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Cuocersi da soli il pane della
democrazia di Sergio Tanzarella
Partire dalla Campania per capire l’Italia
(torna all'indice informazioni)
La Campania è stato il vero laboratorio della mistificazione politica
di questi ultimi anni. Questa mistificazione ha un nome: "rinascimento
napoletano", quello che ha illuso tanti che realmente le cose stessero
cambiando. Era il cambiamento preparato per i turisti, ma non quello che
si attendevano le periferie napoletane, quello che poteva incidere realmente
sul dramma quotidiano di centinaia di migliaia di persone. E tanto più
il centro storico turistico si dipingeva con i colori della propaganda,
tanto più la realtà delle periferie si faceva drammatica e la vita diventava
ogni giorno più difficile.
Quello che abbiamo tentato di fare nella diocesi di Caserta è stato riprendere
un discorso già avviato nel 1991, quando un gruppo di cittadini scrisse
una lettera che denunciava il dominio della Democrazia Cristiana, del
partito cioè che schiacciava i cittadini e controllava ogni aspetto della
vita sociale e politica. Allora, il prof. Scoppola fu uno dei pochi a
esprimere solidarietà per l’analisi che si tracciava della realtà di una
città come Caserta e di una regione come la Campania. In quegli anni,
scrivere una lettera che denunciava il collateralismo democristiano significava
venire accusati di eresia. E arrivò infatti, oltre al duro intervento
di De Mita, l’ammonizione di Castagnetti e una denuncia alla Cei per la
rottura del "dogma" dell’unità dei cattolici.
"Cuocerci da soli il pane della democrazia?", si intitola il mio intervento.
Ma il punto interrogativo, per noi che abbiamo dichiarato la nostra volontà
di astenerci alle elezioni del 13 e 14 aprile, è già superato. Però una
considerazione va fatta sul "da soli", che rischia di apparire una scelta
di individualismo. "Da soli" non è l’insieme di tanti singolari, bensì
l’espressione di una volontà di agire comunitariamente ma senza l’intervento
di quanti si sentono autorizzati a raccogliere una delega totale, una
firma in bianco, il permesso di amministrare un territorio o un Paese
come si trattasse di una personale proprietà. Questo significa "da soli":
significa fare a meno di costoro, dei politicanti e dei loro partiti.
"Da soli" significa riconoscersi la responsabilità di un diritto alla
partecipazione che è stato affermato dalla Costituzione ma progressivamente
ridotto a semplice delega. Una delega di cui l’esempio più efficace è
il voto dei cosiddetti italiani all’estero. Cittadini di una Repubblica
di cui ignorano la lingua, che spesso non hanno mai visto, che nella maggior
parte dei casi mai vedranno, della quale hanno un’idea vaga; cittadini
il cui unico legame con questa Repubblica è appunto il voto. Ma il voto
non risolve il dramma della democrazia.
Vorrei citare il filosofo napoletano Maurizio Zanardi, che è intervenuto
con efficacia proprio in coincidenza con la nostra analisi sul tema del
voto, paventando la possibilità di non andare a votare. Non andare a votare
contro cosa? Contro coloro che sono interessati esclusivamente ad andare
al governo, contro "questo attivismo" che "si impegna in un incessante
calcolo dei voti possibili: di quelli che è possibile acquistare, di quelli
che è possibile perdere. La politica finisce col dipendere dal calcolo
dei voti possibili e il voto non fa altro che riprodurre la politica come
calcolo dei voti [...]. Non c´è da meravigliarsi se le diversità tra i
contendenti appaiono minime, perché i rivali condividono la medesima cultura
e non sono affatto interessati a mettere in discussione i rapporti di
potere esistenti nella società. Più radicalmente, la logica della ricerca
del consenso li porta a ripresentare nella sfera del governo gli interessi
esistenti, le opinioni dominanti, i sentimenti diffusi. […]. Se l’azione
degna di essere chiamata "politica" ha come vocazione quella di far avvenire
un pensiero che trasformi il mondo, il politico con cui abbiamo a che
fare sembra impegnato a "rafforzare" il mondo esistente: rappresentarlo
per rafforzarlo. [...]. Si veda, ad esempio, la parola d’ordine del Partito
democratico: tutti insieme, dall’impren-ditore all’operaio, per il bene
del Paese. Ma imprenditore e operaio non sono uguali, per cui l’unità
dei non uguali non può che riprodurre la disuguaglianza".
