La norma che sanziona la mancata esibizione si applica solo ai regolari
Il clandestino può non esibire un documento di identità
(Cassazione, Sezione Terza Penale 31990/03)
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Lo straniero che si trova in Italia in condizione di clandestinità non è obbligato
ad esibire il documento di identità alle autorità che ne facciano richiesta,
e pertanto il suo rifiuto non costituisce reato in quanto la norma incriminatrice
si applica solo ai cittadini extracomunitari con regolare permesso di soggiorno.
Lo ha stabilito la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione decidendo
il caso di un albanese condannato per lesioni e resistenza a pubblico ufficiale
ma prosciolto dall'accusa di mancata esibizione senza giustificato motivo di
un documento identificativo perché "il fatto non sussiste". Per tale motivo
il Procuratore Generale di Firenze aveva fatto ricorso in Cassazione chiedendo
la condanna anche per quest'ultimo reato. I Giudici di Piazza Cavour però sono
stati di diverso avviso ed hanno respinto il ricorso, spiegando che lo straniero
clandestino non ha l'obbligo di munirsi di un documento di identificazione mentre
tale obbligo grava certamente sul cittadino extracomunitario munito di regolare
permesso di soggiorno, al quale solamente è applicabile la norma penale in questione.
La Suprema Corte ha infatti precisato che, se il clandestino fosse obbligato
ad esibire un documento di identità, paleserebbe il suo stato di clandestinità,
ed in tal modo "si violerebbe il principio secondo il quale nessuno può essere
tenuto ad agire contro se stesso"; pertanto, concludono i Supremi Giudici, "la
condizione di clandestinità, che non è oggi sanzionata penalmente, non può trovare
surrettizie sanzioni penali, attraverso un sistema che criminalizzi indiscriminatamente
l'inadempimento di meri oneri di natura amministrativa". (25 agosto 2003)
Suprema Corte di Cassazione, Sezione Terza Penale, sentenza
n.31990/2003
OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO
1. Il giudice monocratico di Firenze ha pronunciato sentenza di applicazione della
pena nei confronti di R. A., cittadino albanese, in ordine ai reati di resistenza
a pubblico ufficiale e lesioni aggravate, mentre ha prosciolto l'imputato, con
la formula perché il "fatto non sussiste", dal reato previsto dall'articolo 6,
comma 4, legge 40/1998 [1], relativo alla omissione di esibizione, senza giustificato
motivo, di un documento di identificazione. 2. Il Pg di Firenze propone ricorso
con riferimento al proscioglimento dell'imputato. Premesso il richiamo alla giurisprudenza
di legittimità, che in casi simili ha statuito il carattere unitario della decisione,
il Pg sostiene l'erronea applicazione della legge penale, in quanto la mancata
esibizione del documento - formula più ampia del mero rifiuto di esibizione -
si applicherebbe anche agli stranieri clandestini ed a coloro che volontariamente
si sono posti nella condizione di non possedere un documento. 3. La questione
risulta numerose volte affrontata dalla Suprema Corte, con decisioni tra loro
difformi, indicative della persistenza di un contrasto giurisprudenziale, che
risulta, peraltro, già segnalato. 4. In breve, le ragioni addotte a sostegno della
configurabilità del reato anche per gli stranieri clandestini sprovvisti di un
documento d'identità si sostanziano nelle seguenti articolazioni: a) la norma
incriminatrice, sanzionando la mancata esibizione, non già il "rifiuto", del documento
di identificazione, presuppone che di tale documento lo straniero abbia l'obbligo
di munirsi; b) per "giustificati motivi" devono intendersi comportamenti non collegabili
a comportamenti volontari; c) l'articolo 6, comma IV, prevede che lo straniero
sia sottoposto a rilievi segnaletici quando vi siano dubbi sulla sua identità
personale; d) l'articolo 6, comma IX, prevede altresì che sia rilasciato allo
straniero un documento di identificazione non valido per l'espatrio. 5. Gli indicati
argomenti, tuttavia, non convincono. 6. Già dalla collocazione della disposizione
nell'ambito dell'articolo 6, relativo alle "facoltà ed obblighi inerenti al soggiorno",
si evince una chiara scelta di politica criminale, tesa ad applicare la sanzione
solo agli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia. Il primo ed il secondo
comma di questo articolo recano disposizioni riferibili esclusivamente agli immigrati
muniti di permesso di soggiorno. Così anche i commi successivi al comma 3. Una
lettura sistematica della norma porta evidentemente ad escludere che solo il comma
3, del tutto fuori contesto, possa essere estensivamente applicabile anche agli
stranieri clandestinamente introdottisi in Italia. 7. D'altronde, un'interpretazione
estensiva del comma 3 agli stranieri clandestini finirebbe con il sanzionare puramente
e semplicemente la condizione di clandestinità, contro la chiara volontà del legislatore,
quale emerge dai lavori parlamentari, oltre che dal testo legislativo approvato.
