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Gustavo Zagrebelsky
Contro l'etica della verità
Laterza 2008
p. 182, € 15,00
«Contro l’etica della verità significa a favore di un’etica
del dubbio. Al di là delle apparenze, il dubbio non è affatto il contrario
della verità. Ne è la riaffermazione, è un omaggio alla verità, ma una
verità che ha sempre e di nuovo da essere esaminata e ri-scoperta.»
Verità e Giustizia non sono mai interamente conoscibili e realizzabili.
Appartiene alla natura umana agire con prove e controprove, esercitando
la virtù del dubbio e l’arte del dialogo per avvicinarsi alla verità e
alla giustizia (con le iniziali minuscole). Tuttavia «la capacità di dialogo
equivale alla disponibilità all’auto-modificazione, in base ai buoni argomenti.
Se non è così il dialogo si trasforma in monologhi tra sordi. Questo pericolo
esiste sia per il pensiero razionale, sia per quello religioso, ma per
quest’ultimo è più grave, in quanto solo esso è sostenuto da un’autorità
concentrata, produttiva di dottrine nel suo ambito vincolanti. In questo
consiste la causa della secolare difficoltà della Chiesa cattolica nei
confronti della democrazia». Dal rapporto tra Stato e Chiesa, cittadini
e credenti, all’etica laica, attraverso la virtù e le difficoltà della
democrazia, questo libro è una riflessione, un esercizio di razionalità
contro il dispotismo del dogma e della regola.
Indice
Premessa - 1. I paladini dell’identità e la tolleranza dell’Occidente
- 2. Stato e Chiesa. Cittadini e cattolici - 3. Tre formule dell’ambiguità
- 4. Gli atei clericali e la fonte del potere - 5. Stato, Chiesa e lo
spirito perduto del Concordato - 6. Il «non possumus» dei laici - 7. Referendum:
Chiesa machiavellica ed etica politica dubbia - 8. L’identità cristiana
e il fantasma dell’assedio - 9. Cosa pensa la Chiesa quando parla di dialogo?
- 10. Cattolicesimo e democrazia - 11. Disagio democratico - 12. La Chiesa,
la carità e la verità - 13. Ritorno al diritto naturale? - 14. Né da Dio
né dal popolo: dove nasce la giustizia - 15. Decalogo contro l’apatia
politica - 16. Democrazia. Non promette nulla a nessuno, ma richiede molto
da tutti - 17. Le correzioni di Tocqueville ai difetti della democrazia
- 18. Uomini, anche se Dio non esiste - 19. Norberto Bobbio e l’etica
del labirinto - Epilogo. Democrazia, opinioni e verità - Note - Fonti
Dal cap. 12, La Chiesa, la carità e la verità
Etica pubblica e convivenza politica sono sotto molti aspetti interdipendenti.
Il modo d' intendere la prima si riflette sul modo d' intendere la seconda,
e così anche al rovescio. In un articolo pubblicato su MicroMega (n. 2
del 2006), si è cercato di discutere questo rapporto, con riferimento
alle posizioni attuali della Chiesa cattolica nell' uno e nell' altro
campo. Alle considerazioni espresse in quella sede, ha risposto La Civiltà
cattolica, la prestigiosa rivista dei Gesuiti italiani (editoriale del
n. 3739 del 1° aprile). I Padri gesuiti, quanto all' etica pubblica (di
questo si tratta qui, non dell' etica o morale individuale), rifiutano
l' affermazione che la Chiesa cattolica, nelle sue espressioni dottrinali
ufficiali, posponga la carità alla verità; quanto alla politica, respingono
i dubbi sollevati circa il buon rapporto tra cattolicesimo e democrazia,
esprimendo "stupore e amarezza" per considerazioni che ritengono prive
di fondamento e perfino offensive. Essere stato causa di cotale reazione
è motivo di rammarico. Si era voluto, sì, essere chiaro ma non certo mancare
di rispetto a qualcuno. Approfondire le rispettive ragioni può forse facilitarne
il confronto e, ove possibile, favorirne l' avvicinamento.
