Un'esperienza in comunità alloggio handicap:
lo stile educativo familiare*
Serafino Corti
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La comunità alloggio per persone in situazione di handicap (CAH) (1) è una
realtà socio-educativa che nell'arco di pochi anni è venuta sempre più affermandosi;
un crescente numero di famiglie decide infatti, dopo lunghe e spesso tormentate
riflessioni, di appoggiarsi alla "casa-famiglia", di delegare cioè la cura e
l'intervento pedagogico nei confronti del proprio caro e persone qualificate
nell'ambito di una struttura di tipo residenziale (2).
Il motivo dell'incremento della richiesta di questo tipo di servizi non si può
esaurire nella sola constatazione che l'aumento della vita media delle persone
in situazione di handicap produce un'immediata risposta residenziale, anche
se inevitabilmente questo dato influisce molto. Nei casi in cui i genitori di
una persona handicappata vengono a mancare o le risorse familiari risultano
insufficienti o inadeguate all'intervento educativo (si pensi a genitori anziani
o a particolari situazioni in cui la gravità dell'handicap richiede un investimento
di energie fisiche, emozionali, psicologiche ed assistenziali particolarmente
elevato), è naturale aspettarsi che i parenti abbiano bisogno di individuare
un servizio atto a garantire un'assistenza tout court.
Un'altra importante ragione che può spiegare l'aumento di inserimenti nelle
comunità alloggio è la qualità del lavoro offerto da questi servizi. I familiari
che si sono accostati a questa realtà, inizialmente forse con una certa diffidenza,
hanno sperimentato che coloro i quali operano all'interno di tali strutture,
gli educatori professionali, non sono semplicemente "estranei" a cui affidare
il proprio caro, ma persone disposte a creare un rapporto umano-amicale. La
loro professionalità rappresenta non una barriera bensì uno strumento che facilita
l'incontro e la comprensione reciproca. Gli operatori con cui lavoro hanno dimostrato
di saper conciliare l'impiego delle proprie competenze pedagogiche con un clima
educativo simile a quello familiare (3), che rende la comunità alloggio un normale
luogo di vita e non una struttura residenziale che "istituzionalizza" i suoi
ospiti. Accade così che la persona inserita - e di conseguenza i suoi familiari
- si senta accolta in una di cui è "legittima comproprietaria", di cui fa parte
a pieno titolo come membro della "famiglia" che vi risiede.
LE CARATTERISTICHE FAMILIARI DELLA CAH
La novità di questo servizio di comunità risiede nella capacità di far convivere
in modo vincente e sinergico due modelli che, tra loro spesso contrapposti,
hanno il medesimo obiettivo: migliorare e garantire il benessere sociale e personale
della persona handicappata. Mi riferisco al modello sociale, più attento ai
bisogni di integrazione sociale e al clima educativo, e al modello abilitativo,
più attento invece alle componenti d'intervento finalizzate al miglioramento
delle abilità personali.
Se proviamo a "leggere" con maggiore accuratezza gli stili relazionali assunti
dagli operatori e dagli ospiti della comunità, è possibile individuare ciò che
contraddistingue lo stile familiare specifico della casa-famiglia.
Attenzione all'accoglienza. Solitamente con il termine accoglienza ci
si riferisce al momento preciso dell'inserimento di una persona in un luogo;
nel nostro caso, però, deve essere inteso in senso più ampio. Nella casa famiglia
l'accoglienza è infatti un'esperienza quotidiana: le persone sanno che possono
rilassarsi, sentirsi sicure e protette, libere di esprimere le proprie richieste
e bisogni; esse sono consapevoli, sotto gli aspetti emotivo e cognitivo, che
in qualunque momento possono trovare un educatore o un'altra persona con cui
passare tempo o svolgere l'attività gradita.