Il non voto come lotta alla “camorra politica”
E, su questo terreno misconosciuto delle disuguaglianze, la nostra
riflessione di cristiani parte da un territorio - la Campania - sommerso
dai rifiuti, metafora efficace e appropriata della nostra condizione politica
e sociale, simbolo del fallimento di quella che si definisce "classe dirigente"
(termine pericolosissimo che va rifiutato, perché in democrazia non abbiamo
bisogno di classi dirigenti: le classi dirigenti ossificano se stesse,
acquisiscono il potere e lo gestiscono per sempre). La democrazia è altro
rispetto a questo indistinto susseguirsi di maggioranze, centrodestra
o centrosinistra, che si sono alternate in Regione negli ultimi 20 anni.
La crisi della Campania rappresenta l’anticipazione della crisi della
democrazia nel suo complesso in Italia. Gli schieramenti che hanno governato
e governano la Regione, le province, i comuni campani, è bene dirlo, hanno
sostituito il "bene comune" con l’"interesse generale": non è la stessa
cosa, ma loro non se ne avvedono. E l’opposizione, quando c’è, non è più
ragione di un impegno, di capillare azione di contrasto, di attività politica
sul territorio. Assistiamo così alla farsa di un candidato sindaco di
Roma che - sconfitto - non prende in carico l’opposizione in questa città,
ma abbandona il Comune. Alla farsa siciliana in cui la Finocchiaro abbandona
l’opposizione regionale come fece la Turco in Piemonte. Perché i cittadini
dovrebbero votare di fronte ad una farsa in cui gli attori, terminato
lo spettacolo, si tolgono gli abiti di scena e ne assumono altri? In questo
quadro, chi paga lo scollamento, il disincanto e il disprezzo nei confronti
della politica è proprio il cittadino attento alle istituzioni.
Nella lettera l’abbiamo chiarito, ma vorrei ribadirlo: questo non è il
rifiuto del voto che viene da un principio di anarchia o dalla mancata
considerazione di quanto il diritto di voto sia stato frutto di sofferenze
e di lotte esemplari. Ma dobbiamo evitare di considerare il voto come
qualcosa di sacro in senso assoluto: proprio il cittadino attento alle
istituzioni che ritiene il voto la massima affermazione della partecipazione
arriva al punto di non esercitarlo se esso è privo di senso. E vorremmo
che fosse considerata la ragione di chi questo voto non lo ha esercitato
proprio perché lo ritiene tanto privo di senso da essere dannoso per la
democrazia. Del resto anche durante il fascismo si votò e pure i nazisti
costrinsero al voto gli austriaci per l’annessione del loro Paese alla
Germania.
Se le democrazie occidentali si fondano su regole, norme, procedure, controlli,
dobbiamo dire che proprio le amministrazioni locali - e faccio riferimento
a quelle del centrosinistra - non sono ormai più soggette ad alcun controllo,
se non a quello ultimo della magistratura. Io decido, poi, se la magistratura
ha qualcosa da dire, interverrà: ma è democrazia questa? È possibile gestire
la cosa pubblica delegando la vigilanza alla sola istanza della magistratura?
Sono gli organi esecutivi che decidono tutto, sui destini di tutti. Un
esempio, ma di un certo peso. A Caserta, città devastata da costruttori
e cavatori, dalla gestione camorristica del territorio, si decide di aprire
una discarica, nel centro della città, su una discarica preesistente.
La legge lo proibisce; Bertolaso lo decide, con l’assenso del presidente
della provincia e del sindaco della città. Si contesta questa decisione
spiegando che la discarica che viene aperta dista 3 km dal centro della
città, 200 metri dalle prime case, in un’area in cui vivono 200mila abitanti.
