NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA
IN CAMMINO - Numero 378 del 27 febbraio 2008
Maria Grazia Giannichedda. Elettroshock
e dintorni
"Il manifesto" del 23 febbraio 2008, col titolo "Elettroshock:
tigre di carta. Pensiamo alla psichiatria oggi".
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"Favorire l'istituzione nei Servizi psichiatrici di diagnosi e cura
(Spdc) degli ospedali pubblici, di almeno un servizio di elettroshock
per ogni milione di abitanti": questa la richiesta indirizzata al
ministero della salute da parte dell'Associazione italiana per le terapie
elettroconvulsivanti (Aitec) che cerca, in questi giorni, la firma della
Societa' italiana di psicopatologia che tiene a Roma il suo XII Congresso.
La petizione lamenta che in Italia il servizio sanitario nazionale fornisce
questa prestazione solo in sei Spdc e in tre cliniche convenzionate, lasciando
immaginare strutture oberate di lavoro per evadere una domanda che dovrebbe
essere enorme, se si richiede l'istituzione di una quarantina di centri
pubblici. Ma l'Aitec non fornisce alcun dato sulle persone che in Italia
richiedono l'elettroshock, e non hanno avuto la curiosita' di cercarlo
neppure i giornali che in questi giorni hanno diffuso, con toni per lo
piu' critici, la petizione degli psichiatri e il loro lamento sull'ostracismo
di cui sarebbero vittime. Qualche cifra e' invece assai
utile per capire il significato e il peso di questa proposta.
Il piu' importante tra i centri italiani che praticano l'elettroshock
e' la Clinica psichiatrica dell'Universita' di Pisa diretta da Giovanni
Battista Cassano. Stando ai dati dell'Osservatorio regionale, negli ultimi
anni la clinica ha effettuato cicli di elettroshock su un centinaio di
persone all'anno, con una evidente tendenza al decremento - da 170 persone
nel 2001 a 86 nel 2006 - e una costante: circa un terzo delle persone
provengono dalla Toscana. Difficile credere che questi dati siano l'evidenza
di un ostracismo contro l'universita' di Pisa: Cassano gode di prestigio
scientifico e popolarita' mediatica e ha una forte egemonia culturale
nella
psichiatria della sua regione, la cui normativa in questo campo e' tutt'altro
che repressiva. La Toscana vieta infatti l'uso dell'elettroshock solo
sui minori e sugli ultrasessantacinquenni, limitandosi a monitorare il
suo uso e a prescrivere procedure per il consenso informato dei pazienti.
Cosa significa allora il fatto che si facciano cosi' pochi elettroshock
nel centro che vanta il maggior credito internazionale? Significa, innanzi
tutto, che l'equipe di Pisa applica correttamente l'elettroshock solo
su quella ristretta nicchia di situazioni patologiche sulle quali questa
tecnica e' ritenuta efficace da coloro che la sostengono (in questo caso,
pero', davvero non si capisce perche' chiedere che venga quadruplicato
il numero dei centri pubblici per l'elettroshock). C'e' poi un secondo
elemento influente, il processo di riforma della psichiatria avviato in
Italia oltre quarant'anni fa, che ha prodotto nei servizi pubblici, pur
tra limiti
enormi, un'offerta ampia di tecniche terapeutiche, e ha tolto di mezzo
quell'ospedale psichiatrico che per mezzo secolo e' stato sede di sperimentazione
e applicazione massiva dell'elettroshock. La petizione dell'Aitec e' in
questo senso illuminante. Vengono infatti citati come buoni esempi paesi
europei che hanno, insieme, un gran numero di centri di
elettroshock e di ospedali psichiatrici: dall'Ungheria alla Finlandia,
dove esistono solo ospedali psichiatrici, alla Germania e Inghilterra,
dove i servizi comunitari sono sempre piu' impoveriti nelle risorse dalla
prevalenza della psichiatria manicomiale.
Questo e' il punto centrale, il legame profondo tra elettroshock e cultura
manicomiale. Se occorressero prove ulteriori di tale connessione e dei
danni che possono derivarne, queste vengono da un fatto di questi giorni.
Il 18 febbraio sono stati rinviati a giudizio il direttore e una psichiatra
del Spdc di Cagliari per la morte per embolia di un uomo di cinquant'anni,
che
l'anno scorso era rimasto legato al letto, senza interruzione, per un'intera
settimana. Quel reparto e' uno dei nove centri in cui si pratica l'elettroshock,
e la psichiatra imputata fa riferimento, come altri suoi colleghi di reparto,
al Centro Bini di Roma, fondato e diretto da Athanasios Koukopoulos, che
e' il promotore della petizione citata all'inizio.
Due conclusioni allora. La prima: per ora, almeno in Italia, i dati sul
suo uso dimostrano che l'elettroshock e' una tigre di carta. Si rischia
di attribuirgli un peso che non ha, se si accetta di dar fiato al dibattito
ideologico con cui l'Aitec cerca di uscire dall'angolo in cui si trova
confinata. Ma il fatto di Cagliari obbliga a un'altra riflessione. Pratiche
come la contenzione fisica, le porte chiuse, l'uso degli psicofarmaci
come camicia di forza chimica, con danni biologici e culturali non minori
di quelli dell'elettroshock, fanno parte dell'armamentario sedicente terapeutico
di molti psichiatri e servizi che non difendono ne' usano l'elettroshock,
e che magari si apprestano a celebrare, il prossimo 13 maggio, il trentennale
di una legge di riforma di cui smentiscono quotidianamente lo spirito
e la lettera. Di questo, e non dell'elettroshock conviene parlare, domandandosi
come mai sia cosi' lento, sporadico e
precario il processo di trasformazione della psichiatria che pure in Italia
ha messo radici piu' che altrove e ha mostrato i suoi esiti positivi,
tra i quali il basso ricorso all'elettroshock. Conviene interrogarsi sulle
azioni e le omissioni del variegato mondo degli psichiatri e sulle responsabilita'
della politica, a livello regionale e nazionale. In questi giorni la ministra
della salute Turco si appresta a consegnare alle Regioni le "linee
strategiche per la salute mentale", uno sconfortante documento di
quaranta pagine, fitto di indicazioni amministrative che le regioni hanno
il potere di ignorare e del tutto privo di accenni sulle priorita', sui
punti dolenti
dei servizi e sulla qualita' delle prestazioni, ambiti che invece sono
i soli su cui il ministero potrebbe agire con una qualche speranza di
efficacia. Anche su questo governo senza qualita' converra' ritornare,
nei prossimi inevitabili dibattiti sul trentennale della "180".
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