Sentirsi nutriti. Non ci riferiamo certo solamente al nutrimento fisico,
anche se il preparare la cena e consumare insieme i pasti diventa un'occasione
di incontro privilegiata: il riferimento è al nutrimento affettivo. In casa-famiglia
è prioritario facilitare un clima in cui diventi naturale regalarsi affetto
ed attenzioni, preoccuparsi della salute fisica ed emotiva dell'altro, prestando
interesse alla persona in quanto tale. Allora, anche la gioia diventa una componente
fondamentale della vita in comunità. Infatti, se mancasse il divertimento, la
spensieratezza nello svolgimento delle mansioni quotidiane, l'abitudine a ridere
insieme degli accadimenti giornalieri ci troveremmo di fronte a un istituto,
magari molto curato nell'arredamento ed efficiente nelle strutture, ma asettico,
freddo, senza calore.
Rassicurazione e conforto. La paura, la solitudine, lo sconforto e il
dolore fanno parte dell'esperienza di ciascuna e anche in casa-famiglia accade
talvolta di essere investiti da questi sentimenti. Proprio in tali situazioni,
la comunità dimostra tutta la sua naturale predisposizione alla persona. L'educatore,
e talvolta gli altri membri della comunità, diventano capaci di rassicurare
e confortare chi è in difficoltà, proponendosi anche solo per una chiacchierata,
una passeggiata o magari, senza bisogno di parole, invitando a fare qualcosa
insieme, come a voler dire "guarda che non sei solo…io sono qui con te".
Intimità. La riservatezza delle persone, il rispetto per la loro intimità,
per gli spazi e i tempi personali sono garantiti. La casa-famiglia non è la
comunità di tutti o degli operatori (per cui, in qualsiasi momento, chiunque
può entrare in casa a sbrigare faccende, pur con buone intenzioni, ma senza
chiedere il permesso). Essa, proprio come ogni casa che si rispetti, è un'abitazione
privata in cui la gestione degli spazi, dei tempi e l'organizzazione degli ambienti
e degli incontri sono riservati alle sole persone che vivono nella comunità
e che hanno quindi pieno diritto di empowerment (controllo dell'ambiente) (4).
L'occasione di incontro. La casa-famiglia diventa l'occasione di incontri
costanti, nel rispetto della privacy di ciascuno. Sono infatti frequentissime
le visite di amici e parenti. Gli educatori devono prestare attenzione a non
sradicare le persone handicappate dalle loro famiglie di appartenenza; devono
anzi facilitare i rientri a casa, le occasioni conviviali in comunità e le occasioni
di incontri collettivi tra tutti i famigliari degli "ospiti", come a testimoniare
che ora ci si trova di fronte ad un famiglia allargata.
L'intreccio tra la comunità locale e la casa-famiglia. L'aggancio con
il territorio di insediamento è l'ultima caratteristica che fa della comunità
alloggio un luogo di vita normalizzante. Possiamo dire di trovarci di fronte
a due comunità in reciproca interazione (potremmo parlare di "COMUNITA' nella
COMUNITA"). E' chiaro che il ruolo di ciascuna compagine è diverso, in quanto,
in un caso, la comunità corrisponde geograficamente e politicamente a un territorio
ben definito, come possono esserlo ad esempio un comune o un quartiere all'interno
del quale dimorano a loro volta diverse micro-comunità (5) (quelle famigliari,
religiose, dei gruppi di amici o delle associazioni); nell'altro caso, si tratta
della comunità alloggio in quanto tale, con tutta una serie di esigenze e risorse
interne e con una sua pecularietà storia. L'intreccio tra queste due entità,
sempre che sussista la volontà da parte di chi ne è a vario titolo responsabile
di agire in tal senso, può diventare per entrambe un'occasione preziosa per
vivere particolari e significative esperienze di incontro. Se questo accade,
la persona che viene in comunità per offrire un aiuto nella preparazione dei
pasti o nella pulizia della casa, nell'organizzazione delle cene col vicinato
o nell'allestimento della festa di quartiere perde la caratteristica funzione
del volontariato per assumere i tratti dell'amico di famiglia.
