Coordinamento Nazionale dei Centri
di Servizio per il Volontariato
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5 settembre 2003
La riforma della legge sul Volontariato 266/91: osservazioni alla proposta del
Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali del 10 luglio 2003
(torna all'indice informazioni)
1. Premessa ed osservazioni generali
L'istituzione del nuovo Osservatorio del Volontariato, il dibattito sul tema
della riforma della legge 266/91 riattivato anche con la presentazione di proposte
di legge e con la presentazione di una bozza di testo da parte dell'ufficio
volontariato del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, costituiscono
degli importanti segnali di ripresa di confronto sul tema del volontariato e
delle forme di riconoscimento, valorizzazione e sostegno da parte delle istituzioni.
In particolare questo documento intende analizzare la bozza di proposta di riforma
della legge sul volontariato illustrata dall'Ufficio Volontariato del Ministero
del Lavoro e delle Politiche sociali nel luglio 2003.
Innanzitutto ci ha stupito il metodo con il quale si è giunti al testo propostoci.
Infatti nell'incontro dell'Osservatorio tenutosi al termine della Conferenza
nazionale del Volontariato di Arezzo lo scorso 13 ottobre 2002 ci era stato
proposto un percorso di raccolta di pareri sulla proposta presentata nella medesima
Conferenza e discussa nel gruppo di lavoro n. 1 che aveva anche elaborato un
documento di lavoro ufficiale. Ci era anche stata preannunciata l'istituzione
del nuovo Osservatorio che avrebbe dovuto accompagnare questa raccolta di pareri.
A questo riguardo il Collegamento nazionale dei Centri di Servizio del volontariato
aveva approvato e inviato al Ministero il documento "Proposte e contributi per
l'aggiornamento della legge quadro sul Volontariato (L. 266/91) in relazione
al sistema dei Centri di servizio per il Volontariato" che l'attuale Coordinamento
nazionale dei Centri di Servizio condivide e fa proprio.
Ci ha quindi meravigliato la presentazione di un testo, sensibilmente differente
in più punti di quello discusso ad Arezzo.
In riferimento al contenuto, esprimiamo diverse perplessità ed in alcuni casi
contrarietà rispetto a diversi punti della proposta presentateci che, ribadiamo,
sono notevolmente differenti dalla proposta precedente, discussa durante la
Conferenza nazionale del Volontariato di Arezzo.
Su questi aspetti ed in generale sulla proposta abbiamo scelto di partecipare
alla riflessione che numerose organizzazioni di volontariato, loro coordinamenti
e federazioni stanno operando sia a livello nazionale e sia a livello locale.
Per questa ragione il primo nostro impegno è quello di contribuire con questo
documento a tale riflessione e dibattito, promuovendo le opportune azioni per
giungere ad alcuni contenuti comuni da presentare unitariamente. Un impegno
specifico che i Centri intendono assumere e facilitare e sostenere la partecipazione
di tutte le organizzazioni di volontariato a partire da quelle di minore dimensione.
In generale ribadiamo quanto emerso dall'autoconvocazione del 20 aprile 2002
e dalla Conferenza nazionale di Arezzo 2003 e cioè che la legge 266/91 va aggiornata
mantenendo i principi e le scelte fondamentali, adeguandole ai tempi attuali
e che tale riforma dovrà trovare nel Parlamento il luogo di dibattito e di costruzione
di una legge veramente condivisa da tutto il volontariato, soggetto fondamentale
del sistema italiano di partecipazione, di corresponsabilità sociale, di sussidiarietà
orizzontale e di solidarietà.
La 266/91 è particolarmente importante perché inaugura un lungo, complesso e
proficuo cammino legislativo, che ha introdotto a pieno titolo la cittadinanza
attiva e la sussidiarietà orizzontale nel nostro ordinamento, principi che sono
anche alla base e qualificano la visione che l'insieme del Terzo settore ha
del proprio ruolo.
