Alla domanda di un intervistatore che una volta gli aveva chiesto: "In
che cosa spera, professore?", ha risposto: "Non ho nessuna speranza.
In quanto laico, vivo in un mondo in cui e' sconosciuta la dimensione
della speranza". Questo, in effetti, sembra un mondo di rassegnazione.
Ma subito dopo ha precisato (pp. 107-108): "la speranza e' una virtu'
teologica. Quando Kant afferma che uno dei tre grandi problemi della filosofia
e' 'che cosa debbo sperare', si riferisce con questa domanda al problema
religioso. Le virtu'
del laico sono altre: il rigore critico, il dubbio metodico, la moderazione,
il non prevaricare, la tolleranza, il rispetto delle idee altrui, virtu'
mondane, civili".
Ma noi possiamo a nostra volta domandare: in vista di che cosa? Sono virtu'
fini a se stesse o c'e' qualcosa di simile a una speranza, una speranza
laica, che le giustifica? Rispetto a che cosa questi atteggiamenti, che
per taluno (i dogmatici, i fanatici, gli inquisitori d'ogni risma, gli
uomini dell'azione per l'azione) sono gravi difetti, possono invece essere
concepiti, per l'appunto, come virtu' e non semplicemente come disposizioni
dell'animo prive di valore come tante altre, se non addirittura come corruzioni
dell'animo, debolezze o
almeno mancanze di energia? "Questi uomini mettono nel dubbio ogni
cosa. Ma - dice l'Inquisitore nel processo a Galileo (B. Brecht, Leben
des Galilei, trad. it. Vita di Galileo, Torino, Einaudi, 1994, p. 200)
- possiamo noi fondare la compagine umana sul dubbio anziche' sulla fede?".
In un passo della sua Autobiografia (a cura di A. Papuzzi, Bari, Laterza,
1997, pp. 226 ss.) dedicato a "il problema della guerra e le vie
della pace", riprendendo il tema di un corso universitario da cui
e' nato un libro famoso dallo stesso titolo e utilizzando le immagini
ivi usate per descrivere la condizione dell'umanita' nel tempo delle armi
termonucleari (Bologna, Il Mulino, 1979, pp. 21 ss.), Norberto Bobbio
si interroga sul
significato della vita individuale e collettiva per mezzo di tre immagini
tratte da Wittgenstein, elevate a paradigmi: la bottiglia nella quale
la mosca vola a casaccio, la rete in cui si dibatte il pesce, il labirinto
entro il quale ci si aggira cercando la via per uscirne. Al di la' del
comune malessere, la mosca nella bottiglia, il pesce nella rete e l'errabondo
nel labirinto sono in condizioni molto diverse. La mosca uscira' dalla
bottiglia (sempre che sia senza tappo) solo per un colpo di fortuna.
La sorte del pesce e' invece segnata e il suo dibattersi non fara' che
impigliarlo sempre di piu', mentre chi e' perso nel labirinto puo' tentare
di uscirne con il suo ingegno. La sorte, la necessita' e l'ingegno sono
le
cause che muovono le tre situazioni.
Bobbio, si comprende facilmente conoscendone il carattere prima ancora
che l'opera, tra le tre immagini predilige quella del labirinto: "Chi
entra in un labirinto sa che esiste una via d'uscita, ma non sa quale
delle molte vie che gli si aprono innanzi di volta in volta vi conduca.
Procede a tentoni. Quando trova una via bloccata torna indietro e ne prende
un'altra. Talora la via che sembra piu' facile non e' la piu' giusta;
talora, quando crede di essere piu' vicino alla meta, ne e' piu' lontano,
e basta un passo falso per tornare al punto di partenza. Bisogna avere
molta pazienza, non lasciarsi mai illudere dalle apparenze, fare, come
si dice, un passo per volta, e di fronte ai bivi, quando non si e' in
grado di calcolare la ragione della scelta, ma si e' costretti a rischiare,
essere sempre pronti a tornare indietro". L'etica del labirinto richiede
che "non ci si butti mai a capofitto nell'azione, che non si subisca
passivamente la situazione, che si coordinino le azioni, che si facciano
scelte ragionate, che ci si propongano, a titolo d'ipotesi, mete intermedie,
salvo a correggere
l'itinerario durante il percorso, ad adattare i mezzi al fine, a riconoscere
le vie sbagliate e ad abbandonarle una volta riconosciute".
Le tre immagini corrispondono a tre visioni della vita e della storia
e rinviano a tre etiche diverse: il pesce nella rete non ha prospettive
per il futuro e puo' solo, subendo senza reagire con rassegnazione apatica,
limitare il dolore; la mosca nella bottiglia puo' solo giocare disperatamente
d'azzardo, agitandosi piu' che possibile sperando nella buona sorte; l'ospite
del labirinto puo' ponderatamente coltivare una speranza,
tenendo i nervi saldi e controllando responsabilmente la situazione. In
tutti e tre i casi, si potrebbe sperare in un intervento esterno: qualcuno
che ci liberi dalla rete, ci faccia uscire dal collo della bottiglia o
ci
conduca per mano fuori del labirinto. Ma questa sarebbe una prospettiva
messianica, di un messianesimo religioso o storico, che presuppone la
fede in qualcuno, un qualche salvatore (un messo divino o una forza storica)
che ci trascende. Ed e' per l'appunto cio' che e' precluso a un Bobbio
"che non ha alcuna speranza" di questo tipo: la salvezza, se
salvezza ci puo' essere, non verra' da altri che da noi stessi.
