Da La nonviolenza è in cammino.
Numero 919 del 4 maggio 2005, Foglio quotidiano di approfondimento proposto
dal Centro di ricerca per lapace di Viterbo e-mail: nbawac@tin.it
Maria Grazia Giannichedda:
Il dolore delle persone
Da "Il manifesto" del 28 aprile 2005.
Maria Grazia Giannichedda, acutissima sociologa, e' stata una delle principali
collaboratrici degli indimenticabili Franco e Franca Basaglia, la cui
lotta per una psichiatria democratica e per la dignita' umana di tutti
gli esseri umani tuttora prosegue.
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In questi giorni molti neuropsichiatri dell'infanzia vivono
un grande sconcerto e imbarazzo: il 25 aprile infatti l'Emea - European
Agency for the Evaluation of Medicinal Products - l'agenzia europea che
valuta i farmaci,
ha diffuso la decisione del suo comitato scientifico a proposito di due
particolari classi di farmaci antidepressivi, che hanno la funzione di
bloccare il riassorbimento della serotonina e sono oggi prescritti in
Italia a circa trentamila giovanissimi, tre ogni mille. Test clinici,
sostiene l'Emea "hanno dimostrato che i tentati suicidi... e i comportamenti
aggressivi sono piu' frequenti tra i bambini e gli adolescenti trattati
con
questi farmaci", che i ragazzi sono raccomandati, percio', di non
usare.
Forti sospetti erano diffusi gia' da diversi anni, specie da quando era
venuto alla luce il fatto che la potente multinazionale Glaxo aveva nascosto
l'evidenza di questi non banali "controeffetti" della somministrazione
di antidepressivi ai minori. Eppure proprio negli ultimi cinque anni in
Italia si e' triplicato l'uso di questi farmaci, prescritti in prevalenza
a ragazze tra il quattordici e i diciassette anni. Certo, siamo ancora
lontani dalle cifre sull'abuso di psicofarmaci documentato negli Stati
Uniti e in Canada, ma non si deve trascurare il consistente "sommerso"
rappresentato dall'uso di altri psicofarmaci come le benzodiazepine, che
il nostro servizio sanitario nazionale non rimborsa e che quindi sfuggono
al lavoro di monitoraggio delle prescrizioni farmacologiche ai minori,
che l'istituto Mario Negri e il consorzio interuniversitario di Bologna
stanno conducendo da oltre cinque anni, sul campione di un milione di
bambini e di adolescenti. Le cifre citate sin qui fanno parte del "terzo
rapporto sulle prescrizioni dei farmaci rimborsabili dal servizio sanitario
nazionale ai bambini non ricoverati in ospedale", presentato alla
fine dello scorso anno, e segnato dalla previsione di un ulteriore aumento
delle prescrizioni in coincidenza con l'arrivo in farmacia, al primo gennaio
di quest'anno, del Ritalin, uno psicostimolante su cui e' accesa da tempo,
negli Stati Uniti, quasi una guerra di religione tra chi ne propaganda
gli effetti benefici sui quasi dieci milioni di bambini trattati, e chi
viceversa mette in questione l'esistenza stessa della "sindrome del
bambino iperattivo" che questo farmaco dovrebbe trattare.
C'e' da attendersi, nei prossimi giorni, insieme al plauso anche una
ondata di reazioni critiche alla decisione dell'Emea, probabilmente giocate,
come da tempo e' nella strategia comunicativa delle multinazionali farmaceutiche,
sul tema della diffusione delle malattie mentali, in particolare delle
depressioni, che sembrerebbe aver raggiunto livelli allarmanti, tra i
bambini come tra gli adulti. Si riproporra' il problema di interpretare
i dati che ciclicamente ci arrivano attraverso i grandi media, spesso
senza alcuna citazione delle fonti di informazione e dei finanziatori
delle ricerche e degli screening, che in gran parte sono le stesse case
farmaceutiche produttrici dei rimedi alle malattie che fanno rilevare.
Ma cosa significa allora il fatto che siano prescritti oggi antidepressivi
a un cosi' alto numero di adolescenti, in particolare ragazze? Proprio
nel momento in cui si vive, com'e' noto, una delle fasi piu' complesse
della
vita, in cui tutto e' fluido e si trasforma, dal corpo alle relazioni
con se' e il mondo? Certo alla base c'e' una sofferenza, che arriva al
medico come domanda, verosimilmente generica, di aiuto da parte dei genitori
e
anche degli insegnanti. Questa domanda oggi incontra sempre piu' spesso
una risposta chimica, che ha il vantaggio di convalidare il medico come
esperto e di rassicurare gli utenti senza mettere in questione equilibri
consolidati, in attesa che "passi la nottata", cioe' quel dolore
che vorrebbe dire qualcosa cui nessuno presta orecchio. C'e' anche questo
elemento, e forse ha il maggior peso, dietro al triplicarsi della depressione
tra gli adolescenti.
Che fare allora? E' meglio rivolgersi allo psicoterapeuta che non usa
i farmaci e si offre all'adolescente e magari alla famiglia nello spazio
separato e ancora una volta tecnico del suo ambulatorio? Credo che dovremmo,
innanzi tutto, allargare il ventaglio del possibile, di cio' che possiamo
immaginare e chiedere per la nostra vita. Dovremmo quindi ricominciare
a discutere tutti, esperti e non esperti, sui fatti della vita, sul dolore
e i conflitti che possono accompagnarli, nell'adolescenza come nella menopausa,
per citare un altro periodo che rende le donne piu' degli uomini oggetto
di definizioni diagnostiche e di prescrizioni farmacologiche. Dovremmo
discuterne negli spazi della convivenza, tra amici, in famiglia e anche
a
scuola, opponendo resistenza alla crescente tecnicizzazione di ogni spazio,
che fa ad esempio dell'insegnante sempre piu' un fornitore di informazioni
per preparare i giovani al mercato e sempre meno una persona che con altri
suoi simili convive e crea cultura e societa'.
Franco Basaglia scriveva nel "Concetto di salute e malattia"
del 1975, un tempo che sembra molto lontano, "che l'ideologia medica
assume per se' l'esperienza della malattia, neutralizzandola fino a ridurla
a puro oggetto di sua competenza", inducendo la persona che sta male
"a vivere la malattia come puro accidente oggettivabile dalla scienza
e non come esperienza personale". Resta questa la questione chiave,
su cui troppo poco si discute e si lavora e che non entra affatto nella
formazione dei medici: la questione del sapere/potere del medico, il suo
rapporto col mercato e con la societa', la medicalizzazione che aliena,
che impoverisce l'esistenza, che restituisce il dolore e la sua complessita'
come puro insieme di sintomi.
La scelta tra farmaco e colloquio puo' essere una falsa alternativa se
in entrambi i casi si lavora su diagnosi, in spazi separati, con linguaggi
esoterici che fanno sentire poveri e deboli se non si ha, come nei film
di
Woody Allen, la pillola giusta per la propria angoscia o il numero di
telefono del terapeuta.
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