Il mantenimento della Legge 266/91 e del suo carattere di legge quadro di principi
concernenti i diritti civili e sociali delle persone, riguardanti lo status
di volontario trova le ragioni nella sua validità confermata anche alla luce
della nuova stesura degli articoli 117 e 120 della Costituzione. Infatti, come
già affermato nel documento di Roma del 20 aprile di cui già in precedenza,
essi affermano che lo Stato ha legislazione esclusiva in materia di "determinazione
dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali
che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale". La conferma ci
viene anche da almeno tre sentenze della Corte Costituzionale che nel 1992 affermavano
come il volontariato partecipa della natura dei diritti fondamentali primari
della libertà individuale e della solidarietà sociale. Quindi è chiaro come
anche oggi alla luce dei nuovi articoli della Costituzione già citati, il volontariato,
per quanto riguarda i principi inerenti i diritti civili e sociali, è materia
statale, che deve uniformemente garantire la possibilità di esercitare tale
diritto ad ogni persona sul territorio nazionale.
Parallelamente, cogliendo con favore il significato e il senso della riforma
costituzionale che assegna una funzione rilevante alle Regioni, istituzioni
più vicine territorialmente alle organizzazioni di volontariato, in relazione
a numerose materie tra cui anche il volontariato, esclusi i principi come affermato
sopra, si auspica un proficuo lavoro di intesa con le Regioni per giungere ad
una legislazione che sulla base dei principi costituzionali e nazionali individui
le forme per riconoscere il volontariato e rendere reale e proficuo per tutti
il diritto a svolgere queste attività, con le peculiarità e ricchezze legate
alle realtà e specificità locali.
2. I Centri di Servizio per il volontariato
Rispetto al tema dei Centri di Servizio per il Volontariato constatiamo con
sorpresa un deciso cambiamento di strategia. Nel complesso la proposta porterebbe
ad un significativo cambiamento di ruoli e funzioni, mettendo in discussione
l'attività stessa dei Centri, il loro rapporto di servizio al volontariato,
e la loro esistenza nelle regioni dove sono scarsi i fondi e soprattutto dove
i CSV hanno dimensione provinciale. La gestione della maggior parte dei fondi
di cui all'art. 15, viene assegnato ai Comitati di Gestione, sottraendolo di
fatto al volontariato al quale invece l'art. 15 affida la gestione dei Centri
di Servizio e quindi l'indirizzo da dare alle azioni di sostegno e qualificazione.
Affidando ai Comitati di Gestione il compito di scegliere quali attività del
volontariato e quali organizzazioni di volontariato finanziare, sostenendo non
solo i progetti, ma la gestione stessa, il Comitato finisce per sostituirsi
al Volontariato nell'indicare le priorità di sviluppo, i servizi, le linee e
gli ambiti della promozione del volontariato. Nel 1991 il legislatore, anticipando
il principio di sussidiarietà, assegnava al volontariato il compito di gestire
i Centri, che per legge e nei fatti, sono gestiti da organizzazioni di volontariato
che si associano tra loro. Mentre i Comitati di gestione sono organismi dove
la maggioranza è composta da rappresentanti dalle fondazioni (8 su 15), mentre
gli altri componenti sono nominati dal Ministro del Lavoro e 6 in genere dalle
Giunte regionali o dal Presidente del Consiglio regionale, compresi i 4 rappresentanti
del volontariato, che solo in poche regioni sono proposti da organi di rappresentanza
del volontariato.
In particolare diverse sono le osservazioni e le contrarietà che riscontriamo
nella proposta agli art. 15 e 15 bis.
2.1 Diminuzione delle risorse complessive dei Fondi speciali
La proposta del nuovo articolo 15 sostituisce il termine "proventi" con "avanzi".
Ciò comporterebbe che il conteggio dell'1/15° non avvenga (come previsto dall'attuale
266/91) sul complessivo dei proventi detratte le spese di funzionamento e gli
accantonamenti previsti dall'allora normativa delle casse di risparmio per i
proventi derivanti dalle partecipazioni nelle società per azioni conferitarie,
ma su generici avanzi al netto di non specificati "accantonamenti disposti dalla
normativa vigente in materia di fondazioni bancarie". Nell'Atto di indirizzo
del Ministro del Tesoro sulla redazione del bilancio delle Fondazioni di origine
bancaria (19 aprile 2001) si indicano due tipi di "avanzo". Il primo conseguente
alla differenza tra proventi ed oneri ed imposte, il secondo detratto da 7 tipi
di accantonamento specificati e dalle erogazioni. La dizione inserita nella
proposta "una quota non inferiore ad un quindicesimo dei propri avanzi annuali
al netto degli accantonamenti disposti dalla normativa vigente in materia di
fondazioni bancarie" è ambigua e lascia presagire che ai proventi vengono tolti
tutti i tipi di accantonamento a differenza di quanto previsto dalla norma della
266/91, e quindi di minore entità.
