Caritas Italiana Fondazione Migrantes
CONTRIBUTO DELLA CARITAS ITALIANA E DELLA FONDAZIONE
MIGRANTES
PER L'ELABORAZIONE DEL DISEGNO DI LEGGE N° 2454 RECANTE
MODIFICHE ALLA NORMATIVA IN MATERIA DI IMMIGRAZIONE E ASILO
ATTUALMENTE ALL'ESAME DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
(torna all'indice informazioni)
La Caritas Italiana e la Fondazione Migrantes hanno seguito in questi
anni con particolare attenzione l'evolversi della normativa sull'immigrazione
e si sono sforzate di dare il loro contributo perché questa si adeguasse il
più possibile al rapido evolversi del fenomeno immigratorio. La medesima disponibilità
esse manifestano di fronte al nuovo disegno di legge governativo e ritengono
che la loro esperienza, accumulata in tanti anni di costante servizio caritativo,
sociale, culturale e religioso agli immigrati nonché l'attiva e capillare presenza,
che si protrae per generazioni, tra i nostri emigrati italiani, possa accreditare
l'autenticità della collaborazione che esse ora nuovamente propongono anche
alle sedi istituzionali.
Prima ancora che sulla loro esperienza e sul contatto vivo con la realtà migratoria,
Caritas e Migrantes, quali organismi ecclesiali, si appellano a quei principi
e valori fondamentali che, pur essendo continuamente ribaditi dalla dottrina
sociale della Chiesa, costituiscono patrimonio autentico di quel sano umanesimo
che trova le sue migliori espressioni nella nostra tradizione civile e nella
stessa Costituzione italiana.
E' in quest'ottica che ci poniamo per valutare il nuovo disegno di legge, che
ripresenta tante disposizioni della legge ora in vigore, sulle quali c'era stata
a suo tempo larga convergenza di consensi ed altre ne aggiunge che sono decisamente
positive; ma allo stesso tempo propone altre disposizioni che sembrano in netto
contrasto con i predetti principi e valori o comunque destano forti riserve.
Del resto, membri autorevoli della stessa maggioranza si sono già pronunciati
su certi punti in modo piuttosto critico.
Quanto agli aspetti positivi del disegno di legge, piace segnalare la riaffermata
cooperazione internazionale anche se formulata in termini piuttosto generici,
lo sportello unico per l'immigrazione inteso a snellire gli adempimenti burocratici
spesso snervanti, la corsia preferenziale per gli stranieri di origine italiana
da parte di almeno un genitore o che abbiano svolto un percorso di formazione
professionale nel loro Paese, l'anticipo al 30 novembre dell'anno precedente
del decreto di programmazione degli ingressi per anno successivo. La stessa
determinazione del Governo a voler gestire efficacemente le politiche migratorie
nonché a prevenire e contrastare l'immigrazione clandestina, in linea di principio
merita il consenso.
Tuttavia tali elementi positivi non compensano quei tanti altri aspetti che
lasciano insoddisfatti, anzi pongono inquietanti interrogativi e reclamano,
di conseguenza, una profonda riconsiderazione, perché sembrano toccare i diritti
irrinunciabili della persona, poco importa se si tratta di straniero od anche
di irregolare. Hanno avuto larga eco anche fuori dell'ambiente ecclesiale le
incisive parole del Papa enunciate esattamente dieci anni fa e ripetute negli
anni successivi con particolare riferimento a singole categorie di migranti,
come i lavoratori, le famiglie, le donne, i nomadi, i profughi: "Il migrante
va considerato non semplicemente come strumento di produzione, ma quale soggetto
dotato di piena dignità umana. La sua condizione di migrante non può rendere
incerto e precario il suo diritto a realizzarsi come uomo e la società di accoglienza
ha il preciso dovere di aiutarlo in tale senso". Perfino "la condizione di irregolarità
legale non consente sconti sulla dignità del migrante, il quale è dotato di
diritti inalienabili, che non possono essere violati né ignorati". In occasione
del Giubileo dei migranti del 2 giugno 2000 il Papa ha voluto riassumere in
queste parole il senso del grande evento: "Ecco il messaggio che questa celebrazione
giubilare vuole far giungere dappertutto: al centro dei fenomeni della mobilità,
sia posto sempre l'uomo e il rispetto dei suoi diritti".
Rientrano in questi diritti la libertà personale, la possibilità di difesa in
foro giurisdizionale, l'asilo e la protezione umanitaria, l'unità familiare
e, in genere, il diritto ad elaborare un progetto migratorio stabile per sé
e per la propria famiglia.
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Quanto al nuovo disegno di legge, si ha anzitutto la forte impressione che esso
intenda affrontare e risolvere un tema tanto serio, vasto e complesso con una
certa fretta, in modo piuttosto sbrigativo, praticando delle scorciatoie poco
sicure, che potrebbero portare lontano dagli obiettivi proposti.
Desta preoccupazione in via preliminare il fatto che non si tenga in debita
considerazione, che si voglia anzi disattendere il contributo, e precisamente
un triplice contributo, fondamentale e decisivo per una legge organica sull'immigrazione
che risponda alle vere esigenze non solo degli immigrati ma dell'intera società
italiana.
Un primo contributo va ricercato da un maggiore confronto con gli esperti, le
parti sociali, i gruppi di solidarietà da anni impegnati in prima linea sul
fronte delle migrazioni. Sarebbe stato auspicabile che queste forze vive fossero
state interpellate e fossero diventate interlocutrici del Governo già nella
fase di elaborazione del disegno di legge; ora si è un po' in ritardo, comunque
la partita è ancora in pieno svolgimento e ognuno di questi attori vi può svolgere
la sua parte, purché si consenta che entrino in campo e non debbano limitarsi
a lanciare messaggi da lontano, in posizione più dialettica e critica che dialogante.
Un secondo contributo dovrebbe pervenire da una profonda verifica di quanto
è avvenuto in questi anni non solo sul piano della gestione concreta delle migrazioni,
ma pure su quello della normativa. Nella Relazione illustrativa si dice che,
data "l'esigenza di innovare profondamente l'attuale disciplina in materia di
immigrazione… il presente disegno di legge si propone il fine di rivedere sistematicamente
la legislazione italiana concernente gli stranieri". Sembra doveroso domandarsi,
anche in questa fase ormai avanzata dell'iter legislativo, perché sia proprio
necessario "rivedere sistematicamente - innovare profondamente" la legge nel
suo insieme o non sia più prudente e costruttivo impegnarsi a raggiungere almeno
molti degli auspicati obiettivi con una più sistematica e decisa azione politica,
amministrativa e diplomatica in applicazione della legge vigente. Sarebbe nefasto
illudersi che le disfunzioni nascano dalla mancanza della normativa, quando
invece potrebbero annidarsi nella scarsa volontà o capacità di attuazione e
nei troppi intoppi della macchina burocratica. Si tenga presente inoltre che
la legge oggi in vigore concede al Governo ampia discrezionalità di interpretazione
e libertà di interventi per promuovere, prevenire, correggere molte cose in
fatto di immigrazione senza ricorrere a nuove leggi; niente poi impedisce che
in casi particolari si possa procedere a modificare la legge stessa.
Un terzo e più decisivo contributo sta per essere offerto in sede di Unione
Europea, dove una normativa comune in parte è già stata approvata (si pensi
all'Accordo di Schengen e alla Convenzione di Dublino), mentre sta per essere
definitivamente elaborato ed approvato un poderoso corpo legislativo che dovrà
essere completo entro il 2004; anche l'Italia, come tutti gli Stati membri,
vi si dovrà adeguare per quanto riguarda, ad esempio, ingressi per lavoro, ricongiungimenti
familiari, contrasto dell'immigrazione clandestina, stardard minimo per le domande
di diritto di asilo, status degli stranieri titolari di un permesso di soggiorno
di lungo periodo ed altro. Ci si domanda se sia il caso di procedere proprio
in questo momento a profonde innovazioni sulle tematiche come quelle ora enunciate,
con la previsione di dover rimettervi mano entro brevissimo tempo, o non sia
più prudente e razionale limitarsi per ora solo a quelle modifiche che si ritenessero
necessarie e urgenti. Si tratta di evitare non solo spreco di tempo e di energie,
ma pure il pericolo di ingenerare quel senso di stanchezza, di frustrazione
e di discredito verso interventi legislativi che si susseguono a così breve
scadenza.
