Un appello ai parlamentari europei
sul diritto di vivere in famiglia*
Tale diritto è compromesso dalla nuova direttiva approvata a Bruxelles il
28 febbraio
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GENOVA (Migranti-press) - Migranti Press n.10 ha già riferito sulla direttiva
riguardante il ricongiungimento familiare, approvata dal Consiglio dei Ministri
della Giustizia e degli Affari Interni nella riunione di Bruxelles del 27-28
febbraio 2003. Il Coordinamento Europeo per il diritto di vivere il Famiglia,
di cui è presidente Germano Garatto di Genova, in data 9 marzo ha inviato su
questa direttiva ai parlamentari europei il documento qui sotto riportato, dove
si ricalcano le critiche espresse dal Coordinamento nel comunicato del 1° marzo,
dove si esprimeva anche la delusione per la decisione presa dal Consiglio dei
Ministri prima del parere del Parlamento Europeo.
Viene chiesto anche alla Migrantes, che è membro del Coordinamento, di dare
la massima pubblicità a questo testo, che va contro alcuni principi fondamentali
della Conversione europea sui diritti umani e le libertà fondamentali e della
Convenzione internazionale sui diritti dei minori.
Ricongiungimento familiare: una direttiva contro il diritto di vivere in
famiglia
Il Consiglio dei Ministri dell'Unione Europea per la Giustizia e gli Affari
Interni, riunito il 27 e il 28 febbraio, ha "definito un approccio generale"
riguardante la direttiva sul diritto al ricongiungimento familiare.
Il Coordinamento europeo per i diritto degli stranieri a vivere in famiglia
aveva sostenuto la versione iniziale di questa direttiva, presentata sotto forma
di proposta nel dicembre 1999 dalla Commissione europea. Quel testo ha subito
da allora, sotto la pressione degli Stati membri, modifiche talmente sostanziali
che il Coordinamento, venuto a conoscenza della terza versione della proposta
di direttiva resa pubblica dalla Commissione il 2 maggio 2002, vi aveva visto
"un passo indietro inquietante" e aveva lanciato un appello per denunciare lo
spirito generale.
Il testo sul quale si è raggiunto un accordo il 28 febbraio è doppiamente criticabile:
nella sostanza, come vedremo, ma anche nella forma, perché il Consiglio adottandolo,
ha operato una forzatura istituzionale, dato che era previsto che il Parlamento
europeo esaminasse prima della fine del mese di marzo il progetto di rapporto
sulla proposta di direttiva, preparato dalla Commissione della Libertà e dei
Diritti dei8 Cittadini, della Giustizia e degli Affari interni.
Del resto approvato il 28 febbraio, di cui nel settembre 2002 un'analisi della
versione precedente, possiamo evidenziare i seguenti punti:
vengono esclusi dal campo di applicazione del diritto a farsi raggiungere dalla
loro famiglia le persone che beneficiano, in uno Stato membro, dello statuto
di protezione temporanea o dello stato di protezione sussidiaria, come pure
gli stranieri che non potranno provare di avere "una prospettiva fondata di
ottenere un diritto di soggiorno durevole",
il ricongiungimento è limitato al coniuge e ai figli minori a carico; questo
principio è inficiato da due gravi accomodamenti: gli Stati membri, dove la
legislazione nazionale esistente prima dell'entrata in vigore della direttiva
lo prevedesse, possono subordinare il ricongiungimento dei figli minori di oltre
12 anni di età, venuti soli, ad una condizione di integrazione. Inoltre, gli
Stati membri possono, se la loro legislazione alla data dell'entrata in vigore
della direttiva lo prevede, rifiutare l'ammissione di minori con più di 15 anni
di età.
