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Salvatore Nocera, Vicepresidente nazionale della FISH (Federazione
Italiana per il Superamento dell'Handicap
L'integrazione tra qualità e spesa pubblica
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Se nel cercare di risolvere i problemi dell'integrazione scolastica
si punterà esclusivamente ad un calcolo economico basato sui tagli di
spesa, il nostro Paese potrà sì avvicinarsi agli altri Stati europei in
termini di
risparmio apparente, rischiando però di perdere quel primato in ambito
di integrazione che lo contraddistingue da più di trent'anni.
Com'è ben noto a chi segue i nostri periodici approfondimenti su queste
colonne, a seguito dell'articolo 35, comma 7 della Legge Finanziaria 289/02,
nel 2006 è stato emanato il Decreto del Presidente del Consiglio (DPCM)
185/06 che nel ribadire i criteri di certificazione di handicap ai fini
scolastici, ha trasferito ad una non meglio individuata «commissione collegiale»
il medesimo compito di certificazione prima attribuito al
singolo specialista nella patologia segnalata. Ciò ha determinato numerose
lamentele, soprattutto perché le nuove commissioni, diverse nelle varie
Regioni, hanno ridotto il numero delle certificazioni, specie nei confronti
dei cosiddetti "disturbi specifici dell'apprendimento".
Personalmente, contro l'applicazione del DPCM 185/06 ho scritto più di
un articolo critico. Gli aspetti problematici che ho però di volta in
volta sollevato erano altri e cioè la mancata individuazione di una commissione
con la stessa composizione in tutta Italia, la mancata fissazione di criteri
di certificazione comuni in tutto il Paese, la mancata coincidenza delle
nuove commissioni con le unità multidisciplinari che formulano la diagnosi
funzionale le quali conoscono gli alunni e avrebbero quindi potuto evitare
l'aumento del numero di visite mediche per lo stesso soggetto. Queste
ultime, lo ricordiamo, dovrebbero altresì diminuire, come espressamente
prescritto dalla Legge 80/06.
Anche l'aspetto della non certificazione dei casi di disturbi specifici
di apprendimento era stato preso in considerazione da chi scrive, ma non
come conseguenza del DPCM 185/06, bensì di una mancata attenzione al diritto
allo studio di questi alunni e di un'errata applicazione della Legge quadro
104/92 sui diritti delle persone con disabilità.
Infatti, già tale norma stabiliva che essa dovesse esclusivamente applicarsi
alle persone con handicap e cioè a quelle che, a causa di un evento traumatico
o morboso, hanno subito «una minorazione stabilizzata o
progressiva» (articolo 3, comma 1), mentre l'articolo 12, comma 5 della
stessa, a proposito dell'integrazione scolastica, decretava che «all'individuazione
dell'alunno come persona handicappata», seguissero la
formulazione della diagnosi funzionale e del PEI (Piano Educativo Individualizzato).
Ora, dovendo l'«individuazione di persona handicappata» avvenire secondo
i criteri di cui all'articolo 3, comma 1 appena citato e quindi solo in
presenza di «una minorazione stabilizzata o progressiva», già dal 1992
il campo di applicazione della normativa e i destinatari della legge-quadro
erano ben delimitati.
Certo, gli alunni con difficoltà di apprendimento non sono solo quelli
che hanno cause di carattere sanitario - pari a circa il 2% di tutti gli
studenti - essendovene un numero ben maggiore - circa cinque volte maggiore
- costituito da persone con difficoltà di apprendimento dovute a cause
personali, familiari, ambientali, sociali, etniche ecc. In mancanza di
adeguate risorse nei confronti di questi ultimi, si è diffusa perciò la
prassi di applicare anche a loro la legge quadro sull'handicap, nominando
insegnanti di sostegno a favore di persone che però non potevano giuridicamente
qualificarsi con disabilità. Il DPCM 185/06, intervenuto per contrastare
questa "deriva applicativa", è stato in realtà applicato nel modo peggiore,
senza cioè una contemporanea predisposizione di strumenti didattici e
di risorse umane e materiali che sostituissero quelle utilizzate con un
uso improprio della Legge quadro.
Oggi che a causa dei tagli alla spesa pubblica ci si sta accorgendo di
ciò, ci si rende conto che si apre un grandissimo vuoto nella scuola.
Il Ministero della Pubblica Istruzione sostiene che a questi problemi
di
diritto allo studio debbano provvedere gli Enti Locali e non gli insegnanti
per il sostegno che la legge prevede esclusivamente per le persone certificate
come disabili. Lo stesso Ministero, però, se ha ragione nel precisare
che la Legge 104/92 si applica esclusivamente alle persone con disabilità,
tace su altri obblighi che rimangono a suo carico anche nei confronti
di alunni con difficoltà di apprendimento non riconducibili a cause sanitarie.
Tace cioè sull'obbligo di formazione di tutti i docenti curricolari a
saper trattare con ogni alunno con difficoltà e sulla necessità di non
avere classi troppo numerose per realizzare questo impegno di tutti i
docenti.
Purtroppo i confronti con l'Europa in ciò non ci aiutano, perché si dice
che abbiamo un numero di alunni troppo basso per ogni docente, rispetto
alla media continentale e quindi bisogna aumentare il numero degli alunni
per classe. Si è però dimostrato che tale basso rapporto medio deriva
fondamentalmente dalla presenza di un grandissimo numero di piccole classi
in piccoli Comuni o in zone di montagna. A questo punto, quindi, più che
affollare ulteriormente le classi già numerose, frequentate anche da uno
o più alunni con disabilità, occorrerebbe razionalizzare il numero di
quelle piccole classi.
