Marisa Pavone, Docente di pedagogia
speciale, Università di Torino
L'integrazione scolastica e sociale delle persone con deficit "in situazione
di gravità"*
(torna all'indice informazioni)
Si intende riflettere sull'integrazione scolastica e sociale delle persone
che manifestano difficoltà considerate "gravi". Ancora ai giorni nostri, dopo
un cammino trentennale in direzione inclusiva, rappresenta infatti uno dei problemi
più "spinosi"; forse la vera sfida da raccogliere, nell'intento di imprimere
un impulso trasformativo alla qualità del processo.
Nella vita pratica e seguendo un ragionamento elementare, non sembra difficile
giungere ad un accordo allo scopo di identificare la "condizione di gravità"
di un individuo: presenza di grave compromissione delle funzioni, incerte possibilità
di recupero, ridottissimo livello delle capacità di comunicazione e di relazione,
mancanza di autonomia personale e dunque esigenza di continuo aiuto da parte
di personale assistente. Tuttavia, quando il discorso si fa più approfondito,
rigoroso e sistematico, si incontrano rilevanti ostacoli a raggiungere una definizione
univoca; si deve prendere atto che il concetto di "gravità" tende a relativizzarsi
in molteplici direzioni, a uscire dall'orizzonte spazio-temporale del singolo,
per "farsi" in qualche misura contestuale, relazionale, culturale, sistemico:
l'esito di una negoziazione evolutiva tra storia personale e discorso sociale.
Valenza multidimensionale del concetto di "gravità"
Come è noto, la nostra tradizione giuridico-amministrativa fornisce una esplicita
definizione della situazione di gravità attraverso la Legge quadro sull'handicap
(legge n. 104/92, art. 3, comma 3), che recita: Qualora la minorazione, singola
o plurima, abbia ridotto l'autonomia personale, correlata all'età, in modo da
rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale
nella sfera individuale o in quella di relazione, la situazione assume connotazione
di gravità. Le situazioni riconosciute di gravità determinano priorità nei programmi
e negli interventi dei servizi pubblici.
Secondo questa disposizione, che regolamenta la condizione esistenziale dei
soggetti disabili, lo stato di gravità è tutto riscontrabile all'interno della
persona, legato alla presenza di un deficit che riduce l'autonomia personale
al punto da manifestare un bisogno assistenziale permanente, continuativo
e globale: si tratta di una sentenza inappellabile, un destino prestabilito
che non lascia intravedere alcuna prospettiva evolutiva e, seppur minime, potenzialità
educative. La storia del disabile grave sembra inevitabilmente caratterizzata
dall'urgenza e dalla persistenza di aiuti, dalla necessità di dipendere dagli
altri, avendo poche o nulle capacità di dare.
Quanto questa rappresentazione rigida e deterministica sia lontana dalla realtà,
risulta evidente all'esperienza di tutti. Chiunque ha potuto conoscere direttamente
o indirettamente individui con deficit grave e anche gravissimo (sensoriale,
fisico, neuropsicologico, comportamentale) i quali, pur manifestando un bisogno
di assistenza continua e la necessità di usufruire di protesi di vario genere,
poiché muniti di buona intelligenza, riescono a seguire proficuamente l'attività
scolastica o lavorativa. Vi sono altri che, pur fortemente handicappati, sono
tuttavia così dotati, da saper esprimere modelli di vita e di pensiero magistrali.
Più frequentemente, vi sono intorno a noi soggetti che manifestano condizioni
di tale gravità e mancanza di autonomia personale e sociale, da rendere veramente
complicato l'impatto con i normali ritmi di vita per se stessi e per i loro
familiari. Sono persone prigioniere di limiti di ogni genere, imposti dalla
natura, dagli altri o da se stessi, che devono essere aiutate "a ridurre la
loro prigionia con terapie, protesi e forme nuove di relazione e di comunicazione;
ma anche in queste circostanze estreme, "l'utopia che guida la ricerca indica
che la persona ha un valore trascendente ogni altra considerazione" . Non esistono
persone che hanno un valore minore; nessuno può essere connotato come pura carenza
o come puro caso clinico: anche in situazioni limite, l'originale sviluppo individuale
mette in luce parti competenti e sane, che possono in qualche modo essere bonificate
ed estese.