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Ciò premesso, vengono qui di seguito elencati alcuni aspetti che fanno maggiore
problema, a cominciare da quelli che colpiscono direttamente non gli immigrati
irregolari, ma gli stessi regolari; si corre così il rischio che il disegno
di legge, anziché contrastare, finisca per incentivare maggiormente l'immigrazione
irregolare e clandestina.
Dello straniero regolarmente soggiornante vengono compromesse la stabilità
di soggiorno per motivi di lavoro e le misure di integrazione sociale:
La durata massima del soggiorno per lavoro subordinato non è di tre anni, come
prevede la proposta di direttiva dell'UE, ma di 2 anni.
Non si comprende per quale motivo la durata del permesso di soggiorno, quando
viene rinnovato, debba essere ridotta dagli attuali 4 anni a 2 anni (la proposta
di direttiva europea prevede anche per il rinnovo una durata di 3 anni): ciò
complicherà inutilmente la vita degli stranieri regolarmente soggiornanti e
raddoppierà gli adempimenti delle Questure.
Contrariamente a quanto fissato nel Testo Unico e nella proposta di direttiva
dell'U.E. per i lungo residenti, si prevede che la carta di soggiorno sia rilasciata
dopo 6, non dopo 5 anni di soggiorno regolare ininterrotto e non si comprende
quale sia la ragione di questo allungamento che ostacola l'integrazione degli
stranieri regolarmente soggiornanti.
L'obbligo di rinnovo del permesso di soggiorno presso la Questura della provincia
dove lo straniero ha la residenza e non più presso quella in cui dimora obbligherà
decine di migliaia di stranieri ad inutili viaggi presso le Questure che originariamente
avevano rilasciato il permesso, ostacolerà la mobilità interna degli stranieri
e renderà inutilmente complicato alle stesse Questure gli accertamenti necessari
nelle procedure di rinnovo.
Lo straniero che perderà il lavoro, allo scadere per permesso di soggiorno per
lavoro subordinato non disporrà più di almeno un anno, come prevede la legge
vigente, ma soltanto di sei mesi di tempo per trovarsi altro lavoro; ne sono
colpiti i più deboli, ad esempio chi è in stato di malattia o di gravidanza,
od anche chi in periodo di disoccupazione è impegnato in corsi di formazione
e di riqualificazione professionale ed anzi finisce per scoraggiare lo straniero
dall'impegnarsi positivamente a frequentare tali corsi.
Del tutto ingiustificata rispetto all'intento di prevenire l'immigrazione clandestina
e il lavoro nero (oltre che in contrasto col principio di uguaglianza tra i
lavoratori) appare la norma che vuole sopprimere la possibilità per i lavoratori
stessi di poter riportare in patria i contributi versati in loro favore maggiorati
del 5 per cento: così si disincentivano i lavoratori extracomunitari dal progettare
concreti rientri in patria e dall'esigere dai datori di lavoro il pagamento
dei contributi previdenziali e assistenziali obbligatori.
Grave preoccupazione suscita poi il fatto che il testo del ddl emendato dal
Senato sembra addirittura acuire la precarizzazione degli stranieri regolarmente
soggiornanti e impedire gli elementi di base dell'integrazione sociale, come
quello dell'accesso all'alloggio a prezzi contenuti. Infatti l'emendamento approvato
all'art. 41 T.U. introduce una riserva del solo 5 per cento di alloggi di edilizia
residenziale pubblica da destinarsi ai soli titolari di carta di soggiorno o
di permesso di soggiorno di durata di 2 anni, i quali abbiano in corso una regolare
attività di lavoro subordinato o di lavoro autonomo. Ciò significa che non potranno
più usufruirne coloro che sono iscritti nelle liste di collocamento; e non è
chiaro se, in caso di cessazione del rapporto di lavoro molte famiglie saranno
costrette a lasciare le case popolari; se così fosse, nei Comuni in cui oggi
gli extracomunitari assegnatari di alloggi popolari sono più del 5%, all'entrata
in vigore della nuova legge potrebbero essere sfrattate migliaia di famiglie
e non si capisce con quali criteri ciò possa avvenire (vedi la modifica proposta
all'art. 24).
L'impegno imposto al datore di lavoro a provvedere alle spese di viaggio per
il rientro del lavoratore nel paese di provenienza sarà un pesante deterrente
per il datore di lavoro a stipulare contratti di lavoro regolari.
La chiamata nominativa, com'è ora stabilita dalla legge, comporta il ritorno
ad un meccanismo già fallito nel passato: dal sistema della programmazione dei
flussi, stabilita dalla legge vigente, si torna a quello della previa verifica
dell'indisponibilità di lavoratori iscritti alle liste di collocamento che era
stata introdotta con la legge 943 del 1986. E' il caso di ricordare che la verifica
dell'indisponibilità di altri lavoratori era stata la vera causa del blocco
dei nuovi ingressi regolari e il conseguente incentivo all'ingresso irregolare.
Il fatto che il rinnovo del permesso di soggiorno debba avvenire non 30 giorni
prima della scadenza, com'è ora, ma 60 o 90 giorni prima risulta un pericoloso
aggravio e un ulteriore ostacolo burocratico all'integrazione dello straniero.
In tale contesto viene spontaneo domandarsi se il sostituire "contratto di soggiorno"
a "permesso di soggiorno" sia una semplice variante lessicale che intende ricalcare
la terminologia europea, o sottenda ed evidenzi la precarietà del lavoratore
straniero e metta in mano al datore di lavoro la formidabile arma del ricatto
(il facile licenziamento), dal momento che, se lo straniero titolare di un permesso
di soggiorno per lavoro subordinato per qualsiasi motivo cessa il suo rapporto
di lavoro, deve trovarsi inesorabilmente un altro lavoro regolare entro soli
sei mesi oppure deve lasciare il nostro paese od entrare nella clandestinità.
Inoltre tale istituto sembra non conforme alla Costituzione, che agli articoli
35-40 garantisce in pari modo tutti i lavoratori a prescindere dalla loro nazionalità
e viola la riserva rinforzata di legge sulla condizione giuridica dello straniero
(prevista dalla Costituzione, art. 10, comma 2), perché non conforme all'art.
8 della Convenzione OIL, n. 143/1975 (ratificata e resa esecutiva in Italia).
In ogni caso la formula del contratto di soggiorno costituisce, insieme con
altre norme del ddl, l'indice di una tendenza ad ostacolare l'integrazione degli
immigrati nella realtà italiana, perché proietta un'immagine strumentale dello
straniero, ridotto a soggetto utile se e fino a quando produce ricchezza.
Infine va tenuto presente che già l'attuale normativa, e tanto più quella che
ora si vuole instaurare, si pongono in contrasto con la Convenzione O.I.L. del
24 giugno 1975, ratificata in Italia con la legge 10 aprile 1981, n. 158, che
all'articolo 8, comma 1 stabilisce:
"A condizione di aver risieduto legalmente nel paese ai fini dell'occupazione,
il lavoratore migrante non potrà essere considerato in posizione illegale o
comunque irregolare a seguito della perdita del lavoro, perdita che non deve,
di per sé, causare il ritiro del permesso di soggiorno o, se del caso, del permesso
di lavoro".
2. Con la soppressione dell'art. 23 sulla possibilità di sponsorizzazione
le vie legali di ingresso per lavoro vengono ristrette e rese inutilmente difficili
e ciò in presenza di un'elevata e ciò in presenza di un'elevata e persistente
richiesta di manodopera per taluni settori. Così si finisce per incentivare
il ricorso al lavoro nero e favorire nuova immigrazione clandestina; infatti
sopprimendo l'ingresso per inserimento nel mercato di lavoro, si azzera la possibilità
di incontro diretto tra domanda e offerta. Viene penalizzato particolarmente,
ma non esclusivamente, il settore del lavoro domestico e dei servizi alla persona,
che reclama una presenza sempre maggiore di lavoratori stranieri, a motivo del
calo ed invecchiamento della nostra popolazione e della crescente immissione
della donna in attività extradomestiche.
