Gruppo Solidarietà
Via D'Acquisto, 7
- 60030 Moie di Maiolati Sp. AN- ITALY
tel/fax 0731703327
grusol@grusol.it
 
Il materiale presente nel sito può essere ripreso citando la fonte

Legare/slegare?
All’interno delle Giornate triestine della Salute, una commissione di operatori sanitari ha presentato i risultati della loro ricerca sul ricorso alla contenzione all’interno di case di riposo e/o strutture per anziani.
L’intervento di Livia Bicego.

(torna all'indice informazioni)


“I Vecchi siamo noi”

“Il futuro entra in noi molto prima che accada” Rainer Maria Rilke


Lunedì dell’Angelo, quello dopo Pasqua!

Carissima Antonia,
non sto nella pelle, sono contenta, alla mia età, purtroppo, felicissima suona male e non si può dire, ma contenta può andar bene!
Da ieri, da quando ti ho rivista, non riesco a pensare ad altro: i pensieri vanno come un turbine, come un vortice; ognuno di essi ne chiama un altro e questo almeno altri dieci e tutti insieme mi ruotano in testa, mi si accavallano dentro in una danza senza inizio e senza fine.
Non ci crederai, ma per la prima volta penso che - “loro” - hanno ragione: sono proprio rimbambita e demente!
Dopo tutti questi anni mi piacerebbe sapere se è capitato anche a te, cosa hai provato tu e cosa provi oggi ora che ci siamo riviste: ed è per questo che ti scrivo.
Che malinconia, mia cara Antonia! E che nostalgia per i nostri tempi andati!
Finalmente! Credo fossero almeno vent’anni che non ti vedevo!
Che sorpresa quando ti ho vista spuntare.
Mi piacerebbe continuare a vederti, mi hanno fatto così bene le parole scambiate con te! Credo che anche tu, come me, per un po’ abbia dimenticato i mali e l’amarezza dell’età, per un po’ ti sia sentita più leggera e …contenta.
Venti anni sì, devono essere venti!
A dire il vero forse saranno anche di più. In realtà non so nemmeno da quanto sono “ospite” (chiamala ospitalità!) in questa casa di “accoglienza”(chiamala accoglienza!) per anziani.
Quando eravamo giovani l’ospitalità e l’accoglienza erano ben altra cosa, vero?
Ieri avrei voluto offrirti uno di quei nostri caffè, ma non è stato possibile, qui non possiamo farci un caffè, hanno paura che ci bruciamo.
Non possiamo tenere quasi nulla di nostro, figuriamoci un fornelletto in camera, accedere alla cucina poi, nemmeno parlarne. Ma quello che non capisco è perché non ci sia qualche macchinetta automatica, magari a gettoni.
Comunque, cosa vuoi, se si può ci si ingegna, voglio raccontarti una cosa simpatica!
La mia compagna di stanza, che fino a poco tempo fa era in sè, molto più lucida di me insomma, si era fatta portare di nascosto dalla nipote, delle bustine di caffè in polvere e di pomeriggio, chiudeva la porta e piano piano, preparava con l’acqua calda del bagno, due belle tazze fumanti e profumate di caffè: una per lei e una per me. Per non far sentire il profumo, apriva la finestra e da questa, stando bene attenta a far centro, gettava le bustine vuote nel bottino delle immondizie in strada: non voleva lasciare tracce! Un giorno, sai com’è, l’età, non è riuscita a fare centro e allora ha iniziato a sbracciarsi dalla finestra fino a che una ragazzina, che rientrava da scuola, la vide. Le chiese se per cortesia poteva gettare quelle bustine nelle immondizie. Aveva il terrore di essere scoperta e di perdere quel piccolo piacere quotidiano così importante per noi vecchi triestini amanti del caffè.
La ragazza avrà sicuramente pensato che quella vecchia signora era “fuori come un camino”, ma ci ha salvate. Quando si dice la collaborazione intergenerazionale!!!

