In Prospettive assistenziali
(via Artisti 36, 10124 Torino, info@fondazionepromozionesociale.it)
n. 143/2003, p. 9.
La difesa dei più deboli: dal volontariato consolatorio al volontariato dei
diritti
Francesco Santanera
(torna all'indice informazioni)
Finalmente si sono levate alcune voci critiche sul ruolo attualmente svolto
dal volontariato con solatorio. Alessio Zamboni, noto esponente della Comunità
Papa Giovanni XXIII, presieduta da Don Oreste Benzi, nell'articolo "Volontari,
ma per con tare qualcosa", apparso sul n. 6, giugno 2002 di Sempre, osserva
che attualmente il volontariato "nato per aiutare i più deboli, i più emarginati,.
rischia di essere perfettamente funzionale proprio a quel sistema che, mentre
da un lato continua a produrre nuovi poveri ed emarginati, dall'altro sostiene
ed agevola chi si impegna per alleviare le loro sofferenze". Precisa, inoltre,
quanto segue: "Nessuno vuoi negare che ogni gesto di amore verso una persona
in stato di bisognò sia in sé un atto degno di lode. Tuttavia se si vuole che
questo movimento di amore e di donazione gratuita inneschi un processo di cambiamento
strutturale sulle condizioni di vita di chi oggi subisce l'ingiustizia, occorre
che l'azione di volontariato tenga conto di. alcuni aspetti fondamentali", che
l'Autore indica nel passaggio "dal servizio alla condivisione", nel "rimuovere
le cause dell'emarginazione", nella "attenzione all'orientamento dei servizi",
nel "rifiuto della delega" e nella individuazione di "nuovi modelli di vita".
A sua volta, Marco Bersani, Presidente nazionale della Società italiana di San
Vincenzo de' Paoli, una delle più potenti organizzazioni di volontariato, nell'introduzione
del Sussidio formativo 2001 2002, richiama "l'attenzione dei vincenziani sul
valore della giustizia, che dovrebbe sempre, se. non precedere, sicuramente
accompagnare la carità e mai avere un ruolo subalterno o aleatorio". Preso atto
che "nella pratica si riscontra che spesso il vincenziano è portato ad elargire
più doni di carità che di giustizia" (1), nel documento di cui sopra si afferma
che "detta propensione non stupisce" poiché "dipende da vari fattori, tra cui
le estese forme di povertà, la difficoltà di analisi, la poca preparazione a
lavorare in funzione di giustizia sociale, la frammentazione fra i vincenziani
con la conseguente difficoltà a creare le sinergie occorrenti". Amare sono le
valutazioni del Presidente nazionale della S. Vincenzo de' Paoli sulla situazione
attuale. Infatti, puntualizza quanto segue: "Se la San Vincenzo fosse con convinzione
impegnata a dare "a titolo di giustizia", dovremmo sommergere gli enti locali
e nazionali di iniziative sociali di ogni tipo e genere. Invece, quanto silenzio
attorno ai temi di giustizia sociale ed a possibili, condivise iniziative di
tipo politico per affrontare le cause della povertà ricorrente nonostante la
creazione del Dipartimento delle politiche sociali ed i documenti pubblicati!".
La gravita delle affermazioni sopra riportate è confermata dal fatto che il
Fondatore della Società di San Vincenzo de' Paoli, Federico Ozanam, già nel
1848, aveva chiarito: "Sì, è troppo poco consolare l'indigente che soffre giorno
dopo giorno. Bisogna mettere mano alla radice del male e, tramite sagge riforme,
ridurre le cause della miseria pubblica". Preoccupazioni sull'attuale situazione
sono espresse anche da Mons. Giuseppe Pasini Presidente della Fondazione Zancan,
che, nell'articolo "Advocacy, una funzione da riscoprire" (La. rivista del volontariato,
dicembre 2002) propone il volontariato dei diritti a sostegno della fascia della
popolazione che "si trova nell'impossibilità di realizzare una vita dignitosa;
è privata di risposte adeguate al proprio bisogno sul piano sanitario, assistenziale,
culturale, abitativo, ambientale, relazionale, eccetera; inoltre non ha la possibilità
di contribuire alla costruzione del bene comune". Ad avviso del Presidente della
Fondazione. Zancan la "urgenza di una azione di advocacy da parte del volontariato"
emerge anche dal fatto che "siamo in presenza di un modello di welfare che.
