‘La via giudiziale all'integrazione scolastica, quando sono assegnate
troppe poche ore di sostegno, è la via più corretta per affermare il valore
della comunicazione, della socializzazione e degli scambi relazionali
e con esso la qualità dell'integrazione come fatto di enorme rilevanza
sociale?’
Con questa domanda Salvatore Nocera mette il dito nella più dolorosa delle
piaghe della recente storia dell’integrazione scolastica dei disabili
e cioè la frequenza cui ci stiamo abituando con la quale sono ormai i
giudici ordinari a decidere in materia di assegnazione dell’orario di
sostegno agli studenti che ne hanno bisogno. Le risposta è chiara e scontata.
NON PUO’ ESSERE QUESTA LA VIA.
Ma credo che questa recente storia vada analizzata molto attentamente.
Ci si sarebbe aspettata un’analisi dal Ministro, una presa di posizione,
ma a quanto ne sappiamo pare non si sia verificato. E dunque proviamo
ad analizzare.
Quello che i giudici vanno affermando è che l’art 12 comma 3 della L.n.
104/92, nella scuola della Repubblica Italiana, va rispettato. Un fatto
che dovrebbe essere ovvio in una scuola ispirata al dettato della Costituzione,
dove è sancito che il diritto allo studio è fondamentale diritto di cittadinanza
e l’obbligo scolastico è fatto di promozione sociale, culturale ed umana.
Altro è probabilmente lo spirito della cosiddetta Riforma Moratti, sulla
cui aderenza al dettato costituzionale potrebbero essere avanzatii dei
dubbi. Ma la l’104/92 è una delle leggi più avanzate che si possano immaginare
e non solo per quel che riguarda l’integrazione scolastica, ma proprio
per il disegno, la visione complessiva in cui inserisce questa, come parte
essenziale di un’idea di cittadinanza.
Viene da chiedersi: chi governa le dinamiche interne della scuola, perché
fa fatica ad ispirare il suo operato a norme come questa? Norma per la
cui conquista si è nel passato tanto lottato e lavorato. Quelle che sono
state conquiste di civiltà, in una società evoluta non dovrebbero essere
messe in discussione. Potrebbe sembrare un’ovvietà. Impedire l’integrazione
scolastica dei disabili, ha lo stesso valore della riapertura dei manicomi,
o della creazione dei ghetti…
Ci sono state battaglie civili importanti nella nostra storia. E anche
la scuola le ha fatte. Se ne è persa la memoria? E se proprio la scuola
getta la spugna, se è stanca di mantenere in vita dei valori alti, che
ne sarà del resto della società?
Vorrei sapere: in quante scuole d’Italia l’integrazione dei disabili è
vissuta (vissuta NON scritta nelle programmazioni!) come un fatto di educazione
civica degli alunni cosiddetti ‘normali’, cioè come formazione a quell’idea
di cittadinanza che vuole la Costituzione? In quante scuole della Repubblica
Italiana sono stati coinvolti i genitori, le famiglie – in quanto coeducatori
ai valori civili - in questi progetti? Altrimenti, parlare di ‘integrazione’
è senza significato.
Può essere che sia in crisi un’idea di cittadinanza. Può essere che stiamo,
nei fatti, assistendo al rapido propagarsi di un’idea di ‘cittadino -
indifferente’ dove il metro per valutare le scelte è l’utile dell’individuo
chiuso in sé stesso, insensibile-indifferente a tutto quello che accade
fuori dal perimetro della propria pelle.
Bene: se è questo che riscontriamo, allora che la scuola si interroghi,
non subisca passivamente la cultura dilagante, rinunciando persino a capire.
E’ bene che la scuola con i suoi attori principali, che sono gli insegnanti,
i dirigenti scolastici, non rinunci al suo ruolo educativo e di promozione
sociale. E non aspetti che l’ispirazione le venga dall’alto, perché questo
nella scuola italiana non si è mai verificato. Che il popolo della scuola,
dunque, si riappropri del suo ruolo fondamentale. Si, perché questo è
il ruolo che la scuola ha avuto e deve continuare ad avere nell’Italia
Repubblicana.
Porto Sant’Elpidio 6 aprile 2005