Martedì
Ogni bel gioco è bello finchè dura poco e alla fine ci hanno beccate.
La mia compagna di stanza si è presa tutta la colpa: ma non si rendeva conto del pericolo? e di quanto male le faceva? che la notte poi non dormiva?…l’hanno proprio presa male, hanno perquisito tutta la stanza finchè nell’armadio hanno trovato il tesoro: la scorta di caffè!
Per non farla alzare, l’fanno fatta sedere e bloccata con il tavolino servitore.
Ma lei era triste, si è arrabbiata, molto,
si è agitata, tanto,
e allora l’hanno messa a letto,
bandinata e
fasciata all’addome,
ancorata al materasso, ma continuava a
sbraitare, gridare, battere sulle bandine e allora,
con dei morbidi lacciuoli, le hanno bloccato anche i polsi!
Non si capiva bene quello che diceva, farfugliava qualcosa, d’altra parte senza dentiera è difficile parlare!
Eh sì, la dentiera non è più un diritto, cara Antonia, quando entri qua. Sai com’è, se la usi, bisogna lavarla, pulirla, ci vuole tempo, personale a sufficienza non c’è, meglio darci semolino e purè, tritatine di bove o spinaci sminuzzati…
Lei farfugliava, loro non la capivano, io glielo ho detto che voleva un caffè!
Ma invece di un caffè, le hanno portato un bicchierino di carta, con dentro credo non solo acqua, perché nonostante ne abbia sputata almeno la metà, forse era amara, poco dopo si è addormentata: ma non era un sonno sereno, continuava ad agitarsi, a fare smorfie… che pena, Antonia, pensare che sarebbe bastato un caffè!

Mercoledì
Stanotte è successo anche a me!
Non so come, non so perché, forse il buio, ma a un certo punto...
Non deve essere la prima volta, mi ricordo infatti che altre mattine mi sono svegliata con un male tremendo ai polsi.
Quando me li sono guardati, erano tutti rossi e gonfi. Le mani erano in preda ad un terribile formicolio, milioni di aghi mi trafiggevano la carne ad ogni piccolo movimento.
Forse anche quella notte ero andata fuori di testa, chissà poi per che cosa, proprio non mi ricordo, è tutto così nebuloso. Fatto sta che mi avranno ancorata a quelle maledette bandine, sai io quelle proprio le odio… e me le mettono sempre, sempre! Non riesco a prendere niente, nemmeno dal comodino, almeno lo avvicinassero un po’ al letto!
Ma no, non voglio prendermela con loro, sono così poche e poi, mi ricordo sai, cosa significa lavorare così, ricordi anche tu vero? quando giovani donne abbiamo iniziato proprio in una casa come questa, quando ieri come oggi, in certi casi, l’unica soluzione possibile sembrava essere quella di legare, con dei vecchi proprio come noi.
Oggi i vecchi siamo noi, il futuro ci è entrato dentro molto prima di quanto pensavamo!
E allora… come vuoi che me la prenda con loro, abbiamo fatto questo lavoro per più di vent’anni
con il bisogno assoluto di lavorare, i figli a casa da tirare su, le bollette da pagare… ricordo la fatica e la paura di perderlo quel benedetto lavoro, ricordo…
No, non voglio prendermela con loro, ci troviamo insieme dentro la stessa pentola, sono delle sfigate come noi: noi qui dentro che non possiamo scappare, e poi per andare dove? da chi? per rovinare la vita di chi? di quelli che tanto amiamo?
Loro qui dentro per lavorare, sottopagate, a meno di 1000 euro al mese quando va bene, a fare più ore dell’orologio, in due o tre per 40 anziani e più quando dovrebbero essere almeno il doppio…
con la paura, ogni santo giorno, di essere mandate via!
E poi mi domando, ma la gente là fuori, saprà cosa succede qui dentro?
Questo dentro e fuori, fuori e dentro, non si potrebbe confondere un po’ di più?