Sarebbe quindi opportuna una differente terminologia più precisa che non muti
il contenuto dell'art. 15 della legge 266/91 che ha già superato positivamente
diversi ricorsi alla Corte Costituzionale. Si ricorda inoltre anche la recente
vicenda che ha visto il TAR del Lazio, confermato in sede di Consiglio di Stato,
sospendere un paragrafo del già citato atto di indirizzo che tendeva a modificare
questo meccanismo di calcolo.
Si chiede sostanzialmente di non modificare quindi l'entità di tale fondo, anche
in vista di sue riduzioni a causa delle vicissitudini finanziarie degli investimenti
avvenute nei mercati mondiali a partire dall'autunno del 2001.
Sempre nello stesso articolo si sostituisce la frase "per il tramite degli enti
locali" con "per il tramite dei Comitati di Gestione" che così entrano a far
parte della Legge e sostituiscono il ruolo degli Enti locali.
2.2 La perequazione nazionale dei fondi speciali
Finalmente viene accolta un'antica richiesta del mondo del volontariato e della
stessa Corte costituzionale, riportata anche nel documento uscito dalla Conferenza
nazionale del volontariato di Arezzo, costituendo un fondo di perequazione con
il 20% dell'1/15°. L'entità di tale fondo di perequazione secondo noi non può
essere inferiore al 20% e dovrà dotarsi di meccanismi efficienti, al fine di
evitare ritardi di assegnazione e quindi di reale utilizzo per il volontariato.
E' necessario ed urgente almeno ridurre la sperequazione oggi esistente tra
le diverse regioni, rendendo i servizi dei centri un diritto effettivamente
uguale per tutti i cittadini italiani, come richiesto ben due volte dalla Corte
costituzionale.
2.3 La riduzione al 40% dei fondi per i Centri di Servizio.
L'art. 15 bis riduce il finanziamento ai Csv al solo 40% dei fondi speciali
previsti dall'art. 15. Il restante 60% è utilizzato direttamente dal
Comitato di Gestione per il suo funzionamento, per finanziare le spese di gestione
delle organizzazioni di volontariato, anche sulla base di richieste individuali,
e i loro progetti.
La scelta ha diverse conseguenze negative:
Innanzitutto è messa in discussione l'attività di diversi Csv che con tale diminuzione
netta di più della metà delle loro risorse e vincolata nel testo della legge
rischiano di non poter sostenere i costi delle loro attività di servizi al volontariato.
Ciò contrasta con le numerose dichiarazioni pubbliche rese anche ad Arezzo che
affermavano una generale positività dell'esperienza fino ad ora realizzata dai
CSV, tra le quali anche quella del sottosegretario Grazia Sestini nell'intervento
di apertura e alcuni passaggi dei diversi documenti conclusivi della medesima
Conferenza nazionale del Volontariato. Inoltre tale situazione è aggravata dalla
sperequazione geografica dei fondi, che accentua tale valutazione in alcune
regioni.il 40% in alcune regioni non copre i costi dei Centri. Non a caso la
Comunicazione dell'allora Ministro Livia Turco interpretava la norma permettendo
l'utilizzo a scopo di finanziamento di progetti delle organizzazioni di volontariato
solo dei fondi che residuavano assolti i compiti di servizio dei Csv.
La proposta diminuendo di fatto i fondi a disposizione rende praticamente impossibile
ai CSV garantire una presenza capillare nel territorio e un'azione organica.
Questo limita nei fatti la scelta realizzata in questi anni dove i Centri di
Servizio hanno disseminato il territorio di punti di attività, connessione e
sviluppo del volontariato sia con la scelta dei Centri provinciali e sia con
la scelta di Centri regionali articolati in delegazioni e sportelli territoriali.
Queste scelte saranno sempre più difficili e si dovrà optare per un servizio
centrale, meno accessibile e meno partecipata, scelta obbligata con il taglio
dei fondi.
Viene così fissato in legge un rapporto tra fondi per i servizi e i progetti,
che non solo necessariamente deve variare a seconda delle disponibilità a livello
regionale e dei vari anni, ma che deve variare anche a seconda delle esigenze
del volontariato locale e a seconda dello sviluppo delle attività di servizio.
Viene così ribaltata la logica virtuosa che il legislatore del 1991 ha posto
alla base dei Centri: fornire servizi allo sviluppo e alla qualificazione del
volontariato, fornire così sostegno diretto ai soggetti attivi e non correre
il pericolo di elargire finanziamenti generici.