Non ha senso in questo e in simili settori prevedere come unica modalità di
ingresso per lavoro subordinato la chiamata nominativa, da parte del datore
di lavoro, di una persona lontana e per di più sconosciuta o la scelta casuale
della colf dalle liste di prenotazione: questo è un campo dove deve instaurarsi
un rapporto fiduciale tra lavoratore e datore di lavoro, il quale non può mettere
la propria casa, compresi infermi, anziani e bambini, in mano a persona del
tutto ignota. Che questa forma di ingresso si presti ad abusi più di altre forme
di chiamata numerica o nominativa, oppure contribuisca ad allargare le sacche
di disoccupazione, è tutto da dimostrare; sembra anzi avvenga proprio il contrario,
poiché si creano di fatto quelle "catene migratorie" che nella storia delle
migrazioni anche italiane sono state la via maestra per un'immigrazione bene
integrata e a minimo costo sociale.
Si tratta dunque non di aumentare le possibilità di ingresso per lavoro, ma
di prevedere che, attraverso modalità realistiche e conformi alle caratteristiche
intrinseche di ogni fenomeno migratorio, il medesimo numero di ingressi avvenga
nel modo più regolare. Infatti il sostegno offerto dallo sporsor costituisce
una garanzia a copertura di qualsiasi eventuale costo nella fase iniziale di
inserimento (vitto, alloggio, salute) e valorizza le capacità di integrazione
che anche gli immigrati regolari sono capaci di esprimere. In Stati a lunga
esperienza migratoria, come USA e Canada, l'utilizzo della sponsorizzazione
per gli ingressi fa parte delle scelte di fondo della politica migratoria. Pertanto
l'incontro tra domanda e offerta di lavoro ed il rapporto tra famiglie italiane
e persone immigrate sono resi più difficili se cessa l'istituto dello 'sponsor',
che andrebbe quindi ripristinato, eventualmente prevedendo un visto di ingresso
di durata più limitata (ad es. pari a novanta giorni). Se proprio si teme che
aumenti in tal modo la disoccupazione, il che va dimostrato, si preveda piuttosto
la possibilità di limitare gli ingressi mediante sponsorizzazione a quelle zone
o a quelle mansioni in cui si registra una persistente e acuta carenza di manodopera
La stessa regolarizzazione per le colf e le "badanti", prevista dalla legge,
e le ripetute anticipazioni di ingressi per gli stagionali agricoli, realizzate
al di fuori delle procedure generali, confermano l'impraticabilità della scelta
del disegno di legge, le cui procedure sono così poco realistiche e talmente
faticose che finiscono per irrigidire e bloccare gli ingressi regolari per lavoro,
proprio quando invece si è in presenza di istanze molteplici che provengono
dallo stesso mondo produttivo. Ad analoghi ripieghi sarà giocoforza ricorrere
per assecondare le richieste, già avanzate dalle regioni, per l'acquisizione
di personale ospedaliero o quelle adombrate dagli ambienti militari per rinsanguare
i quadri "volontari" delle forze armate. Dietro lo schermo del rigore assoluto
si sta prefigurando una catena di eccezioni che riduce la regola generale a
mera espressione di facciata: il disegno di legge sembra così riprodurre proprio
la medesima politica migratoria di irrigidimento, di fatto inattuabile, che
già prima del 1998 non era stata in grado di prevenire l'ingresso di centinaia
di migliaia di clandestini, costringendo poi a ripetute sanatorie.
3. I ricongiungimenti familiari sono colpiti da ingiustificate restrizioni
a confronto della norma oggi in vigore in Italia e in elaborazione
nell'UE: vengono infatti esclusi i genitori a carico qualora i figli siano più
di uno; vengono pure esclusi i parenti fino al terzo grado, inabili al lavoro,
anche se a carico dell'immigrato. Non è in tal modo tutelato a sufficienza il
diritto all'unità familiare garantito dalla nostra Costituzione e da diverse
convenzioni internazionali cui l'Italia ha aderito.
Ciò tuttavia che maggiormente preoccupa è il fatto che la precarietà della
condizione giuridica e lavorativa dello straniero sopra enunciata (cf. n. 1)
pone gravi ostacoli anche agli altri suoi familiari che sono ancora all'estero
ed hanno titolo al ricongiungimento.
Inoltre gli emendamenti introdotti in Senato hanno prodotto una situazione inspiegabile
e piuttosto contradditoria:
- Da un lato si è posto parziale rimedio alle restrizioni sopra denunciate,
rendendo possibile il ricongiungimento dei genitori a carico se non hanno altri
figli al Paese di origine e i figli maggiorenni a carico se invalidi totalmente
(provvedimento in sé positivo, ma che può riguardare solo poche centinaia di
persone).
- Dall'altro lato si è approvato un emendamento presentato dal Governo che produce
un aggravamento notevolissimo della procedura per ottenere il nullaosta al ricongiungimento
familiare: si impone infatti all'immigrato che richiede il nulla-osta per i
suoi familiari di includere, tra la documentazione da allegare alla domanda
di nulla-osta, anche "quella attestante i rapporti di parentela, coniugio e
la minore età, autenticata dall'autorità consolare italiana". Nel sistema attuale
invece tale documentazione, allegata alla domanda di visto di ingresso per ricongiungimento
familiare, viene trattata dal consolato unitamente alla domanda di visto (cf.
Regolamento di attuazione, art. 6, commi 2 e 3). L'emendamento introdotto comporterà,
per i prevedibili ritardi e lungaggini, un obiettivo serio impedimento ai ricongiungimenti
familiari, esigerà infatti un raddoppio delle file ai consolati ed un logorante
allungamento delle procedure: i familiari prima dovranno fare la fila ai consolati
per presentare i documenti anagrafici stranieri da legalizzare, rifare poi la
fila per ritirarli, quindi inviarli in Italia al familiare immigrati, che soltanto
a questo punto potrà presentare allo Sportello unico per l'immigrazione la domanda
di nulla-osta; sarà poi da chiarire se i familiari in patria, dopo che è stato
loro trasmesso dall'Italia il nulla-osta, saranno di nuovo tenuti a produrre
al consolato la medesima certificazione anagrafica prima di ottenere il rilascio
del visto. Questa identica procedura era in vigore fino al 1994 ed aveva costituito
un notevole incentivo all'immigrazione clandestina di familiari e proprio per
questo era stata soppressa prima con circolari e poi con la legge del 1998.
N.B. Per i minori non accompagnati si veda la proposta dell'associazione
"Save the Children" sottoscritta anche da Caritas Italiana e Fondazione Migrantes
e riportata più avanti.
4. L'espulsione immediata diventa regola generale per via amministrativa
senza che sia rispettata la riserva di giurisdizione. Per quanto sia legittimo,
come si è già rilevato, l'obiettivo di fondo di contrastare il più possibile
l'immigrazione clandestina e di rendere efficaci le espulsioni, è inaccettabile
la scelta dei mezzi che si intende adottare, in particolare la sommaria procedura
che comporta l'accompagnamento immediato alla frontiera come misura amministrativa
nella totalità dei casi, senza effettiva possibilità di ricorso e senza preventiva
pronuncia del giudice.
Tale provvedimento sbrigativo appare in contrasto con l'articolo 13 della Costituzione,
secondo il quale la restrizione della libertà deve avvenire per mezzo di un
provvedimento motivato dell'autorità giudiziaria. La Corte Costituzionale nella
recentissima sentenza n. 105/2001 ha affermato che tale principio si applica
nel caso di espulsione immediata successiva al trattenimento disposto dall'art.
14 del T. U., con il preciso onere per il giudice, che procede alla convalida
del trattenimento, di procedere all'esame della legittimità o meno del provvedimento
espulsivo.
Lo Stato dunque per escludere le presenze irregolari dal suo territorio trovi
altre vie che non ledano la libertà personale e il diritto alla difesa. E',
ad esempio, in suo potere rafforzare, di concerto con gli altri Stati dell'area
Schengen, il controllo delle frontiere comuni; trattenere il clandestino nei
centri di permanenza temporanea finché il giudice non si sia pronunciato, in
tempi brevissimi, sul suo accompagnamento alla frontiera o sul prolungamento
della sua permanenza in detti centri; stipulare e rendere effettivi gli accordi
bilaterali o multilaterali di riammissione dell'espellendo nel Paese di origine
o di provenienza. E' ancora in potere dello Stato potenziare (e sollecitare
su questa linea i partners europei) la cooperazione per lo sviluppo dei Paesi
ad alta pressione emigratoria e rallentare la spinta degli ingressi clandestini
con una maggiore apertura per gli ingressi regolari, nei limiti consentiti dal
nostro mercato di lavoro.