No, non voglio proprio prendermela con loro, tanto più che molte sono brave, sono buone, credo che certe cose nemmeno le pensino, anzi proprio non le sappiano.
Ad esempio sapranno che legare una persona è come fare un sequestro? Che di fronte al giudice, se qualcuno denuncia il fatto, ci vanno da sole?
Da sole!
Hai voglia a dire “mi hanno detto di farlo”, “era prescritto”!
Se poi succede qualcosa, se qualcuno si fa male, si ferisce,o peggio, ci lascia le penne come a Bolzano, pochi giorni fa!
Oggi però non mi hanno legata, mi sono svegliata con un “fantasmino”, sì lo chiamano così, non sto scherzando.
Come il manicomio lo hanno inventato per curare i matti, nello stesso modo, a dir poco paradossale, questo fantasmino se lo sono inventato per agevolarci, è un ritrovato moderno! Si tratta di una vera e propria camicia di forza che viene allacciata sotto il materasso e lascia libere braccia e gambe.
Certo che la mente umana ne ha sfornate di idee: tavolini servitori, bandine di varie altezze, comodi lacciuoli, sottili polsiere… ci manca solo che le facciano azzurre per i maschi, rosa per le femmine, ardite fantasie per le più esigenti,… fosforescenti per la notte, però, non ci hanno pensato, appena finito con te, gli scrivo io,… per suggerirglielo… hai visto mai che ci faccio pure un due soldini e me ne vado da qua… a casa!
Oppure a fare un bel viaggio o anche solo un’uscita in una bella osmica, in carso, o magari, al mare, all’aria aperta, fuori… possibile che da queste case non si possano organizzare delle gite, che si possa solo stare dentro!
Basta con i sogni, torniamo a noi: non so cosa sia peggio, con questo “fantasmino”
non ti puoi alzare, non ti puoi girare, non ti puoi sedere… puoi muovere le braccia, questo sì, ma per fare che?!
Grattarti il naso, grattare le lenzuola, grattare la testa, già arrivare ai piedi è un problema, dare pugni, battere sulle bandine… così è la buona volta che te le tolgono… ‘ste maledette bandine, io quelle le odio, più di tutto, e adesso, ti racconto perché.
Un giorno, non ne potevo più, dopo ore che trafficavo, che battevo, che vi infilavo le gambe, in quelle benedette bandine, che mi divincolavo in tutti i modi in quel metro quadrato di letto, confinata tra testiera, pediera e due bandine in una sorta di “culla finale, culla terminale” – si inizia in culla, si finisce in culla, si inizia con il pannolino, si finisce con il pannolone, tutto si spiega, tutto si riconduce, tutto si ricollega… e si amplifica… i pannoloni ad esempio diventano tre, sì hai capito bene, tre, uno sopra l’altro, ce li mettono al mattino, all’ora di pranzo sfilano il primo, quello più a contatto della pelle, resta il secondo fino alla sera e il terzo è buono per tutta la notte fino al mattino successivo!
Anche questa si sono dovuti inventare, ci pensi? perché sono pochi e noi così tanti e per di più così impegnativi?
Ed io, i tre pannoloni, li avevo rotti tutti ed ero finalmente riuscita a mettere una gamba sopra la bandina
e di traverso del letto, con la testa e le mani che spingevano sull’altra bandina, volevo oltrepassarla, scavalcarla o che diavolo so io cosa. Ce l’avevo quasi fatta quando, mentre la mia vicina mi guardava imbambolata dalla sua sedia, bloccata dal tavolo servitore, all’improvviso … è entrato mio figlio!
Antonia mia cara, non mi sono mai vergognata tanto,
farmi vedere in quello stato, senza mutande, tutta sudata, puzzolente di urina, la mia dignità, il mio pudore, Antonia, dove sono andati? Mio figlio che non mi ha mai vista nuda, ma poi così, in quello stato, io, che gli ho insegnato a vivere… non ci siamo detti nulla, non c’era niente da dire, ci siamo solo guardati… con amore.