La direttiva non prevede il diritto al ricongiungimento familiare per gli altri
membri della famiglia (parter non sposati che possono provare una relazione
durevole, i figli del richiedente o del suo coniuge avuti con altro genitore
che abbia dato il suo consenso, i genitori a carico, i figli maggiorenni non
sposati e incapaci), tuttavia precisa che gli Stati membri "possono" accordare
loro il soggiorno in questo quadro;
gli Stati membri possono esigere che i coniugi richiedente e ricongiunto) abbiano
almeno 21 anni di età;
la durata dell'esame della procedura, limitata in linea di massima a nove mesi,
può essere estesa in caso di complessità (ma questa nozione non viene precisata);
tale prolungamento dei tempi non ha limiti, mentre nella versione precedente
si diceva che non che non può andare oltre un anno;
il ricongiungimento familiare può essere rifiutato per ragioni di ordine pubblico
o di sicurezza interna. E' scomparsa nella nuova versione l'indicazione che
queste ragioni devono essere fondate sul "comportamento personale" dei membri
della famiglia, ma precisa che le ragioni possono essere giustificate non solo
da atti commessi dal membro della famiglia, ma anche dai pericoli che esso rappresenta;
il tempo di attesa per poter chiedere il ricongiungimento familiare è di due
anni, ma può essere portato a tre anni in quegli Stati membri la cui legislazione
sul ricongiungimento familiare, in vigore alla data di adozione della direttiva,
tenga conto della capacità di accoglienza del paese;
oltre alle condizioni di risorse e di abitazione poste al richiedente, si aggiunge
una disposizione che permette agli Stati membri di esigere che gli stranieri
interessati dal ricongiungimento si sottopongano a programmi di integrazione;
mentre il testo precedente prevedeva che il titolo di soggiorno concesso ai
ricongiunti dovesse avere la stessa durata di quello del richiedente, ora la
direttiva ne fissa la durata ad "almeno un anno";
l'accesso al lavoro dei membri della famiglia ricongiunti (coniugi) può essere
proibito fino ad un anno dall'arrivo;
i coniugi e i figli ricongiunti possono acquisire uno statuto indipendente da
quello del richiedente solo dopo cinque anni. E comunque, per gli ascendenti
e i figli maggiorenni, eventualmente ammessi a titolo di ricongiungimento familiare,
ciò non è mai automatico anche dopo questo periodo;
parecchie sono le circostanze in cui il diritto di soggiorno dei membri della
famiglia può essere rimesso in discussione e quindi non rinnovato; in particolare,
se chi ha richiesto il ricongiungimento avesse una relazione stabile con un'altra
persona, oppure se si accerta che il matrimonio, la relazione con il partner
o l'adozione sono fittizi (a questo proposito, il testo chiede un occhio di
riguardo nel caso che tali rapporti siano contratti dopo che la persona ricongiunta
abbia ottenuto il diritto di soggiorno!);
i ricorsi contro la decisione di rifiuto di ricongiungimento familiare sono
estremamente ridotti, dato che la direttiva si accontenta di prevedere che gli
stranieri interessati possono ricorrere per vie giuridiche, secondo le modalità
fissate dalle legislazioni degli Stati membri;
infine, nei casi in cui il richiedente sia un rifugiato riconosciuto, il dispositivo
di ricongiungimento familiare previsto dalla direttiva viene molto alleggerito;
tuttavia, notiamo che anche in questo caso la direttiva ha introdotto alcune
restrizioni rispetto alle versioni anteriori del testo.
Con questa direttiva, il Consiglio dell'Unione europea pone il sigillo alla
rottura con gli impegni che aveva preso al Consiglio europeo di Tampere del
1999, dove affermava di volere "stabilire un approccio comune per assicurare
l'integrazione delle persone originarie da paesi terzi legalmente residenti
nell'Unione" nel "rispetto degli strumenti pertinenti in materia dei diritti
dell'uomo".
Limitando allo stretto necessario le persone suscettibili di beneficiare del
ricongiungimento familiare, moltiplicando, a seconda delle esigenze di ognuno
degli Stati membri, le condizioni per il ricongiungimento, indebolendo lo statuto
dei membri ricongiunti, permettendo la rimessa in discussione del loro statuto
dopo che si sono installati, non imponendo regole che permettano l'esercizio
di ricorsi effettivi alle persone respinte, il testo adottato il 28 febbraio
si richiama ad una filosofia contraria a quegli obiettivi: è emblematico il
fatto che non faccia nessun riferimento alle convenzioni internazionali che
proteggano i diritti della persona (in particolare la Convenzione europea dei
diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e la Convenzione internazionale
sui diritti del bambino).
Il bilancio è talmente deprimente che il Commissario Vitorino , commentando
l'accordo concluso al Consiglio, è stato costretto a precisare che "la direttiva
non obbliga i paesi più generosi ad abbassare il livello di protezione"! Questa
direttiva sul ricongiungimento familiare, presentata come il "primo strumento
legislativo adottato sull'immigrazione legale", come pure la direttiva sull'accoglienza
dei richiedenti asilo adottata a fine gennaio 2003, non promettono niente di
buono circa il posto che l'Unione intende riservare alle persone non comunitarie
nell'Europa allargata.
Se la direttiva entrasse in vigore, l'insieme di queste condizioni renderebbe
ancora più difficile, l'integrazione degli immigrati e particolarmente dei giovani.
Da una parte non sarebbe garantito il diritto al rispetto della loro vita privata;
dall'altra le condizioni imposte loro preluderebbero in prossimo futuro coabitazioni
difficili, da cui potranno scaturire conflitti sociali dolorosi e difficili
da superare.
Da "Migranti Press", n. 12/2003
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