Ma il tribunale è davvero la via
più giusta per l'integrazione scolastica?
La sentenza del tribunale di Cagliari, che
ha assegnato a un ragazzo disabile il maggior numero di ore di sostegno
possibili, è solo l'ultimo esempio delle decisioni dei giudici
a favore del diritto allo studio degli
alunni con disabilità. Ma spesso in casi di questo genere si tiene
conto esclusivamente degli obblighi dell'amministrazione scolastica, ma
non di cosa significhi la vera integrazione.
La sentenza del tribunale di Cagliari con la quale si assegna ad un alunno
con disabilità il massimo possibile delle ore di sostegno didattico,
è una delle ultime della lunga serie di sentenze conformi che riconoscono
il
diritto allo studio tramite l'integrazione scolastica. Come ho già
avuto occasione di sostenere in numerose sedi e scritti, il tribunale,
specie a seguito della richiesta di provvedimenti di urgenza, non può
fare diversamente, dal momento che la famosa sentenza n. 215/87 della
Corte Costituzionale ha dichiarato il diritto pieno e incondizionato all'integrazione
scolastica nelle scuole di ogni ordine e grado.
Però devo fare osservare che quella sentenza conteneva altre massime
che fissavano i diritti che realizzano l'integrazione scolastica; fra
questi hanno la stessa importanza dell'insegnante per il sostegno anche
gli
assistenti per l'autonomia e la comunicazione, nei casi documentati della
loro necessaria presenza ( ad es. per alunni con disabilità soprattutto,
ma non esclusivamente motoria e sensoriale). Orbene queste figure
professionali non sono a carico dell'amministrazione scolastica, ma degli
enti locali. Inoltre l'art 41 del decreto ministeriale n. 331/98 prevede
espressamente che per le deroghe in più alle ore di sostegno occorre
tener conto del numero degli alunni di cui si compone la classe, della
preparazione specifica di tutti o di alcuni o di nessun insegnante curricolare,
della gravità a fini didattici dell'alunno certificato in
situazione di disabilità.
In tutte le sentenze dei tribunali ho però riscontrato che il
tribunale tiene conto del contratto, coi conseguenti obblighi, stipulato
fra amministrazione scolastica e famiglia e quindi prendono in considerazione
solo l'obbligo della sola amministrazione scolastica a fornire il sostegno
didattico e non si curano degli altri obblighi nascenti in capo alla stessa
amministrazione (come quello di formare i docenti curricolari e formare
le classi non troppo numerose) e quello in capo agli enti locali .
Per questo già la L.n. 104/92 all'art 13 comma 1 lett. "a"
ha previsto la stipula degli accordi di programma fra amministrazione
scolastica, enti locali ed Asl. Ma nessuno, tranne rare eccezioni, si
cura di fare applicare
questa norma.
E così, fra l'inattività di alcuni e le sentenze della magistratura,
si sta consumando una errata interpretazione della normativa dell'integrazione
scolastica, che sta isolando sempre più gli alunni con disabilità
con il
"loro" insegnante per il sostegno dal resto degli altri insegnanti,
che delegano tutto al collega specializzato e dai compagni.
Questa, a mio avviso, è una logica individualistica, connaturale
al codice civile, ma completamente estranea alla cultura corale dell'integrazione
scolastica che vuole una presa in carico di tutti gli operatori necessari
a
realizzare il progetto di vita dell'alunno nella sua integrazione con
gli altri.
Molti genitori sempre più si rivolgono al giudici per ottenere
il massimo del sostegno didattico sino ad arrivare all'assurdo del tribunale
di Ancona dell'aprile dello scorso anno che assegnò 40 ore di sostegno
didattico, poiché la scuola media era a tempo pieno.
La via giudiziale all'integrazione scolastica, se necessaria quando sono
assegnate troppe poche ore di sostegno, è la via più corretta,
in generale, per affermare il valore della comunicazione, della socializzazione
e degli scambi relazionali, fissato dall'art 12 comma 3 della L.n. 104/92
e con esso la qualità dell'integrazione come fatto di enorme rilevanza
sociale?