| Associazione Centro Documentazione Handicap
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 La proposta formativa ed educativa del Progetto Calamaio
 (indice informazioni) Dal 1986 ad oggi, in sedici anni di attività, il Progetto 
        Calamaio ha avuto una significativa evoluzione: da alcuni sporadici incontri 
        nelle scuole elementari, oggi l’equipe che lavora nel Progetto è in grado 
        di proporre incontri in tutti gli ordini di scuole, dall’asilo nido alle 
        superiori e un pacchetto di corsi di formazione per educatori ed insegnanti. 
        Nel corso degli anni, la proposta educativa e formativa si è notevolmente 
        arricchita ma non sono cambiate le finalità che il Progetto persegue 
        e che ne caratterizzano tutta l’attività, sia essa rivolta ai bambini 
        e ai ragazzi, agli insegnanti che partecipano agli incontri o ai corsi 
        di formazione e ai genitori coinvolti nelle iniziative. Le finalità possono 
        essere così indicate:1° Fare esperienza della diversità attraverso l’incontro diretto 
        con persone disabili attive e disponibili, che si propongono come 
        soggetti e si fanno promotori di una nuova cultura; si tratta di un percorso 
        guidato che segue obiettivi e modalità prestabilite ma non rigide, capaci 
        di adeguarsi ai destinatari e al contesto in cui l’incontro ha luogo.
 2° Compiere una riflessione critica sulla diversità che nasca dall’esperienza 
        che i soggetti hanno vissuto in prima persona, insieme alle persone disabili, 
        e non sia soltanto uno scambio teorico di idee ed opinioni. Ovviamente 
        la riflessione critica assume connotazioni diverse in relazione ai destinatari 
        degli incontri che hanno un’età molto variabile e conseguenti capacità 
        di elaborazione differenti. La riflessione sulla diversità si allarga 
        progressivamente e, utilizzando come spunto iniziale quella specifica 
        dei disabili, arriva a considerare la diversità in termini generali, nelle 
        sue varie e possibili accezioni.
 3° Sviluppare un atteggiamento positivo nei confronti della diversità, 
        che si sostanzia nel superamento dei pregiudizi, della paura e della diffidenza, 
        accogliendo la novità e le potenzialità che la diversità offre, per uscire 
        dagli schemi che ne mettono in evidenza solo l’aspetto negativo. Il passo 
        successivo, in termini culturali, è l’accettazione della diversità intesa 
        in senso più ampio, come apertura alla ricchezza del reale e consapevolezza 
        che la realtà è assai più ricca e variegata di quanto si riesca generalmente 
        a comprendere ed accettare.
 4° Riflettere sulla possibilità di ridurre le difficoltà attraverso 
        un allenamento creativo che si sostanzia e si realizza nell’esperienza 
        condotta: la necessità di ridefinire le proprie modalità comunicative 
        e relazionali, messe in crisi dall’incontro con la diversità, evidenzia 
        il potenziale di creatività insito in ognuno ma spesso inutilizzato e 
        permette una rivalutazione di sé ed una migliore conoscenza delle proprie 
        capacità attraverso un cosciente attivazione di nuovi strumenti e procedure.
 5° Maturare un atteggiamento di solidarietà, sviluppare cioè comportamenti 
        caratterizzati da interesse e disponibilità nei confronti delle persone 
        disabili e degli “altri da noi” in genere. Tale finalità rappresenta il 
        coronamento del Progetto e la realizzazione di quelle precedenti: la solidarietà 
        è il frutto dell’esperienza positiva e della liberazione dal pregiudizio, 
        ma è anche una scelta libera e personale che può essere favorita rimuovendo 
        gli ostacoli che la impedivano.
 Come appare chiaro dall’ultimo punto, ciascuna finalità è strettamente 
        correlata alla precedente e alla successiva, attraverso un continuo scambio 
        tra i soggetti del percorso, mediante il quale si realizza una sostanziale 
        circolarità dell’esperienza educativa. Le finalità indicate non sono verificabili 
        nell’arco di tempo in cui si realizzano i percorsi con le classi, ma delineano 
        un orizzonte di senso, la direzione precisa verso la quale si intende 
        procedere e il cui raggiungimento non è garantito ma può essere verificato 
        solo in tempi molto lunghi.
 I percorsi che il Progetto propone hanno una chiara connotazione educativa, 
        di formazione della personalità mentre i singoli incontri sono caratterizzati 
        da una serie di obiettivi di natura educativa che rappresentano la trasposizione, 
        in termini più concreti, delle finalità generali: il Progetto intende 
        strutturare nuovi apprendimenti in senso cognitivo, affettivo e sociale 
        e in questo modo sono stati suddivisi anche gli obiettivi che persegue.
 La distinzione degli obiettivi in queste tre aree è puramente tecnica: 
        l’uomo è un individuo unitario nel quale le dimensioni cognitiva e affettiva 
        sono intersecate e congiunte e non possono essere artificialmente separate. 
        Il raggiungimento di un obiettivo di natura cognitiva è possibile sulla 
        base di un’esperienza personale che stimola vissuti emotivi ed affettivi 
        e struttura comportamenti in senso interpersonale e sociale, allo stesso 
        modo in cui una nuova modalità di relazione con gli altri determina delle 
        ristrutturazioni, in ambito cognitivo, di atteggiamenti e valutazioni. 
        Poiché non si tratta di descrittori di abilità e competenze tecniche, 
        la verifica del loro raggiungimento non può essere effettuata attraverso 
        prove oggettive, come avviene per gli obiettivi propriamente didattici, 
        ma può essere valutato, in modo soggettivo, dagli insegnanti, attraverso 
        i comportamenti e gli atteggiamenti che il percorso educativo ha sollecitato 
        nei bambini e negli adolescenti delle classi coinvolte. Lo sviluppo e 
        la progressione degli obiettivi cognitivi indicati di seguito, di difficile 
        definizione in termini comportamentali, parte della conoscenza e dalla 
        riflessione sui temi della diversità e dell’handicap, stimola poi un’analisi 
        dei propri atteggiamenti anche alla luce dell’esperienza compiuta per 
        giungere ad una modifica degli atteggiamenti precostituiti e delle opinioni 
        diffuse e ad un arricchimento delle proprie valutazioni che nasce proprio 
        sul piano esperenziale.
 