Ma perche' prediligere il labirinto, che lascia una speranza razionale,
e non la rete, che toglie ogni speranza, o la bottiglia, che mette in
gioco la cieca sorte? Per la semplice ragione che Bobbio e' un uomo di
ragione e
scommette pascalianamente non sulla fede in un Dio trascendente o in una
qualche "levatrice della storia" ma sulla ragione umana. A chi
chiedesse quali buone ragioni d'essere vinta ha dalla sua questa scommessa,
si
dovrebbe rispondere semplicemente: nessuna buona ragione, ma e' l'unica
speranza per l'essere umano: e piu' non dimandare.
Nell'ultima pagina della gia' citata Autobiografia leggiamo: "Come
ho detto tante volte, la storia umana, tra salvezza e perdizione, e' ambigua.
Non sappiamo neppure se siamo noi i padroni del nostro destino".
Il che e'
quanto dire, per stare ancora all'immagine del labirinto, che non sappiamo
se c'e' l'uscita ma che dobbiamo sperare che ci sia e operare quindi come
se ci sia e su questo esile filo costruire la nostra speranza, la speranza
degli uomini di ragione e non di fede. Rispetto a cio' le virtu' mondane
e civili sopra ricordate possono per l'appunto essere ritenute virtu'.
Si sara' notato che tutte queste immagini contengono in se' l'idea del
passaggio da un luogo a un altro e che questo passaggio equivale alla
liberazione dai tormenti, dall'oppressione, dall'infelicita'. Questa e'
un'idea ebraica e cristiana. Il Dio di Israele e' colui che ha liberato
il suo popolo dalla schiavitu' dell'Egitto per trarlo alla terra promessa;
"libera nos a malo" implora la principale preghiera al Dio dei
cristiani e la resurrezione del Cristo - centro del messaggio evangelico
- e' presentata come il passaggio da un regno a un altro, dal regno della
morte al regno della vita. Questo passaggio, promesso a tutte le creature,
e' paragonato da Paolo di Tarso alle doglie del parto che travagliano
il creato (Romani, 8, 19-22; 2 Corinti 5, 1-4).
Sono, queste, tutte figure dell'esodo, un nucleo concettuale che tanta
parte ha avuto e ha tuttora nella formazione della mentalita' del mondo
occidentale. Le immagini della rete, della bottiglia e del labirinto ne
sono soltanto versioni, per cosi' dire, piu' familiari. In ogni caso,
cio' che si intende dire e' che la salvezza sta nel lasciare il luogo
in cui siamo in oppressione e andare o ritornare in quello della liberta'.
Anche per il labirinto e' la stessa cosa. Anche qui si tratta di guadagnare
la liberta'. Una sua particolarita', rispetto ad altre immagini dell'esodo,
e' che l'uscita e' all'indietro: occorre ritornare sui propri passi perche'
la liberta' non e' dove non siamo ancora mai stati ma la', da dove proveniamo.
Il filo di Arianna e il mito di Teseo parlano non di progresso, ma piuttosto
di regresso o, meglio, di ritorno al tempo felice perduto. Ma
non e' questo il punto piu' importante. E' invece il postulato che ci
sia un altro mondo, alternativo a quello in cui ci troviamo a vivere.
Il labirinto e' immagine che calza a pennello con l'idea del professor
Bobbio circa le virtu' laiche, indicate in alternativa alla speranza teologica.
Ma si puo' dire la stessa cosa circa l'esistenza di questo "altro
mondo"? Sembra di no. Il passaggio da un mondo a un altro e' idea
tipicamente messianica. Essa evoca un intervento dall'esterno di questo
mondo da parte di un salvatore, di una forza millenarista, di un qualche
movimento palingenetico irrazionalista, di un capo inviato dalla provvidenza.
Nessuno di noi, comuni mortali, potra' mai aspirare a tanto, a scrollarci
di dosso il nostro mondo per indossarne un altro. Nessuno di noi potra'
mai pensare di dare un senso, una direzione alla sua e alle altrui vite
per trasformarle in qualcosa di totalmente altro. A ritenere il contrario,
si incorrerebbe nel sarcasmo di un Jacob Taubes (La teologia politica
di San Paolo, Milano, Adelphi, 1997, p. 143) che, citando Kafka, dice
che i tentativi dall'interno, come ad esempio quelli che si richiamano
all'idealismo tedesco e alle "leggi della storia", non portano
a nulla: "Il ponte levatoio si trova sull'altra sponda" (altra
immagine dell'esodo); e'
dall'altra sponda, se mai, che lo devono abbassare per farci passare.
Dire che queste visioni catartiche sono del tutto estranee a Norberto
Bobbio e' perfino un'ovvieta'. Nel suo universo concettuale non esiste
un "altro mondo", diverso dal nostro; l'esodo e' un'immagine
consolatoria; il messia, un'illusione pericolosa. Noi siamo e resteremo
nel nostro mondo, il mondo che costruiamo con le nostre forze. Siamo e
resteremo nel labirinto. Il labirinto non e' luogo dal quale si possa
uscire e non possiamo attenderci nulla da fuori, meno che mai la nostra
"salvezza". Il compito, il senso della vita e di quell'aspetto
essenziale della vita umana che e' la cultura e' lavorare insieme, nel
dialogo e nel rispetto reciproci, nel rigore analitico, nell'assenza di
dogmi messianici, affinche' la condizione nel labirinto, che e' la condizione
umana, sia progressivamente resa piu' sopportabile, piu' umana, meno ingiusta.
Tutto il resto non e' che teologia politica. Se poi, indipendentemente
da noi, "alla consumazione dei tempi" qualcosa (e che cosa)
da fuori accadra', sono solo punti interrogativi.