Giovedì
Anche oggi non resisto e riprendo a scriverti. So che non servirà a nulla, eppure non riesco a non farlo.
Anche oggi stessa storia, sempre le stesse persone, le stesse facce scure, spesso arrabbiate. Sveglia per tutti alla stessa ora, mani brusche, veloci, guanti freddi e ruvidi, niente risciacquo, pelle secca e i soliti tre pannoloni uno sopra l’altro. La prima volta che me li hanno messi ho pensato: ma non crederanno mica che piscerò così tanto, almeno mi dessero da bere, in quanto a cagare sono così stitica da quando me ne sto sempre ferma qua!
Poi ho capito: ne mettono tre, li tolgono uno alla volta, sempre alle stesse ore, alle 6 li mettono, alle 13 tolgono il primo, quello più a contatto della pelle, alle 18 il secondo… e il terzo è buono fino al mattino dopo!
Di lavatine intermedie non se ne parla…
ma forse … questo te l’ho già raccontato.
Scusa, continuo a perdere colpi. Ripeto sempre la stesse storie.
A volte penso sia un modo per difendersi, anzi, …ne sono sicura!

Venerdì
O mercoledì? … forse sabato?!
I giorni sono tutti uguali, come fare a non confondersi.
La tv sempre sullo stesso canale, non importa se vuoi guardare qualcosa, nessuno te lo chiede, la radio me l’hanno portata via, le auricolari le perdevo e siccome sono piuttosto sorda dovevo ascoltarla con il volume troppo alto “se tutte ascoltano così, si immagina il caos?”
Giornali nemmeno parlarne e poi chi legge? Per fortuna mio figlio e mia nipote un paio di volte la settimana, vengono e mi raccontano qualcosa.
So che ci so state le elezioni, c’era la campagna elettorale, mi piacerebbe sapere chi ha vinto, spero che domani vengano e me lo dicano.
Forse il nuovo governo studierà qualcosa per i suoi vecchi, per questi suoi cittadini fragili, che sono pur sempre cittadini, fino alla fine.
Ho pagato regolarmente le tasse per ottant’anni e prima di me e con me le hanno pagate mio padre, mio marito, mio figlio e oggi mi ritrovo così, a raccogliere questi frutti.
A proposito, hai votato tu? Io no, non mi hanno nemmeno chiesto se volevo. Mi credono proprio rimbambita, ma cosa vuoi poverine, non hanno nemmeno il tempo di parlare con me e quindi non possono saperlo che ci sto con la testa. Sono pur sempre una cittadina, non sono mica interdetta, sai! Ma di nuovo mi ripeto…scusami ancora.
Comunque…oggi ho visto delle facce nuove, belle, giovani, sorridenti, un vero piacere! Eravamo nel salone grande,
dove ci siamo incontrate a Pasqua, guardavo nella speranza di vederti arrivare, stavamo aspettando il pranzo. Tutte e tutti seduti nella nostra brava sedia, con il bel tavolino servitore davanti pronto a bloccare ogni piccola idea di movimento, dalla colazione al pranzo, con i nostri grossi tre bei pannoloni, la tv che cammina, dove e per chi devo ancora capirlo, ma almeno lei va… e noi no!
Ho chiamato quella ventata di gioventù e buonumore e, pensa, mi si sono avvicinate subito. Mi hanno detto che erano lì per un’intervista, per un questionario, fanno parte di una commissione dei servizi sanitari che si è formata a gennaio di quest’anno volevano capire meglio se e quanto siamo contenuti e contenute fisicamente e farmacologicamente, dicono che queste “cattive pratiche” sono piuttosto diffuse, ma non se ne parla, le si da per scontate, per inevitabili, si pensa che non si possa fare altrimenti, nonostante facciano male a tutti: a noi, agli operatori, ai familiari
nonostante non si possano fare.
Ho chiesto a quei giovani angeli se potevano farmi un favore, gli ho dato il numero di telefono di casa tua,
pensa me lo ricordo ancora a memoria.
Il cellulare come la macchinetta del caffè, non lo possiamo tenere. Al telefono non ci arriviamo e non possiamo usarlo, uno perché non ci portano a telefonare, due perché non vogliono, costa, hanno paura che telefoniamo a chissà chi, per dire chissà che cosa, e così dicono che non hanno tempo, non funziona,… gli ho chiesto se ti potevano chiamare e dirti di venire ancora perché volevo darti la lettera e perché…volevo ancora stare un po’con te, così, semplicemente.
Dopo pochi minuti sono tornate, ha risposto tua figlia, si ricordava molto bene di me, ha detto che sua mamma, cioè tu, è già qui, sì, tu, sei già qui, proprio qui, vicina, in una di queste stanze!!!!!
Ma allora dico, perché non possiamo stare vicine, vederci, parlare?!
…E allora…
Ho capito.
Era Pasqua, abbiamo mangiato tutti insieme nel salone grande, c’era la messa, la colomba, i pulcini di cioccolato per gli ospiti…ho capito.
Adesso ho capito!
Forse presto… forse a Natale… magari a Santo Stefano…
Mangeremo di nuovo tutti insieme e forse di nuovo capiterà che due vecchie amiche come noi mangeranno vicine e potranno raccontarsi.

Arrivederci mia cara Antonia,
a presto.

PS: non appena capiranno che sono in me, che so scrivere e mi permetteranno di tenere una penna e della carta, non appena qualcuno si assumerà il rischio e la responsabilità di farmi tenere una penna e della carta,
scriverò questa lettera …per te.

Nel frattempo dedico questa mia a chi ha orecchie per ascoltare, braccia per lavorare, cervello per pensare
ma soprattutto potere per decidere