tende a ridurre al minimo l'intervento dello Stato e ad affidare la risposta
ai problemi della povertà alla società, cioè alle espressioni spontanee di beneficenza,
alle fondazioni umanitarie, alle associazioni di volontariato".
Mons. Pasini ricorda che "il "logo" che domina va i lavori della quarta Conferenza
sul volontariato tenuta ad Arezzo all'inizio di ottobre del 2002, rispecchiava
questa concezione poiché rappresentava un bambino povero che riceve un tozzo
di. pane da un nobile con la giacca di velluto".
Alcune nostre considerazioni preliminari
Attualmente, non si può non tener conto che la stragrande maggioranza del volontariato,
in particolare quello di matrice cattolica, è orientato al sostegno compassionevole
delle persone e dei nuclei familiari in difficoltà, senza intervenire (e frequentemente
nemmeno analizzare) le cause del bisogno. Finora, anche la stragrande maggioranza
delle forze politiche, i sindacati, nonché quasi tutte le forze sociali, non
sono adeguatamente intervenute a difesa delle esigenze e dei diritti di coloro
che, privi delle necessarie capacità di azione, non hanno alcuna possibilità
di tutelare i propri interessi vitali: disporre di un luogo in cui abitare,
essere curati se malati, avere risorse economiche sufficienti almeno per sopravvivere,
ecc.
Si tratta, infatti, di soggetti che non sono in grado di autodifendersi o perché
fanciulli o in quanto seriamente malati o perché colpiti da grave handicap intellettivo.
Ad evitare fraintendimenti, è noto che ben diversa è la posizione dei partiti
e dei sindacati quando si tratta dell'affermazione e della salvaguardia dei
diritti (ad esempio, dei disoccupati e dei cassintegrati) delle persone che
hanno la capacità di esprimere i loro bisogni e di agire anche attraverso forme
di protesta e di proposta perché essi vengano riconosciuti. Sia ben chiaro che
ritengo molto importanti le. azioni delle forze politiche, sindacali e sociali
che hanno lottato e lottano per liberare dal bisogno i gruppi sociali subalterni,
ma non posso fare a meno di rilevare che molto di rado (e solo sporadicamente)
le stesse organizzazioni hanno assunto iniziative concrete nei confronti delle
persone che oggi (e presumibilmente anche in futuro) non sono in grado di impegnarsi,
a causa delle loro condizioni psico-fisiche, in iniziative efficaci per l'affermazione
dei loro bisogni vitali e dei loro diritti. Oltre a ciò, è assai preoccupante
che siano estremamente carenti (e spesso assenti nel bagaglio culturale di molte
organizzazioni politiche e sociali) l'analisi delle condizioni di vita delle
persone ultime della società (2) e le proposte rivolte alla rimozione
delle cause dell'emarginazione. La prova inconfutabile delle desolanti ma veritiere
affermazioni di cui sopra è fornita dall'approvazione della legge 328/2000 di
riforma dell'assistenza e dei servizi sociali, avvenuta pressoché all'unanimità
sia alla Camera dei Deputati che al Senato, in cui - come è stato più volte
ricordato su questa rivista - sono stati cancellati diritti che godevano i più
deboli e non ne è stato previsto nemmeno uno nuovo (3). La presenza delle attuali
profonde carenze culturali è dimostrata, altresì, dai giudizi positivi emersi
in merito alla legge 328/2000 da parte di. esperti del settore sociale. Numerosi
sono stati addirittura coloro che hanno sostenuto che nella legge suddetta vi