La chiave di lettura pedagogica insegna che la situazione di gravità è un concetto
sistemico, dipendente dall'intersezione di una molteplicità di fattori personali,
relazionali e contestuali, quindi non unicamente insediata nel soggetto: è certamente
riferibile all'entità della compromissione, all'età, alla capacità comunicativa
da parte del disabile, al grado di motivazione ad apprendere, comprensione e
condivisione degli obiettivi educativi; ma anche alla qualità e quantità, al
grado di coordinazione e integrazione dei sostegni personali (familiari e sociali)
e dei servizi messi a disposizione dall'ambiente, nonché alle aspettative di
quest'ultimo (Vico, 1984 e 1994, Gaudreau 1993, Canevaro 1996 e 1999, Canevaro
e Ianes, 2003).
Anche la scienza medica ritiene impresa impossibile approdare a una definizione
unanimemente certa dello stato di gravità, essendo questo una risultante multidimensionale,
imputabile a una pluralità di fattori e parametri riferibili contemporaneamente
al soggetto e alla situazione in cui è inserito, che vanno presi in considerazione
in prospettiva dinamica.
A tale proposito, è significativo ricordare che a fronte di una drastica definizione
di gravità presente nella Legge Quadro sull'handicap, ben diversamente
si esprime il successivo "Atto di indirizzo e coordinamento relativo ai compiti
delle unità sanitarie locali in materia di alunni portatori di handicap" (DPR
24 febbraio 1994), rispetto all'integrazione scolastica. Pur con tutti i limiti
riconosciuti - in particolare quello di evidenziare una connotazione marcatamente
sanitaria della disabilità - l'Atto di indirizzo definisce la diagnosi funzionale
come prodotto di elementi clinici e psicosociali.
Gli elementi clinici si acquisiscono tramite la visita medica diretta dell'alunno
e l'acquisizione dell'eventuale documentazione medica preesistente. Gli elementi
psico-sociali si acquisiscono attraverso specifica relazione in cui siano ricompresi:
i dati anagrafici del soggetto; i dati relativi alle caratteristiche del nucleo
familiare (composizione, stato di salute dei membri, tipo di lavoro svolto,
contesto ambientale, ecc) (art. 3, comma 2).
Inoltre, il dispositivo ricorda che la diagnosi funzionale è finalizzata al
recupero del soggetto, quindi "deve tenere particolarmente conto delle potenzialità
registrabili" analiticamente rispetto alle diverse aree di sviluppo (comma 4);
per altro, non fa menzione alcuna della situazione di gravità.
Recentemente, il nuovo sistema di Classificazione Internazionale del Funzionamento,
della Disabilità e della Salute (ICF) , elaborato dagli esperti dell'Organizzazione
Mondiale della Sanità, offre un paradigma interpretativo delle situazioni di
minorazione radicalmente rinnovato, e questo cambiamento culturale ha ricadute
interessanti anche sulla considerazione degli stati di gravità. Muovendo dal
presupposto che al centro dell'attenzione degli studiosi è la "condizione di
salute" nel contesto delle singole situazioni di vita e degli impatti ambientali
(un "ombrello" che accomuna ogni cittadino) la disabilità costituisce un sottosistema
della "salute", dunque un "particolare" prodotto dell'interazione tra caratteristiche
di salute e fattori contestuali fisici e sociali; come tale, può interessare
qualunque persona in un particolare momento della sua esistenza, più o meno
continuativamente.
Gli studiosi dell'OMS ricordano che gli individui non devono essere ridotti
o caratterizzati esclusivamente nei termini delle loro più o meno gravi menomazioni,
limitazioni nelle attività o restrizioni nella partecipazione. Proprio per evitare
denigrazione, stigmatizzazione e connotazioni inadeguate, il nuovo modello di
classificazione esprime le varie categorie diagnostiche in modo neutrale. "Gli
attributi negativi di una condizione di salute e il modo in cui le altre persone
vi reagiscono sono indipendenti dai termini usati per la definizione […] Il
problema è principalmente di atteggiamenti degli altri individui e della società
verso la disabilità".
