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M. Anfossi M.L. Verlato A. Zucconi,
Guarire o curare?,
La Meridiana, Molfetta 2008, p. 256, 24.00 euro


"Medico e paziente danzano insieme. Si influenzano reciprocamente in un'eterna danza. Hanno bisogno uno dell'altro, e non si può descrivere uno senza l'altro."

Parole inutili. Parole che curano. Relazioni ferite. Relazioni che sostengono. Questo il quadrilatero simbolico nel quale agisce l’inco ntro tra un medico, o altro operatore sanitario, e un paziente. Salute, malattia, cura e benessere non possono prescindere dalla dimensione relazionale, nella quale l’informazione e la presa in carico efficaci del malato sono radicati in un incontro tra esseri umani. Si cura un corpo abitato e non un insieme di organi malati. Curante e paziente non possono non interagire. Sembra ovvio, ma l’esperienza comune racconta interazioni fugaci, negate, disfunzionali. Eppure, dietro atteggiamenti freddi, distanti, altre volte eccessivamente rassicuranti o invischiati ci sono migliaia di professionisti autodidatti. Questo libro nasce per loro, per tutti i professionisti della salute curiosi e interessati a meditare le parole da dire al paziente, a interrogarsi sul significato di quanto chiede il malato e conoscere le strategie migliori per gestire momenti di empasse relazionale con le persone che a loro si rivolgono, ma anche per coloro che finora hanno trovato questo compito faticoso e troppo impegnativo e hanno cercato di evitarlo e fuggire. Queste pagine offrono strumenti per conoscere le regole e i principi della comunicazione efficace, riflettere sulle emozioni che circolano tra paziente e curante, riconoscere gli stili relazionali del malato e ri-pensare al proprio modo di essere operatori della salute. Acquisire tale competenza migliora la qualità della cura dei propri pazienti, e aiuta a gestire le emozioni generate dal forte coinvolgimento nei momenti più intensi e a volte drammatici della vita altrui.


PREFAZIONE di Michel Tomamichel

Affrontare il tema della relazione medico-paziente significa ritrovarsi nella situazione di un alpinista di fronte alla montagna o di un marinaio di fronte al mare: se ne avverte il profondo fascino e la continua sfida, ma nel contempo se ne temono le numerose insidie.
Fra i meriti degli autori del libro vi è la chiarezza di impostazione, che delineando un percorso che si basa su punti di riferimento ben definiti (obblighi del medico, concezione dell’autonomia del paziente e del ruolo del curante), permette la stesura di una “mappa” utile sia per orientarsi e meglio situarsi nella complessità dell’argomento, sia per un confronto ed un arricchimento.
L’utilizzo di una “mappa” permette di conoscere e/o riconoscere aspetti di un territorio, magari in parte già conosciuto ed esplorato, da un altro punto di vista, rendendocelo più interessante e per certi versi nuovo.
Numerosi sono gli stimoli raccolti in questo senso dagli autori, in una continua ricerca di aspetti nuovi e imprevisti che sono subito valorizzati.
Come ben sappiamo “la mappa non è il territorio”, e se nella prima abbiamo bisogno di orientarci, la realtà della corsia dell’ospedale, dello studio medico, della visita a domicilio possono trasformare punti di riferimento che ci sembravano chiari e sicuri in ostacoli che possono confonderci.
Alcune insidie, che sono lì dietro la porta della camera del paziente, sono già individuate dagli autori stessi: il ruolo rilevante del medico nella scelta dei valori legati alla salute può facilmente riportare ad un atteggiamento paternalistico ed il rischio di trasformare ogni incontro medico-paziente in una discussione su temi di ordine morale trasformerebbe la natura stessa della relazione terapeutica.
A questo proposito Jaspers, negli anni ’50, richiamava alla necessità di “una consapevole distinzione fra guarigione medica e salvezza dell’anima, fra medico e pastore d’anime”, poiché con l’offuscamento di ciò che perviene alla medicina si smarrisce la serietà della religione, e, al contempo, la purezza delle capacità mediche scientificamente fondate”.
Un punto molto importante per gli autori è il contributo di un’attività svolta sul campo, coinvolgendo diverse figure importanti di questo ambito.
Due coordinate dovrebbero inquadrare il lavoro in campo sanitario: da un lato la conoscenza scientifica del medico e la sua abilità tecnica, dall’altro “l’ethos umanitario” che comporta il rispetto della dignità del malato e della sua autonomia decisionale.

Partendo da queste linee di fondo si possono ipotizzare una serie di differenti interventi puntuali, adatti a settori e situazioni specifiche (medicina d’urgenza, cure palliative, interventi preventivi, ecc.…) che aiutano il medico e gli altri operatori di dotarsi degli strumenti che permettano di percorrere le vie verso l’incontro “terapeutico”.
R. Smith, editore del British Medical Journal, in un articolo del 1992, intitolato significativamente “L’etica dell’ignoranza”, sottolineava come le basi scientifiche della medicina siano deboli e come fosse meglio per tutti che questo fatto fosse più ampiamente riconosciuto.
Il rischio è quello di iniziare un percorso che porta ad una relazione medico- paziente di tipo “follia a due”, nella quale il medico vuol credere di sapere più di quanto sappia, perché questo gli fa piacere e perché “la conoscenza è potere”, ed al paziente conviene l’idea che il medico lo potrà curare e salvare dalla morte.
Questo atto di “umiltà scientifica” lo troviamo in piu’ occasioni nel libro e dovrebbe essere una preoccupazione di tutti all’inizio di una relazione terapeutica.
A volte si ha però l’impressione che le autostrade per le spiagge della “folie à deux” siano sempre affollate.
Modelli alternativi, che richiedono una maggiore integrazione del lavoro clinico e anche l’utilizzo di tecniche audiovisive a fini formativi, permettono interventi che tengono conto delle insidie della routine quotidiana e sono probabilmente quelli che alla lunga più incidono sulla modifica della relazione con il paziente.
Presuppongono da un lato la disponibilità a mettere in discussione il proprio “agire” quotidiano e dall’altro un grosso sforzo di comprensione della situazione contingente.
Sono interventi che permettono di avvicinarsi, almeno in parte, a quella seconda coordinata che fa riferimento all”ethos umanitario”.
Questa coordinata, più che ad una linea netta, chiara, facilmente distinguibile, fa piuttosto pensare ad una traccia più sfumata, non facilmente definibile, ad una sorta di linea d’ombra” che meglio ricorda il fascino dei viaggi di Conrad.
Immaginare in questo ambito dei possibili interventi mirati a migliorare il modo di incontrarsi con il malato è un po’ come immaginare di trasformare i”turisti della domenica” in esperti lupi di mare o guide alpine.
Non può essere però nemmeno corretto un atteggiamento rinunciatario nel nome di una presupposta “vocazione” alla professione medica che ha come corollario l’esistenza di doti innate per “l”arte sanitaria”.
Si tratta, come ben scrive Suchman di “sostituire l’arte con la scienza”, creando un corpo di conoscenze dettagliate ed utilizzabili su ciò che rende terapeutica la relazione medico-paziente.
Per questo occorre essere preparati a riconoscere sia le esperienze soggettive dei nostri pazienti che le nostre, imparando ad “osservare, caratterizzare e verificare queste esperienze”.
Gli autori hanno senz’altro contribuito ad approfondire questi problemi.