sono diritti esigibili, in effetti del tutto inesistenti (4). Un altro primato
della legge 328/2000, che va ricordato senza sosta data la sua gravità ed altresì
a causa del continuo e strumentale pretesto della carenza di mezzi economici,
riguarda la sottrazione dall'esclusiva destinazione ai poveri dei patrimoni
delle Ipab, Istituzioni. pubbliche di assistenza e beneficenza, ammontanti a
ben 110-140 mila miliardi delle vecchie lire, e dei relativi redditi (5). Invece
di stanziare ulteriori risorse a favore dei più deboli, ne sono state tolte
in misura assai rilevante, fra l'altro - fatto anch'esso assai preoccupante
- senza sollevare opposizioni e riserve da parte di coloro che affermano ad
ogni piè sospinto di essere dalla parte dei più deboli. Un ulteriore aspetto
inquietante è l'accettazione passiva dello scarico alle famiglie di competenze
sanitarie e socio-assistenziali per cui la cura e/o l'assistenza di persone
non autosufficienti determina molto spesso condizioni di povertà e, in molti
casi, di miseria (6).
Diritti esigibili e beneficenza
A mio avviso, le organizzazioni di volontariato e le altre forze sociali, che
intendono operare concretamente a favore dei soggetti più indifesi (che domani
potremmo essere noi stessi ed i nostri congiunti!) (7), dovrebbero riconoscere
che il miglioramento delle loro condizioni di vita si può 'conseguire solamente
se ai suddetti cittadini sono riconosciuti diritti esigibili e vengono messe
in atto tutte le iniziative occorrenti affinché detti diritti siano attuati.
Come ha giustamente rilevato il giudice Livio Pepino (8) "un diritto subordinato
alle risorse è semplicemente un non diritto", aggiungendo che "il diritto soggettivo
si differenzia dal semplice interesse o dalla semplice aspettativa per il fatto
di essere esigibile, cioè per l'esistenza nell'ordinamento di mezzi che ne garantiscono
l'attuazione".
In altre parole, o c'è un diritto esigibile a specifiche prestazioni (ad esempio,
alla frequenza di un centro diurno per soggetti con handicap intellettivo così
grave da precludere ogni possibilità di inserimento lavorativo proficuo) oppure
si cade nella mera beneficenza. Ne deriva, in questa eventualità, che la persona
in difficoltà può ricevere o non ricevere interventi anche urgenti, essendo
la valutazione delle sue esigenze soggetta a molti condizionamenti. Infatti,
bisogna individuare l'amministrazione disponibile (Comune, Consorzio di Comuni,
Provincia, ecc.) a esercitare tutte le necessarie azioni per l'approvazione
dì una deliberazione o di altro provvedimento da parte dell'ente suddetto, ottenere
la disponibilità delle strutture occorrenti, delle risorse economiche, del personale
necessario, ecc.
In assenza di diritti esigibili, la discrezionalità dell'ente può determinare,
altresì, disparità anche profonde di trattamento fra i possibili utenti. Difatti,
l'amministrazione, a cui la legge non impone alcun obbligo, può stabilire, riprendendo
l'esempio di cui sopra, che pur essendo le loro condizioni equiparabili, Mario
può frequentare il centro diurno per 40 ore settimanali, Giovanna solo per 20,
mentre per Maurizio l'ammissione è subordinata al versamento da parte dei genitori
di un contributo mensile di euro 400, nonostante che le leggi vigenti non consentano
agli enti pubblici di pretendere alcuna somma dai congiunti dei soggetti con
handicap in situazione di gravita.