Il compito è difficile, come lo sarà quello voluto dalla recente Legge
Finanziaria (244/07, articolo 2, comma 413), ovvero riequilibrare il rapporto
alunni disabili-docenti di sostegno, spostando i posti dalle Province
dove questo rapporto è più alto (1 a 1,5) verso quelle ove è più basso
(1 a 3,5). Ciò significa che in alcune Province verrà ridotto il numero
dei posti di sostegno in organico di diritto e aumentato in altre. Ma
le Province che dovranno cedere posti accetteranno questa situazione senza
battere ciglio? I piccoli Comuni che saranno invitati a consorziarsi per
garantire i trasporti ad una sola scuola intercomunale invece che a tante
scuole comunali con piccole classi di sei o sette alunni, saranno disposti
a farlo?
Tali problemi - affrontati però esclusivamente dal punto di vista della
riduzione della spesa pubblica, senza alcun accenno alla qualità dell'integrazione
scolastica degli alunni con disabilità e di quelli, oggi scarsamente
tutelati, con difficoltà di apprendimento per cause non sanitarie - sono
oggetto di alcune pagine del Quaderno bianco della scuola, presentato
nel settembre del 2007 dal ministro Fioroni e del Rapporto intermedio
sulla revisione della spesa, predisposto dalla Commissione Tecnica sulla
Spesa Pubblica.
Sono questi in effetti i problemi la cui soluzione può dare risposte alla
domanda di come realizzare la qualità della scuola. Se però nel cercare
di risolverli, si puntasse esclusivamente ad un calcolo economico, si
avrebbero risultati che ci avvicinerebbero sì ad altri Paesi europei in
termini di risparmi apparenti, facendoci perdere però il primato nell'esperienza
dell'integrazione scolastica, che quei Paesi non praticano come noi in
modo generalizzato e facendoci tornare alla prassi delle scuole speciali
o differenziali, che in quei Paesi sono la regola.
Con tutto ciò non si intende dire che nella prassi dell'integrazione scolastica
da noi praticata non esistano talora sprechi di risorse, da eliminare,
anche se quelli della "casta", come hanno ampiamente documentato
Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella nel loro ormai celebre libro, sono
enormemente maggiori e bisognosi di una ben più urgente soppressione.
Ma in ogni caso, per non essere qualunquisticamente tacciati di "antipolitica",
ne indichiamo senz'altro alcuni.
Si pensi ad esempio ai casi in cui ad alcuni alunni con disabilità complesse
vengono assegnati un docente per il sostegno didattico con il rapporto
di uno ad uno e un assistente per l'autonomia e la comunicazione per tutta
la durata dell'orario scolastico. Si pensi ai casi di permanenza pluriennale
al termine dei vari gradi di
scuola, per timore dell'ignoto dell'ordine di scuola successivo o dell'impreparazione
dei docenti curricolari.
Si pensi ai casi di ripetenze al termine della terza media o dell'ultimo
anno di scuola superiore a causa di un mancato collegamento con i corsi
di formazione professionale o di progetti personalizzati di integrazione
sociale postscolastici. Si pensi a quegli alunni che ottengono un cospicuo
numero di ore di sostegno e che però svolgono attività riabilitative nelle
stesse ore della presenza dei docenti per il sostegno. Si pensi ancora
ai casi in cui gli Enti Locali mettono a disposizione assistenti materiali
alle scuole per supplire all'inadempienze di queste ultime nel fornire
- a costi notevolmente minori - collaboratrici e collaboratori scolastici
per l'assistenza materiale e igienica dedicata agli alunni con disabilità
complesse, come espressamente prevede il Contratto Collettivo Nazionale
di Lavoro della scuola che viene, per questa parte, regolarmente disatteso.
Si pensi infine ai casi crescenti di assegnazione - per sentenza della
Magistratura - di docenti per il sostegno con il rapporto di uno ad uno
e con la conseguente condanna dell'Amministrazione Scolastica alle spese
e ai danni anche non materiali, a causa della mancanza di aggiornamento
obbligatorio dei docenti curricolari nella didattica dell'integrazione.
Ebbene, per evitare tutti questi sprechi e puntare alla qualità dell'integrazione,
occorrono un fitto dialogo e accordi interistituzionali volti ad individuare
"indicatori di livelli essenziali di qualità dell'integrazione" e,
conseguentemente, per razionalizzare la spesa pubblica e non viceversa;
ma mi pare che ciò non avvenga ancora con la dovuta intensità.Di recente
l'INVALSI (Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema
Educativo di Istruzione e di Formazione) ha pubblicato una ricerca sugli
"indicatori di qualità dell'integrazione", dalla quale risultano aspetti
positivi, ma anche molte ombre, a quarant'anni dai primi casi di integrazione.
Cominciano pure a conoscersi i risultati di una ricerca sulla qualità
dell'integrazione condotta da Andrea Canevaro, Luigi D'Alonzo e Dario
Ianes che mette tra l'altro in evidenza come un buon 20% degli alunni
con disabilità complesse non trascorra la giornata scolastica in classe,
negando così gli obiettivi stessi dell'integrazione. Eppure è proprio
su questi aspetti che si gioca da una parte il futuro della qualità dell'integrazione
scolastica, dall'altra quello dell'efficienza della spesa pubblica.
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