1. Su cosa si basi l' etica cristiana è il primo degli oggetti
in discussione: sulla carità o sulla verità? La differenza tra etica della
carità ed etica della verità è irriducibile e capitale. La carità è un
concreto rapporto di dedizione che coinvolge e si esprime in concreti
atteggiamenti, azioni e rapporti di compassione (nel senso proprio di
passione in comune). La verità è un insieme di proposizioni dottrinali
che si esprime in codici di credenze e comportamenti astratti, come i
catechismi, cattolici o laici che siano. La carità è vissuta; la verità,
conosciuta. La carità agisce dall' interno delle coscienze; la verità,
dall' esterno. La carità considera ogni essere umano come individuo irriducibile
e inconfondibile; la verità, come individuo riconducibile e assimilabile
ad altri, in classi o categorie: persona, nel primo caso, numero, nel
secondo. La carità è libera e non sopporta regole generali; le regole
generali e i vincoli derivano dalla verità. La carità si incarna negli
esseri umani; la verità tende a stabilizzarsi in istituzioni. Infine,
la carità sprona alla vita buona, ma rifugge dalle condanne, perdona e
riconcilia; la verità, al contrario, formula precetti, commina sanzioni
e separa gli eletti dai reprobi. La rappresentazione letteraria forse
più netta e toccante di questa contrapposizione è nel capitolo sul Grande
Inquisitore de I Fratelli Karamazov di Fedor Dostoevskij, dove al denso
silenzio e al compassionevole bacio del Cristo inerme corrisponde la verbosità
precettistica dell' Inquisitore che, a partire dalle sofferenze dell'
essere umano, finisce per dipingere una massa indifferenziata di docili
osservanti di regole imposte dall' autorità ecclesiastica. Entrambi, a
loro modo, amano, ma l' uno ama "il prossimo", l' altro ama "il popolo",
"gli uomini deboli", "l' umanità"; il primo modo di amare è - letteralmente
- compassione e compatimento, il secondo è filantropia. L' amore per il
prossimo - si può dire così - è rapporto caldo, dedizione vitale; l' amore
per l' umanità, atteggiamento freddo, attaccamento a un' idea dominante.
Normalmente, chi dice di amare l' umanità disdegna l' essere umano in
carne e ossa; al più, prova pietà per lui e per le sue pene ma è pronto,
all' occorrenza, a passarci sopra: "Per amore dell' umanità, siate inumani!",
diceva una petizione rivoluzionaria alla Convenzione di Parigi. Naturalmente,
la carità non conosce che il particolare; può estendersi a un gran numero
di persone, quando è grande, e così può creare grandi strutture della
carità, ma, per restare tale, non deve perdere mai il rapporto personale,
non può permettersi di diventare una burocrazia. La verità, al contrario,
astrae dalle persone, non ha bisogno di conoscerle e può creare agenzie
burocratiche che amministrano l' ortodossia.
2. L' etica cristiana è etica della carità o della verità? Per Gesù
di Nazareth, non c' è dubbio, la carità predomina. La sua predicazione
è l' amore concreto. Non risulta che egli abbia mai parlato dell' umanità,
né che, in campo etico, abbia mai fatto uso di verità generali e astratte.
Il suo atteggiamento è tutto compreso nel volgersi ai tormentati da malattie
e dolori (Mt 4, 24), nell' indirizzare parole salvifiche concrete: "Fanciulla,
alzati", alla piccola figlia del capo della Sinagoga (Lc 9, 54; Mc 5,
41). Le sue parabole parlano tutte di esseri umani, in carne e ossa, con
i quali si è in rapporto; parlano del "prossimo" (Lc 11, 36-37). Il "più
grande comandamento" è il comandamento della carità concreta, da cui tutta
la legge dipende: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta
la tua anima e con tutta la tua mente; amerai il prossimo tuo come te
stesso" (Mt 22, 37; Mc 12, 33). All' adultera che, secondo la legge, avrebbe
meritato la morte, Gesù, voltosi intorno e, visti i suoi accusatori che,
non avendo potuto "scagliare per primi la pietra", se ne erano andati
via, dice: "Neanch' io ti condanno", e aggiunge un' esortazione, non una
minaccia: "Va e non peccare più" (Gv 8, 9). Il Padre nostro, infine, il
testo dove più facilmente avrebbe potuto annidarsi un discorso teologico
sulla verità, è al contrario una commovente espressione di spirito filiale.
Cosa c' è di più concreto e personale di un dialogo padre-figlio? Su questo
non c' è da aggiungere altro, se non per notare, come fanno i Padri gesuiti,
che in effetti Gesù parla bensì talora di verità. Ma questa verità (aletheia,
parola che richiama saldezza nel rammentare: non-dimenticanza) non è un
corpo di dottrine teologiche, filosofiche o sociali. E' il Cristo stesso:
"Io sono la verità" (Gv 8, 31; 14, 6). Dunque, si è nella verità quando
si aderisce fedelmente a lui, perché la verità, in senso evangelico, è
la vita secondo il Cristo veritiero, è imitatio Christi; è la trasformazione
della esistenza umana secondo Gesù di Nazareth. Il Dio dei cristiani,
infatti, è il dio che Gesù ha raccontato in verità attraverso la sua vita
con gli uomini.