Inoltre, in assenza di diritti esigibili da parte di cittadini, l'ente può ridurre
sul piano quantitativo e/o qualitativo le prestazioni già fornite, sospenderle
anche sine die e assumere altri provvedimenti ritenuti utili per l'ente stesso,
anche se in netto contrasto con le esigenze delle persone e dei nuclei familiari
in difficoltà. In questo ambito si colloca il volontariato dei diritti che opera
proprio perché le istituzioni siano obbligate a fornire le prestazioni indispensabili
alle persone in difficoltà ed a garantire le stesse risposte a tutti i soggetti
che si trovano nelle medesime condizioni e con le stesse fondamentali esigenze
di vita.
Il volontariato dei diritti chiede, quindi, che, a seconda delle situazioni,
il Parlamento, le Regioni, le Province autonome di Bolzano e Trento, i Comuni
singoli e associati, le Asl e le Province assumano provvedimenti in cui siano
precisate le prestazioni che i cittadini hanno il diritto di ricevere (9). Per
quanto riguarda il volontariato consolatorio, i cui interventi, compresi quelli
assolutamente indispensabili per una accettabile qualità della vita, dipendono
dalla disponibilità dei volontari, non c'è dubbio che i suoi obiettivi e la
sua metodologia siano l'espressione della beneficenza e, quindi, estranei alla
cultura dei diritti.
Volontariato e gestione dei servizi
Mentre i diritti possono essere garantiti solo dalle istituzioni, le relative
prestazioni, com'è ovvio, possono essere fornite anche da enti privati convenzionati.
Ad esempio, il diritto alla frequenza di un centro diurno per soggetti ultradiciottenni
con handicap grave deve essere garantito dall'ente locale (Comune singolo o
associato), mentre la gestione può essere assicurata o dall'ente suddetto o
da una organizzazione privata.
Alcune precisazioni vanno fatte per quanto riguarda i gruppi di volontariato
impegnati nella gestione dei servizi.
Per assicurare prestazioni veramente valide, dovrebbero rispettare le esigenze
ed i diritti degli utenti, ma quasi mai ciò è possibile a causa delle clausole
contrattuali convenute con l'ente pubblico. Anche se lo volessero e se ciò fosse
indispensabile per gli utenti, essi non possono fornire servizi diversi da quelli
loro assegnati dalle convenzioni sottoscritte, pena il venir meno del rinnovo
della convenzione e dei relativi finanziamenti.
Come osserva acutamente Domenico Rosati (cfr. Avvenire del 26 giugno 2002),
la scelta della gestione dei servizi da parte delle organizzazioni di volontariato
determina per forza di cose la loro sudditanza nei confronti delle istituzioni.
Infatti "il volontariato anziché operare su autonomi progetti, realizza servizi
per conto del "pubblico", in regime di contributo o di convenzione. Così diventa
indispensabile per il pubblico, ma, reciprocamente, non può farne a meno".
In sostanza, anche nella gestione dei servizi, vale il vecchio detto: "Chi paga,
comanda".
Inserimento del volontariato nel quarto settore
Premesso quanto sopra esposto, ritengo che sia necessario, allo scopo di rendere
espliciti i diversi ambiti di intervento, che il volontariato sia considerato
come appartenente del quarto settore e non più del terzo (10).
Volontari per chi?
Per lo svolgimento di qualsiasi attività economica e/o sociale, in primo luogo
deve essere individuato il settore in cui si intende operare.
A mio avviso, il volontariato dei diritti deve rivolersi esclusivamente alle
persone incapaci di autodifendersi a causa dell'età (minori privi di adeguati
supporti da parte dei genitori e/o di altri congiunti) o delle condizioni psico-fisiche
(persone colpite dal morbo di Alzheimer e da altre forme di demenza senile,
adulti e anziani affetti da malattie invalidanti e da non autosufficienza, soggetti
con handicap intellettivo grave e gravissimo).
Ritengo, infatti, che non possano rientrare nel volontariato dei diritti gli
interventi a favore di coloro che hanno la capacità di autotutelarsi. Al riguardo,
non riesco a capire in base a quali principi il volontariato consolatorio si
adoperi a favore di chi è in grado di provvedere autonomamente e in modo adeguato
a se stesso o di retribuire il personale occorrente.
