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Il terzo settore in Italia: quale futuro?*
Giovanni Nervo, Fondazione Zancan, Padova
* In, Terzo settore, n. 8, aprile 2002

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La vittoria delle destre nelle elezioni del 13 maggio 2001ha cambiato la situazione politica del nostro Paese. Ed è abbastanza logico che sia così. Quando la maggioranza della popolazione italiana stava piuttosto male, si rivolgeva a sinistra sperando di migliorare le proprie condizioni: ora che la maggioranza sta abbastanza bene, si rivolge a destra, sperando che conservi e aumenti il suo benessere.
Chi ha oggi la guida della politica italiana si è proposto di cambiare il Paese. In questo contesto quale futuro avrà il terzo settore nel nostro Paese?
Il ministro Maroni dimostra di avere molta fiducia nel non profit. Nell'audizione alla Commissione Affari Sociali della Camera il 17 luglio 2001, illustrando le linee programmatiche del Governo in riferimento alle politiche sociali, ha detto: "L'attuazione del principio di sussidiarietà in direzione orizzontale consentirà allo Stato di investire il settore del non profit di crescenti responsabilità, per fornire ai cittadini che versano in condizioni di bisogno risposte adeguate da parte di strutture che hanno capacità, professionalità e motivazioni ampiamente sufficienti a garantire i livelli di performance (penso voglia dire di qualità) più elevati a livello europeo e non solo".

Il terzo settore sarà in grado di rispondere a queste aspettative? Per evitare equivoci sembra necessario evidenziare alcuni nodi problematici.

1) Nel termine terzo settore si usa includere le associazioni di volontariato, le cooperative sociali e di solidarietà sociale, le associazioni di promozione sociale. Anzi spesso, troppo spesso, si mette tutto sotto il nome di volontariato. Bisognerebbe distinguere con chiarezza almeno volontariato e imprese sociali che sono due generi diversi, anche se nascono da uno stesso ceppo, la solidarietà sociale. Il volontariato è lavoro spontaneo non pagato, l'impresa sociale è una impresa autogestita di lavoro pagato, che non distribuisce gli utili ai soci (per questo si chiama non profit), ma li investe per le finalità sociali della impresa. Il non profit poi non comprende tutti e due, volontariato e imprese sociali, perché non profit non è uguale a gratuità ed è equivoco e pericoloso chiamare il volontariato non profit, perché di sua natura è gratuito.
E' pertanto pericolosa la linea del Governo, enunciata dal ministro Maroni, di unificare le tre leggi (sul volontariato, sulla cooperazione sociale e sull'associazionismo sociale) in una sola legge sul non profit, perché dequalificherebbe e modificherebbe il volontariato come portatore soprattutto di valori non economici, ma etici e civili, e priverebbe le imprese sociali dell'alimentazione di quei valori che provengono particolarmente dal volontariato.

2) La cosa si rende evidente nel concreto. Giustamente il Movi (Movimento di Volontariato Italiano) afferma che il volontariato, lavoro gratuito, è in grado di assumere soltanto "servizi leggeri", basati sul rapporto e sulla promozione umana, e deve pertanto lasciare alle imprese sociali la gestione di "servizi pesanti", che richiedono strutture e operatori qualificati a tempo pieno. Ma i "servizi leggeri" non rispondono alle aspettative del ministro. E' legittimo pertanto chiedersi: nelle linee programmatiche del Governo, in questa svolta economicistica della società, c'è ancora posto per il volontariato, portatore di valori etici più che di valori economici?

3) Che cosa significa che "l'attuazione del principio di sussidiarietà in direzione orizzontale consentirà allo Stato di investire il settore del non profit di crescenti responsabilità" nell'organizzazione dei servizi alla persona? E' sussidiarietà orizzontale questa, o nuova forma di statalismo o, per essere meno severi, insufficiente assimilazione culturale del principio di sussidiarietà? Il terzo settore, le imprese sociali, sono disposte ad accettare questa sussidiarietà orizzontale?
4) Tanto più che nelle dichiarazione del Governo non c'è nessun cenno al sostegno che lo Stato si sente impegnato a dare alle libere iniziative della società civile, per essere sussidiario ad esse come dovrebbe essere in una concezione autentica della sussidiarietà.
Il principio di sussidiarietà, infatti, va sempre coniugato con il principio di solidarietà che è alla base della nostra Costituzione, la quale all'art. 2 dice: "La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo e richiede l'adempimento degli inderogabili doveri di solidarietà politica, economica, e sociale". Questo punto è molto importante, perché il non profit, o le imprese sociali, possono garantire realmente - per capacità, professionalità e motivazioni - livelli elevati di qualità soltanto se lo Stato - nel caso specifico la legge finanziaria, le regioni e gli enti locali - garantisce le risorse necessarie per la copertura dei costi, per la qualificazione e formazione permanente degli operatori, per la ricerca e la sperimentazione. Per il volontariato non c'è problema: è sufficiente il rimborso delle spese effettivamente sostenute. Ma per le imprese sociali la cosa è diversa: se non dispongono di risorse adeguate non possono garantire né servizi validi ai cittadini, né equo trattamento agli operatori.