 1.Riflettere sui concetti di uguaglianza e diversità.
 2.Conoscere la differenza tra deficit ed handicap.
 3.Far emergere i pregiudizi sull’handicap e individuarne l’origine.
 4.Valutare le conseguenze prodotte dall’incontro diretto con persone disabili.
 5.Saper affrontare con creatività situazioni di difficoltà attivando capacità 
        e potenzialità personali.
 6.Modificare gli atteggiamenti precostituiti e ampliare la propria visione 
        della diversità.
 
 Il percorso indicato dagli obiettivi affettivi, cioè gli atteggiamenti 
        positivi e desiderabili che il Progetto intende attivare, parte dalla 
        risposta allo stimolo ricevuto nell’incontro diretto con i disabili ed 
        auspica la disponibilità ad essere ricettivi nei confronti dell’esperienza 
        attraverso il riconoscimento della comune umanità delle persone, disabili 
        e non, indipendentemente dalle loro caratteristiche. La conseguente valorizzazione 
        della diversità permette una ridefinizione dei propri atteggiamenti mentre 
        l’ultimo obiettivo, rispetto al quale gli incontri condotti fungono soltanto 
        da stimolo, auspica un’accettazione tale da consentire una nuova definizione 
        del proprio atteggiamento esistenziale nei confronti della diversità in 
        senso lato.
 Superamento dell’impatto emotivo iniziale e disponibilità ad entrare in 
        relazione con i disabili.
 Riconoscimento della persona disabile come persona.
 Attribuzione di valore a chi è diverso da sé.
 Ridefinizione del proprio atteggiamento nei confronti della diversità 
        e dello svantaggio.
 Accettazione della diversità e ridefinizione della propria visione esistenziale.
 