Si aggiunga inoltre che per procedere all'esecuzione delle espulsioni immediate
emesse, un numero elevatissimo di poliziotti passerebbe il proprio tempo a fare
il pendolare tra le Questure e le frontiere, come di fatto sta già avvenendo,
senza occuparsi invece del controllo del territorio, con dispendio di energie
e con costi molto elevati.
5. Quanto al reato di immigrazione clandestina, intesa sia come permanenza
in Italia dell'espellendo sia come reingresso dell'espulso (il primo ingresso
non è considerato un reato), il comune sentire in ambito ecclesiale è lontano
dal ritenere l'immigrato che è irregolare per soggiorno come un criminale, a
meno che l'irregolarità del soggiorno non sia aggravata da altri comportamenti
già perseguibili penalmente. Per la stragrande maggioranza di questi irregolari
si tratta, come si esprime Giovanni Paolo II, di un "esodo della disperazione"
per istinto di sopravvivenza. Nel marzo del 2001 la Commissione delle Conferenze
Episcopali della Comunità Europea (COMECE) ha chiaramente affermato che "chiunque
esercita il diritto di cercare migliori condizioni di vita non dovrebbe essere
considerato come criminale solo per questo". La stessa Convenzione ONU di Palermo
del dicembre scorso contro il crimine organizzato, approvata anche dall'Italia,
afferma che "l'immigrazione, come fatto in sé, non è un reato e quindi non può
essere perseguita per via giudiziaria".
6. Lo straniero rischia di essere penalizzato per inadempienze o trasgressioni
altrui. Si possono citare due casi riguardanti rispettivamente lo Stato
ed i semplici cittadini.
Primo caso: l'espellendo, che non può essere rinchiuso in un centro di permanenza
per indisponibilità di posti, riceve l'intimazione a lasciare l'Italia entro
5 giorni; se si trattiene in Italia perché privo di mezzi per far ritorno al
suo paese ed è fermato dalle forze dell'ordine, viene incriminato e incarcerato
per un periodo da sei mesi ad un anno; con la nuova legge non si tratterà di
caso ipotetico o raro, potrà anzi interessare decine di migliaia di stranieri;
ed anche se la legge non venisse di fatto applicata per evitare l'intasamento
delle carceri o perché interviene un "giustificato motivo", rimane sull'immigrato
l'ombra fosca del criminale degno del al carcere.
Altro caso, ancora più frequente, riguarda il datore di lavoro che licenzia
lo straniero regolare per assumerne un altro in nero: ne consegue che il licenziato,
perdendo il posto di lavoro, se è titolare di un permesso di soggiorno per lavoro
subordinato e non ne trova un altro entro i successivi sei mesi, perde anche
il titolo per il rinnovo del permesso di soggiorno. Inoltre la più facile carcerazione
dell'immigrato, anche per il solo fatto di essere irregolare, metterà più crudamente
in evidenza la drammatica condizione, già ora in atto, degli extracomunitari
detenuti, penalizzati in vario modo a confronto dei detenuti italiani, ad esempio
per la mancanza di alternative al carcere, per le difficoltà di avvalersi di
una valida tutela legale, per le scarse opportunità di occupare il tempo e di
porsi in contatto con l'esterno.
7. Il diritto di asilo, a parte l'incongruità della sua trattazione
in calce alle norme sull'immigrazione, viene di fatto vanificato, proprio
l'anno successivo alla celebrazione del 50° Anniversario della Convenzione di
Ginevra, sottoscritta ora in pieno anche dall'Italia. Il tema è di tale importanza
che esige una più ampia, per quanto rapida, riflessione.
Il diritto d'asilo merita una disciplina completa in apposite norme e perciò
sarebbe necessario o un testo legislativo distinto dal disegno di legge sull'immigrazione
o una disciplina esaustiva all'interno del medesimo disegno di legge che è ora
all'esame del Parlamento. Infatti non si comprende come si possa racchiudere
in due soli articoli una materia di tanta gravità e complessità, sulla quale
era già stato approvato un disegno di legge dalla Camera il 7 marzo 2001 ed
era in ultima fase di approvazione anche al Senato. Questa materia per di più
è garantita, oltre che dal diritto internazionale e comunitario, dalla stessa
Costituzione italiana. Infatti l'art. 10, comma 3, prevede il diritto d'asilo
non soltanto ai rifugiati, cioè (come li definisce la Convenzione di Ginevra)
gli stranieri che temono a ragione di essere individualmente perseguitati, ma
anche a tutti coloro ai quali non sia altrove garantito l'effettivo esercizio
delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana e dunque anche
a chiunque sia costretto a lasciare il proprio Paese non perché è perseguitato
individualmente, ma perché è in pericolo la sua vita, la sua incolumità o libertà
a causa di guerre, conflitti civili, violazione generalizzata dei diritti fondamentali,
disordini gravi e generalizzati, carestie, calamità naturali, ecc.; situazioni
oggi sempre più frequenti e all'origine di esodi di massa.
Quanto al diritto comunitario, sono già approvate o in fase di approvazione
una serie di Direttive, dalle quali, contrariamente a quanto si afferma, molto
si scostano diverse norme del ddl e alle quali l'Italia dovrà adeguarsi entro
la fine del 2003. Perciò non sembra razionale che sull'asilo si introduca una
nuova disciplina, la quale non potrà entrare in vigore che ad anno molto inoltrato
nel 2002, quando cioè già sarà giunto il momento di una nuova modifica dell'ordinamento
italiano per adeguarsi alle norme comunitarie.
Né si dica che si tratta di norme transitorie e parziali in attesa di una legge
organica in materia, rese urgenti, come si legge nella presentazione del ddl,
"al fine di non consentire che tale istituto sia utilizzato impropriamente,
al solo scopo di procrastinare o di evitare un provvedimento di allontanamento
per irregolarità di soggiorno". Di fatto la nuova disciplina viene ad estendersi
alla totalità dei richiedenti asilo; che se è urgente porre rimedio in casi
particolari ad abusi, si provveda a contrastare gli abusi per altra via, senza
mettere mano a tutta la disciplina di asilo in modo ancora così inadeguato.
Ciò che più preoccupa nel d.d.l. è la "procedura semplificata" e "accelerata"
che porta a decisioni alle quali, se l'esito è negativo, segue l'espulsione
immediata, senza possibilità di ricorso con effetti sospensivi; in casi particolari
è previsto il ricorso, non al giudice ma al prefetto il cui responso è inappellabile.
Viene così vanificata l'essenza stessa del diritto di asilo che comporta sia
la possibilità di accedere a una seria procedura, sia l'esame da parte di un
organo che possa giudicare del caso con imparzialità e competenza, qualifiche
per le quali la Commissione, così come viene presentata nel d.d.l., non dà sufficienti
garanzie; questa infatti non è un'autorità "terza" rispetto a quella che ha
già rigettato la domanda e non ha di conseguenza una effettiva autonomia valutativa
e decisionale.
Come criterio minimo si chiede che non venga usato il medesimo rigore e la medesima
procedura per chi chiede asilo avendo già a suo carico un provvedimento di espulsione
e per chi è sorpreso e fermato alla frontiera (il richiedente asilo infatti
quasi per definizione è un "irregolare", non potendo approdare in Italia per
vie regolari e con carte in regola) e soprattutto per chi, regolare o meno,
si presenta spontaneamente alle forze dell'ordine per chiedere l'asilo.
Per un'effettiva tutela del diritto d'asilo sarebbe comunque del tutto inadeguata
ogni forma di ricorso gerarchico nei confronti dei provvedimenti di rigetto
adottati dalle commissioni territoriali; si richiede perciò che sia previsto
l'effetto sospensivo del ricorso giurisdizionale contro il rigetto. E' tuttavia
legittimo, anche per evitare abusi, che si prevedano sia termini brevissimi
per la presentazione dei ricorsi e per la decisione dei giudici, sia il trattenimento
del ricorrente nei centri di accoglienza.