5) Ci scusi il ministro Maroni, ma nel clima in cui viviamo non possiamo non porci una domanda: questa esaltazione del terzo settore, che nessun altro Governo precedente ha mai espresso in termini così accentuati, è un segno di disimpegno delle istituzioni nei confronti dei servizi alla persona? Il Governo potrà dimostrare che questa preoccupazione non ha fondamento se si impegna a tradurre fedelmente in atto, come il ministro ha promesso, la legge 328/2000 di riforma dell'assistenza.
Tutto il terzo settore, e in particolare le imprese sociali però devono responsabilmente riconoscere i propri limiti e farne prendere consapevolezza alle istituzioni. Il terzo settore non può garantire i diritti dei cittadini: le cooperative sociali e il volontariato ci sono se ci sono, dove ci sono, se possono, quando possono, se vogliono, fin che vogliono. Soltanto la società nel suo insieme con le sue istituzioni, che usiamo chiamare Stato, può e deve garantire i diritti fondamentali dei cittadini attraverso la programmazione, il reperimento e il coordinamento di tutte le risorse della società, la vigilanza e il controllo. Ancor meno il mercato può garantire i diritti dei cittadini, perché opera soltanto se può ricavare profitto, e ciò legittimamente perché investe proprie risorse.

6) In ordine ai diritti dei cittadini il terzo settore, e particolarmente il volontariato, ha un altro ruolo, importante e in parte nuovo da svolgere: il prof. Ardigò nella recente pubblicazione "Volontariati e globalizzazione" lo chiama ruolo di advocacy, di tutela dei diritti, soprattutto dei più deboli. Questo ruolo si rende particolarmente attuale e necessario di fronte ad un sistema politico che si basa su una concezione liberista dell'economia e della società, dove lo stesso meccanismo della democrazia rappresentativa può favorire l'aumento delle disuguaglianze sociali, in contrasto con l'art. 3 della Costituzione che afferma la eguale dignità sociale dei cittadini e attribuisce alla Repubblica il compito di rimuover le cause economiche e sociali che di fatto promuovono la disuguaglianza.
Infatti quando la maggioranza dei cittadini non godeva di fatto dei diritti affermati dalla Costituzione, usando il meccanismo della rappresentanza democratica poteva promuovere leggi e istituzioni che favorissero l'eguaglianza.
Oggi che la maggioranza dei cittadini sta bene, questa maggioranza, utilizzando il consenso popolare e il meccanismo della rappresentanza democratica può consolidare e aumentare il proprio benessere, emarginando le fasce più deboli della popolazione, che non hanno potere politico per difendere i propri diritti.
Qui si innesta il ruolo di advocacy a tutti i livelli di fronte allo Stato, alle Regioni, ai Comuni. Oggi questo ruolo politico non riguarda soltanto la tutela della dignità e dei diritti dei soggetti deboli, ma anche la promozione di cittadinanza attiva per impedire che venga introdotto un sistema autoritario mascherato da democrazia con l'avallo del consenso popolare.
E' uscito in questi giorni un libro del prof. Cotturri intitolato: "Potere sussidiario", in cui sostiene e dimostra che per avere un sistema democratico autentico non è sufficiente il consenso popolare che conferisce la rappresentanza. E' necessaria anche la partecipazione popolare, attraverso i corpi intermedi della società civile, per stimolare e controllare anche dal basso l'operato della maggioranza che, se smarrisce il significato autentico della politica, che è il bene comune, cioè di tutti e di ciascuno, può usare il potere per interessi particolari.
Lo scorso anno in un sondaggio nel Nordest veniva posta la domanda: Quanto si sente d'accordo con la seguente affermazione: c'è troppa confusione, ci vorrebbe un uomo forte a governare il Paese?" Risposte: per niente o poco 25,2% (Il Gazzettino, 5 gennaio 2001).
Enzo Biagi in uno sferzante articolo sul Corriere della Sera di qualche tempo fa richiamava appunto che non è sufficiente il consenso popolare per garantire la democrazia: Hitler, ricordava, è andato al potere con il voto del 90% degli elettori tedeschi. Perciò in un momento delicato del nostro Paese, il terzo settore e il volontariato, ponendo al centro la persona e il bene comune, sono chiamati ad esercitare il ruolo di advocacy, cioè di tutela sia dei diritti dei più deboli, sia della democrazia.