 Gli obiettivi sociali elencati di seguito rappresentano il raggiungimento 
        dei due ordini di obiettivi precedenti poiché in essi la dimensione cognitiva 
        e quella affettiva sono del tutto intersecate e appaiono inscindibili.
 1.Sviluppare la capacità di rapportarsi in modo autonomo alle persone 
        disabili.
 2.Costruire un rapporto di reciprocità con loro.
 3.Maturare un atteggiamento aperto e disponibile nei confronti degli altri 
        in
 genere.
 La riflessione critica e l’esperienza affettiva portano i bambini e i 
        ragazzi non solo a non aver più paura della diversità e a valutarla positivamente, 
        ma anche a sviluppare un’autonomia d’azione nei confronti della persona 
        disabile, nel sapersi avvicinare a lei e compiere autonomamente azioni 
        e proposte in un rapporto di reciproco scambio. In questo modo è possibile 
        porre le basi per la costruzione di un rapporto bilaterale, in cui ci 
        si avvicina all’altro non per senso del dovere o per bisogno di assistenza, 
        bensì in una relazione basata sul dialogo, sulla fiducia, sull’interesse 
        reciproco e la solidarietà.
 Questo obiettivo sociale è più facilmente raggiungibile con i bambini 
        piccoli, nei quali i pregiudizi sono meno radicati e maggiore è la spontaneità 
        rispetto ai più grandi, in cui le barriere e le paure sono più sviluppate. 
        Questa valutazione, che nasce da anni di esperienza nelle scuole, costituisce 
        un’ulteriore conferma della validità dell’approccio del Progetto Calamaio, 
        legittimando allo stesso tempo una sua duplice azione: di costruzione 
        rivolta ai più piccoli, di analisi critica e ricostruzione nei confronti 
        dei più grandi.
 Il percorso educativo proposto ha la funzione di strumento per avvicinarsi 
        alla diversità dei disabili e compiere un’esperienza positiva: non esaurisce 
        o risolve il problema ma costituisce uno stimolo utile e interessante 
        per imparare a relazionarsi con esso e viverlo in modo nuovo.
 
 Contenuti e metodologia
 L’argomento centrale degli incontri del Progetto è il tema della diversità 
        e del rapporto con essa; i contenuti vengono proposti attraverso una serie 
        di “occasioni”: la presentazione e l’autopresentazione, le fiabe, le drammatizzazioni, 
        i giochi di ruolo, i giochi di associazione di idee, i giochi sulla comunicazione 
        e sul conflitto, le domande, i momenti di confronto e di riflessione collettiva. 
        Nella presentazione dei contenuti si può operare una suddivisione in quattro 
        grandi aree tematiche:
 
 Uguaglianza e diversità
 La diversità è il fondamento della vita (tra maschio e femmina, uomo 
        e donna), della natura (tra razze e specie), e della cultura; da ciò deriva 
        la necessità e l’utilità della diversità che non deve essere negata ma 
        riconosciuta e rispettata. La valorizzazione della diversità si muove 
        dal piano logico (esistono tante specie) e funzionale (tutte sono uguali 
        e diverse per caratteristiche e bisogni) per passare poi a quello etico, 
        che postula il rispetto della diversità di ciascuno. Conoscere e fare 
        esperienza della diversità è necessario per avere un positivo rapporto 
        con essa e imparare a considerarla un elemento di ricchezza. Ogni essere 
        umano, se viene considerato nella sua globalità, compensa eventuali limiti 
        o deficit oggettivi con potenziali attitudini da scoprire ed esercitare. 
        Tutte le fiabe presentate nelle scuole trattano, in modo diverso, il tema 
        della diversità; il percorso si focalizza in seguito, date queste premesse, 
        sulla persona disabile, sul suo essere diversa ma allo stesso tempo uguale, 
        attraverso riflessioni e considerazioni sulla comune umanità che unisce 
        e sulle tante differenze individuali che ci caratterizzano e arricchiscono, 
        allo stesso tempo, la comunità di cui siamo parte.
 