La condizione di gravità: una sfida per tutti
L'eccesso di semplicismo non può certo indurci a pensare che le difficoltà dei
disabili gravi siano trattabili come mera questione terminologica: l'esperienza
"sofferente" di sopportare ridotti margini di autonomia, attività e partecipazione
rappresenta un vissuto inalienabile per il soggetto che ne è protagonista, e
per i suoi familiari. Tuttavia, l'unicità originale individuale - per quanto
compressa in confini spazio-temporali angusti - partecipa della dignità dell'essere
persona, pertanto è portatrice di potenziale educabile e rieducabile, anche
se non è "normalizzabile" (consideriamo il significato di "normalità"in senso
statistico). Se si adotta un concetto ampio e profondo di apprendimento, superando
gli orizzonti nei quali è tradizionalmente concepito, si scopre che è alla portata
di tutti, nonostante le difficoltà personali e sociali, perché ogni essere umano
manifesta capacità di sviluppo.
L'impegno ad investire in coraggio e fiducia non riguarda solo il soggetto disabile,
ma coinvolge tutti: dalle figure genitoriali più da vicino investite, ai parenti,
amici, specialisti, professionisti che incontrano la sua storia, al cittadino
qualunque, che condivide un'atmosfera culturale. Da parte di tutti e di ciascuno
occorre accettare "l'incontro col limite", inteso come componente - per quanto
dinamica - tuttavia necessaria della condizione umana. Dice Montobbio che "nel
nodo dell'incontro col limite troviamo contemporaneamente i sentimenti del coraggio
e del rischio ma anche quelli della rassegnazione e della rinuncia" , dell'assenza
di speranza e dell'illusione negata: messaggi dissonanti, a doppia banda. La
disponibilità a riconoscere ed accettare il limite, a incontrare la pena mantenendo
la speranza, a intrattenere solidaristiche relazioni di aiuto, a chiedere e
offrire sostegni concreti a chi ci sta accanto, a concretizzare questi atteggiamenti
in un realistico progetto di vita da condividere con gli altri è cosa che, in
varia misura, riguarda la generalità delle persone.
Lo scopo fondamentale del vivere sociale è quello di aiutare la vita, dovunque,
in tutti, di più in coloro che trovano nel vivere la massima difficoltà. Là
dove le possibilità personali sono ridotte, occorre muovere qualche passo in
più sul versante sociale, scolastico, lavorativo, sanitario, ambientale: allestire
o potenziare servizi comunitari formali ed informali, coordinarli in rete, stimolare
nuove risorse, offrire supporti personali e materiali, sempre nell'ottica di
considerare il soggetto disabile e la sua famiglia come protagonisti attivi
dell'intervento . Infatti, la possibilità di esercizio di competenza, di offrire
risorse oltre che riceverne è una delle due gambe su cui il benessere personale
è obbligato a camminare.
Questo apre le porte ad una ulteriore riflessione: non è pensabile che per il
disabile in situazione di gravità - manteniamo questa espressione linguistica
convenzionale - e per la sua famiglia la dimensione del tempo sia per la maggior
parte occupata da esperienze di carattere sanitario e terapeutico, coniugate
a lunghi intervalli di solitudine, con ridottissimi margini di normalità e assenza
assoluta di momenti di ri-creazione distensiva. Come per il re Mida tutto ciò
che toccava si tramutava in oro, per il soggetto in difficoltà qualsivoglia
esperienza - perfino quelle che normalmente consideriamo svago - assume i caratteri
della "terapia" (ippo-terapia, musico-terapia, teatro-terapia, pet-therapy,
ecc.). Ci sembra importante che nel ciclo vitale della famiglia con congiunti
disabili, la condizione di gravità venga inserita in un circuito virtuoso di
"relativa normalità", che rende meglio accettabile la situazione, e aiuta a
recuperare un certo equilibrio esistenziale. Gli esperti sostengono che fra
i vari principi guida delle recenti riforme di politica sociale, il più generativo
sia la normalizzazione intesa come affermazione del diritto di ogni persona,
indipendentemente dalle sue difficoltà, a godere di condizioni di vita il più
possibile vicine a una ipotetica linea di "normalità".
La situazione di gravità dei soggetti Down
Un ragionamento ulteriore, nella direzione di sostenere il valore relativo della
"situazione di gravità" del disabile, trova testimonianza nella disposizione
legislativa che riconosce appunto la "condizione di gravità" dei portatori di
sindrome Down. La legge finanziaria per il 2003, ha introdotto nuove regole
per l'accertamento delle condizioni di invalidità e la conseguente erogazione
di indennità alle persone con Trisomia 21 (oltre che a quelle affette da morbo
di Alzheimer).
