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- che peraltro, a fronte di una posizione nei confronti della pubblica amministrazione che vede il cittadino come soggetto debole, essendo carenti o insufficienti altre forme di protezione ed in assenza di specifici divieti, si ravvisa l’opportunità che il difensore civico, formulando proprie osservazioni, attivi gli organi competenti, a prescindere dalla loro natura giuridico-amministrativa, in tutti i casi in cui rileva la lesione di diritti di cittadini che si rivolgono all’ufficio;
- che le cure sanitarie sono effettivamente un diritto per tutti garantito dal Servizio sanitario attraverso le Regioni e le ASL, mentre un diritto generalizzato non è ancora riconosciuto come esigibile per ciò che riguarda l’assistenza, se non per quanto attiene alle prestazioni economiche assistenziali attualmente erogate dall'INPS; - che la cura e l'assistenza di congiunti non autosufficienti o con disabilità gravi mette in crisi molte famiglie che subiscono pesanti conseguenze sul piano economico; - che l'art. 3, comma 2, del DPCM 14.2.2001 (Atto di indirizzo e coordinamento per le Regioni in materia di prestazioni socio-sanitarie) individua le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria di competenza del Comune nel senso che Sono da considerare prestazioni sociali a rilevanza sanitaria tutte le attività del sistema sociale che hanno l'obiettivo di supportare la persona in stato di bisogno, con problemi di disabilità o di emarginazione condizionanti lo stato di salute. Tali attività, di competenza dei Comuni, sono prestate con partecipazione alla spesa, da parte dei cittadini, stabilita dai Comuni stessi e si esplicano attraverso: interventi di sostegno e promozione a favore dell'infanzia, dell'adolescenza e delle responsabilità familiari; interventi per contrastare la povertà nei riguardi di cittadini impossibilitati a produrre reddito per limitazioni personali o sociali; interventi di sostegno e di aiuto domestico familiare finalizzati a favorire l'autonomia e la permanenza nel proprio domicilio di persone non autosufficienti; interventi di ospitalità alberghiera presso strutture residenziali e semiresidenziali di adulti ed anziani con limitazione dell'autonomia, non assistibili a domicilio; interventi anche di natura economica atti a favorire l'inserimento sociale di soggetti affetti da disabilità o patologia psico-fisica da dipendenza, fatto salvo quanto previsto dalla normativa vigente in materia di diritto al lavoro dei disabili; ogni altro intervento qualificato quale prestazione sociale a rilevanza sanitaria ed inserito tra i livelli essenziali di assistenza secondo la legislazione vigente - che l’art. 25 della legge di riforma dell’assistenza n. 328/2000 stabilisce che ai fini dell’accesso ai servizi (di assistenza) disciplinato dalla presente legge, la verifica della condizione economica del richiedente è effettuata secondo le disposizioni previste dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, come modificato dal decreto legislativo 3 maggio 2000, n. 130 - che il 6° comma dell’art. 2 del decreto legislativo 109/1998, modificato dal decreto legislativo 130/2000 sancisce quanto segue: Le disposizioni del presente decreto non modificano la disciplina relativa ai soggetti tenuti agli alimenti ai sensi dell’art. 433 del codice civile e non possono essere interpretate nel senso dell’attribuzione agli enti erogatori della facoltà di cui all’articolo 438, primo comma, del codice civile nei confronti dei componenti il nucleo familiare del richiedente le prestazioni sociali agevolate - che il decreto legislativo 109/1998, modificato dal decreto legislativo 130/2000 prevede quanto segue (art. 3): Limitatamente alle prestazioni sociali agevolate assicurate nell’ambito di percorsi assistenziali integrati di natura sociosanitaria, erogate a domicilio o in ambito residenziale a ciclo diurno o continuativo, rivolte a persone con handicap permanente grave, di cui all’articolo 3, comma 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, accertato ai sensi dell’articolo 4 della stessa legge, nonché a soggetti ultrasessantacinquenni la cui non autosufficienza sia stata accertata dalle aziende unità sanitarie locali, le disposizioni del presente decreto si applicano nei limiti stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la solidarietà sociale e della sanità. Il suddetto decreto è adottato, previa intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, al fine di favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza e di evidenziare la situazione economica del solo assistito, anche in relazione alle modalità di contribuzione al costo della prestazione, e sulla base delle indicazioni contenute nell’atto di indirizzo e coordinamento di cui all’articolo 3 septies, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni - che non costituiscono principi generalizzabili gli orientamenti amministrativi che escludono o comunque rimettono alla discrezionalità dell’amministrazione l'immediata applicabilità di norme che rinviino ad una successiva disciplina attuativa la puntuale definizione di taluni aspetti; - che il primo comma dell’articolo 438 del codice civile dispone che gli alimenti possono essere chiesti solo da chi versa in stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento; - che il terzo comma dell’articolo 441 del codice civile prescrive che se gli obbligati non sono concordi sulla misura, sulla distribuzione e sul modo di somministrazione degli alimenti, provvede l’autorità giudiziaria secondo le circostanze - che pertanto il soggetto privo di mezzi può certamente rivolgersi ai parenti per la prestazione degli alimenti ai sensi degli articoli 433 del codice civile e seguenti, ma si tratta di un rapporto privato in cui non è possibile sostituzione;
- che la preoccupazione dei Comuni derivante dalla progressiva riduzione delle risorse necessarie alla gestione dei servizi sociali, quale conseguenza dell'applicazione del Decreto legislativo 130/2000 è comprensibile e condivisibile nell’ottica dell’amministrazione, ma non vale a giustificare la disapplicazione per via di regolamento locale di una disciplina generale; - che la disciplina sopra richiamata non può che essere interpretata nel senso che le leggi vigenti non consentono ai Comuni singoli e associati di pretendere contributi economici da parenti non conviventi o dai congiunti, anche se conviventi, di ultrasessantacinquenni non autosufficienti e di soggetti con handicap grave; - che in questi casi il contributo richiesto deve fare riferimento ai soli redditi e beni dell’assistito e non ai redditi dei familiari, per cui l’utente può essere chiamato a contribuire solo nel limiti del suo reddito personale (pensione ed eventuale indennità di accompagnamento nel caso di ricovero presso struttura) e del suo patrimonio (alloggi, terreni ecc.);
Il Difensore civico Avv. Samuele Animali |