LE CARATTERISTICHE EDUCATIVE DELLA CAH
Dopo aver descritto alcuni degli atteggiamenti e delle attenzioni più significative
che contraddistinguono il clima di vita della comunità, possiamo esaminare le
intenzionali azioni educative promosse dagli educatori professionali negli atti
di vita quotidiana, secondo un'ottica che, come ho già accennato, ha una dimensione
educativo-abilitativa. Gli interventi pedagogici realizzati all'interno della
comunità hanno l'obbiettivo di favorire la crescita personale e sociale delle
persone che vi risiedono e si propongono di facilitare, da un lato, l'acquisizione
di specifiche abilità necessarie a garantire a ciascuno il più alto grado possibile
di autonomia; dall'altro lato, il mantenimento, attraverso l'esercizio funzionale,
delle abilità che la persona ha già acquisito nell'arco della vita (riabilitazione
preventiva).
Le azioni educative che descriverò qui di seguito sono riportate nella cartella
di ciascuna persona sotto la voce "progetto e piano educativo". In casa-famiglia
abbiamo pensato ad un piano educativo rispettoso dei diversi e più significativi
ecosistemi di ciascuno, un progetto di intervento mirato, che cerca cioè di
abbinare le risorse-richieste della persona e quelle dei familiari e amici,
del servizio diurno frequentato (6) e ovviamente della casa-famiglia.
La prima parte della cartella contiene una serie di strumenti necessari per
la valutazione degli ecosistemi della persona (7). Questi strumenti sono differenziati
e presentano un diverso grado di complessità: dalle semplici check list per
la valutazione delle aree di abilità personale, ai questionari aperti per la
raccolta delle informazioni e richieste da parte della famiglia e del servizio
diurno, alle griglie di autovalutazione per la rilevazione delle richieste e
risorse della comunità fino ai colloqui con la persona stessa al fine di comprendere
insieme a lei quali siano le sue aspettative e i suoi bisogni specifici. Dopo
aver raccolto queste informazioni cerchiamo, attraverso un difficile lavoro
di sintesi e ristrutturazione creativa, di individuare le aree di intervento
educativo desiderate e necessarie per la persona e condivise da tutti gli ecosistemi
in cui essa si muove: Questo lavoro di sintesi permette anzitutto l'elaborazione
delle mete educative e in seguito la definizione degli obiettivi triennali e
annuali.
a) Le mete educative. Possiamo definire mete educative (8) particolari
obiettivi di tipo generale che esprimono, in termini di direzione di senso,
il complesso del nostro agire educativo E' chiaro che, a questo livello, le
mete rappresentano un fedele collettore dei valori, delle aspettative, delle
ideologie proprie della persona, dell'educatore, della famiglia e della società
nel suo insieme in un dato periodo storico. E' quindi necessario che, nella
definizione delle mete, sia posta attenzione ad alcuni fattori fondamentali:
Gli indicatori di qualità della vita, indispensabili per identificare
le caratteristiche peculiari di ogni persona e per garantire a quest'ultima
il più alto grado di benessere personale e sociale.
La categoria "temporo-esistenziale" dei cicli di vita, necessaria per
progettare interventi attenti ai bisogni specifici a seconda dell'età della
persona (è evidente che le risorse e richieste di un ventenne non coincidano
con quelle di un cinquantenne).
Le caratteristiche tipologiche della persona, essenziali per comprendere
le molteplici esigenze e i limiti del disabile, fattori che non potranno non
riverberarsi anche su una prognosi di lungo periodo.
La situazione normativa in atto e il quadro dei servizi presenti, molto
utile per valutare le reali risorse offerte dal territorio e individuare quelle
che consentono di ipotizzare e garantire un intervento educativo di lungo periodo.
Per poter rendere conto di tutte le variabili sopra indicate, le mete educative
sono espresse con modalità molto generali, che mettono in rilievo i desideri
e le aspettative della persona disabile e le esigenze specifiche degli ecosistemi
in cui questa si muove. Inoltre hanno valore per un lasso temporale piuttosto
lungo, sicuramente superiore ai cinque anni.
