare non fosse a base dei riposi in questione, non si
capirebbe il motivo per il quale in caso di parto plurimo la legge prevede
il raddoppio della durata degli stessi (art. 41 del d. lgs. n. 151 del
2001).
Alla luce di siffatta ricostruzione, quindi,
appare del tutto ragionevole il termine annuale, decorrente dal momento
della nascita, che il legislatore ha fissato per la fruibilità di tali
permessi; decorso il primo anno di vita, infatti, si sarà compiuto lo
"svezzamento", il che consentirà al genitore di tornare al normale
orario di lavoro salva la possibilità di godere del congedo parentale.
Del pari infondati paiono all'INPS i profili
di violazione degli artt. 29, 30, 31 e 37 Cost., perché la tutela della
maternità e della paternità è ampiamente assicurata nel nostro ordinamento
da altri e ben più importanti istituti - quali il congedo per maternità,
quello parentale e quello per le malattie del figlio - che testimoniano
l'equilibrio complessivo del sistema vigente e che consentono di restringere
l'ambito temporale dei permessi di allattamento, senza timori di violazione
di alcun parametro costituzionale, nei limiti fissati dalla norma impugnata.
7.- E' intervenuto anche in questo giudizio
il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale dello Stato, concludendo per l'inammissibilità o l'infondatezza
della questione.
La difesa erariale rileva che l'ordinanza
del Tribunale di Ivrea non pare aver compreso il vero obiettivo che il
legislatore si è prefisso di raggiungere con la norma impugnata. La ratio
legis, infatti, non è tanto quella di fornire un'ulteriore protezione
al genitore lavoratore, quanto piuttosto quella di garantire un'adeguata
assistenza al bambino nella prima e più delicata fase della sua esistenza.
A tale scopo la fruibilità dei permessi è stata estesa anche al padre,
indirettamente dimostrando che la finalità dell'allattamento al seno è
solo uno degli obiettivi, ma non l'unico, che la norma intende perseguire.
Tuttavia il legislatore si è anche preoccupato di contemperare le esigenze
di assistenza del bambino con quelle del lavoro, limitando il godimento
dei permessi giornalieri al primo anno di vita del minore; nessuna disparità
di trattamento è ravvisabile, perciò, tra figli adottivi e figli cresciuti
dai genitori biologici, perché la norma ha ritenuto che le esigenze primarie
di accudimento del neonato cessino al compimento del primo anno di età.
Sindacare la scelta compiuta, estendendo la portata della norma nel senso
auspicato dal remittente, significherebbe entrare in una sfera riservata
alla discrezionalità del legislatore, per di più creando una fattispecie
dagli incerti confini applicativi.
Le considerazioni svolte dimostrano anche,
secondo la difesa erariale, l'inesistenza della presunta violazione dell'art.
77 Cost. sotto il profilo dell'eccesso di delega; la norma impugnata,
infatti, in conformità al criterio direttivo di cui all'art. 15, comma
1, lettera c), della legge n. 53 del 2000, non mira affatto ad introdurre
nell'ordinamento una norma nuova, bensì soltanto ad assicurare la coerenza
logica complessiva del sistema normativo vigente.
Considerato in diritto
1.- Il Tribunale di Trieste ed il Tribunale
di Ivrea sottopongono all'esame della Corte due questioni che, quantunque
aventi ad oggetto disposizioni diverse (ratione temporis), sono nella
sostanza di identico contenuto.
In particolare, il Tribunale di Trieste
dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e
37 della Costituzione, dell'art. 10 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204
(Tutela delle lavoratrici madri), e dell'art. 6 della legge 9 dicembre
1977, n. 903 (Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro);
il Tribunale di Ivrea, invece, solleva questione di legittimità costituzionale
dell'art. 45 (comma 1) del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo
unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della
maternità e della paternità, a norma dell'art. 15 della legge 8 marzo
2000, n. 53), in riferimento agli artt. 3, 29, 30, 31, 37 e 77 della Costituzione.
Fondamento di entrambe le questioni è
il dubbio riguardante la fruizione dei permessi giornalieri in favore
dei genitori adottivi e degli affidatari, che la legislazione vigente
limita al primo anno di vita del bambino, così come per i figli biologici.
Ad avviso dei Tribunali remittenti, invece, in caso di adozione o di affidamento
tali permessi dovrebbero essere fruibili a partire dalla data di effettivo
ingresso del minore nella famiglia, pur rimanendo fermo l'attuale limite
annuale, sussistendo altrimenti violazione sotto vari profili dei menzionati
parametri costituzionali.