Pericolo reso ancor più concreto dal fatto che il sostegno ai progetti passa
ai Comitati di gestione, mentre nell'interpretazione odierna sono i Csv, che
devono prima assolvere le esigenze di servizio e che conoscono e seguono le
associazioni, in quanto da esse gestiti.
Con questa scelta si snatura il ruolo stesso dei Comitati di gestione, assegnando
loro compiti propri delle fondazioni bancarie, che la legge ha voluto come erogatrici
di fondi a diversi soggetti senza fini di lucro, fra cui il terzo settore e
il volontariato, specializzandole in questo ruolo e dotandole di fondi consistenti
a questo scopo, almeno il 50% dei proventi al netto degli accantonamenti obbligatori.
Così facendo, inoltre, le fondazioni di origine bancaria tenderanno a non erogare
più sostegni ai progetti delle organizzazioni di volontariato con i loro fondi
per le erogazioni, con la motivazione che tale finalità è già realizzata con
il 60% dei fondi dell'1/15°. Quindi il risultato finale sarà che ci saranno
meno fondi per i servizi, ma anche meno per i progetti delle organizzazioni
di volontariato.
- Il taglio delle risorse non tiene conto di due fattori che già dovrebbero
comportare una diminuzione generale e di quelle situazioni regionali più consistenti.
L'effetto del positivo meccanismo di perequazione dovrebbe ridurre i picchi
e rendere più omogenei i fondi regionali. La crisi del sistema "finanziario"
ed in generale del sistema degli investimenti avvenuto a partire dall'autunno
del 2001, sicuramente comporterà una diminuzione dei proventi delle fondazioni
e di conseguenza dei fondi regionali. Infine i fondi, a partire dagli accantonamenti
del 2001 saranno ulteriormente ridotti dalla consuetudine agita da molte fondazioni
di applicare in modo particolare l'ordinanza di sospensione del punto 9.7 dell'Atto
di indirizzo Visco confermata dal Consiglio di Stato, trattenendo in un fondo
a parte le quote della differenza tra le due modalità di calcolo, quella in
vigore con la sospensiva e quella proposta da Visco. In genere quest'ultima
prassi comporta una diminuzione del fondo del 50%. Riteniamo pertanto che prima
di discutere della riforma, sia necessario conoscere l'entità reale degli accantonamenti
previsti dai consuntivi 2001 e 2002 delle fondazioni di origine bancaria ed
effettuare una simulazione dell'applicazione del meccanismo di perequazione.
2.4 Il mutamento di ruolo del Comitato di Gestione: da controllore a finanziatore
del volontariato, condizionandone sviluppo e indirizzo. La preoccupazione per
l'indipendenza del volontariato, per il principio di sussidiarietà, di partecipazione,
di autodeterminazione del volontariato.
La proposta compie un atto ancor più preoccupante per il Volontariato italiano.
Di fatto affidando per legge al Comitato di Gestione, nuovi compiti di indirizzo
e di individuazione di criteri, modalità, destinazioni dell'utilizzo dei fondi
per il finanziamento delle organizzazioni, lo si sostituisce al Volontariato
nel suo compito di indicare le priorità di sviluppo, i servizi, le linee e gli
ambiti della promozione del volontariato. L'intuizione del legislatore del 1991
che, utilizzando il principio di sussidiarietà, affidava al Volontariato stesso
il compito di scegliere come sostenersi e qualificarsi, inserendo solo il compito
di tramite degli Enti locali, organi democraticamente eletti dalla popolazione,
viene ridotta sensibilmente e sostituita. Si afferma in questo modo il presunto
limite del volontariato nel compito di autodeterminarsi lo sviluppo, di fornire
l'indirizzo, di realizzare forme trasparenti, efficaci ed efficienti di promozione
del suo ruolo a beneficio dell'interesse generale. Si afferma che il volontariato
ha bisogno di un soggetto che in maniera paternalistica scelga, indirizzi, governi
il suo sviluppo, la sua innovazione e il suo futuro.
In questo modo si contravviene allo spirito stesso della nostra Carta costituzionale
nello stabilire i rapporti tra società civile e istituzioni, confermato dalle
sentenze, 255/92 e 300/93 della Corte costituzionale, che ben prima della modifica
dell'art. 118, parlano della "irrinunciabile autonomia alle organizzazioni di
volontariato e alle loro attività istituzionali".
