NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA
IN CAMMINO, Numero 475 del 3 giugno 2008
STEFANO RODOTA': LA NOSTRA COSTITUZIONE
"La Repubblica" del 2 gennaio 2008 "I 60 anni della
Carta. Che cosa resta della nostra Costituzione".
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Stanno nascendo "costituzioni parallele" che, direttamente
o indirettamente, mirano a mettere in discussione, o a cancellare del
tutto, la prima parte della Costituzione italiana, quella dei principi,
delle liberta' e dei
diritti - varata esattamente 60 anni fa. Il piu' noto di questi tentativi
e' quello che le gerarchie cattoliche perseguono ormai da tempo, affermando
la superiorita' e la non negoziabilita' dei propri valori e denunciando
il relativismo delle carte dei diritti, a cominciare dalla Dichiarazione
universale dell'Onu del 1948, considerate frutto di mediocri aggiustamenti
politici. Ma non deve essere sottovalutato un prodotto di quest'ultima
stagione, l'annuncio di "manifesti dei valori" ai quali le nuove
forze politiche vogliono affidare una loro "ben rotonda identita'".
Il mutamento di terminologia e' rivelatore. Non piu' "programmi"
politici, ma manifesti, un tipo di documento che storicamente ha valore
oppositivo, addirittura di denuncia dell'ordine esistente. E oggi proprio
l'ordine costituzionale finisce con l'essere messo in discussione.
Viene abbandonata la politica costituzionale, gia' indebolita, ma che
pur nei contrasti aveva accompagnato la vita della Repubblica, contraddistinto
battaglie come quella dell'"attuazione costituzionale", segnato
stagioni come quella del "disgelo costituzionale". Al suo posto
si sta insediando un dissennato Kulturkampf, una battaglia tra valori
che sembra muovere dalla impossibilita' di trovare comuni punti di riferimento.
L'identita' costituzionale repubblicana e' cancellata, al suo posto scorgiamo
la pretesa di imporre una verita' o la ricerca affannosa di compromessi
mediocri. Nel linguaggio di troppi politici i riferimenti alle encicliche
papali hanno sostituito quelli agli articoli della Costituzione. Nelle
parole di altri si rispecchiano una regressione culturale, una corsa alle
risposte congiunturali, piu' che una matura riflessione sui principi che
devono guidare l'azione politica. Ci si allontana dal passato senza la
lungimiranza di chi sa cogliere il futuro.
Questo e' forse l'effetto di un inesorabile invecchiamento della Costituzione
della quale, a sessant'anni dalla nascita, saremmo chiamati non a celebrare
la vitalita', ma a registrare la decrepitezza? L'intoccabilita' della
prima parte deve cedere ai colpi inflitti dal mutare dei tempi? Ribadito
che siamo di fronte a un tema distinto dalla buona "manutenzione"
della seconda parte, che disciplina i meccanismi istituzionali, proviamo
a saggiare la tenuta dei principi costituzionali considerando proprio
questioni recenti, per vedere se non sia proprio li' la bussola democratica,
liberamente e concordemente definita, alla quale tutti devono riferirsi.
Partiamo dall'attualita' piu' dura, dalle morti sul lavoro, delle quali
la tragedia della Thyssen Krupp e' divenuta l'emblema. L'articolo 41 della
Costituzione e' chiarissimo: l'iniziativa economica privata e' libera,
ma "non puo' svolgersi in contrasto con l'utilita' sociale e in modo
da recare danno alla sicurezza, alla liberta', alla dignita' umana".
Questa sarebbe una incrostazione da eliminare perche' in contrasto con
la pura logica di mercato? Qualcuno lo ha proposto, ma spero che la violenza
della realta' lo abbia fatto rinsavire. Oggi e' proprio da li' che bisogna
ripartire, da una sicurezza inscindibile dal rispetto della liberta' e
della dignita', dalla considerazione del salario non solo come cio' che
consente di acquistare un lavoro sempre piu' ridotto a merce, ma come
il mezzo che deve garantire al lavoratore ed alla sua famiglia "un'esistenza
libera e dignitosa" (articolo 36). Questione ineludibile di fronte
ad un processo produttivo che, grazie anche alle tecnologie, si impadronisce
sempre piu' profondamente della persona stessa del lavoratore. La trama
costituzionale ci parla cosi' di una "riserva di umanita'" che
non puo' essere scalfita, ci proietta ben al di la' della condizione del
lavoratore, mette in discussione un riduzionismo economicistico che vorrebbe
l'intero mondo sempre piu' simile alla New York descritta da Melville
all'inizio di Moby Dick, che "il commercio cinge con la sua risacca".
Altrettanto irrispettosa della vita e' la decisione del Comune di Milano
di non ammettere nelle scuole materne comunali i figli di immigrati senza
permesso di soggiorno. E' davvero violenza estrema quella che esclude,
che nega tutto cio' che e' stato costruito in tema di eguaglianza e cittadinanza
e, in un tempo di ripetute genuflessioni, ignora la stessa carita' cristiana.