Ed è una discarica che sorgerebbe sopra un’altra precedente discarica,
che ha già avuto conseguenze disastrose (con un aumento esponenziale di
allergie nel territorio circostante), e della quale si ignora la qualità
dei rifiuti sversati. Ai cittadini organizzati che chiedevano ragione
di questa scellerata decisione, la risposta delle istituzioni è stata:
rivolgetevi alla magistratura.
Questa è la lezione che viene data ora ai cittadini. Così, la magistratura
è intervenuta, con i tempi propri della giustizia italiana: quando la
discarica era già piena, ha affermato che essa era totalmente illegale
e che era stata gestita in piena illegalità, con percolato dovunque. E
sapete chi si è battuto insieme ai cittadini per far chiudere la discarica,
mentre i partiti del centrosinistra - che governano il comune, la provincia,
la regione - non facevano nulla? Il vescovo della città, che si è fatto
rinchiudere più volte nella discarica. Non c’è da essere felici per questo
atto coraggioso del vescovo Nogaro, perché in una democrazia il fatto
che un vescovo sia costretto a sostituirsi ai governi locali, ai partiti,
ai sindacati è il segno di un degrado politico, della dissoluzione di
qualsiasi principio di tutela dei cittadini. Il vescovo dovrebbe essere
l’ultima istanza per una situazione di emergenza assoluta, ma noi qui
siamo ben oltre l’emergenza, siamo nella catastrofe.
Nota al margine: Bertolaso, che ha aperto la discarica, non ha accettato
di buon grado l’intervento del vescovo e si è rivolto al segretario della
conferenza episcopale. Ed egli è incredibilmente intervenuto condannando
l’azione del vescovo a fianco dei cittadini. Una azione, quella di Nogaro,
di alto magistero. Poiché se il vescovo è il padre, può un padre rimanere
indifferente al pericolo di vita dei suoi figli?
Allora che cos’altro deve succedere perché si ponga fine ad una discussione
tutta interna agli equilibri dei partiti, alle future carriere, al futuro
potere? Quanti altri malati, quanti altri condannati a morte ci devono
essere? Quante altre devastazioni?
La migliore tradizione dei cattolici impegnati in politica (Dossetti,
Lazzati, La Pira) dimostra che è possibile essere fuori dalle logiche
dell’appartenenza ma dentro i processi del presente, anche al prezzo di
uscirne sconfitti.
Primo punto: andrebbe rilanciata la centralità democratica cominciando
da una critica del passato, dalla denuncia delle responsabilità, perché
i nomi di Gelli o di Caltagirone rispondono a qualcosa che ha ripercussioni
sul presente, come distruzione permanente del nostro Paese a livello sia
di coscienze che di territorio.
Abbiamo fatto un’analisi approfondita delle candidature e abbiamo concluso
che non avremmo mai potuto votare il signor Sircana, né la signora Pedoto,
segretaria personale del ministro Fioroni: persone che non abbiamo mai
visto né mai vedremo in Campania. Quali bisogni sono chiamati a rappresentare
candidati come Del Vecchio, il generale dell’esercito che ha coperto l’uso
dell’uranio impoverito - in Serbia – da parte dei bombardieri italiani?
Chi rappresenta - passando dal piano campano a quello nazionale - la signora
Melandri, che si è recata a Capodanno a festeggiare nella villa del signor
Briatore in Kenya, mentre il nostro Paese è in ginocchio? E ha negato
di esserci stata fino a quando delle foto hanno smentito le sue smentite.
Non avremmo mai potuto votare la moglie di Bassolino e nemmeno l’accolta
dei grigi funzionari di partito schierati nell’Arcobaleno.