E' altresì indispensabile che, anche in conformità alla riserva di giurisdizione
prevista dall'art. 13 della Costituzione, sia sottoposta alla convalida giurisdizionale
ogni forma limitativa della libertà personale dei richiedenti asilo, sia nel
caso di trattenimento nei centri di permanenza temporanea, sia nel caso di permanenza
all'interno degli speciali centri di accoglienza.7.
**********
Nella "Relazione illustrativa" che accompagnava la bozza del d.d.l. fatta circolare
ai primi di settembre, si legge: "Siamo certi che il fenomeno migratorio appartiene
al nostro presente e ancor più al nostro futuro… L'immigrazione è per l'Italia,oltre
che un'occasione per manifestare solidarietà a chi si trova in difficoltà, una
necesità per la sua sopravvivenza: è un fenomeno con il quale dobbiamo imparare
a convivere per molti e molti anni, essendo iscritta nel nostro futuro per almeno
due generazioni. Il problema dunque nonriguarda il se dell'immigrazione,
che è risolto dai fatti, ma il come, cioè la disciplina del fenomeno".
Parole nobili, che però più non figurano nella relazione che accompagna il testo
che è stato trasmesso al Segnato ed ora alla Camera. Si spera tuttavia che l'istanza
di solidarietà, di convivenza e di senso civico, espressa in queste parole,
rimanga in chi ora deve dire l'ultima parola sul disegno di legge e appaia nel
testo definitivo con maggiore trasparenza.
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Autorevoli prese di posizione di data recente
Il Presidente della CEI, il Cardinale Camillo Ruini, il 25 settembre 2001 in
apertura del Consiglio Episcopale Permanente, si era già espresso sul disegno
di legge in questi termini:
"Una questione aperta e assai delicata è quella delle normative che devono
regolare l'immigrazione, sulle quali il Governo ha da pochi giorni licenziato
un disegno di legge orientato in senso piuttosto restrittivo e già ora fortemente
discusso, in attesa del confronto nelle sedi istituzionali. Occorre in realtà
trovare un non facile punto di sintesi che contemperi da una parte le esigenze
di accoglienza - motivate dalla solidarietà umana e dalle stesse necessità della
nostra economia - e il rispetto dei diritti inalienabili delle persone e delle
famiglie, dall'altra i criteri di un efficace contrasto all'immigrazione clandestina
e della possibilità di una proficua integrazione nel nostro tessuto sociale.
Per la realizzazione di ciascuno di questi obietivi, non meno importante delle
normative è l'impegno concreto e coordinato dei vari organi della pubblica amministrazione,
mentre resta in ogni caso indispensabile e preziosa l'opera di solidarietà e
di volontariato, alla quale le comunità e organizzazioni ecclesiali hanno portato
e continueranno a portare tutto il loro contributo".
Nell'ultimo Consiglio Episcopale Permanente (11 marzo 2002) il Cardinale
è nuovamente intervenuto sull'argomento accentuando il suo giudizio critico
particolarmente su alcuni punti: "Alquanto problematiche appaiono… le norme
sull'immigrazione contenute del disegno di legge recentemente approvato dal
Senato e che deve ora passare all'esame della Camera dei Deputati. Non è facile,
indubbiamente, formulare una normativa che riesca a contemperare esigenze diverse
e anche contrastanti - da ultimo ce lo ha ricordato la tragedia al largo di
Lampedusa -. Esse vanno però comunque affrontate con spirito costruttivo e prestando
attenzione a tutti gli aspetti di una realtà molto complessa. In particolare,
risulta discutibile sia il collegare in modo troppo stretto e automatico il
permesso di soggiorno con il contratto di lavoro sia il limitare severamente
le possibilità dei ricongiungimenti familiari. Più in generale, la doverosa
tutela della legalità e il rispetto delle compatibilità nell'accoglienza degli
immigrati vanno perseguiti all'interno di un approccio solidale e personalistico,
per il quale, pur senza ignorare i pericoli, l'altro, anche quando viene da
lontano, è in primo luogo prossimo, e non avversario minaccioso".
Il Segretario Generale della CEI, Mons. Giuseppe Betori, il 19 marzo
scorso, in occasione della conferenza stampa in cui ha presentato il comunicato
finale del Consiglio Permanente, nel ribadire che i "tanti aspetti" del problema
dell'immigrazione vanno tenuti tutti presenti e che non possono essere separati,
ne ha messi in risalto tre: " (1) Il problema dei flussi immigratori ordinati
dalla legge, considerando che la nostra società ha bisogno della collaborazione
dei lavoratori stranieri. (2) Il problema dell'immigrazione clandestina,
che va combattuta con aiuti, politiche di intesa tra gli Stati, rispetto della
legalità. (3) Il terzo aspetto, che ci sta anche molto a cuore, è l'integrazione
degli immigrati". Va inoltre rilevato che il comunicato finale, che esprime
il consenso collegiale dei vescovi del Consiglio Permanente, enumera tra i punti
problematici del disegno di legge anche "il rispetto del diritto di asilo".
Merita rilievo anche l'intervento del Presidente della Repubblica Ciampi,
che il 19 marzo a Padova, in riferimento ai recenti sbarchi di massa, ha dichiarato
senza mezzi termini: "Nelle emergenze, come assistiamo in questi giorni,
lo spirito umanitario deve prevalere su ogni altra considerazione". Comunque,
anche a prescindere dalle varie emergenze, l'immigrazione "pone problemi,
ma appare indispensabile anche per riempire i vuoti della forza lavoro".
Allegato
ALCUNI SUGGERIMENTI CONCRETI DI MODIFICA DELL'ARTICOLATO
Le seguenti osservazioni con proposte di emendamento al disegno di legge
approvato in Senato vengono segnalate da Caritas Italiana e Fondazione Migrantes
quale risultato di un attento studio del testo condotto assieme ad esperti e
giuristi di loro fiducia
Art. 1 - Cooperazione con gli Stati stranieri
Comma 1 - E' apprezzabile quanto viene disposto per favorire le elargizioni
per iniziative umanitarie, ma per evitare elusioni e dispersioni delle donazioni
verso scopi non direttamente connessi con il fenomeno migratorio occorre che
si specifichi che le elargizioni devono essere finalizzate a finanziare iniziative
mirate alla progressiva riduzione dei fattori economici, sociali e politici
che inducono le persone ad emigrare o ad un positivo reinserimento in patria
degli stranieri emigrati in Italia.
Comma 2 - Altrettanto positiva è la valutazione per questo secondo comma,
tuttavia va rilevato che il d.d.l., qui come in numerose altre norme, non fa
che riproporre e ripetere quanto già contenuto nel vigente T. U. per il contrasto
dell'immigrazione clandestina. Si vedano in proposito gli articoli 2, 3, 19
del T. U.
Art. 2 - Comitato per il coordinamento e il monitoraggio
L'istituzione di un siffatto Comitato sembra non aver bisogno dell'introduzione
di un nuovo articolo nel T. U., essendo sufficiente il riferimento alla Legge
24 agosto 1988, n. 400, del resto richiamata nel corpo stresso della norma.
. Non si vede l'utilità della duplicazione normativa. Resta poi da verificare
se l'alto numero dei partecipanti ne favorisca l'efficacia.
Art. 3 - Politiche migratorie
E' opportuno il termine del 30 novembre per il decreto che determina le quote
per l'anno seguente ma, per evitare inutili slittamenti dovuti ad altre fasi
della procedura (parere di organi istituzionali, emanazione definitiva, registrazione
della Corte dei conti), sarebbe opportuno precisare che la data indicata si
riferisce alla definitiva pubblicazione del D.P.C.M.
Quanto ad eventuali ulteriori decreti o al provvedimento con cui si supplisce
alla mancata programmazione annuale, si dovrebbe precisare se e come il Presidente
del Consiglio acquisisce i pareri degli organismi di cui all'inizio dell'articolo.
Si osserva inoltre che la possibilità dell'emanazione di più decreti nell'arco
dell'anno è già prevista nell'attuale T. U.
Art. 5 - Permesso di soggiorno
In genere: l'articolo riproduce nella sostanza l'art. 5 del T.U.; la
stessa espressione "contratto di soggiorno" sembra, come s'è già detto, un'operazione
d'immagine, di scarsa concretezza ed efficacia, perchè già ora, in base all'art.