In secondo luogo, per praticare correttamente il volontariato dei diritti, è
assolutamente indispensabile che le persone, a cui rivolge la propria azione,
siano considerate come individui aventi gli stessi diritti fondamentali degli
altri cittadini, qualunque siano le loro condizioni psico-fisiche-intellettive.
Ne consegue che i volontari, mentre difendono il loro diritto ad un servizio
sanitario che prevenga e curi le malattie, ad una scuola che prepari alla vita
e al lavoro, a trasporti celeri e sicuri, ad una abitazione adeguata, ecc.,
devono operare affinchè gli stessi principi siano attuati anche nei confronti
di coloro che non hanno la possibilità di far valere le loro giuste ragioni.
E lo devono fare con atti concreti senza limitarsi - come spesso avviene - a
sottoscrivere altisonanti carte dei diritti, per essere poi pronti a tacere
anche quando le violazioni sono macroscopiche e colpiscono migliaia di loro
concittadini.
Se andando in una comunità alloggio a intrattenere dei bambini privi di sostegno
familiare, si può ricavare una certa soddisfazione personale, non si può negare
che questa attività non incide minimamente sulle nefaste conseguenze derivanti
dalla carenza di cure familiari e non modifica in nulla e per nulla il diritto
alla famiglia dei minori istituzionalizzati. Analoghe considerazioni valgono
per le prestazioni esclusivamente compassionevoli (gite, regali di oggetti anche
utili, visite, intrattenimenti di vario genere, ecc.) compiute nei riguardi
di persone ricoverate in strutture residenziali, dipendenti dagli altri a causa
di gravi handicap intellettivi o di patologie invalidanti. Infatti, le loro
esigenze di crescita, di educazione alla vita e, se possibile, di preparazione
al lavoro, di cura delle loro malattie non vengono certamente soddisfatte da
interventi settoriali e più o meno consolatori.
Il rapporto con le istituzioni
Nei confronti dei bambini istituzionalizzati, dei soggetti in difficoltà a causa
di gravi menomazioni, degli anziani malati cronici non autosufficienti, il volontariato
non deve essere un sostegno alle istituzioni che negano diritti o non predispongono
gli interventi indispensabili: la finalità fondante deve essere il rispetto
delle loro esigenze e dei loro diritti. A questo proposito, è noto che, mentre
il volontariato consolatorio gode dell'appoggio delle istituzioni (Ministeri,
Regioni, Comuni, Asl, Province, ecc.), altrettanto non può essere detto circa
il volontariato dei diritti.
Questo diverso atteggiamento delle istituzioni dovrebbe essere un motivo di
riflessione da parte delle associazioni e degli esperti del settore, allo scopo
di analizzare in modo approfondito quali siano i motivi reali delle notevoli
disparità di considerazione e di trattamento delle sopra indicate forme di volontariato
da parte degli enti pubblici. Ai volontari compassionevoli onori, finanziamenti
e, spesso, anche agevolazioni (assunzioni, convenzioni di favore, ecc.), mentre
ai volontari che operano per l'affermazione di diritti a favore dei più deboli
denigrazione del loro lavoro e delle loro richieste, boicottaggi vari (nessun
affidamento di relazioni in occasione di convegni, limitazione della durata
dei loro interventi nei dibattiti organizzati dalle istituzioni, esclusione
dei loro progetti dalle erogazioni di denaro, ecc.). Al riguardo, mi vengono
in mente le parole di Padre David Maria Turoldo: "In fatto di carità, anche
i monsignori romani sono sempre abbastanza disposti: a livello di elemosina
la carità non crea problemi. È a livello di giustizia che cominciano i guai"
(11).
