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Nulla si può generalizzare, solo i diritti degli alunni!

A trent'anni dalla Legge 517 - la prima norma che garantì il diritto all'integrazione scolastica degli alunni con disabilità - sembra proprio che le idee siano ancora fortemente controverse: si parla di numeri, si propongono scorciatoie, si sposta l'attenzione dei problemi, mentre la vera chiave di volta della questione resta quella della professionalità docente

di Giuseppe Argiolas*

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Il gioco dei numeri e i numeri in gioco: è proprio questa la prospettiva in cui porsi, quando si affronta la tematica dell'integrazione scolastica e sociale degli alunni con disabilità, quando cioè si pone quale obiettivo il rispetto dei diritti all'educazione e all'istruzione di queste persone.
In questi ultimi mesi si sono rincorsi allarmanti articoli sul numero di cattedre in meno, sul numero degli alunni per classe, sugli insegnanti costretti a "restare fuori dalla scuola", sulla mancanza di docenti per gli alunni con disabilità.
Le Associazioni sono intervenute perché si "frenasse" la manovra dei tagli, perché fossero ripristinate le ore di sostegno. I precari di Salerno hanno promosso una forte rivendicazione, hanno incontrato il ministro Fioroni, indetto manifestazioni e incontri. Numeri, numeri e solo numeri...
Lo stesso Hans Magnus Enzensberger, autore del Mago dei numeri, troverebbe forse esagerato e fuori luogo lo "stra-uso", per non dire l'"abuso", di questi dati, quando si parla di «integrazione dei disabili».

Perché scriviamo questo? Perché quando si affronta una tematica come quella dell'integrazione scolastica e sociale degli alunni in situazione di handicap, si parla di persone, di alunni e di alunne che frequentano la scuola, ciascuno dei quali presenta particolari e specifiche esigenze, esprime bisogni personalissimi, e se per ognuno di loro è necessario prevedere e costruire percorsi individualizzati, per tutti e per ciascuno dev'essere garantito e assicurato il diritto all'educazione e all'istruzione.
La prospettiva da cui affrontare le problematiche dell'integrazione non può pertanto essere ricondotta solamente ai tagli al sostegno e all'aumento degli alunni per classe, limitandosi per lo più al dato numerico. A nostro avviso, infatti, il punto dal quale partire, da cui inquadrare il tema dell'integrazione dovrebbe coincidere con questo quesito: «Per quell'alunno che si trova in situazione di handicap (e per ciascun alunno con disabilità della scuola italiana) sono assicurate le risorse che rispondano in modo adeguato ai suoi bisogni e che gli garantiscano i diritti di cui è destinatario?».
Ogni situazione, infatti, merita attenzione particolare e risposte adeguate: nel campo dell'integrazione nulla è generalizzabile, se non i diritti degli alunni.

Come riportato in questi giorni dagli organi di stampa, fa piacere apprendere direttamente dal sottosegretario alla Pubblica Istruzione Letizia De Torre che siano stati assegnati ulteriori 702 insegnanti di sostegno e che questi siano stati attribuiti in base a bisogni documentati.
Ma altri fronti restano aperti: cosa possiamo dire, infatti, alla collega della scuola primaria che lo scorso anno era stata assegnata a due classi - alle quali erano iscritte alunne disabili - per un totale di 12 ore ciascuna e che quest'anno (siamo in continuità educativo-didattica), si trova assegnata a quelle e ad altre due? La "divisione" operata in tale contesto implica che per ciascuna classe siano state destinate per quest'anno scolastico 5 ore e mezza (in quanto due ore sono per la programmazione curricolare).

In questo caso, quale criterio è stato utilizzato? L'esempio giova ad una maggiore comprensione, per una situazione altamente problematica e complessa, perché chi sta negli uffici ministeriali o in qualche altro luogo che non sia la classe, immagina di fare miracoli con le tabelle numeriche: ma bisogna poi "toccare con mano" direttamente le sfide dell'integrazione, per poter valutare.
E mentre prosegue la polemica sui tagli e sull'aumento degli alunni per classi, dal Ministero che - arroccato - difende le proprie posizioni, partono gli "strali": Zeus non sarebbe riuscito a fare di meglio!

A Napoli, per l'apertura dell'anno scolastico, il ministro Fioroni ha illustrato il motivo per cui intenderebbe aumentare a dieci anni la permanenza obbligatoria su posti di sostegno (immaginiamo per i neoimmessi in ruolo), inserendo tale provvedimento nella prossima Finanziaria, in quanto, ha dichiarato, «c'è tutta una teoria che dice che alcuni casi si possono considerare come lavori usuranti» ecc. ecc. In virtù di tale logica, per evitare la "migrazione" dal sostegno alla disciplina, ha proposto dunque l'aumento da cinque a dieci anni.
Nel giro di dieci giorni, poi, anche il sottosegretario con delega all'handicap, Letizia De Torre, si è fatta sentire e ha proposto qualcosa di diverso dalla permanenza di dieci anni su posto di sostegno, riallacciandosi, tuttavia, alle indicazioni del ministro e parlando di "carriere differenziate" da interpretare come "classe di concorso" (se così non fosse, è gradita la smentita), perché secondo il sottosegretario è necessario separare le carriere e «fare in modo che quella del sostegno sia intesa come una "scelta di vita": chi sceglierà di esserlo lo sarà (tendenzialmente) per sempre» (dichiarazioni riportate nei giorni scorsi scorsi dal portale SuperAbile).

Ma, ed è lecito il dubbio, in quale modo le carriere differenziate potrebbero contribuire a promuovere e a sostenere l'integrazione? Eppure sembrava fosse chiaro che la presa in carico dell'alunno in situazione di handicap fosse di competenza di tutti i docenti della classe e si basasse su alcuni punti fondamentali:
- il riconoscimento della professionalità dell'insegnante di sostegno, quale effettivo insegnante di classe e una maggiore attenzione alla continuità educativo-didattica, essenziale per il successo formativo degli alunni;
- il percorso di formazione per i docenti curricolari, che invece troppo spesso delegano la loro parte all'insegnante di sostegno, scaricando la responsabilità;
- la non attribuzione al docente di sostegno di competenze proprie della categoria sanitaria.

Ebbene, gli insegnanti di sostegno non sono e non vogliono essere né "specialisti" né "sanitari". Essi si occupano degli aspetti educativo-didattici, del coordinamento delle risorse, in quanto possiedono, per la loro specializzazione, competenze in ambito psicologico e pedagogico, ma non sanitario.
"Patologizzare" l'alunno, ricorrendo all'insegnante "specializzato nel trattamento della sua patologia", significa negare la dignità di persona all'alunno stesso, inquadrandolo anche a scuola nel modello medico-sanitario.

Nel trentesimo anniversario della Legge 517/77, quindi [la prima norma che garantì il diritto all'integrazione scolastica degli alunni con disabilità, N.d.R.], a fronte dei numerosi convegni celebrativi promossi sul territorio italiano, le idee sull'integrazione degli alunni con disabilità sono purtroppo ancora fortemente controverse: si propongono scorciatoie inutili, si sposta l'attenzione del problema, mentre appare particolarmente carente di approfondimento la riflessione sulla professionalità docente che, a nostro avviso, rappresenta la chiave di volta - il vero e proprio "grimaldello" - per uscire da una situazione che si va attorcigliando, suscitando malcontento e reazioni conseguenti da parte di famiglie e operatori scolastici.

*CIIS (Coordinamento Italiano Insegnanti di Sostegno).