I Centri di Servizio, per legge e nei fatti, sono costituiti da organizzazioni
di volontariato che si associano per svolgere il compito di sostenere e qualificare
il volontariato, mentre i Comitati di Gestione sono organismi dove la maggioranza
è composta da persone nominate dalle fondazioni (8 su 15), mentre gli altri
componenti sono 3 delle istituzioni (Governo, Regione ed Enti locali), 4 del
volontariato scelti secondo quanto indicato nelle leggi regionali, in genere
per decreto del Presidente della Giunta o del Consiglio Regionale, quindi di
nomina delle istituzioni, anche se in alcuni casi queste nominano le persone
segnalate dalle Conferenze del volontariato.
E' invece necessario che si consolidi e si rafforzi la tendenza all'ampliamento
della partecipazione alla gestione dei Centri di Servizio delle organizzazioni
di volontariato presenti sul territorio, facilitato anche da una doverosa intensificazione
dei rapporti e delle collaborazioni dei Centri con gli organismi di rappresentanza
del volontariato. Questo aveva proposto la Conferenza nazionale del Volontariato
di Arezzo nel documento del gruppo 3 redatto dalla Consulta dei Comitati di
Gestione e dal Collegamento nazionale dei CSV.
Proprio per queste ragioni il Coordinamento nazionale ad Arezzo aveva affermato
la necessità che sempre più il volontariato partecipasse al governo della gestione
dei Centri di Servizio. "Ribadendo la fondamentale centralità del volontariato
sia come soggetto gestore dei Centri e sia come utilizzatore di essi, il gruppo
ritiene necessario che si consolidi e si rafforzi la tendenza all'ampliamento
della partecipazione alla gestione dei Centri di Servizio delle organizzazioni
di volontariato presenti sul territorio. Peraltro, nelle ricerche e rapporti
ACRI/IRS e del Collegamento nazionale/CESIAV, si è evidenziato che tale tendenza
è già presente. Questo obiettivo può essere perseguito attraverso un ampliamento
della base associativa degli enti gestori dei Centri, che può essere facilitato
anche da una doverosa intensificazione dei rapporti e delle collaborazioni con
gli organismi di rappresentanza del volontariato."
L'intuizione del legislatore del 1991 che promuoveva la capacità del volontariato
di autodeterminarsi, di collegarsi, per essere capace di costruire percorsi
di gestione di iniziative e servizi per il proprio sviluppo, è ancor più significativa
oggi, quando da diverse parti si sollecita la capacità di mettersi in rete,
di costituire forum territoriali, di partecipare ai tavoli della programmazione
locale e sociale, di essere volontariato di advocacy che, secondo quanto riaffermato
dalla Carta dei Valori del Volontariato promossa da Fivol e gruppo Abele nel
2001, collabora con le istituzioni nel prevenire il disagio, nel ricercare e
mutare le cause. Una cultura oggi sempre più diffusa, riconosciuta, interpretata
e sollecitata sempre più nella normativa, a partire dalla Costituzione nell'art.
118 e per proseguire nelle innovative legislazioni del sociale e della sanità
dove si afferma la necessità che il terzo settore partecipi alla programmazione
e progettazione dei sistemi dei servizi e degli interventi.
In questo quadro preoccupa la possibile mancanza di autonomia e i rischi di
dipendenze esterne di organizzazioni di volontariato, che anche per esistere
ricorrono a finanziamenti esterni. In questo quadro sarà difficile tenersi estranei
a rischi di strumentalizzazione del volontariato.
Nel sistema attuale sono presenti le fondazioni di origine bancaria che con
i 14/15°, pari a circa il 93,6% delle risorse erogano fondi a diversi soggetti
senza fini di lucro fra cui il terzo settore e le istituzioni, e i Centri di
Servizio che con il 6,4% realizzano azioni per sostenere e qualificare il volontariato
anche attraverso il sostegno a progetti innovativi di organizzazioni di volontariato.
I Comitati di Gestione sono stati inseriti successivamente dal Decreto con il
Compito di istituire i Centri e di controllare la regolarità del loro funzionamento
rispetto alle norme e all'attuazione dei progetti presentati. Ad oggi sono quindi
due i soggetti che interagiscono con ruoli e compiti differenti con il volontariato:
Fondazioni e Csv.
