Innanzitutto, cos'e' il Testamento biologico (o Testamento di vita o
"living will")? e' una "dichiarazione anticipata di volonta'" che consente
a ciascuno, finche' si trova nel possesso delle sue facolta' mentali,
di dare disposizioni riguardo ai futuri trattamenti sanitari per quando
tali facolta' fossero gravemente ridotte o annullate; disposizioni vincolanti
per gli operatori sanitari e che, tuttavia, non siano in contrasto con
la deontologia professionale del medico e con le realistiche previsioni
di cura. Un atto che puo' essere revocato dal firmatario in qualsiasi
momento e che puo' prevedere l'indicazione di una persona di fiducia,
alla quale affidare scelte che l'interessato non e' piu' in grado di assumere.
Sia chiaro: il Testamento biologico e' una semplice opportunita', della
quale ci si potra' avvalere o meno, nella prospettiva, ambiziosissima,
di restituire all'individuo la "sovranita' su di se' e sul proprio corpo"
(secondo l'insuperabile affermazione di John Stuart Mill): e al fine di
dare sostanza e forza di diritto a quel principio di autodeterminazione,
gia' presente nella nostra Costituzione e solennemente affermato dalla
Convenzione di Oviedo del 1997. Inoltre, una "dichiarazione anticipata
di volonta'" potrebbe consentire per tempo quell'attivita' di informazione,
di riflessione e di condivisione con altri delle ragioni di una scelta
terapeutica da accettare o da rifiutare; attivita' che appare ineludibile
per ridurre - almeno ridurre - l'asimmetria di conoscenze tra medico e
paziente.
In un'epoca che vede crescere la potenza delle biotecnologie, capaci di
intervenire sulla "materia vivente" e, dunque, sui tempi e sulle forme
della nascita e della malattia, della sofferenza e della morte; in un'epoca
in cui e' sempre piu' arduo rispondere a domande che, fino a ieri, sembravano
elementari (cos'e' la morte? e' opportuno fissare un limite al "protrarsi
della vita"? qual e' il ruolo della volonta' individuale, del titolare
del corpo malato, nell'indicare quel limite?): ecco, in un'epoca simile,
di fronte agli straordinari progressi della scienza medica e delle biotecnologie,
si evidenzia l'arretratezza dell'apparato culturale di cui disponiamo:
e l'inadeguatezza della capacita' di scelta di ognuno.
Si pensi solo al fatto che, per millenni, abbiamo creduto che la morte
corrispondesse all'interruzione del battito del cuore: ma oggi sappiamo
che il cuore puo' continuare a battere anche quando e' sopravvenuta la
morte cerebrale; e sappiamo che si puo' sopravvivere per dieci o vent'anni
in "stato vegetativo permanente" (perdita irreversibile della coscienza).
Sappiamo, in sostanza, che - grazie a macchine sofisticate - la persistenza
della vita non corrisponde sempre all'esistenza di una persona, dotata
di intelligenza e di volonta' e capace di rapporto e di comunicazione.
Ne consegue che il confine tra cura doverosa e accanimento terapeutico
e' sottilissimo e puo' essere tracciato solo con difficolta', e che lo
sviluppo della scienza medica consente di "tenere in vita" i corpi malati
ben oltre i termini e i tempi finora conosciuti (si pensi ai "miracoli"
della rianimazione).
Di fronte a dilemmi di tale natura, il Testamento biologico e' un piccolo
passo avanti: un istituto di civilta', per limitare quel "dolore non necessario"
di cui si continua a fare scialo. Dunque, il Testamento biologico e' uno
strumento pensato per tutelare il cittadino da quelle forme di accanimento
terapeutico, che potrebbero essergli praticate prescindendo dalla sua
volonta' o da quella dei suoi familiari. Ma, evidentemente, le cose possono
essere assai piu' complicate. Prendiamo il caso di Eluana Englaro: e'
una giovane donna che, dal 1992, si trova in quello che - come si e' anticipato
- viene definito "stato vegetativo permanente". Da allora, la Englaro
sopravvive, senza possibilita' alcuna di tornare a uno stato di coscienza
e di capacita' di relazione con il mondo; e continua a essere alimentata
e idratata artificialmente attraverso una sonda gastrica. Sulla sua vicenda
si e' aperta una controversia difficile, che interpella il diritto e reclama
indicazioni su una questione - il confine tra vita e morte, appunto -
ancora piu' delicata, in questo caso.