 Paura e pregiudizio
 Nell’incontro diretto con le persone disabili le prime reazioni dal 
        punto di vista emotivo, tipiche tanto dei bambini quanto degli adulti, 
        sono la paura e la diffidenza. Accostarsi ad una persona disabile suscita 
        questi sentimenti perché la diversità, e non solo quella del disabile, 
        costringe ad uscire da se stessi per confrontarsi con l’altro e questo 
        movimento verso l’esterno viene vissuto come perdita di parte della propria 
        identità. In effetti, accogliere l’altro significa rinunciare ad una parte 
        di sé, mettere in discussione i propri schemi e le proprie convinzioni, 
        ma questo confronto non rappresenta una perdita per l’individuo bensì 
        un arricchimento. Nella persona disabile, inoltre, la diversità si sostanzia 
        nella sofferenza e nel limite, situazioni che da sempre l’uomo vive in 
        termini conflittuali. Il disabile presenta in modo evidente i segni del 
        limite, determinato dal deficit: è molto difficile accettare di essere 
        limitati e quando, a causa di deficit funzionali, si dipende dagli altri, 
        tutto ciò viene visto come generatore di sofferenza. Alle persone disabili 
        viene di solito associata, spesso a livello inconscio, il dolore e la 
        sofferenza prendendo in considerazione una parte, il deficit che causa 
        svantaggio, per il tutto, la persona nella sua interezza, fatta di deficit 
        e di limiti ma anche di potenzialità e ricchezza.
 Dalla paura si origina l’emarginazione di cui sono vittima non soltanto 
        i disabili ma tutti coloro che si allontanano, in qualche modo, dalla 
        normalità: si tende a fuggire ciò che si teme, che appare diverso perché 
        in realtà non si conosce. Ma la paura genera anche il pregiudizio: un 
        giudizio dato a priori su qualcosa di cui, per via della paura, non si 
        è fatto esperienza diretta. I pregiudizi sulle persone disabili sono numerosi 
        e diversi: generalmente si dubita non solo delle loro capacità funzionali 
        ma anche intellettive ed emotive, della possibilità di godere della vita 
        e delle cose, di vivere sentimenti positivi e gioiosi. Riconoscere i pregiudizi, 
        e capire che sono radicati in noi a causa della paura e non basati su 
        fatti reali e concreti, è il primo passo in vista del loro superamento. 
        In questo senso la conoscenza diretta con la diversità e la possibilità 
        di sperimentarla in modo positivo e gioioso permettono di verificare e 
        superare i propri pregiudizi e scoprire nelle persone disabili elementi 
        positivi che contraddicono i nostri stereotipi. La conoscenza produce 
        coscienza e quest’ultima aiuta a superare la paura e il pregiudizio.
 
 Deficit ed handicap
 Attraverso una serie di giochi viene introdotta la distinzione tra 
        i due termini: il deficit designa una menomazione o un’imperfezione stabile, 
        mentre l’handicap indica lo svantaggio, la difficoltà che deriva dal deficit 
        e dalle sue conseguenze psicologiche, sociali e culturali. Poiché il deficit 
        è immodificabile, o riducibile solo in parte, occorre imparare ad accettarlo 
        e a conviverci; l’handicap invece è in buona parte un prodotto sociale 
        e molto può essere fatto per ridurlo o attenuarlo. L’handicap ha, infatti, 
        due cause: in primo luogo è una conseguenza diretta del deficit, fortemente 
        influenzato dal modo in cui viene vissuto dalla persona che può denotare 
        un atteggiamento di rifiuto del limite e quindi di passività e di chiusura 
        nei confronti del mondo, ma che si può caratterizzare anche per accettazione 
        e positività. In secondo luogo lo svantaggio dipende anche dal contesto 
        in cui viene vissuto, dall’atteggiamento di familiari e amici, delle istituzioni 
        scolastiche, del mondo del lavoro.
 I giochi di ruolo permettono di calarsi in prima persona in una situazione 
        di svantaggio e di cogliere l’importanza di accettare se stessi e i propri 
        limiti, per poi sviluppare e utilizzare al meglio le capacità residue 
        attraverso un costante impiego del potenziale creativo insito in ognuno.
 Ci si sofferma inoltre sul concetto di bisogno per evidenziare come tutti 
        abbiano bisogno dell’altro: esiste il bisogno di chi è fisicamente disabile, 
        ma la dipendenza dagli altri è un’esperienza inevitabile per tutti. Accettare 
        il bisogno insegna ad accettare e tollerare i propri limiti, a superare 
        l’egocentrismo e a valorizzare l’altro, che può dare soddisfazione ai 
        propri bisogni: educa cioè alla tolleranza e alla cooperazione.
 