In merito alle posizioni quasi sempre negative delle istituzioni nei confronti
del volontariato dei diritti, va osservato che detto comportamento è la diretta
conseguenza della negazione di diritti reali ai soggetti più deboli: non si
comprende altrimenti l'operato di Parlamento, Governo, Regioni, Province, Comuni
e Asl nei confronti di richieste la cui validità è del tutto incontrovertibile,
quali quelle rivolte a garantire come diritto esigibile l'assistenza, ad esempio,
agli handicappati privi di autonomia e di adeguato sostegno familiare, che non
dovrebbero essere abbandonati a loro stessi o affidati alla disponibilità di
benefattori. A questo proposito, è anche nota da tempo immemorabile la sofferenza
patita giorno dopo giorno dai loro genitori che non hanno alcuna certezza che
alla loro morte i figli saranno tempestivamente e correttamente assistiti (12).
Si è arrivati al punto che le organizzazioni di volontariato aderenti al Csa,
Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base, di Torino, sono state
costrette a indire una petizione per ottenere dal Governo, dalle Regioni e dagli
Enti locali il rispetto delle leggi vigenti che non consentono alle pubbliche
amministrazioni di pretendere contributi economici dai parenti non conviventi
di assistiti maggiorenni, mentre, per i soggetti con handicap in situazione
di gravità e per gli ultrasessantacinquenni non autosufficienti, detti contributi
non possono essere richiesti nemmeno ai congiunti conviventi (13).
Alcuni cenni sull'organizzazione dei gruppi di volontariato
Le prestazioni di volontariato consolatorio possono anche essere fornite - come
spesso avviene - da persone che agiscono per conto loro in piena autonomia.
Ciò non è assolutamente possibile per il volontariato dei diritti. Certamente,
anche il volontariato consolatorio deve appoggiarsi ad una organizzazione, qualora
il numero degli attivisti non consenta a ciascuno di essi di procedere per conto
proprio.
Tuttavia, nel volontariato compassionevole, la struttura, in genere un'associazione,
può anche avere - come quasi sempre capita - compiti esclusivamente organizzativi:
rapporti con gli enti a favore dei quali l'attività viene prestata, ripartizione
dei compiti fra i volontari, svolgimento delle pratiche burocratiche connesse
con le iniziative assunte, ecc. Invece, per il funzionamento, anche minimo,
di azioni aventi le caratteristiche del volontariato dei diritti, l'organizzazione
è assolutamente indispensabile, al punto che si può affermare che i singoli
individui non possono praticarlo in modo reale e continuativo.
Intervenire non solo sugli effetti del disagio, ma anche sulle cause
Oltre ai concetti in precedenza enunciati (attività svolte esclusivamente a
favore dei soggetti incapaci di autodifendersi, operatività diretta a garantire
l'assoluta uguaglianza dei diritti fondamentali ritenuti necessari per tutti
i cittadini, difesa delle esigenze delle persone deboli secondo gli stessi principi
considerati validi per noi stessi), il volontariato dei diritti si differenzia
da quello consolatorio perché non si limita ad agire nei confronti degli effetti
delle difficoltà personali e sociali, ma interviene, altresì, per quanto possibile,
per eliminare o almeno ridurre le cause dell'emarginazione.
Personalmente ritengo che non sia conforme ai più elementari principi etici
agire per il rispetto delle esigenze delle persone, in particolare di quelle
in gravi difficoltà esistenziali, ignorando di fatto e quindi volutamente sia
le cause del loro disagio, sia le condizioni di vita di tutti gli altri soggetti,
a volte decine e decine di migliaia, che si trovano nelle stesse condizioni.
Una proposta
Coloro che praticano il volontariato consolatorio dovrebbero riflettere sul
fatto che molto spesso vengono usati dalle istituzioni pubbliche per la copertura
delle loro carenze operative.
Segnalo, inoltre, che più volte dirigenti dei servizi sanitari e socio-assistenziali
hanno rinfacciato al Csa, senza entrare nel merito delle critiche e delle proposte
avanzate, la mancanza di obiezioni sul funzionamento dei servizi da parte dei
gruppi di volontariato consolatorio che operavano all'interno delle strutture
nei cui riguardi il Csa aveva rilevato carenze anche gravi.