Con la proposta in discussione si inserisce un terzo soggetto che si dovrà attrezzare
per gestire la propria attività diretta di sostegno al volontariato attraverso
l'assegnazione di contributi, sia sovrapponendosi ad un sistema già in funzione,
e sia diminuendo le energie sul compito di controllo sempre più utile e significativo
nel sistema. Ciò comporterà anche una ulteriore erosione di fondi per garantire
efficacia alla struttura dei Comitati di Gestione per esercitare bene la nuova
funzione.
2.5 La possibilità e la capacità dei CSV di sostenere il volontariato in
progetti innovativi
Crediamo che, senza stravolgere lo spirito e il principio della legge e l'esperienza
della sua applicazione, sia possibile ampliare l'interpretazione del compito
di promozione del volontariato e delle iniziative di volontariato presente nell'attuale
decreto attuativo dell'art. 15, prevedendo, come da noi proposto ed effettuato
sperimentalmente in diverse regioni già in collaborazione con i Comitati di
Gestione, iniziative di sostegno anche economico a progetti delle organizzazioni
di volontariato.
Le esperienze dimostrano quanto quest'attività, aggiuntiva rispetto ai servizi,
possa essere realizzata dai Centri di Servizio con forme connesse ai servizi
e maggiormente adeguate ai bisogni del volontariato, trasparenti, verificabili.
Forme che coinvolgono anche i Comitati di Gestione al fine di permettere e favorire
l'esercizio del loro essenziale ruolo di controllo che le somme destinate ai
fondi speciali siano correttamente utilizzate secondo la normativa in vigore,
i progetti istitutivi dei Centri di Servizio e i loro programmi complessivi
annuali o biennali di attività.
Invece il sistema prefigurato dalla proposta, di affidare il finanziamento del
volontariato ai Comitati di Gestione, si contrappone alla sperimentazione diffusa
in buona parte d'Italia dove numerosi centri di servizio hanno sperimentato
la possibilità di sostenere azioni di progettazione sociale delle organizzazioni
di volontariato, spesso in rete tra loro, favorendo percorsi innovativi, significativi,
integrati. Un percorso che ha promosso il volontariato, rendendo possibili esperienze
di volontariato e di percorsi formativi che divengono concretamente esempi,
sperimentazioni, consolidamenti.
Così i Centri hanno sperimentato percorsi di valutazione dei progetti che cercano
di rispondere ai principi della trasparenza, dell'attenzione ai contenuti, alla
ricaduta, alla concretezza, del legame con il territorio, della capacità di
interagire, costruire rete e collegare sinergicamente risorse, del cofinanziamento.
Spesso questo processo avviene attraverso meccanismi di commissioni di esperti,
di criteri misurabili e trasparenti che concretamente allontanano i rischi del
conflitto di interessi, valorizzando invece la conoscenza del volontariato,
dei suoi bisogni, del suo sviluppo.
Oggi possiamo affermare che i centri hanno un know-how di rilievo in questo
ambito.
2.6 Il vero obiettivo è lavorare insieme con Fondazioni bancarie e istituzioni
per il Volontariato, per il suo sviluppo, per la qualità dei servizi.
Il Volontariato ha sicuramente bisogno di maggiori risorse, di maggiore efficacia
ed efficienza nei servizi rivolti al suo sviluppo. Per questo la strada che
proponiamo non è quella della diminuzione dei fondi e della loro suddivisione
affidata ad altri "illuminati" perché esterni. Proponiamo la strada di una maggiore,
più significativa, più vincolante partecipazione del volontariato nei Centri
di Servizio come governo dell'indirizzo e della gestione, come utilizzatore
attento ed esigente dei servizi, chiedendo maggiore qualità, tempestività, appropriatezza
delle risposte, chiedendo risposte nuove che prendono in carico invece di distribuire
solo informazioni. Proponiamo la strada della valutazione attenta e continuativa
ed esigente, realizzata dal mondo del volontariato e dalle fondazioni di origine
bancaria.
Riteniamo possibile su questo terreno un'alleanza forte con le fondazioni, rendendole
soggetto di un controllo reale, finalizzato a rendere più efficaci le risorse
messe a disposizione. Per questo non serve essere soggetto di indirizzo, ma
soggetto terzo che "misura" il grado di rispondenza delle azioni al progetto
presentato.