 L’handicap come risorsa
 Come già accennato, esistono due possibili accezioni della parola 
        handicap: la prima si può tradurre con svantaggio, indica una situazione 
        sicuramente negativa rispetto alla quale è necessario fare tutto il possibile 
        per ridurla; la seconda, traducibile con difficoltà, si può trasformare 
        in una risorsa se adeguatamente valorizzata. Prendiamo ad esempio Claudio 
        Imprudente ed il suo modo di comunicare. La sua afasia totale è il deficit, 
        il dato oggettivo e immodificabile; lo svantaggio più immediato, che scaturisce 
        dal confronto con una situazione di normalità, è l’handicap di non poter 
        utilizzare il linguaggio verbale. L’invenzione della lavagna e di un diverso 
        codice comunicativo riducono fortemente lo svantaggio, e il confronto 
        con la difficoltà è positivo e costruttivo perché richiede l’esercizio 
        della creatività e l’attivazione delle molteplici intelligenze di cui 
        siamo dotati allo scopo di inventare qualcosa di diverso, di innovativo. 
        La lavagna di Claudio, infatti, non è una “brutta copia” della comunicazione 
        verbale, è una forma nuova che implica qualcosa di meno ma anche qualcosa 
        di più. Nella relazione con Claudio, la difficoltà che inizialmente tutti 
        provano, causata dall’impossibilità di utilizzare le strategie usuali 
        di comunicazione, diventa in realtà la spinta ad avvicinarsi a lui e permette 
        di sperimentare modalità inusuali.
 Alla base di ogni gioco c’è una difficoltà che ne costituisce lo stimolo: 
        si tratta quindi di “dosare” questa difficoltà, renderla gestibile, creare 
        un sistema di regole che permettano di giocare con essa. Nel caso di Claudio, 
        la difficoltà rappresenta “il sale del gioco” e la motivazione a parteciparvi: 
        i bambini, infatti, spinti dalla curiosità ma anche dalla voglia di mettersi 
        alla prova, scoprono che è possibile comunicare anche senza parlare e, 
        allo stesso tempo, l’invenzione di una modalità alternativa permette l’esercizio 
        della creatività e la possibilità di mettere in atto modalità di pensiero 
        divergente.
 Un ulteriore esempio che dimostra come la difficoltà possa trasformarsi 
        in risorsa è quello del grande fisico Stephen Hawking, che nel suo diario 
        ha segnalato come l’insorgenza di una malattia progressiva che gli ha 
        gradualmente precluso la mobilità degli arti, ha “liberato” la sua mente, 
        costretta a impostare in modo diverso l’approccio ai problemi scientifici 
        di cui si occupava. Tale ristrutturazione dei problemi e delle modalità 
        di approccio agli stessi, ha permesso a Hawking di sviluppare intuizioni 
        e di trovare soluzioni che, nell’approccio abitudinario, non era riuscito 
        a raggiungere.
 Il Calamaio non nasconde ai bambini che il deficit crea una situazione 
        esistenziale con evidenti svantaggi, ma sottolinea anche l’importante 
        ruolo della difficoltà, che mette in moto la creatività, permette un migliore 
        utilizzo di tutte le nostre risorse e ci fa diventare, in questo modo, 
        “più intelligenti”.
 