3. Fin qui, il messaggio cristiano evangelico. E la Chiesa cattolica?
La domanda non solo non è impropria ma è anche perfino doverosa. La fedeltà
della Chiesa e della sua azione all' annuncio del fondatore non può sottrarsi
a questa verifica permanente, nel corso dei tempi che mutano. Ora, non
possiamo fare a meno di osservare l' impressionante complesso dottrinale
venutosi a produrre nel corso dei secoli. All' imponente edificio dà oggi
nuovo impulso la rinnovata alleanza fede-ragione, riproposta in termini
inversi a quelli d' un tempo: non più la ragione e, al di là dei suoi
limiti, la fede, ma prima la fede e poi la ragione che, sulle verità di
fede, costruisce e costruisce ancora, deduttivamente e induttivamente,
con pretese di validità razionale generale. Operando così, non c' è più
limite: potenzialmente, ogni aspetto dell' esistenza, solo che lo si volesse,
potrebbe essere ricondotto a una qualche prescrizione teologicamente imperativa.
Non dalla carità, ma dalla dottrina della verità, l' etica cristiana predicata
dal magistero è così venuta a dipendere. Nella "nuova alleanza" di fede
e ragione, l' etica della carità resta soverchiata e l' etica della verità
si trasforma in precettistica, in codici di condotta non molto diversi
da quelli giuridici. E difatti essa non prova alcuna ripugnanza, anzi
mostra una naturale propensione a volersi imporre attraverso l' ordinamento
delle leggi civili. In questo, può scorgersi l' oblio dello spirito originario
evangelico, e l' averlo detto non è affatto un' offesa, come hanno purtroppo
ritenuto i Padri gesuiti, ma è una constatazione. Ad esempio, in tema
di concepimento della vita, maternità, cure terapeutiche, eutanasia, questioni
di bioetica in generale, il magistero della Chiesa parla più di Vita che
di viventi; in tema di sessualità, più di Ordine naturale che di sesso;
in tema di unioni tra esseri umani, più di Famiglia che non di persone
che hanno tra loro relazioni di vita concreta. Si è detto, tuttavia: attraverso
la difesa dell' astratto (Vita, Famiglia, ecc.: la lettera maiuscola vale
a indicare ipostatizzazioni, cioè oggettivazioni di situazioni e relazioni
personali), la Chiesa protegge l' esistenza di milioni di singole persone:
le vite dei più deboli, i nascituri, i bambini, i moribondi; la natura
integra delle esistenze future; l' ordinata vita nelle società. La distinzione
astratto-concreto, verità-carità, sarebbe perciò illusoria. Ma non è propriamente
così. Ogni impostazione astratta dei problemi etici sacrifica necessariamente
posizioni concrete, le quali, secondo la carità, troverebbero anch' esse
ragione di essere riconosciute e sono invece disconosciute, spesso con
grandi sofferenze personali. Questa dialettica, anzi questa contraddizione,
tra idea e realtà è ben conosciuta da chi vi è immerso e non trova nella
fredda norma astratta l' aiuto per affrontare le roventi circostanze dell'
esistenza, anzi vi trova ostacoli e motivi per rifiutarla. Il fenomeno
del cosiddetto "scisma sommerso" in tema di etica, col quale la Chiesa
cattolica si deve confrontare particolarmente al tempo presente, nasce
da qui: dalla domanda di carità cui si risponde con parole di verità e
legalità.
4.Tuttavia, sappiamo che l' etica della carità si addice alle piccole
comunità, alle cerchie di soggetti legati da rapporti vitali sperimentabili
personalmente. E altrettanto bene sappiamo che la logica dei grandi numeri
e la necessità di assicurare unità, disciplina e governo portano inevitabilmente
alla considerazione astratta delle questioni etiche, cosicché facilmente
la legalità prende il posto della carità. Nel caso delle confessioni religiose,
i due tipi di legame segnano la differenza, rispettivamente, tra le sette
e le religioni; con riguardo al Cristianesimo, tra le piccole chiese cristiane
dei primi secoli e la Cristianità cattolica, cioè universalistica. In
nuce, la duplicità delle prospettive è presente in Paolo, per il quale
la carità vicendevole, che viene dalla fede, è la linfa vitale della vita
cristiana (Rom 13, 8; Gal 5, 6)) ma la legge ha, secondo l' immagine famosa
(Gal 3, 24), la funzione del pedagogo, indispensabile quando carità e
fede fanno difetto. E Paolo stesso ha in effetti esercitato ampiamente
questa funzione di pedagogo legalista. Era forse nella natura delle cose
che, quanto più il mondo cristiano andava crescendo nelle sue dimensioni
numeriche, tanto più crescesse la necessità del pedagogo che parla della
verità e delle sue leggi. L' innesto del cristianesimo nel potere imperiale
romano, a partire dal IV secolo, ha poi fatto il resto: diventando forza
etica di governo della società aveva più da aspettarsi dall' etica della
legalità che da quella, talora sovversiva, della carità. Tutto questo
è un dato di fatto che sarebbe ingenuo cercare di contrastare oggi con
un appello, senza speranza e dunque senza senso storico, allo spirito
restaurato delle piccole comunità cristiane dell' origine.