22, c. 8 del T.U., l'ingresso per motivi di lavoro richiede l'esistenza di un
contratto di lavoro stipulato in antecedenza con lo straniero, mentre per il
lavoratore autonomo l'art. 26 esige precise autorizzazioni e le capacità economiche
per svolgerlo.
Comma 3-ter: Si precisi per legge in base a quali criteri viene individuato
l'abuso, per non lasciare illimitata discrezionalità all'apparato amministrativo.
Comma 3-quater: E' opportuno conformarsi già fin d'ora alla prossima
normativa europea che stabilisce 3 anni la durata dei permessi di soggiorno
per lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Comma 4: l'anticipare a 60 o 90 giorni la richiesta del rinnovo per permesso
di soggiorno, ora fissato a 30, risulta un ulteriore ostacolo burocratico all'integrazione
dello straniero e riduce pesantemente il tempo a sua disposizione per trovarsi
un nuovo posto di lavoro in caso di disoccupazione.
Inoltre il dover ricorrere al questore della provincia di residenza anziché
a quello di attuale dimora porta allo straniero gravi complicazioni non solo
per gli inutili spostamenti ma pure per il fatto che l'iscrizione anagrafica
(che comporta la residenza) non è obbligatoria per lo straniero. Perciò si ritorni
al T.U.
Anche la durata del permesso rinnovato rimanga quella del T.U., cioè di norma
il doppio del primo permesso; non riconoscere questa progressività dei diritti
rafforza la precarietà, già molto accentuata, della condizione del lavoratore
migrante, oltre a comportare il complicarsi delle procedure burocratiche già
molto intasate, a danno del lavoratore e della stessa macchina amministrativa.
Valide le ultime due disposizioni dell'articolo: la prima in ordine al rilascio
di permessi e carte di soggiorno utilizzando mezzi a tecnologia avanzata anticontraffazione,
la seconda riguardante la tipizzazione del reato di falsificazione di detti
documenti.
Art. 6 - Contratto di soggiorno per lavoro subordinato.
Come già osservato, il "contratto di soggiorno" porta a una forte discriminazione
del lavoratore straniero nei confronti dell'italiano, in contrasto con lo spirito
e la lettera del dettato costituzionale e di convenzioni internazionali.
Va comunque soppresso l'impegno richiesto al datore di lavoro di pagare le spese
di viaggio, non serve certamente a incoraggiare le assunzioni regolari; o perlomeno
si precisi a chi spetti pagare queste spese nel caso che lo straniero abbia
lavorato alle dipendenze di più datori di lavoro.
C'è poi il rischio concreto che il lavoratore sia tenuto ad anticipare al datore
di lavoro le spese per un suo eventuale rientro.
Art. 7 - Circa il passaggio dal pds per studio a pds per lavoro
Si imporre al datore di lavoro, in linea con quanto stabilito per il contratto
di soggiorno, di garantire la sistemazione logistica e le spese per il rientro
in patria che per lo studente, che è in Italia probabilmente da diversi anni:
sembra una misura eccessivamente onerosa, la quale non tiene conto che lo studente,
per legge, deve già disporre di un minimo di mezzi economici e di alloggio.
Art. 8 - Sanzioni per l'ospitante o datore di lavoro per la mancata
comunicazione
Viene ripristinata la sanzione pecuniaria (dell'abrogato art. 147 T.U. delle
leggi di P.S.) se l'ospitante o il datore di lavoro non segnala l'ospite.
Quanto ai datori di lavoro si tratta di una duplicazione superflua della norma
già esistente nel T. U., perché essi sono già tenuti entro 5 giorni a segnalare
ai servizi per l'impiego lo straniero con cui hanno stipulato il contratto di
lavoro; sarebbe sufficiente la comunicazione di ufficio tra servizi per l'impiego
e questura.
Art. 9- Carta di soggiorno
Si propone di lasciare i 5 anni come tempo utile per ottenere la carta di soggiorno,
la quale è soggetta a diverse altri requisiti restrittivi. La proposta, contenuta
nella direttiva europea in fase di definizione e già avanzata anche dall'ANCI
non è stata recepita nel ddl, perché "non sarebbe in linea con l'indirizzo di
politica legislativa a cui è improntato l'intero provvedimento": una ragione
che non convince, anche perché in controtendenza con la direttiva europea in
elaborazione, che propone appunto 5 anni.
Inoltre sembrerebbe più logico che anche per il rilascio della carta di soggiorno
sia competente il neo-costituito Sportello unico per l'immigrazione e non più
la questura.
Art. 10 - Coordinamento dei controlli di frontiera
Il coordinamento dei controlli delle frontiere è già previstonell'attuale
art. 11 del T. U., mentre risulta essere opportuno il coordinamento tra autorità
italiane ed europee.
Art. 11 - Disposizioni contro le immigrazioni clandestine.
Le modifiche al TU, art. 12, possono ritenersi opportune, dopo che è stato
reintrodotto, al comma 3-ter, l'inasprimento anche riguardo ai minori da destinare
ad attività illecite.
Opportunamente viene introdotta la figura del reato di favoreggiamento all'ingresso
clandestino al fine di transito verso altro Stato: la norma però dovrebbe riguardare
non solo gli stranieri illegalmente presenti in Italia ma, in generale, tutti
gli stranieri.
N.B. Dovrà, qui o in altra parte, essere recepita la Direttiva del Consiglio
Europeo (approvata il 28 giugno 2001) che integra quanto stabilito da Schengen
sulle sanzioni nei confronti dei vettori che trasportano clandestini. In qualche
articolo si dovrà adeguare le nostre norme a queste innovazioni della normativa
comunitaria.
Art. 12 - Espulsione amministrativa
Viene modificata profondamente la disciplina dei provvedimenti amministrativi
di espulsione previsti dall'art. 13 del T.U.
In genere e specialmente in rif. al comma 4: si riconferma la contrarietà
per l'espulsione amministrativa immediata e generalizzata, salvo una sola rara
eccezione riguardante lo straniero già regolarmente presente sul territorio
ed il cui p. d. s. sia scaduto di validità da più di 60 giorni e non ne sia
stato richiesto il rinnovo). Perciò al comma 4 si deve affermare che il provvedimento
richiede la previa convalida da parte dell'autorità giudiziaria". Infatti l'espulsione
coatta, come conferma la Corte costituzionale (n. 105/2001), è limitativa della
libertà personale, per cui non basta un decreto del prefetto, deve intervenire
un decreto del giudice. Perciò al comma 4 va fatta l'aggiunta: "Previa convalida
da parte del giudice".
NB: Il provvedimento è certamente di grande effetto sulla gente comune,
ma si deve porre fortemente in dubbio che dal provvedimento repressivo essa
venga maggiormente rassicurata e tranquillizzata: anzi la "caccia sistematica
al clandestino", l'espulsione o l'imprigionamento di massa - così almeno secondo
il dettato della legge, anche se in pratica ciò non può avvenire - non può che
destare maggiore allarme ed agitazione non soltanto tra gli immigrati. Inoltre,
per dare effettiva esecuzione al provvedimento, un esorbitante contingente di
forze dell'ordine verrebbe assorbito nel fare il pendolare tra le questure,
i campi di permanenza, le frontiere e i Paesi di destinazione degli espellendi,
con conseguente sottrazione di forze al controllo del territorio e incalcolabile
dispendio economico. Il controllo del territorio è certamente un'esigenza prioritaria
a confronto dell'esecuzione coatta dell'espulsione.
Nuovo comma 3 più comma 3-sexties: così come formulati vengono a privilegiare
il clandestino imputato di reati di media gravità (furto, ecc) al cittadino
italiano e allo straniero con carta di soggiorno: per questi infatti, rei di
tali reati, è previsto il carcere, per clandestino invece l'espulsione e non
il carcere. Non giustifica questa disparità di trattamento la preoccupazione
dello sfoltimento penitenziario.
Comma 4: L'art. 1 del Prot. N. 7 della Convenzione europea sui diritti
dell'uomo (22 nov. 1984), ratificata e resa esecutiva in Italia con legge n.
98/1990, impone di lasciare agli stranieri già regolarmente soggiornanti un
termine per potersi difendere contro l'espulsione, prima che questa sia eseguita.