2.- Le due questioni si differenziano
sostanzialmente soltanto da un punto di vista di cronologia delle norme
impugnate, perché le leggi n. 1204 del 1971 e n. 903 del 1977 sono state
trasfuse, assieme a molte altre, nel testo unico di cui al d. lgs. n.
151 del 2001; il Tribunale di Trieste ha impugnato le norme previgenti,
mentre quello di Ivrea ha impugnato l'art. 45 del testo unico. Le questioni,
pertanto, possono essere riunite e decise con una sola pronuncia.
3.- La questione proposta del Tribunale
di Trieste è inammissibile per un duplice ordine di ragioni.
Da un lato, infatti, il giudice a quo
non ha descritto in modo adeguato la fattispecie sottoposta al suo esame;
in particolare, ha omesso di indicare una dato essenziale ai fini della
rilevanza, ossia la data di effettivo ingresso nella famiglia della ricorrente
dei due bambini destinatari dell'affidamento preadottivo; d'altro canto,
poi, egli, pur mostrando di conoscere la legge n. 53 del 2000 ed il d.
lgs. n. 151 del 2001, non ha tuttavia fornito alcuna motivazione sulla
ragione che lo ha indotto a sottoporre all'esame della Corte due norme
espressamente abrogate dall'art. 86 del decreto da ultimo menzionato.
In tal modo il giudice remittente ha dimenticato che, secondo pacifica
giurisprudenza di questa Corte (v. da ultimo l'ordinanza n. 204 del 2002),
lo scrutinio di legittimità costituzionale avente ad oggetto norme abrogate
prima della rimessione della questione è possibile solo a condizione che
si dia conto delle ragioni per le quali tale scrutinio mantiene la sua
rilevanza nel giudizio principale.
Né, d'altronde, per sopperire alle suddette
lacune dell'ordinanza, è possibile fare ricorso alle allegazioni delle
parti.
4.- La questione di legittimità costituzionale
sollevata dal Tribunale di Ivrea va esaminata, logicamente, innanzitutto
sotto il profilo preliminare dell'eccesso di delega; ad avviso del giudice
a quo, infatti, poiché il testo unico di cui al d. lgs. n. 151 del 2001
non avrebbe potuto avere contenuto innovativo - in forza dei criteri direttivi
contenuti nell'art. 15, comma 1, lettera c), della legge delega n. 53
del 2000 - l'art. 45 impugnato, nello stabilire il limite del primo anno
di vita del bambino anche per i genitori adottivi e per gli affidatari,
avrebbe oltrepassato i limiti della delega stessa.
Questa censura è inammissibile.
Il giudice remittente prospetta infatti
il vizio di eccesso di delega nel convincimento che il limite di un anno
dalla nascita del bambino non fosse già previsto dall'art. 10 della legge
n. 1204 del 1971 e sia stato quindi introdotto ex novo illegittimamente
dalla norma censurata, ma di tale convincimento il Tribunale di Ivrea
non fornisce alcuna motivazione, con la conseguenza che la questione,
sotto il profilo qui esaminato, è inammissibile.
5.? La questione prospettata dal Tribunale
di Ivrea è invece fondata per violazione dell'articolo 3 della Costituzione
sia sotto il profilo dell'eguaglianza, perché la norma censurata assoggetta
a eguale trattamento situazioni diverse, sia sotto quello della intrinseca
irragionevolezza.
Si premette che l'istituto dei riposi
giornalieri, senza indugiare sulla normativa anteriore alla Costituzione,
aveva la sua originaria disciplina nell'articolo 9 della legge 26 aprile
1950, n. 860, ed era regolato come strumento finalizzato esclusivamente
all'allattamento. La norma richiamata attribuiva il diritto a tali permessi
soltanto alle madri che allattavano direttamente i propri bambini, prevedendo
le pause in funzione di quell'unica necessità, tanto che la predisposizione,
da parte del datore di lavoro, delle cosiddette camere di allattamento
e dell'asilo nido obbligava le lavoratrici ad allattare in sede, senza
possibilità di uscire dai locali aziendali.
I riposi giornalieri erano quindi concepiti
come complementari alle altre misure dirette alla protezione della maternità
biologica oltre che parzialmente sostitutivi dell'astensione dal lavoro
post partum.
Il successivo articolo 10 della legge
n. 1204 del 1971 dimostra già un cambiamento di prospettiva. Infatti,
la fruizione dei riposi risulta non più strettamente connessa all'esigenza
puramente fisiologica dell'allattamento, tanto che la norma non obbliga
più la lavoratrice ad utilizzare le strutture eventualmente predisposte
dal datore di lavoro, quali le camere di allattamento e gli asili nido,
e comincia a dare rilievo all'aspetto affettivo e relazionale del rapporto
madre-figlio.