2.7 Un Arretramento: dal Progetto, dalla Qualità, dalla Valutazione al Finanziamento
a pioggia, senza valutazione e sviluppo
La proposta di legge compie un ulteriore passo preoccupante e difficilmente
gestibile. Infatti con il fondo del 60% i Comitati di Gestione potranno finanziare
non solo progetti delle organizzazioni, magari in rete fra loro, ma "richieste
individuali di finanziamento a copertura delle spese di gestione." Questa operazione
si colloca in controtendenza rispetto allo sforzo realizzato da molte fondazioni
di origine bancaria che stanno cercando di realizzare percorsi di finanziamento
orientati al sostegno a progetti ed iniziative finalizzate, organiche, valutabili.
Quindi con questa riforma apparentemente si favorisce il volontariato, mettendo
direttamente a disposizione più fondi, ma lo si rende ancor più dipendente nella
norma e nella sostanza dalle fondazioni di origine bancaria e dalla istituzioni.
Ciò vale soprattutto per le organizzazioni più piccole che saranno quelle meno
in grado di accedere ai fondi speciali regionali, sovrastate nei fatti dalle
associazioni di dimensione maggiore e più organizzate.
2.8 La programmazione triennale
L'esperienza di questi anni è stata caratterizzata dall'attuazione del meccanismo
che porta a determinare i fondi in forma annuale o biennale in percentuale rispetto
all'andamento delle fondazioni e a vincolarne l'utilizzo nell'anno o biennio
di assegnazione. Ciò comporta l'impossibilità di effettuare una programmazione
ad ampio respiro (almeno tre anni) che permetterebbe una maggiore efficacia
dello strumento, oltre che naturalmente una più approfondita valutazione degli
esiti dell'operato. Prolungando la programmazione dell'attività dei Centri per
almeno un triennio e parallelamente anche quella dei Comitati di gestione, si
potrebbe superare questo problema e porre le basi per una programmazione con
maggiori certezze. Per superare le difficoltà attuali collegate ai tempi di
rinnovo dei Comitati di Gestione si propone di individuare, in accordo con la
Consulta dei Comitati di Gestione, un meccanismo di "prorogatio" non superiore
comunque ai 6 mesi, e abbinato alla certezza dell'attuazione dei meccanismi
di nomina dei membri del nuovo Comitato.
3. Associazioni, federazioni e coordinamenti nazionali
La proposta del governo cancella i criteri per individuare le associazioni
nazionali, la previsione di un loro registro e la presenza delle organizzazioni
nazionali in Osservatorio.
Si vuole un volontariato che non deve andare oltre la dimensione locale e non
fare rete a livello regionale e nazionale, un volontariato che è capace di chiedere
il cambiamento e la rimozione delle cause che producono il bisogno, un volontariato
capace di svolgere un ruolo politico?
Il far rete tra le organizzazioni di volontariato è essenziale per la crescita
del volontariato, per il rafforzamento del suo ruolo come propositivo di interlocuzione
con le istituzioni, di difesa del bene comune e rappresentanza dei bisogni dei
cittadini, uno dei veicoli fondamentali della sussidiarietà orizzontale e partecipativa,
della corresponsabilità sociale.
4. Deroghe ai principi costituenti delle organizzazioni di volontariato
La proposta di deroghe, avanzata per motivi tecnici da alcune associazioni,
qui è così estesa alla democraticità interna, alla gratuità delle cariche associative,
all'elettività delle cariche, oltre che alle modalità di approvazione del rendiconto.
Deroghe così ampie e discrezionali possono permettere di classificare tra le
organizzazioni di volontariato strutture scarsamente democratiche, non espressione
dei volontari e degli associati.
Devono essere possibili solo deroghe ben delimitate. Così per il principio di
gratuità, che va difeso come essenziale per il volontariato, circoscrivendo
eventuali deroghe ad alcuni ben delimitati casi, ad es, per coloro che ricoprono
incarichi nazionali, ed anche in questo caso limitandosi al rimborso del mancato
guadagno.
5. Risorse economiche, cittadinanza attiva e gratuità
Anche la previsione di entrate derivanti da "titoli validi per l'acquisto di
servizi sociali dai soggetti accreditati del sistema integrato di interventi
e servizi sociali", va opportunamente regolato, come del resto era già stato
previsto nella 328/00, evitando la riduzione a merce dell'attività del volontario
e dell'organizzazione di volontariato, superando di fatto il principio della
prevalenza della gratuità delle prestazioni.
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