Perciò il "beneficio" previsto dal comma (intimazione a lasciare l'Italia entro
15 giorni) deve riguardare tutti costoro e non soltanto coloro il cui permesso
di soggiorno è scaduto da oltre 60 giorni.
Comma 14: Per il rientro dell'espulso va ripristinato il termine di cinque
anni o una durata da proporzionare alla gravità del motivo di espulsione. Inoltre
l'eventuale riduzione della durata del divieto di rientro deve restare di competenza
non del prefetto, ma del giudice su richiesta dell'interessato, per evitare
una eccessiva discrezionalità del potere amministrativo.
Art. 13 - Esecuzione dell'espulsione
Comma 5: nella totalità dei casi se non sono stati sufficienti 20 o 30
giorni di trattenimento, non lo saranno nemmeno 60. Questo prolungamento, lesivo
della libertà personale, non pare dunque sufficientemente giustificato.
Comma 5-ter: Tra i "giustificati" motivi che esimono dalla incriminazione
di reato, che comporta l'arresto da sei mesi a un anno, dovrebbero annoverarsi
i motivi non dolosi, cioè quelli che hanno obiettivamente impedito allo straniero
di uscire dall'Italia, indipendente mente dalla sua volontà., e tra questi -
come già detto - anche la mancanza di mezzi economici per affrontare il viaggio
di rientro.
Comma 5-quater e 5-quinquies: si è contrari per principio alle
due sanzioni detentive così come formulate. Dal punto di vista pratico tali
sanzioni, benché in pratica inapplicabili perché potrebbero congestionare al
di là di ogni limite sopportabile le carceri, avrebbero l'effetto deleterio
di confermare l'opinione pubblica che l'Italia è infestata da criminali in stato
di libera circolazione.
Infine nel nuovo comma 2 l'apposito finanziamento ivi menzionato è redatto secondo
una dizione inesatta che deve essere corretta, perché è evidente che i nuovi
centri di accoglienza di cui si intende finanziare la costruzione non sono i
centri di accoglienza che l'art. 40 T.U. riserva agli stranieri regolarmente
soggiornanti, bensì i centri di permanenza temporanea e assistenza in cui gli
stranieri espellendi sono trattenuti ai sensi dell'art. 14 T.U.
Art. 15 - Espulsione a titolo di sanzione sostitutiva
Questa misura alternativa alla detenzione è una nuova figura di espulsione.
Il magistrato di sorveglianza può infatti disporla nei confronti dello straniero
identificato, non cioè nei confronti del sedicente, che è presente irregolarmente
sul territorio e che deve scontare una pena detentiva, anche residua, non superiore
ai due anni.
In genere: norma opportuna, ma dovrebbe essere detto espressamente che
tale espulsione non è applicabile agli stranieri che si trovino nelle condizioni
per le quali è previsto il divieto di espulsione (cfr. art. 19 T.U.).
Art. 17 - Lavoro subordinato e autonomo
In genere: L'articolo sembra contrastare in diversi punti con le progettate
norme comunitarie (COM (2001) 386 dell'11 luglio 2001); necessita l'adeguamento.
Inoltre le "novità" introdotte non sono di fatto novità, perché corrispondono
quasi in tutto all'art. 22 del T.U. Ci si limiti a enunciare le vere novità,
altrimenti non si fa che indurre a confusione.
Comma 3 - Venga tolta la lettera c), relativa all'impegno del datore
di lavoro a pagare le spese di ritorno del suo dipendente. Tale clausola era
già stata soppressa nel 1986. Essa - come si è già detto - è un onere eccessivo,
che irrigidisce il mercato di lavoro e incentiva l'irregolarità.
Comma 4 - Anche la direttiva europea introduce la verifica della indisponibilità,
ma c'è da domandarsi se nel caso italiano questa verifica non sia già contenuta
nel sistema di determinazione delle quote d'ingresso. Si tenga presente che
il criterio di verifica dell'indisponibilità in confronto a quello attuale della
programmazione vanifica la possibilità della chiamata nominativa, in quanto
il datore di lavoro si troverebbe costretto all'assunzione del lavoratore che
viene avviato al lavoro dai centri per l'impiego, secondo non lo specifico nominativo,
ma secondo una graduatoria. Si torna in definitiva al sistema in vigore fino
all'introduzione della Legge n. 40/98, con tutte le evidenti disfunzioni che
aveva determinato.
Comma 11 - In caso di perdita del lavoro, si lasci ad un anno e non si
riduca a 6 mesi il tempo a disposizione del lavoratore per cercare altro lavoro
e frequentare corsi professionali. E' un termine estremamente ridotto.
Comma 12 - Non si scarichi sul datore di lavoro il controllo se il permesso
di soggiorno del suo dipendente sia scaduto, revocato o annullato.
Comma 13 - Non venga soppressa la facoltà ora vigente per il lavoratore
che rientra in patria di riavere indietro i contributi previdenziali versati
in suo favore, maggiorati del 5% annuo. Tale facoltà è invece prevista nella
proposta di direttiva comunitaria. Sembra inoltre contrastare con l'art. 3 Cost.
a pretesa dello Stato di incamerare i contributi di chi deve rientrare in Patria
prima di aver i requisiti per la pensione di anzianità o di vecchiaia o di invalidità.
Art. 18 - Prestazione di garanzia per l'accesso al lavoro
Rimanga l'art. 23 del T. U. sulla possibilità della sponsorizzazione,
come già proposto; in alternativa prevedere un visto di ingresso per ricerca
di lavoro di minore durata ( ad es. pari a novanta giorni), ferme restando le
condizioni di garanzia.
In via subordinata si richiede che la garanzia sia ancora prevista per i garanti
residenti nelle zone in cui il tasso di disoccupazione è inferiore alla media
nazionale e/o per quei lavoratori che abbiano positivamente frequentato quei
corsi di formazione all'estero.
Positivo nel d.d.l. è prevedere titoli preferenziali a stranieri che abbiano
frequentato attività di istruzione e formazione nei paesi di origine, promosse
da istituzioni ed enti italiani. La sua positività resta tale quando si tratti
di un criterio ulteriore ma non sostitutivo della chiamata in garanzia.
Art. 19 - Lavoro stagionale
Resta pressoché immutato, salvo adeguamenti in linea al d. d. l. (lo sportello
unico). Quanto al ricorso alla previa consultazione delle liste di collocamento,
pare irrealizzabile particolarmente nel caso dell'immigrazione stagionale.
Art. 20 - Ingresso e soggiorno per lavoro autonomo
Disposizione opportuna, ma non sembra vada riferita soltanto ai lavoratori autonomi,
bensì a tutti gli stranieri. Inoltre dovrebbe colpire anche coloro che, cittadini
italiani compresi, forniscono merce contraffatta.
In ogni caso occorre precisare se l'espulsione ivi prevista è disposta a titolo
di misura di sicurezza ovvero a titolo di provvedimento amministrativo.
Art. 21 - Attività sportive
Non si comprende la ratio della norma, visto che attualmente il Ministero
competente ha già facoltà di intervenire determinando il limite massimo di ingressi
per attività sportive.
Art. 22 - Ricongiungimento familiare
Si lasci inalterato il dispositivo della vigente norma del T. U., perché - come
già detto - le abrogazioni previste mortificano il diritto all'unità familiare.
In ogni caso appare indispensabile prevedere che:
l'obbligo di esibire la documentazione tradotta e legalizzata circa i rapporti
di parentela resti in favore dei consolati italiani all'estero al momento della
richiesta del visto di ingresso per ricongiungimento familiare e non sia anticipato
al momento della richiesta di nulla-osta al ricongiungimento;
si introduca nell'art. 31 T.U. una norma sui minori non accompagnati, in base
alla proposta dell'Associazione Save the children e fatta propria anche
da Caritas e Migrantesche. La proposta è così formulata: " Al minore straniero
comunque presente nel territorio dello Stato, al quale non possa essere rilasciato
altro permesso di soggiorno previsto dal presente Testo Unico, è rilasciato
un permesso di soggiorno per minore età. Il permesso di soggiorno per minore
età è equiparato al permesso di soggiorno per motivi familiari limitatamente
a quanto disposto dall'articolo 30, commi 2 e 5 e dall'articolo 34, comma 1".