Va tuttavia precisato che, poiché le mete educative devono in qualche modo rendere
ragione della complessità esistenziale di una persona, è evidente che non possono
configurarsi come eterne ed inamovibili ma devono qualificarsi per una certa
plasticità e propensione al cambiamento.
b) Gli obiettivi a medio o breve termine. Gli obiettivi a medio o breve
termine rappresentano la concretizzazione delle mete educative. Godono di un
linguaggio più chiaro e meno generale e sono pertanto maggiormente in grado
di orientare il lavoro educativo quotidiano.
Ogni Piano Educativo individualizzato può presentare al proprio interno quattro
possibili tipi di questi obiettivi (9).
Obiettivi di costruzione di competenze. Con questo obiettivo è come se
volessimo rispondere alla domanda: "cosa può, cosa vuole imparare questa persona
che ancora non sappia già fare?". La volontà è chiaramente quella di favorire
l'acquisizione di nuove competenze in diversi ambiti (autonomia personale, igiene
abilità relazionali, abilità sociali ecc.), in modo tale che la persona raggiunga
un grado sempre maggiore di autonomia e l'intervento diretto delle figure educative
sia il meno assistenziale e sostitutivo possibile.
Obiettivi di mantenimento di competenze. In essi rientrano tutte le attività
di riabilitazione preventiva. Come ho accennato in precedenza, questo concetto
prevede l'attuazione di tutte le strategie educative necessarie per mantenere
attive, attraverso l'esercizio funzionale, una serie di abilità o repertori
di comportamento acquisiti nell'arco della propria storia. Perseguire quest'obiettivo
è limitatamente facile Significa individuare, all'interno delle attività che
già si svolgono quotidianamente, mansioni che la persona è in grado di effettuare
e lasciare che sia lei a occuparsene con una frequenza stabilita e magari calendarizzata.
Tutto ciò sempre nel rispetto del suo livello di autonomia (questo, oltre a
garantire una riabilitazione preventiva, si ripercuote positivamente sull'immagine
che la persona ha di sé, assicurandole nel contempo anche la stima da parte
degli altri membri della comunità).
Obiettivi di "modificazione dell'ambiente". Se negli obiettivi relativi
alla costruzione di nuove competenze ci si pone la domanda "cosa può, cosa vuole
imparare questa persona che ancora non sappia già fare", qui si pone il seguente
interrogativo: "quali sono le attività che la persona è già in grado di svolgere,
ma che l'ambiente non le permette di attuare?". Una volta individuati questi
spazi d'azione, l'educatore dovrà attivarsi, molto spesso ricorrendo a un'affinata
capacità di mediazione, per cercare di modificare l'ambiente, che, in questo
caso, diventa ostacolo per la persona, al fine di garantirle il maggior spazio
possibile di libero movimento.
Obiettivi di "riduzione" di condotte problematiche. Spesso all'interno
della comunità alloggio per disabili ci si trova di fronte a comportamenti problematici
i quali sono pericolosi per la persona e/o per gli altri (auto e/o eteroaggressività)
o somatizzano la condizione di handicap (basti pensare a comportamenti reiterati
come il raccontare bugie, il piagnucolare, il richiedere costantemente la presenza
e l'attenzione dell'operatore anche quando questa non è necessaria). In questi
casi è richiesto un intervento atto a garantire il più alto grado di vivibilità
all'interno della casa ma che risulti il meno intrusivo e restrittivo (10) possibile
della libertà e responsabilità della persona handicappata.
CONCLUSIONI
Dalle riflessioni sopra riportate risulta evidente che il ruolo dell'educatore,
il suo modo di porsi e di porre attenzione alle situazioni e alle relazioni,
risulta decisivo per far si che la comunità alloggio non si strutturi come un
semplice servizio residenziale ma sia sempre più connotata da un clima familiare
ed educativo. Cosa qualifica, in definitiva, la figura dell'educatore in una
comunità alloggio?