5. Ma, onde non sacrificare quella che indubbiamente fa parte dell'
essenza del messaggio evangelico, è necessario cercare il modo di conciliare
con la logica della carità la regola rigida e astratta, aprendola alla
considerazione delle condizioni di vita concreta in cui essa è chiamata
a operare: condizioni che l' eterna tentazione legalista può indurre a
ignorare e che, invece, sollecitano la carità a pretendere la sua parte
di riconoscimento. Di recente (Colloquio con Ignazio Marino, l' Espresso,
21 aprile 2006) il cardinale Carlo Maria Martini, implicitamente ma chiaramente,
ha posto questo problema quando, in relazione a problemi etici come quelli
riguardanti la fecondazione assistita, la ricerca sulle cellule staminali
embrionali, la sorte degli embrioni congelati, l' adozione da parte di
persone singole, l' aborto, la donazione di organi, i rapporti sessuali,
l' eutanasia e l' accanimento terapeutico, ha chiamato in causa l' antico
principio del "male minore", in una riflessione incentrata sulla responsabilità
di fronte al "doloroso divario" tra teoria e pratica e sulle ragioni della
carità che militano a favore di questa seconda. Il male minore è un principio
a doppio taglio: applicato alle questioni politiche, ha talora perfino
giustificato atteggiamenti opportunistici e conniventi nei confronti di
regimi criminali, come il nazismo e, in genere, le dittature in giro per
il mondo, prevalentemente di destra, intese come utili difese dall' insidia
del comunismo. Tuttavia esso è uno strumento indispensabile nelle questioni
di etica pratica, perché apre alla considerazione di esigenze concrete,
anch' esse dotate di valore, le quali sarebbero completamente sacrificate
dall' applicazione della norma, nella sua fredda astrattezza. Per esempio:
la concezione cattolica del rapporto sessuale esclude, come "disordinato",
il ricorso a qualunque espediente anti-concezionale (salva, ovviamente,
l' astinenza). Questa, la regola. Tuttavia, le tragiche conseguenze, per
di più concentrate in gran parte nei paesi più poveri della terra, della
mancanza di prevenzione nei confronti della diffusione di malattie terribili
come l' Aids, può indurre a considerare l' uso del profilattico, un "male
minore": minore, rispetto alla malattia; male pur sempre, rispetto all'
astratto "ordine sessuale". L' espressione "male minore" suggerisce l'
idea di qualche cosa - un limite, una costrizione - che, noi nolenti,
si sia costretti a subire. Tuttavia questa è un' idea, nei casi come quello
esemplificato, che può essere fuorviante. Se riteniamo che le esigenze
pratiche con le quali ci si confronta portino con sé un valore dal punto
di vista dell' etica della carità, meritino cioè di essere riconosciute,
è forse preferibile l' espressione, opposta nella forma se non nella sostanza,
del "bene maggiore", possibile nelle condizioni concrete date. Ma, quale
che sia la formula, risulta comunque che l' atteggiamento etico che si
richiede non è quello rigidamente deduttivo da astratti principi di verità
e che si tratta invece della ricerca degli equilibri più fecondi di bene,
che non trascurino ciò che la carità implica, nella concretezza delle
situazioni storiche che viviamo.
6. Giunti a questo punto, il discorso sull' etica pubblica potrebbe
proseguire costruttivamente in un discorso sulla democrazia. E' addirittura
intuitivo che la democrazia è inconciliabile con la pretesa di una parte,
quale che essa sia, di possedere la verità e di imporla a chi non vi si
riconosce. Questa pretesa sarebbe non democrazia ma autocrazia. La carità
ci introduce invece in un campo in cui la verità retrocede, in un campo
che, per sua natura, non è quello delle certezze assolute e necessarie,
ma quello delle possibilità. La democrazia è per l' appunto il regime
delle possibilità da esplorare, attraverso discussione e confronto e secondo
la logica del male minore o del bene maggiore nelle condizioni date. In
certo senso, carità e (è) democrazia. In questa dimensione pratica, essenzialmente
relativa, nessuno può pretendere di possedere la verità. Anzi, l' idea
stessa di verità non ha luogo. Così, però, ci stiamo già addentrando nel
secondo ordine di problemi su cui i Padri gesuiti, nell' editoriale de
La civiltà cattolica sopra citato, sono intervenuti: Chiesa cattolica
e democrazia. E' bene, per ora, fermarsi qui, nell' attesa di ritornarci
in modo adeguato alla grande importanza del tema.
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