Art. 24 Centri di accoglienza e accesso all'abitazione
Tutta la norma appare inopportuna perché potrebbe scaricare sui privati e soprattutto
sul privato sociale gli oneri dell'alloggio degli stranieri regolarmente soggiornanti;
verrebbe a precarizzare ulteriormente lo straniero che perde il lavoro regolare
(oltre che licenziato dovrebbe abbandonare la casa) e creare tensioni nelle
città in cui il numero degli alloggi di edilizia residenziale pubblica assegnati
a cittadini extracomunitari è a volte già oggi superiore al 5%
Perciò si mantenga parità di trattamento col cittadino italiano, a mente dello
stesso d.d.l. che conserva intatto l'articolo 2 del T. U. dove al comma 3 si
dice: "La Repubblica Italiana, in attuazione della convenzione OIL n. 143… garantisce
a tutti i lavoratori stranieri regolarmente soggiornanti nel suo territorio
e alle loro famiglie parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto
ai lavoratori italiani"
Si suggerisce pertanto che il bando di concorso per accesso ad alloggi di edilizia
popolare, più che attribuire percentuali, contenga criteri di equilibrio territoriale
con attenzione alle fasce deboli dei cittadini. Il provvedimento dovrà escludere
effetti retroattivi.
Inoltre non è opportuna né giustificata la limitazione del potere del sindaco,
che in caso di emergenza non può provvedere all'alloggio di stranieri clandestini
o irregolari.
Art. 26 - Matrimoni contratti per eludere le norme sull'ingresso
e sul soggiorno dello straniero.
L'ingerenza dello Stato in tale materia deve essere effettuata con la massima
cautela per non incorrere in violazione del diritto di formare una famiglia,
garantito a tutti dagli artt. 29, 30, 31 e dalle norme internazionali (cfr.
art. 12 Convenzione europea dei diritti dell'uomo). Questo bene costituzionalmente
tutelato non va affidato alla gestione dell'autorità di pubblica sicurezza,
ma agli ufficiali di stato civile e agli uffici del pubblico ministero che a
norma di legge sovraintendono a tutta la materia matrimoniale.
L'accertamento va fatto prima del matrimonio, ad ogni modo va sottratta ogni
competenza di intervento, circa il permesso di soggiorno, all'autorità amministrativa.
Artt. 27 e 28 - Disposizioni in materia di asilo
Si ribadisce che i due articoli vengono di fatto a vanificare il diritto di
asilo.
Perciò in prima istanza si chiede che venga stralciata tutta questa materia
sull'asilo, rinviandola ad apposito disegno di legge sintonizzato con la Costituzione
e le Direttive comunitarie già approvate o di prossima approvazione.
In seconda istanza, si propone di riscrivere l'intero articolato tenendo
conto delle osservazioni critiche e delle proposte sopra presentate.
Tra i più rilevanti emendamenti all'art. 28, riteniamo i seguenti:
Art. 1-bis/comma 1 e comma 4: In attuazione dell'art. 13 Cost. è indispensabile
che ogni forma di permanenza o di trattenimento anche negli appositi centri
per richiedenti asilo deve essere sottoposta a convalida giurisdizionale prevista
all'art. 14 del TU.
Art. 1-bis/comma 2, a) - Sia riformulata la parte finale "o, comunque
in condizioni di soggiorno irregolare", per non mettere alla stressa stregua
chi viene fermato dalle forze dell'ordine e portato in questura, da chi si presenta
spontaneamente alle forze dell'ordine o alla questura.
Art. 1-ter/comma 6 - Al fine di garantire effettività al diritto d'asilo
è indispensabile che in caso di rigetto della domanda di riconoscimento dello
status di rifugiato si preveda:
l'effetto sospensivo del ricorso giurisdizionale o almeno che venga attribuita
al giudice e non prefetto la decisione sulla sospensione dell'allontanamento;
il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari che consenta l'accesso
al lavoro allo straniero che pur non essendo perseguitato individualmente proviene
da un Paese in cui non gli è garantito l'effettivo esercizio delle libertà democratiche
garantite dalla Costituzione italiana, p. es. in presenza del pericolo concreto
ed attuale di subire un pregiudizio grave ed irreparabile alla propria vita,
sicurezza, incolumità, libertà a causa di guerre, guerre civili, violazioni
generalizzate dei diritti fondamentali, turbamenti generalizzati dell'ordine
pubblico.
Art.1-quater: è indispensabile introdurre una serie di precise garanzie
nell'esame delle domande di asilo:
- le singole commissioni territoriali possano operare in piena indipendenza
al pari degli organi giudiziari;
- i membri delle singole commissioni territoriali abbiano competenze in materia
di diritto internazionale, di diritto europeo e di diritti umani;
- le decisioni adottate dalle singole commissioni territoriali siano comunicate
all'interessato anche con una traduzione integrale dell'atto in una lingua a
lui conosciuta;
- la composizione delle commissioni territoriali soddisfino i principi di imparzialità
ed indipendenza e perciò si preveda che l'ACNUR, di cui è prevista la presenza,
possa scegliere, qualora fosse necessario, altro organismo o associazione a
rappresentarlo e che il funzionario della Polizia di Stato sia sostituito da
un esperto in materia di diritti civili e diritti umani fondamentali con diritto
di voto;
- alle audizioni del richiedente asilo davanti alla commissione territoriale
sia presente un mediatore linguistico-culturale e possa partecipare anche un
avvocato di fiducia del richiedente asilo;
- le decisioni delle commissioni territoriali siano prese tenendo in considerazione
gli atti adottati da ACNUR, nonché le disposizioni internazionali ed europee
attinenti alla tutela dei diritti umani fondamentali e ai criteri relativi alle
procedura per il riconoscimento dello status di rifugiato.
- Le singole commissioni territoriali, al termine di ogni anno di funzionamento,
rendano pubblici i risultati delle loro attività, relativamente al numero e
all'esito delle domande esaminate, secondo il principio della trasparenza.
Art. 29 - Dichiarazione di emersione di lavoro irregolare
Benché in linea di principio non si sia favorevoli alle frequenti sanatorie
perché in se stesse sono un "vulnus legis", tuttavia nel contesto attuale si
ritiene la regolarizzazione, inserita dal Senato nel disegno di legge, opportuna
se non addirittura indispensabile per molteplici ragioni:
realisticamente si deve prendere atto che un'espulsione di massa di qualche
centinaia di migliaia di stranieri è assurda e contro il diritto internazionale;
la stagnazione troppo prolungata in condizioni di clandestinità è nociva non
meno per la società italiana che per gli stranieri;
le sacche di clandestinità alimentano di fatto anche le varie forme di devianza;
gli ingressi clandestini come pure il ritorno in condizione di irregolarità
è dovuto molto più a disfunzioni, inadempienze o trasgressioni delle nostre
pubbliche amministrazioni o dei privati cittadini che alla calcolata decisione
degli immigrati stessi.
Tuttavia in concreto il provvedimento di regolarizzazione come approvato dal
Senato va rivisto e modificato tenendo conto almeno di questi tre elementi:
la regolarizzazione deve essere certo circoscritta da chiare condizioni e limitazioni,
ma il rispetto del principio di uguaglianza impone che essa sia adottata non
in favore di una sola categoria di stranieri, ossia degli addetti alla collaborazione
familiare e alla cura delle persone, ma di tutti coloro che stiano svolgendo
un'attività lavorativa da far emergere dal sommerso;
si deve espressamente prevedere che il permesso di soggiorno da rilasciarsi
allo straniero regolarizzato è "per lavoro subordinato", il che darebbe allo
straniero uno status identico a quello egli altri lavoratori stranieri, incluso
il diritto di cercarsi un altro posto di lavoro in caso di cessazione del rapporto
di lavoro; in mancanza di questa specificazione il lavoratore regolarizzato
sarebbe costretto ad una sorta di inaccettabile schiavitù legale, alle dipendenze
del medesimo datore di lavoro e soggetto ai suoi voleri;
per evitare arbitri di varia natura deve essere espressamente previsto se il
rapporto di lavoro in atto, che dà titolo alla regolarizzazione, è a tempo indeterminato
o determinato, a tempo pieno o a tempo parziale.
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