E' indubbio, quindi, che gli istituti
a protezione della maternità nascono e vivono per un certo tempo in un
contesto sociale e ordinamentale nel quale da un canto l'adozione, ed
in particolare quella dei minorenni, ha scarsa applicazione e svolge una
funzione ben diversa da quella che avrebbe successivamente assunto, dall'altro
il ruolo del padre nella società e nella famiglia è ancora concepito come
del tutto secondario riguardo alla crescita e alla educazione dei figli
nei primi anni della loro vita, sicché ciò che ha preminente rilievo è
pur sempre la maternità biologica. In tale periodo è soltanto la giurisprudenza
ordinaria che, non senza oscillazioni e contrasti, estende ai genitori
adottivi i benefici previsti per i genitori naturali.
6.? Il quadro muta radicalmente a partire
dagli anni settanta per effetto di una serie di leggi di riforma (diritto
di famiglia, parità di trattamento tra uomo e donna in materia di lavoro,
adozione dei minori) e di alcune decisioni di questa Corte.
Limitando l'indagine a ciò che più specificamente
riguarda la questione in esame, l'art. 6 della legge n. 903 del 1977 ha
esteso alle madri adottive o affidatarie gli istituti dell'astensione
dal lavoro obbligatoria e facoltativa e l'art. 7 ha attribuito anche al
padre lavoratore il diritto all'astensione facoltativa, ma solo a determinate
condizioni.
Ciò che occorre soprattutto sottolineare
è che la legge, stabilendo che i benefici potevano essere goduti, in caso
di adozione o affidamento, nel primo anno d'ingresso del bambino nella
famiglia dell'adottante o dell'affidatario, anche se limitatamente all'ipotesi
che il bambino non avesse superato i sei anni di età, ha attribuito rilievo
alla diversità di esigenze del bambino adottato rispetto a quelle proprie
del bambino che vive con i genitori naturali o con almeno uno di questi.
7.? Questa Corte è stata più volte chiamata
a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale delle norme disciplinanti
gli istituti a protezione della maternità e dei minori, in particolare
sotto il profilo della loro mancata o non totale estensione al padre lavoratore
oppure ai genitori legali (adottanti o affidatari).
Per effetto di una serie di decisioni,
tutte di accoglimento, il diritto all'astensione obbligatoria ed ai riposi
giornalieri, a determinate condizioni, è stato esteso al padre lavoratore
(sentenza n. 1 del 1987); il diritto all'astensione facoltativa è stato
riconosciuto alla madre affidataria provvisoria e quello all'astensione
obbligatoria alla madre affidataria in preadozione (sentenza n. 332 del
1988); il diritto all'astensione nei primi tre mesi dall'ingresso del
bambino nella famiglia è stato attribuito al padre lavoratore affidatario
di minore per i primi tre mesi successivi all'ingresso del bambino nella
famiglia in alternativa alla madre (sentenza n. 341 del 1991); il diritto
ai riposi giornalieri, infine,è stato esteso, in via generale ed in ogni
ipotesi, al padre lavoratore in alternativa alla madre consenziente, per
l'assistenza al figlio nel suo primo anno di vita (sentenza n. 179 del
1993).
8.? Da quanto sinteticamente esposto risulta
che gli istituti dell'astensione dal lavoro, obbligatoria e facoltativa,
ora denominati congedi, e quello dei riposi giornalieri oggi non hanno
più l'originario necessario collegamento con la maternità naturale e non
hanno più come esclusiva funzione la protezione della salute della donna
ed il soddisfacimento delle esigenze puramente fisiologiche del minore,
ma sono diretti anche, come questa Corte ha già più volte affermato nelle
motivazioni delle sentenze suindicate, ad appagare i bisogni affettivi
e relazionali del bambino per realizzare il pieno sviluppo della sua personalità.
Ciò che più rileva, ai fini della soluzione
della presente questione, è la piena coincidenza tra la ratio delle decisioni
di questa Corte appena richiamate e l'attività del legislatore. Questi,
nel momento in cui ha esteso misure previste in caso di filiazione naturale
alla filiazione adottiva ed all'affidamento ha avvertito che l'età del
minore diveniva un elemento, se non trascurabile, certamente secondario,
mentre veniva in primo piano il momento dell'ingresso del minore nella
famiglia adottiva o affidataria, in considerazione delle difficoltà che
tale ingresso comporta sia riguardo alla personalità in formazione del
minore, soggetta al trauma del distacco dalla madre naturale o a quello
del soggiorno in istituto, sia per i componenti della famiglia adottante
o affidataria.