Concludendo, auspico che i gruppi di volontariato consolatorio si rendano conto
dei limiti delle loro attività e sperimentino iniziative di effettiva tutela
dei diritti fondamentali dei soggetti deboli: ne ricaveranno certamente utili
insegnamenti per la prosecuzione del loro impegno sociale (14).
(1) II Presidente della Società di S. Vincenzo ricorda, altresì, che nel Vademecum
del vincenziano è riportata l'affermazione del Concilio Ecumenico Vaticano II:
"Siano innanzitutto adempiuti gli obblighi di giustizia perché non avvenga che
si offra come dono di carità ciò che a dovuto a titolo di giustizia".
(2) Ad esempio non vi sono ricerche aventi validità scientifica sulle condizioni
di vita dei soggetti incapaci di svolgere qualsiasi attività lavorativa proficua,
costretti attualmente a vivere con 223,90 euro mensili. È questo, infatti, il
livello per il 2003 della pensione erogata agli invalidi civili infrasessantenni.
Per quanto riguarda l'assegno di accompagnamento,. ammontante a euro mensili
431,19, l'importo è assolutamente insufficiente, soprattutto per coloro che
devono essere assistiti 24 ore su 24.
(3) Cfr. gli articoli apparsi su Prospettive assistenziali: "Anche l'esperta
dell'ex Ministro Livia Turco riconosce che nella legge 328/2000 non ci sono
diritti esigibili, anzi", n. 135,. 2001; "II testo di legge sui servizi sociali
calpesta le esigenze dei più deboli e ignora la prevenzione dell'emarginazione",
n.. 128, 1999; "Cinico no della Camera dei Deputati al riconoscimento del diritto
alle prestazioni di assistenza sociale indispensabili per le persone più deboli"
n. 129/2000; "Scandalosamente iniquo il testo sui servizi sociali approvato.
dalla Camera dei Deputati: tolti ai più deboli diritti e risorse. Un appello
ai Senatori, al Governo e al volontariato", n. 130, 2000; "La legge 328/2000
sui servizi sociali è iniqua e truffaldina", n. 132,2000.
(4) Al riguardo su Prospettive assistenziali sono stati pubblicati i
seguenti articoli: "Abbondano le notizie false sul testo di riforma dell'assistenza
e dei servizi sociali", n. 131, 2000; "Riforma dell'assistenza: un altro esperto
vede diritti che non ci sono", n. 132, 2000; "Altre notizie false sulla legge
di riforma dell'assistenza e dei servizi sociali", n. 133, 2001; "II Governo
Amato ha diffuso notizie fuorvianti sulla legge 328/2000 ed ha predisposto un
Piano sociale mistificatorio", n. 134, 2001; "Perché si continua a sostenere
che la legge 328/2000 prevede diritti esigibili?", n. 140/2002.
(5) Cfr. M. G. Breda, D. Micucci e F. Santanera, La riforma dell'assistenza
e dei servizi sociali. Analisi della legge 328/2000 e proposte attuative, Utet
Libreria, Torino, 2001.
(6) II Csa e Prospettive assistenziali continuano a ritenere estremamente
importante il riconoscimento del volontariato infra-familiare. Cfr. i seguenti
articoli pubblicati su Prospettive assistenziali: "Proposta di delibera
sul volontariato infra-familiare", n. 123, 1998; "Seconda proposta di delibera
sul volontariato infra-familiare rivolto ai coniugi colpiti da malattie invalidanti
e da non autosufficienza", n. 124, 1998; "Approvata la prima delibera sul volontariato
infra-familiare", n. 131, 2001.
(7) Di conseguenza, coloro che operano nell'ambito del volontariato dei diritti
svolgono anche una azione di tutela delle esigenze che si manifestano nel caso
sopraggiungano condizioni di salute che determinano la loro non autosufficienza.