In considerazione del carattere specifico della disabilità intellettiva solo
in parte stabile, definita ed evidente, e in particolare al fine di prevenire
la grave riduzione di autonomia di tali soggetti nella gestione delle necessità
della vita quotidiana e i danni conseguenti, le persone con sindrome di Down,
su richiesta corredata da presentazione del cariotipo, sono dichiarate, dalle
competenti commissioni insediate presso le aziende sanitarie locali o dal proprio
medico di base, in situazione di gravità ai sensi dell'articolo 3 della legge
5 febbraio 1992, n. 104, ed esentate da ulteriori successive visite e controlli
(art. 94).
E' piuttosto insolito che lo stato di gravità di una particolare categoria di
cittadini costituisca non l'approdo di approfondite ed estese ricerche teoriche
e sperimentali condotte da esperti di discipline mediche e/o scientifiche in
generale, ma il portato di una disposizione giuridica. Se consideriamo la storia
dell'educazione dei soggetti trisomici possiamo riconoscere alterne interpretazioni,
atteggiamenti mutevoli nella considerazione sociale che li riguarda. A partire
dagli studi pubblicati dal dr. John Langdon Haydon Down nel 1866 (Osservazioni
su una classificazione etnica degli idioti) e fino agli anni Settanta del
secolo scorso, nell'immaginario collettivo queste persone venivano giudicate
come i più rappresentativi esponenti della condizione di "diversità" intesa
come "sub-normalità", inferiorità, rispetto alle caratteristiche attribuibili
agli individui comuni. Anche a causa dei limitati traguardi raggiunti all'epoca
dalla ricerca scientifica, si attribuivano loro limitate potenzialità di vita
sia in dimensione temporale, sia rispetto al prevedibile sviluppo delle funzioni
di personalità.
Durante una pluridecennale evoluzione del processo di integrazione scolastica
e sociale dei disabili, supervisionato criticamente dalla ricerca scientifica
ed empirica, si è potuto dimostrare che i soggetti con sindrome Down - se adeguatamente
supportati con interventi professionalmente, socialmente e organizzativamente
qualificati - raggiungono buone capacità di maturazione, buoni livelli di inserimento
attivo nel mondo scolastico, in quello sociale (culturale, ricreativo, sportivo,
ecc.), lavorativo, civico.
Come dunque interpretare l'attribuzione della situazione di gravità ai Down
- introdotta nel contesto di una legge finanziaria - visto che appare una scelta
dissonante se rapportata alle buone prassi di inclusione che li vedono protagonisti,
e al nuovo sguardo scientifico rivolto alle disabilità dall'ultimo sistema di
classificazione ICF? Come spiegarsi che, a quanto si dice, il riconoscimento
dello "status di gravità" sia stato richiesto a gran forza proprio da alcune
Associazioni di categoria, quindi dalle famiglie direttamente interessate?
Riteniamo che la risposta porti a ribadire ancora una volta il significato variabile
dell'attributo di "gravità", che davvero non sta solo nell'individuo, ma spesso
si origina dall'interazione tra l'individuo e l'ambiente; in particolare, in
numerose occasioni la gravità della circostanza (non della disabilità) è provocata
dalle croniche carenze/inadeguatezze/disfunzioni dei servizi erogati, e/o dall'arretratezza
e dal pregiudizio culturali.
Nella contingenza particolare, ci permettiamo di ipotizzare che la "rivendicazione"
della gravità del deficit per i soggetti Down sia da ricondurre a ragioni di
carattere prevalentemente amministrativo/organizzativo. In un contesto caratterizzato
dalla mancanza o disorganizzazione delle risorse, l'istanza potrebbe di fatto
esprimere l'intenzione di assicurare a sé o ai propri cari quella priorità nella
erogazione di servizi che la Legge Quadro sull'handicap attribuisce come diritto
inalienabile alle situazioni di gravità.
L'articolo riprende in gran parte il testo pubblicato all'interno della monografia
L'integrazione scolastica e sociale delle persone con deficit "in situazione
di gravità", pubblicata nel n. 3/2003 della rivista, promossa dal Centro
studi Erickson, "L'integrazione scolastica e sociale". Nella stessa monografia
gli altri interventi sono di A. Canevaro, C. Ricci, R. Pizzinelli, L. D'Alonzo,
D, Mariani Cerati.
In APPUNTI sulle politiche sociali, n. 1/2004. www.grusol.it link
appunti
|