8. Non possono, poi, essere condivise nello specifico le ragioni poste a fondamento
delle decisioni, che hanno sostenuto la configurabilità del reato per gli stranieri
clandestini sprovvisti di documenti. 9. In primo luogo, va confutata l'affermazione
secondo cui lo straniero avrebbe comunque l'obbligo di munirsi di un documento
di identificazione. Difatti, posto che il comma 3 non fa alcun cenno al documento
di identificazione rilasciabile ai sensi del comma 9 (parla di passaporto o altro
documento di identificazione senza operare alcuna specificazione), tale ultima
disposizione, nel prevedere il rilascio allo straniero di un documento di identificazione
non valido per l'espatrio, non prevede per lo straniero, che ne sia privo, alcun
obbligo di richiederne il rilascio. D'altro canto, lo straniero clandestino non
ha alcuna possibilità di ottenere un simile documento, poiché, non appena si accingesse
a richiederlo, paleserebbe il suo stato di clandestinità ed attiverebbe il procedimento
di espulsione. Orbene, sarebbe contra ius una norma che, pur ascrivendo l'ingresso
clandestino all'area del penalmente irrilevante, imponesse al clandestino di attivarsi
per munirsi di un documento di identificazione, che equivarrebbe ad una denuncia
del suo stato di clandestinità e porrebbe quindi le condizioni per la sua espulsione.
Ove l'ordinamento pretendesse un simile comportamento, violerebbe il principio
secondo il quale nessuno può essere tenuto ad agire contro se stesso. Ne deriva
con chiarezza che il possesso del documento di identificazione, di cui al comma
9, è dalla normativa in vigore consentito solo agli stranieri regolarmente soggiornanti
in Italia. Anche il richiamo al quarto comma dell'articolo 6 appare inconferente,
la sottoposizione dello straniero a rilievi segnaletici essendo dettata unicamente
da esigenze di prevenzione generale e finalizzata non già a fornire allo straniero
un valido documento di identificazione, ma solo a favorire gli eventuali controlli
di pubblica sicurezza. 10. Ciò posto, il fulcro intorno a cui va sviluppata l'attività
interpretativa è rappresentato dall'inciso "per giustificato motivo". In giurisprudenza
se ne è discussa la natura (se si tratti di elemento costitutivo del reato o causa
di esclusione della punibilità) piuttosto che l'ambito di applicazione. Le sentenze
della Corte di cassazione che in questa sede sono sottoposte a critica (cfr. per
tutte Cassazione, sezione prima, 29.11.1999 Pg in proc. Lechehebeb) hanno offerto
soltanto un breve spunto alla riflessione, sostenendo che i giustificati motivi
non sono collegabili a comportamenti volontari. La regola ivi affermata deve essere
esplicata nella sua interezza per essere appieno compresa: sarebbero riconducibili
a comportamenti volontari sia la condotta di chi volontariamente si disfi dei
propri documenti, sia la condotta omissiva di chi, essendone privo, violi l'obbligo
giuridico di munirsi di altro documento identificativo. In tal modo la costruzione
logica si chiude nella sua circolarità rendendo indefettibilmente passibili di
sanzione penale gli stranieri clandestini. L'asserzione, peraltro, sembra riecheggiare
il principio secondo cui le cause di giustificazione non possono essere invocate
da chi abbia causato volontariamente la situazione di pericolo, ma non si interroga
sul diverso ambito e sulla diversa e più ampia portata del concetto sotteso alla
"esimente del giustificato motivo". In particolare, poi, l'affermazione trascura
di considerare che il comportamento possa ben essere consapevole e volontario,
ma contemporaneamente dettato dall'impossibilità di tenere un comportamento diverso,
sì da renderlo inesigibile da parte dell'autorità. Si pensi a quei soggetti privi
ab origine di documenti o che ne siano rimasti sprovvisti per accadimenti estranei
alla loro volontà (perché, ad esempio, sfuggiti a persecuzioni politiche, guerre,
devastazioni, ecc.). Per costoro, è proprio l'ingresso clandestino in Italia a
costituire il giustificato motivo dell'omessa esibizione del passaporto o di altro
documento di identificazione. Difatti, si è dimostrato che lo straniero clandestino
sprovvisto di documenti non abbia alcun obbligo giuridico ex articolo 6, comma
9, di munirsi di un documento di identificazione, ed anzi si trovi nell'impossibilità
di farlo, perché qualunque comportamento diverso da quello omissivo si tradurrebbe
in una violazione del diritto sostanziale di autodifesa. 11. Né può essere validamente
sostenuto che l'omessa esibizione, non essendo direttamente correlata all'accertamento
della clandestinità, bensì preposta al regolare svolgimento di attività di pubblica
sicurezza, e solo indirettamente finalizzata all'espulsione, possa legittimamente
essere presidiata dalla norma penale. La condizione di clandestinità, che non
è oggi sanzionata penalmente, non può trovare surrettizie sanzioni penali, attraverso
un sistema che criminalizzi indiscriminatamente l'inadempimento di meri oneri
di natura amministrativa.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
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