O pensiamo alla signorina Madia, candidata nel Lazio, sublime esempio
di mistificazione. Cosa è stato fatto credere all’opinione pubblica quando
è stata presentata questa signorina? Che si trattava di una ragazza qualsiasi
chiamata a rappresentare i giovani della sua età. Di una laureata con
un lavoro precario in cerca di integrazione. Era invece la figlia di un
attore amico di Veltroni, nipote dell’avvocato Madia, difensore di Mastella,
uno degli avvocati più famosi di Roma, ex fidanzata del figlio del presidente
della Repubblica, la stagista del sottosegretario Letta, che lavorava
alla presidenza del Consiglio. Perché questa mistificazione? Perché questo
tentativo di mortificare fino all’ultimo la fiducia dei cittadini? Pensiamo
alla signorina Daniela Cardinale, figlia del ministro Cardinale (e sappiamo
cosa ha rappresentato Cardinale in Sicilia), o alla signora Maria Pia
Garavaglia, ex ministro, ex vice sindaco di Roma e non certo un nome nuovo
per la politica (sappiamo come ha gestito la Croce Rossa perché vi sono
state delle indagini su quella gestione), diventata ora ministro ombra
dell’Istruzione.
C’è necessità di una rinnovata condanna morale nei confronti di una prassi
diffusa, necessità di una politica che recuperi i toni di sobrietà di
cui hanno dato grande testimonianza proprio i cattolici democratici. Si
possono perciò comprendere meglio le parole che all’assemblea provinciale
delle Acli sono state pronunciate dal vescovo di Caserta, appena prima
delle elezioni: "Si va a votare con una classe politica che decide chi
le succederà, che schiaccia ogni regola democratica, con le segreterie
dei partiti che decidono i candidati non si sa in base a quali meriti,
senza alcuna possibilità di rinnovamento rispetto ad una classe politica
preesistente che ha registrato fallimenti a tutti i livelli […] questa
è ‘camorra politica’, che schiaccia ogni possibilità di partecipazione
dei cittadini e di vita democratica".
È grave che un vescovo sia chiamato a parlare di questioni politico-elettorali.
Ma lo deve fare, a causa del silenzio totale di coloro che dovrebbero
farsi ascoltare e non prendono la parola.
È giusto poi ricordare che fra coloro che alle ultime politiche hanno
votato scheda bianca, quelli che non sono andati a votare, quelli che
hanno annullato la scheda, quelli che hanno votato partiti che non hanno
superato lo sbarramento, oggi abbiamo più di 15 milioni di cittadini senza
rappresentanza. È un dato di cui preoccuparsi. E se ancora si mantengono
certe percentuali di votanti è perché c’è una tradizione, cui è ancora
sensibile l’elettorato più anziano, secondo la quale non andare a votare
costituisce un reato come di fatto era nel passato. Quando quella generazione
scomparirà, le percentuali di votanti si abbasseranno ancora di più. Ecco
perché in qualche modo mi sembra concreto quanto evocato dal romanzo "Saggio
sulla lucidità" di José Saramago - di cui mi permetto di suggerire la
lettura - che descrive un Paese nel quale tutti decidono di votare scheda
bianca.
Centro-sinistra-destra
E poi: si può mai pensare che la politica possa vivere soltanto agitando
il fantasma di Berlusconi? Comprendo perfettamente che non si tratta soltanto
di un fantasma, purtroppo. Ma pretendere di costruire il consenso unicamente
demonizzando l’avversario non appare più credibile dopo 14 anni. È troppo
poco per motivare i cittadini, tanto più quando i programmi dei due schieramenti
finiscono per somigliarsi sempre di più.
Del resto, pensiamo alla legge Bossi-Fini, una legge infame nei confronti
dei cittadini stranieri immigrati in Italia, una legge che doveva e poteva
essere modificata. E invece non si è voluto far nulla. Eppure, non si
trattava di un atto oneroso per le casse dello Stato, come sarebbe stato
per un intervento di giustizia sociale sui salari o sulle pensioni minime.
Due anni non sono stati sufficienti per modificare neppure qualche articolo
della Bossi Fini. E nemmeno per fare una legge sul diritto d’asilo, benché
l’Italia sia tra i pochissimi Paesi occidentali a non averne ancora una.
Non parliamo poi della legge elettorale.