Di nuovo la trama costituzionale puo' e deve guidarci, non solo con il
divieto delle discriminazioni, ma con l'indicazione che vuole la Repubblica
e le sue istituzioni obbligate a "rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale che, limitando di fatto la liberta' e l'eguaglianza
dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana"
(cosi' l'articolo 3). E cittadinanza ormai e' formula che non rinvia soltanto
all'appartenenza ad uno Stato. Individua un nucleo di diritti fondamentali
che non puo' essere limitato, che appartiene a ciascuno in quanto persona,
che dev'essere garantito quale che sia il luogo in cui ci si trova a vivere.
Hanno mai letto, al Comune di Milano, la Carta dei diritti fondamentali
dell'Unione Europea? Sanno che in essa vi e' un esplicito riconoscimento
dei diritti dei bambini? Trascrivo i punti essenziali dell'articolo 24:
"I bambini hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per
il loro benessere... In tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi
compiuti da autorita' pubbliche o da istituzioni private, l'interesse
superiore del bambino deve essere considerato preminente". Di tutto
questo, e non solo a Milano, non v'e' consapevolezza, segno d'una sorta
di pericolosa "decostituzionalizzazione" che si e' abbattuta
sul nostro sistema politico-istituzionale.
Ma seguire le indicazioni della Costituzione rimane un dovere. Certo,
serve una cultura adeguata, perduta in questi anni e che ora sta recuperando
una magistratura colta e consapevole, che affronta le questioni difficili
del nascere, vivere e morire proprio partendo dai principi costituzionali,
ricostruendo rigorosamente il quadro in cui si collocano diritti e liberta'
delle persone, risolvendo casi specifici come quelli riguardanti l'interruzione
dei trattamenti per chi si trovi in stato vegetativo permanente, il rifiuto
di cure, la diagnosi preimpianto. Ma proprio questo serissimo lavoro di
approfondimento sta rivelando la distanza tra cultura costituzionale e
cultura politica. Sembra quasi che, prodighi di dichiarazioni, troppi
esponenti politici non trovino piu' il tempo per leggere le sentenze e
le ordinanze che commentano, o non abbiano piu' gli strumenti necessari
per analisi adeguate. Fioccano le invettive e le minacce: "invasione
delle competenze del legislatore", "ricorreremo alla Corte costituzionale".
Ora, se questi frettolosi commentatori conoscessero davvero la Corte,
si renderebbero conto che le deprecate decisioni della magistratura seguono
proprio una sua indicazione generale, che vuole l'interpretazione della
legge "costituzionalmente orientata": Nel caso della diagnosi
preimpianto, anzi, sono stati proprio i giudici a bloccare una pericolosa
invasione da parte del Governo delle competenze del legislatore, che non
aveva affatto previsto il divieto di quel tipo di diagnosi, poi introdotto
illegittimamente da un semplice decreto ministeriale.
La stessa linea interpretativa dovrebbe essere seguita nella controversa
materia delle unioni di fatto, al cui riconoscimento non puo' essere opposta
una lettura angusta dell'articolo 29, gia' superata negli anni '70 con
la riforma del diritto di famiglia. Parlando di "societa' naturale
fondata sul matrimonio", la Costituzione non ha voluto escludere
ogni considerazione di altre forme di convivenza, tanto che l'articolo
30 parla esplicitamente di doveri verso i figli nati "fuori del matrimonio";
e l'articolo 2, per iniziativa cattolica, attribuisce particolare rilevanza
giuridica alle "formazioni sociali", di cui le unioni di fatto
sono sicuramente parte.
Linea interpretativa, peraltro, confermata dall'articolo 9 della Carta
dei diritti fondamentali che mette sullo stesso piano famiglia fondata
sul matrimonio e altre forme di convivenza, per le quali e' caduto il
riferimento alla diversita' di sesso. Che dire, poi, delle resistenze
contro una piu' netta condanna delle discriminazioni basate sull'orientamento
sessuale, che costituisce attuazione degli impegni assunti con i trattati
europei e la Carta dei diritti? Dopo esserci allontanati dalla nostra
Costituzione, fuggiremo anche dall'Europa e ci sottrarremo ai nostri obblighi
internazionali?
Nella Costituzione vi sono molte potenzialita' da sviluppare, come gia'
e' accaduto con il diritto al paesaggio e la tutela della salute. Quando
si dice che la proprieta' deve essere "accessibile a tutti",
si leggono parole che colgono le nuove questioni poste dall'utilizzazione
dell'enorme patrimonio di conoscenze esistente in Internet. E la rilettura
delle liberta' di circolazione e comunicazione puo' dare risposte ai problemi
posti dalle tecnologie della sorveglianza e dalle gigantesche raccolte
di dati telefonici. Vi e', dunque, una "riscoperta" obbligata
di una Costituzione tutt'altro che invecchiata e imbalsamata, che regge
benissimo il confronto con l'Europa, che rimane l'unica base democratica
per una discussione sui valori sottratta alle contingenze ed alle ideologie.
Questo richiede l'apertura di una nuova fase di "attuazione"
costituzionale". Chi sara' capace di farlo?
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