9.? Il d. lgs. n. 151 del 2001, il cui
articolo 45 è censurato dal Tribunale di Ivrea, ha coordinato e razionalizzato
tutta la disciplina di tutela delle lavoratrici e dei lavoratori connessa
alla maternità e paternità dei figli naturali, adottivi e in affidamento,
nonché le misure di sostegno economico alla maternità e alla paternità
(art. 1), ribadendo, nei casi di adozione e di affidamento, la rilevanza
del momento dell'ingresso del minore nella famiglia per quanto concerne
la fruizione dei congedi (v. art. 26, comma 2; art. 31; art. 36, comma
2, del medesimo decreto).
Le difese della Presidenza del Consiglio
e dell'INPS, pur convenendo sull'evoluzione e sul mutamento di funzioni
che gli istituti a sostegno della maternità e della paternità hanno avuto
nel corso degli ultimi decenni, sostengono che quello dei riposi giornalieri
conserva pur sempre un collegamento con le necessità connesse alla prima
età del minore, come sarebbe dimostrato dall'art. 41 del d. lgs. n. 151
del 2001, secondo cui la durata dei riposi è raddoppiata in caso di parto
plurimo.
Tale tesi non può essere accolta.
I riposi giornalieri, una volta venuto
meno il nesso esclusivo con le esigenze fisiologiche del bambino, hanno
la funzione, come si è detto, di soddisfare i suoi bisogni affettivi e
relazionali al fine dell'armonico e sereno sviluppo della sua personalità.
Essi, pertanto, svolgono una funzione omogenea a quella che assolvono
i congedi e, più specificamente, i congedi parentali. Ora, per questi
il legislatore ha ritenuto rilevante, in caso di adozione o di affidamento,
il momento dell'ingresso del minore nella famiglia, considerando l'età
del minore, peraltro diversamente disciplinata a seconda delle varie ipotesi
di adozioni o affidamenti (per l'adozione internazionale v. gli artt.
27 e 37 del d. lgs. n. 151 del 2001), esclusivamente come un limite alla
fruizione dei benefici. Ne consegue che restringere il diritto ai riposi
per gli adottanti e gli affidatari al primo anno di vita del bambino non
soltanto è intrinsecamente irragionevole, ma è anche in contrasto con
il principio di eguaglianza, perché l'applicazione agli adottanti ed agli
affidatari della stessa formale disciplina prevista per i genitori naturali
finisce per imporre ai primi ed ai minori adottati o affidati un trattamento
deteriore, attesa la peculiarità della loro situazione.
Nè può indurre a diversa conclusione la
richiamata disposizione sulla disciplina dei riposi in caso di parto plurimo,
poiché non solo le esigenze fisiche ma anche quelle affettive richiedono
un tempo maggiore quando debbono essere soddisfatte riguardo a più persone.
Deve essere, quindi, dichiarata l'illegittimità
costituzionale dell'art. 45 del d. lgs. n. 151 del 2001, per contrasto
con 1'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che i
riposi giornalieri di cui agli articoli 39, 40 e 41 dello stesso decreto
si applichino, in caso di adozione o di affidamento, entro il primo anno
dall'ingresso effettivo del minore nella famiglia.
Rientra nella discrezionalità del legislatore
stabilire eventualmente dei limiti alla fruizione dei riposi correlati
all'età del minore adottato o affidato.
Restano assorbiti gli altri profili di
censura.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara l'illegittimità costituzionale
dell'art. 45, comma 1, del decreto legislativo 26 marzo 2001 n. 151 (Testo
unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della
maternità e paternità, a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000,
n. 53), nella parte in cui prevede che i riposi di cui agli artt. 39,
40 e 41 si applichino, anche in caso di adozione e di affidamento, "entro
il primo anno di vita del bambino" anziché "entro il primo anno
dall'ingresso del minore nella famiglia";
dichiara l'inammissibilità della questione
di legittimità costituzionale dell'art. 10 della legge 30 dicembre 1971,
n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), e dell'art. 6 della legge 9
dicembre 1977, n. 903 (Parità di trattamento tra uomini e donne in materia
di lavoro), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 37 della Costituzione,
dal Tribunale di Trieste con l'ordinanza di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 marzo 2003.
F.to:
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Francesco AMIRANTE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'1 aprile 2003.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
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