Ancora: non ci si aspetterebbe da un centrosinistra la decisione di affrontare
con chiarezza la politica delle spese militari? Invece abbiamo assistito,
negli ultimi 15 anni, ad un costante aumento delle spese per gli armamenti,
al di là della composizione dei governi e delle maggioranze. Spulciando
gli atti parlamentari delle Commissioni Difesa del Senato e della Camera
si noterà che, tranne pochissime eccezioni, l’opposizione, sia essa di
sinistra o di destra, normalmente propone spese maggiori rispetto a quelle
indicate dalla maggioranza di governo. Ecco perché non è più il tempo
di accettare l’equazione sinistra uguale pace. Si può partecipare a tutte
le marce pacifiste, ma quello che conta è ciò che viene deciso rispetto
alla politica economica, all’investimento nella ricerca di nuovi sistemi
d’arma.
I cristiani, in tutto questo, non possono rimanere silenziosi o subalterni.
Anche per quanto concerne la drammatica questione ambientale - basti pensare
alla situazione dell’acqua - il centrosinistra appare legato, tanto quanto
il centrodestra, agli stessi centri di potere che vogliono gestire l’acqua
in modo privatistico. E ancora, sulla gestione dei rifiuti in Campania:
il piano che oggi si cerca di rilanciare non è di Bassolino; Bassolino
lo ha ereditato dalla giunta di Rastrelli di destra e lo ha riproposto
senza cambiare una virgola. È mai possibile che la destra e la sinistra
abbiano sul problema dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania
le stesse identiche idee? Ma allora perché andare a votare?
In realtà non esiste opposizione perché non esiste un progetto di sviluppo
differente. Centrosinistra e centrodestra hanno gli stessi progetti, gli
stessi referenti, gli stessi consulenti. Come nell’urbanistica, dove l’unico
modello è quello dell’espansione infinita, dell’aggiramento dei piani
regolatori attraverso gli accordi di programma, della scomparsa o riduzione
dell’edilizia popolare. E quando l’urbanistica viene condotta in modo
scellerato ne derivano i mali che abbiamo di fronte e che diventano emergenza.
Oggi l’urbanistica, già da sola, potrebbe prevenire il disagio e l’emarginazione
delle nuove periferie. Abbiamo l’esempio di Rutelli e Veltroni a Roma,
con una periferia che si estende all’infinito, che, di questo passo, arriverà
fino a Formia. Sembra di essere di fronte ad un modello comunista, ma,
rispetto a quel modello, non c’è l’edilizia di Stato, c’è l’edilizia di
Caltagirone e dei suoi soci, e sono i loro amici a dirigere l’informazione.
In questo quadro, se avessimo perso le elezioni con un progetto alternativo,
un modello di giustizia sociale, oggi avremmo ancora delle speranze. Ma
abbiamo perso proponendo la fotocopia di Berlusconi. Il cittadino, fra
l’originale e la fotocopia, sceglierà sempre l’originale. E come dargli
torto?
La vicenda dei rifiuti è il paradigma di una concezione della politica
che agita la camorra come l’unica vera responsabile del degrado. Non è
vero: la camorra è comprimaria, socia e collaboratrice, ma la protagonista
è stata l’ammini-strazione pubblica che ha volutamente lasciato spazio
alla camorra affinché essa potesse gestire questo colossale affare sulla
pelle dei cittadini.
E il problema non sono i rifiuti di casa, almeno non solo quelli: sono
i rifiuti tossici, i 30 anni di sversamenti di materiale di cui non sapremo
mai l’esatta provenienza e pericolosità. Per mille discariche chiuse,
mille discariche abusive aperte. Una lotta impari, una mancanza totale
di controllo del territorio da parte della politica, che avrebbe dovuto
presidiare le aree con i militari, piuttosto che lasciarle in mano alla
criminalità organizzata. Tra l’altro, questi rifiuti non arrivano per
cielo o per mare: arrivano ancora oggi attraverso l’autostrada, la Milano-Napoli.
Questa è la realtà, chi utilizza la camorra come coprtura delle proprie
complicità compie una mistificazione sulla salute dei cittadini.