Il padre di Eluana ha piu' volte chiesto che sua figlia fosse "lasciata
morire" e che fossero interrotte alimentazione e idratazione, cosi' che
si ponesse fine a una condizione che appare senza sollievo e senza scampo.
La risposta della magistratura e' stata negativa. Ma il "caso Englaro"
presenta altri risvolti amari: perche' la giovane donna, prima dell'incidente
che la ridusse nello stato attuale, si era espressa affinche', in una
eventualita' drammatica quale quella poi determinatasi, la sua vita non
fosse fatta proseguire oltre le soglie della dignita' e dell'umanamente
sopportabile; e aveva chiaramente detto - riferiscono i familiari - che
non avrebbe mai voluto finire "attaccata per sempre a una macchina" o
in una condizione analoga. Cosa sarebbe accaduto, pertanto, se la Englaro
avesse potuto mettere le sue volonta' per iscritto, se vi fosse stata
una legge a riconoscere la legittimita' di quelle sue "dichiarazioni anticipate",
se quelle stesse dichiarazioni avessero avuto valore vincolante rispetto
all'operato dei medici? Ma i quesiti non finiscono qui. Secondo alcuni,
cio' che tiene in vita Eluana Englaro (la nutrizione-idratazione artificiale)
e' una misura ordinaria di assistenza e non un trattamento medico. Se,
invece, si trattasse di un intervento assimilabile a quest'ultima categoria,
si avrebbe - nel caso di un suo inutile protrarsi - "accanimento": e,
dunque, facolta' di interromperlo.
Eppure - alla luce dell'affermazione ormai universale della dottrina del
consenso informato - quella distinzione, oggi, non sembra piu' rilevante.
Infatti, quale che sia la sua "natura" (trattamento medico o misura ordinaria
di assistenza), la nutrizione-idratazione artificiale e' qualcosa che
il medico fa al paziente e che, di conseguenza, il paziente puo', direttamente
o tramite un suo rappresentante, accettare o rifiutare. Si comprende,
da cio', quale sia lo spessore e la complessita' dei problemi, alla cui
soluzione il Testamento biologico puo' dare un contributo importante.
D'altra parte, le "dichiarazioni anticipate di volonta'" non riguardano
l'eutanasia: non prevedono un intervento soppressivo, bensi' la possibilita'
di rifiutare, in piena coscienza e liberta' (quando si e' in piena coscienza
e liberta'), quelle cure che si ritengono lesive della propria dignita'
e nei confronti delle quali si esprime una riserva di carattere personale
o etico, medico o psicologico; ancor piu', e soprattutto, quelle cure
che potrebbero dimostrarsi "accanimento": e, per cio', incapaci di restituire
salute e coscienza e destinate solo a protrarre dolore e malattia o a
perpetuare artificialmente un'esistenza che abbia perso significato (ovvero
capacita' di esperienza e di relazione, di conoscenza e di sensibilita').
Tutto cio' chiama in causa (anche) la politica. Sia chiaro: non le si
chiede di risolvere dilemmi etici per via normativa, ne' di trovare soluzioni
certe e definitive; piuttosto, di operare con pragmatismo e buon senso,
con umilta' e intelligenza per ridurre il "dolore non necessario": affinche'
la sofferenza da malattia sia contenuta quanto piu' possibile e torni
a essere un'esperienza esistenziale, certamente ineludibile, talvolta
insostenibile, ma mai espropriata alla coscienza e alla volonta' di chi
deve affrontarla.