La cronaca della cattura di Provenzano ha attestato, ancora una volta,
l'inquietante compresenza di Bibbia e lupara nelle tane dei mafiosi. Solo
una nota di colore o, al piu', la conferma di relazioni pericolose fra
potere ecclesiastico e poteri illegali? Probabilmente si tratta di un
indizio che rimanda a scenari piu' complessi, solitamente trascurati.
Ne abbozziamo alcuni.
La problematica che viene, in prima istanza, coinvolta riguarda l'ambito
- circoscritto ma non ristretto - di coloro che (ebrei, cristiani e musulmani)
si riconoscono, con differenze interne, nel Libro: in modo particolare
nell'Antico Testamento. I credenti nelle tre grandi religioni monoteistiche
del Mediterraneo non possono piu' differire la loro risposta ad un dato
di fatto evidente: il Dio della Bibbia - come scrive ad esempio il noto
esegeta cattolico Giuseppe Barbaglio - e' un Giano bifronte. Un Giano
che mostra,
secondo le pagine dei tanti libri che costituiscono la "Biblioteca",
un volto di misericordia, di pace e di perdono ma anche di ira, di guerra
e di vendetta. Questa concezione e incompatibile con la coscienza moderna
e va dunque, coraggiosamente, rivista. Sino a quando si privilegera' una
lettura "letteralista" (o "fondamentalista") del Testo
principe dell'Occidente, si lasceranno aperte le porte ad ogni genere
di applicazione terroristica e criminale. E' venuto il momento di capire
- e di insegnare alle giovani
generazioni nelle parrocchie, nelle sinagoghe e nelle moschee - che la
sacra Scrittura non e' dettata parola per parola dallo Spirito santo e
che, piuttosto, testimonia una fase storica (di due millenni fa) della
faticosa e
mai esauribile ricerca religiosa di alcuni popoli. Un modello a cui guardare
per andare avanti, dunque: non un feticcio da imbalsamare ed applicare
meccanicamente.
Una seconda problematica sollevata dal sequestro dei volumi meditati
da Provengano possiede dimensioni piu' vaste e interessa chiunque si occupi,
al di la' degli aspetti teologici, del fenomeno mafioso. I capi di "Cosa
nostra" fanno tanto spesso ricorso a fonti letterarie cosi' autorevoli
perche', piu' o meno inconsciamente, cercano una legittimazione ideologica
del loro potere effettivo. Ai loro stessi occhi la mafia non si esaurisce
nei fattori (per altro costitutivi ed essenziali) dell'organizzazione
militare, dell'arricchimento economico e della complicita' con le istituzioni
civili ma comprende anche - per riprendere l'espressione
suggerita da Umberto Santino - un "codice culturale": un insieme
di credenze, principi etici, simboli, norme, tradizioni...
Se questo e' vero, la lotta al sistema di dominio mafioso deve partire
dal piano repressivo, finanziario e politico ma non puo' limitarsi ad
esso: deve farsi anche battaglia culturale, rivoluzione intellettuale
ed etica. Non basta dunque destrutturare dottrine aberranti e morali ambigue:
e' necessario controproporre una "visione del mondo" piu' lucida
e principi d'orientamento operativo piu' argomentati. Nel vuoto di criteri
di giudizio e, soprattutto, di buone pratiche c'e' spazio per ogni organizzazione
criminale che abbia solo l'apparenza di una comunita' fondata su valori
e donatrice di senso. La societa' siciliana non si liberera' da questo
cancro sino a quando sara' autoindulgente e tollerera' facilmente, al
proprio interno, atteggiamenti paternalistici, clientelari, conformistici,
conservatori, illegali e "alegali"(l'aggettivo piu' ricorrente
nelle recenti analisi di Antonio La Spina): insomma, atteggiamenti mafiosi
e paramafiosi.
Ecco perche' la partita si gioca nella quotidianita' delle relazioni umane
dentro le scuole, le facolta' universitarie, gli ospedali, gli uffici
pubblici, le imprese commerciali, le banche; nelle scelte, individuali
e
collettive, non escluse le scelte elettorali. Purtroppo, in proposito,
arrivano segnali contraddittori: sondaggi (parziali) documenterebbero
un crescente consenso per persone - come Rita Borsellino - che incarnano
senza
ombre e senza equivoci la cultura del confronto critico, della solidarieta',
della partecipazione attiva; ma ancora alle ultime consultazioni milioni
di siciliani si sono espressi a favore di personaggi rappresentativi di
quel modo di vedere e di condurre la vita che, in niente o quasi, si differenzia
dalla filosofia della mafia. Personaggi antropologicamente troppo simili
ai Provenzano che vengono arrestati ed ai colonnelli che subentrano al
loro posto: per i quali i valori e le norme sono specchietto per le allodole
o, nel migliore dei casi, spunti retorici per discorsi ufficiali. E la
stessa religione un inventario di espedienti per lavarsi la coscienza
(dentro) e per rendere presentabile la propria immagine pubblica (all'esterno).