Cosa significa allora "cuocere da soli il pane della democrazia"? Innanzitutto,
un processo di purificazione della memoria che apra una rilettura complessiva
delle vicende politico-economiche della storia italiana repubblicana e
della responsabilità degli stessi cattolici italiani. Questo è assolutamente
indispensabile. Occorre ricordare scandali come quelli della distruzione
delle coste e degli scempi edilizi. Rutelli e Veltroni hanno dei degni
antenati nella distruzione sistematica del territorio, come Rebecchini,
Tupini, Ciocchetti. E lo stesso è avvenuto nella Napoli gestita da Lauro,
con la distruzione del Vomero e dei Casali; o nella Palermo dei sindaci
Lima e Ciancimino, con la distruzione delle ville liberty; o a Catania,
o ad Agrigento, dove si sono costruiti palazzi di 54 metri nella Valle
dei Templi. Questa è la storia del nostro Paese - quello che Cederna definiva
Il paese dei barbari - e qualcuno si deve incaricare di trasmetterla,
di farne memoria. Perché è a causa di questa assenza di memoria che si
moltiplicano gli spazi per continuare a perpetrare il saccheggio dei nostri
territori. Certo la storia non è l’unico antidoto ma l’opera assassina
dei distruttori deve essere ricordata e trasmessa.
Questo fenomeno di saccheggio è trasversale ai partiti. A Roma coinvolge
i Marchini, costruttori vicini al Partito Comunista, responsabili dello
scempio urbanistico della Magliana, e i Caltagirone, vicini alla Dc ed
oggi al centrosinistra, che erano famosi come costruttori senza maestranze:
nessun dipendente, ma tante società (e un conto aperto all’Italcasse degli
scandali).
Se negli anni del neorealismo la descrizione della realtà in cui vivevano
milioni di italiani era considerata un tradimento al buon nome del Paese
(quasi come in guerra, quando si viene accusati di disfattismo anche soltanto
esprimendo qualche perplessità sulle condizioni igieniche e alimentari
della truppa o della popolazione), così oggi mettere in dubbio la legittimità
della rappresentanza, la sua irrilevanza sociale e la logica diffusa e
aberrante del compromesso sembra implicare una condanna di inaffidabilità
e un’assenza di senso dello Stato.
È bene, dinanzi a queste accuse ricorrenti quanto veementi, ricordare
l’azione di Danilo Dolci, tanto più intollerabile perché realizzata fuori
dal controllo di partiti e sindacati e perché indirizzata a sovvertire
un ordine sociale fondato sul privilegio e sulla disuguaglianza. A quell’ordine,
compreso come assoluto e immutabile, Dolci contrappose un modello di società
che capovolgeva i rapporti di forza e di garanzie: "Al cinema, a teatro,
ai concerti, dovrebbero andarci prima, e nei palchi migliori, quelli che
non ci sono mai andati e che sono più bisognosi di vita. I migliori
concerti, cinema e teatri del mondo, dovrebbero essere dedicati ai malati
di mente, di spirito. Almeno, i compensi maggiori a chi fa i lavori più
ripugnanti: quelli che puliscono fogne, gabinetti, ecc. Almeno, se la
nostra società non fosse barbara, nella prima classe dei treni, delle
navi, degli alberghi e degli ospedali verrebbero serviti, meglio e con
minor compenso o gratuitamente, i più squallidi, i più vecchi, i più piccoli,
i più rovinati: ‘gli ultimi oggi’. Nella terza classe la gente più robusta,
più forte, che mangia di più e meglio» (D. Dolci, Banditi a Partinico,
cit., 244).
I cittadini chiedono oggi a chi vuole impegnarsi onestamente in politica
di occupare esclusivamente di questa terza classe. È questa una necessità
di onestà e di testimonianza credibile, l’unica necessità che dovrebbe
muovere oggi i cristiani all’impegno politico. È dalla terza classe che
si può pronunciare una parola che non viene smentita, è solo dalla terza
classe che si può affermare di cominciare a capire il mondo e di sperare
di trasformarlo. E trasformarlo secondo la giustizia sociale è il compito
della politica.
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