TUTTO il mondo guarda alla storia di Terri Schiavo con
trepidazione e commozione e la maggior parte la vive come un nuovo, clamoroso,
esempio di eutanasia: un´altra occasione dunque per scatenare il dibattito
etico, filosofico, giuridico, e ora anche politico, sulla questione se
sia giusto o no appoggiare il principio della buona morte.
Lo stato vegetativo in cui si trova Terri Schiavo è una situazione intermedia
tra la vita e la morte che divide i medici Ma l´eutanasia è un´altra cosa
In Florida un caso limite dal punto di vista della scienza
- la scienza: C´è accordo nel dire che c´è morte quando le funzioni cerebrali
sono irreversibilmente compromesse
- la "dolce morte": Eutanasia significa assecondare la libera volontà
espressa da un malato di porre fine alla sua esistenza.
Ma sul piano della scienza e della medicina c´è un equivoco che mi vedo
costretto a sottolineare, nonostante segua anch´io con grande angoscia
la vicenda americana.
Quello di Terri non è un caso di eutanasia. Sull´onda emotiva, sollevata
dal fatto di cronaca ma anche dal rincorrersi delle dichiarazioni dei
"grandi della terra", pochi hanno pensato di ascoltare e riportare attentamente
la voce della scienza. E la scienza ci dice che eutanasia significa assecondare
la libera volontà espressa da un malato di porre fine alla sua esistenza
quando si verifichino alcune condizioni che la rendono insopportabile.
Si tratta dunque della massima espressione del diritto dell´individuo
all´autodeterminazione e alla libertà di pensiero circa la propria vita
e la propria morte. E´ ovvio che nel caso di Terri questo diritto non
può purtroppo essere esercitato. E dunque la questione si deve spostare
dall´eutanasia a quella, forse ancor più complessa, della fine della vita.
Dal punto di vista scientifico oggi c´è accordo nel decretare che la morte
di una persona avviene quando, le sue funzioni cerebrali sono irreversibilmente
compromesse. Tant´è che in questo caso è consentito il prelievo degli
organi dalla legislazione italiana.
Esistono però delle situazioni intermedie fra la vita e la morte, come
quella dello stato vegetativo permanente di Terri, in cui sono compromesse
solo le funzioni superiori che consentono la vita di relazione. Il problema
diventa pertanto quello di decidere fino a che punto le terapie messe
in atto per mantenere questo stato di vita puramente vegetativa, sono
da considerarsi una forma di accanimento terapeutico o no. È una problematica
complessa e delicata che, quand´ero ministro della Sanità, ho affidato
al parere di una commissione di esperti, medici e giuristi che preparò
nel 2001 un documento che ha fornito conclusioni molto significative.
Il testo finale di quel documento afferma che lo stato vegetativo permanente
deve essere accertato da una commissione medica, sulla base di una osservazione
prolungata, per il tempo necessario secondo gli standard scientifici riconosciuti
a livello internazionale.
L´idratazione e la nutrizione artificiali degli individui in stato vegetativo
permanente possono essere interrotte solo dopo che la commissione medica
abbia accertato la condizione di irreversibilità. Su ogni proposta di
sospensione dell´idratazione e della nutrizione artificiali degli individui
in stato vegetativo permanente la commissione medica deve esprimere il
suo parere: deve essere infine rispettata la procedura di autorizzazione
del tutore secondo le norme vigenti per gli atti di straordinaria amministrazione.
Il valore del documento non è solo tecnico. È un esempio concreto di come,
al di là della comprensibile emozione, e soprattutto al di là della babilonia
comunicativa e della sua facile strumentalizzazione, il rigore del pensiero
razionale scientifico può, e io credo deve, indicare dei percorsi, chiarire
il significato delle parole e aiutare la società a capire ed affrontare
le situazioni anche più drammatiche come la fine della vita. Anche quella
di Terri Schiavo.