Non offende questi o quegli elettori, ma il senso stesso della politica
civile, la finissima frase di ieri, 4 aprile, del presidente del consiglio
(letterale, dalla registrazione video, che mostra un oratore serissimo,
che non fa dell'ironia): "Ho troppa stima dell'intelligenza degli
italiani per pensare che ci siano così tanti coglioni che possano
votare facendo il proprio disinteresse".
Vediamo. Le ultime parole, improprie, sono state intese da tutti con questo
significato: "votare contro il proprio interesse". E' molto
probabilmente questo ciò che voleva dire l'oratore. Infatti, "disinteresse"
significa 1) mancanza di interesse per qualcosa, o 2) spassionatezza,
imparzialità, o 3) noncuranza di ricavare un utile, materiale o
morale (Zingarelli, 1986).
In quella frase intera, che parla di voto politico, il terzo è
l'unico significato possibile: sono dei fessi gli elettori che non fanno
il proprio interesse. Infatti, nel senso generale di quel discorso, la
frase non poteva significare: sono dei fessi gli elettori che non hanno
interesse per il voto. E nemmeno poteva significare: sono dei fessi gli
elettori che votano in maniera spassionata, imparziale.
Ora, dire: "sono dei fessi gli elettori che non fanno il proprio
interesse", è un pensiero che degrada la politica, ed è
rivelatore di quale infimo concetto della politica ha quell'uomo di governo,
e dunque da quale concezione è guidata la sua politica, come già
sapevamo.
Ma c'è un altro pensiero e un'altra pratica: "Il problema
degli altri è uguale al mio. Sortirne [uscirne] tutti insieme è
la politica. Sortirne da soli è l'avarizia [l'egoismo]" (Scuola
di Barbiana, Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina,
1967, p. 14). Politica ed egoismo sono l'opposto l'una dell'altro.
Fare il proprio particolare privato interesse, come principale e decisivo
criterio politico, sotto pena di coglioneria, è la negazione della
politica. La quale invece è la ricerca del bene di ciascuno con
e insieme al maggior bene possibile di tutti, il classico "bene comune".
Senza di ciò non c'è la politica, la vita insieme, ma la
guerra di tutti contro tutti, lo smembramento della società (essere
soci) in bande di rivali. Un popolo "privatizzato" non è
più in popolo. Senza popolo non c'è demo-crazia, ma al massimo
la demo-cratura (dittatura elettiva).
L'autore di quella finissima frase ha così confessato, meglio che
mai, la sua idea e il suo programma politico, che è la distruzione
della politica, a cominciare dalle sue regole massime, contenute nella
Costituzione, che egli vorrebbe stravolgere (con le recenti riforme che
dovremo bocciare nel referendum di giugno) nella dittatura del capo del
governo al di sopra del Parlamento.
Sulla base di quel falso criterio "politico", è proprio
vero che quell'uomo, in cinque anni, ha realizzato il suo programma.
Da "Internazionale", 10 marzo 2006, pag. 5, "La settimana"
di Giovanni De Mauro, settimana@internazionale.it :
Situazione delle società di Berlusconi dal 1994 ad oggi:
Debiti: nel 1994: 108 milioni di euro
oggi: zero
Casse: nel 1994: vuote
oggi: 303 milioni di euro
Patrimonio: 1994: 269 milioni di euro
oggi: 854 milioni di euro
Distribuiti ai soci dal 1994 ad oggi: 850 milioni di euro
Incassi personali di Berlusconi: nel 2004: 79 milioni di euro
nel 2005: 141 milioni di euro
Ciò equivale ad uno stipendio mensile personale di 11,4 milioni
di euro.
De Mauro conclude dicendo che, nei 55 secondi necessari per leggere le
36 righe della sua nota, Berlusconi ha incassato 268 euro. Ciò
spiega "il furioso attaccamento al potere di questo imprenditore",
che sarà difficile battere.
Ma c'è un'altra cosa da dire, un avvertimento grave per la nostra
civiltà: al di là della competizione politica, e specialmente
di questo momento elettorale acuto, l'idea egoistica della politica, che
è contraddizione in termini, è penetrata anche nelle componenti
tradizionali della sinistra, oltre che nei moderati. Intorno al '70, su
una sezione del Pci a Piombino vidi un cartello: "Vota per te. Vota
Pci", e pensai: qui si sbaglia radicalmente.
La cultura del possesso è destra, la cultura dei diritti è
sinistra, ma non dei propri diritti acquisiti, bensì dei diritti
fino ad oggi negati, conculcati, offesi. Se la sinistra si lascia contaminare
dal pensiero egoistico del neo-liberismo - che è libertà
dei forti e non liberazione dei deboli: libere volpi fra libere galline
- la sinistra è finita, e la competizione è solo per prendere
il potere senza scopo giusto. Vogliamo sperare che oggi in Italia non
sia del tutto così, ma ci sono sintomi che questa infezione morale,
dunque politica, serpeggi nelle vene del centro-sinistra.
Il dilemma della politica italiana, vista nel panorama intero dell'umanità,
è qui: "Il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne
tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l'avarizia".
Chi lo dice e lo pratica coerentemente?
Enrico Peyretti, 5 aprile 2006