(8) Cfr. Livio Pepino, "La salute: fortuna o diritto?", Animazione sociale,
n. 12, dicembre 2001.
(9) Delibere aventi le caratteristiche di cui sopra sono, ad esempio, quelle
approvate dal Consiglio comunale di Torino in data 21 giugno 1978 in merito
alla determinazione dei criteri generali di erogazione e degli importi per l'assistenza
economica (Cfr. Prospettive assistenziali n. 41 e 44, 1978) e dalla Giunta comunale
della stessa città in data 18 aprile 2001 in cui è sancita l'erogazione di un
contributo a fondo perduto dell'importo massimo di 10 milioni di ex lire a favore
dei giovani in affidamento familiare che, al compimento del diciottesimo anno
di età, non possono rientrare nella loro famiglia di origine e per i quali si
può avviare un percorso rivolto alla loro autonomia personale, lavorativa ed
abitativa \cf1 Ibidem, n. 134, 2001).
(10) Pertanto i settori risultano essere: Stato, mercato, attività imprenditoriali
senza fini di lucro, associazioni di volontariato e organizzazioni di tutela
dei soggetti deboli non coinvolte nella gestione dei servizi.
(11) Cfr. Maria Nicolai Paynter, Perché verità sia libera - Memorie,
confessioni, riflessioni e itinerario poetico di David Maria Tumido, Rizzoli.
Padre Turoldo osserva altresì che "la Chiesa finora non ha mai canonizzato i
santi della giustizia, preferendo in assoluto quelli della carità" e segnala
che "nel codice di diritto canonico non c'è mai stato - e non c'è - un posto
se non marginale per i poveri: i poveri, nel diritto, esistono soltanto come
"oggetti" di elemosina".
(12) Ricordo che nella seduta del 18 gennaio 2000 della Camera dei Deputati
venne esaminato e respinto a larghissima maggioranza l'emendamento presentato
dagli On.li Diego Novelli e Tiziana Valpiana, così formulato: "Com'è stabilito
negli articoli seguenti, gli interventi e servizi sociali si distinguono in
obbligatori e facoltativi". I presentatori avevano precisato che lo scopo dell'emendamento
era quello di "garantire gli interventi ed i servizi sociali a coloro i quali,
se non ricevono anche le prestazioni assistenziali non possono vivere o sono
inevitabilmente condannati all'emarginazione sociale" e cioè: neonati figli
di ignoti, minori privi di adeguato sostegno familiare, soggetti con handicap
intellettivo grave, donne costrette a prostituirsi, ecc.
Rammento, inoltre, che il Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi,
non ha voluto ricevere una delegazione del Csa, Ibidem, n.129, 2000 che intendeva
"rappresentargli le violazioni dei diritti fondamentali delle fasce deboli nella
popolazione", con la scusa "dei molteplici impegni istituzionali", come aveva
sostenuto il Segretario generale della Presidenza della Repubblica in data 12
gennaio 2000.
Inoltre, nessuna risposta finora è stata fornita alla nota inviata dal Csa al
Presidente della Repubblica in data 15 giugno 2000 in cui veniva segnalato che
"si verifica quotidianamente una generalizzata violazione delle leggi vigenti
nei confronti dei malati di Alzheimer e degli anziani cronici non autosufficienti",
nonché dei soggetti con handicap intellettivo e dei minori con gravi difficoltà
familiari \cf1 Ibidem n. 131, 2000).
(13) Cfr. la petizione pubblicata nello scorso numero di Prospettive assistenziali
e l'articolo di F. Santanera, "Continua l'imposizione illegittima di contributi
economici ai congiunti dei soggetti con handicap grave e degli ultrasessantacinquenni
non autosufficienti", Ibidem, n. 141, 2003.
(14) In un prossimo articolo intendo esaminare le altre principali caratteristiche
del volontariato dei diritti.
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