L'educatore è anzitutto garante dell'integrità della persona (11), consapevole
che l'educando, sempre e in ogni situazione, è un'entità unica, con caratteristiche
personologiche, emotive e abitudini proprie. All'educatore è chiesto allora
di accostarsi alle persone con uno stile relazionale rispettoso di queste differenze
e di farsi al tempo stesso promotore di un'azione educativa che tuteli l'intimità
di ciascuno e lo aiuti a raggiungere il più alto grado di qualità di vita. L'educatore
è chiamato poi ad essere facilitatore della relazione, ad impiegare cioè le
sue competenze comunicative per permettere alle persone in casa-famiglia di
instaurare rapporti significativi. L'operatore, in questo caso, si appella costantemente
alla propria capacità di mediatore per cogliere le esigenze di ciascuno, per
facilitare la libertà di espressione, intervenendo, qualora ce ne fosse bisogno,
facendosi esso stesso portatore delle richieste della persona handicappata.
L'educatore è anche un ideatore di progetti. Poiché l'azione educativa non può
limitarsi al qui ed ora, in casa-famiglia la necessità di costruire progetti
educativi significativi è+ vitale. Il lavoro progettuale, tuttavia, non si esaurisce
nella costruzione di una cartella, anche se ben curata,, ma diventa una sorta
di bussola, che dirige l'agire quotidiano dell'educatore, le cui scelte e il
cui intervento non possono mai prescindere da una costante e approfondita riflessione
pedagogica.
Note
Le comunità alloggio per soggetti in situazione di handicap sono realtà residenziali
di piccole dimensioni atte ad accogliere un massimo di 10 persone con disabilità
fisiche e/o mentali. La realtà educativa che coordino accoglie al suo interno
10 donne con ritardo mentale medio e con alcune menomazioni sensoriali.
Per maggiori chiarimenti in merito al rapporto tra i familiari degli atti del
convegno, "Oltre la famiglia. Le comunità alloggio. Modelli ed esperienze a
confronto. Progetti per una nuova politica socio-assistenziale", ANFFAS sezione
di Milano, Angelo Gazzaniga sas, di Milano, 1991.
Dichiaro subito, a scanso di equivoci, che la casa-famiglia non è una famiglia
così come noi la concepiamo, è una nuova realtà le cui caratteristiche relazionali
richiamano quelle della realtà familiare, garante di una situazione di vita
accogliente e umanamente ricca.
Schalock R.L., The concepi of quality of life in the lives of persons with mental
retardation, paper presented to the 115° Annual Convention of the American Association
on Mental Retardation, Washington DC, 1991.
E.R. Martini, R. Segni, La comunità locale. Approcci teorici e criteri di intervento,
La Nuova Italia Scientifica, Roma 1995, pp.64-65.
Le persone che vivono nella comunità alloggio che coordino frequentano dal lunedì
al venerdì, dalle nove del mattino fino alle quattro del pomeriggio, servizi
diurni di diverso tipo (Centri Socio-educativi, Servizi di Formazione all'A'tonomia
e ambienti di lavoro "protetti").
M. Pilone, "La valutazione della qualità della vita in ambito istituzionale",
in Valutazione, Abitazione, Qualità della vita, Centro Studi ANFFAS, Brescia,
1998 pp.1.31.
Cfr. R. Cavagnola, L. Croce, F. Fioriti, O. Frigerio, G. Paterlini, Il piano
educativo per l'adulto con ritardo mentale. Ecosistemi e qualità della vita,
Erickson, Trento, 2000, pp. 99-104.
Cfr. al riguardo R.Cavagnola, L. Croce, F. Fioriti, O. Frigerio, G. Paterlini,
Il piano educativo per l'adulto con ritardo mentale. Ecosistemi e qualità della
vita, pp. 138-148.
R. M. Foxx, Tecniche base del metodo comportamentale per l'handicap grave e
l'autismo, Erickson, Trento, 1986, pp.109-113.
L. Pati, L'educazione nella comunità locale. Strutture educative per minori
in condizione di disagio esistenziale, La Scuola, Brescia, 1990, p. 290.
* In "La famiglia", n. 209/2001.
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