 L’esperienza che viene realizzata nelle scuole, pur essendo caratterizzata 
        da finalità e obiettivi ben precisi, ha una struttura flessibile che si 
        dipana secondo gli interessi, i dubbi, le difficoltà dei bambini e dei 
        ragazzi, è un percorso in divenire che si modella sulla situazione e sui 
        vissuti.
 La metodologia di lavoro utilizzata nelle classi prevede un approccio 
        attivo e collaborativo, in cui bambini e ragazzi vengono coinvolti in 
        prima persona e resi soggetti attivi del percorso, fornendo loro strumenti 
        e occasioni necessarie. Negli incontri con le classi, scompaiono cattedra 
        e banchi, ci si siede tutti in cerchio a sottolineare il fatto che non 
        si tratta di una “lezione” ma di giocare, sperimentare e imparare insieme, 
        in un rapporto circolare di reciprocità, per poi trarre la conoscenza 
        dall’esperienza e integrare l’esperienza con la riflessione. Per questo 
        motivo il Progetto lavora con un gruppo ristretto di allievi, preferibilmente 
        una classe per volta, poiché la presenza di un numero di bambini troppo 
        elevato impedirebbe ai meno attivi o ai più timidi di esprimersi in modo 
        adeguato e di prendere parte effettiva all’esperienza.
 Il modulo degli incontri è flessibile e, pur in presenza di una serie 
        di idee guida relative a contenuti e strumenti, la successione degli stimoli 
        non segue uno schema prefissato: di fatto, ogni gruppo o ogni classe autocostruisce 
        il proprio percorso, nel quale si può dare più o meno spazio agli elementi 
        che lo costituiscono. Anche la densità dei contenuti proposti varia a 
        secondo dell’età dei ragazzi incontrati: gli stessi stimoli sono suscettibili 
        di approfondimenti molto diversi. Negli incontri con le scuole medie e 
        superiori, al ruolo preponderante del gioco si sostituisce gradualmente 
        uno spazio maggiore dedicato all’analisi e alla riflessione critica, il 
        cui stimolo è comunque sempre costituito da esperienze dirette: vengono 
        individuate le definizioni dei termini utilizzati, si ricercano le motivazioni 
        degli atteggiamenti, vengono messi in luce i pregiudizi utilizzando un 
        metodo induttivo ma anche deduttivo.
 Gli strumenti attraverso i quali vengono proposti i contenuti indicati 
        sono, come già accennato, le fiabe, le drammatizzazioni, le scommesse 
        e diversi tipi di gioco: le associazioni di idee, i giochi di ruolo, i 
        giochi sull’aiuto, la comunicazione e il conflitto; a tutto questo bisogna 
        aggiungere l’analisi, la sintesi, la valutazione e la riflessione critica
 dell’esperienza condotta.
 
 La formazione
 La proposta educativa del Progetto Calamaio non si esaurisce però 
        con l’attività nelle scuole: gli educatori disabili e normodotati hanno 
        elaborato e realizzato numerosi corsi di formazione destinati agli insegnanti, 
        a gruppi di volontariato, educatori e animatori che operano in realtà 
        sociali diverse. In questi incontri, si tenta di portare l’ esperienza 
        e la metodologia operativa del Calamaio, affrontando varie tematiche. 
        L’articolazione dei contenuti privilegia la dimensione interattiva per 
        consentire un contatto reale con le persone disabili attraverso lezioni 
        frontali, lavori di gruppo e laboratori. I corsi di formazione affrontano 
        vari argomenti, tra cui si citano:
 - l’immagine dell’handicap (estetica, letteratura, fiabe, mass media);
 - comunicazione ed handicap;
 - la creatività come strumento di integrazione scolastica;
 - sociologia dell’handicap: analisi delle dinamiche del gruppo classe 
        in relazione a conflitti, stereotipi e pregiudizi;
 - sport, gioco e handicap: la difficoltà come risorsa.
 
 
 Per ulteriori informazioni:
 Sandra Negri
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        E-mail: calamaio@accaparlante.it
 www.accaparlante.it
 
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