Disabilità. Dalla scuola al lavoro
ritorna
Introduzione
La prospettiva inclusiva, ovvero la spinta verso l’integrazione,
nelle politiche scolastiche italiane ha un percorso lungo e nasce dalle
intenzioni e dalle pratiche che sottolineano la necessità di crescere
insieme e di permettere un apprendimento senza esclusioni. Nasce quindi
dalla possibilità di un percorso di scuola dell’obbligo unitario,
non diviso; occorre ricordare sempre che la scuola italiana aveva una
composizione che metteva all’età di 10 anni – dopo
le scuole elementari – le bambine ed i bambini, o meglio le loro
famiglie, di fronte alla scelta se continuare con un percorso scolastico
che avrebbe potuto poi fare accedere alle scuole superiori oppure avere
un percorso scolastico limitativo che si chiamava avviamento professionale.
La questione non poneva il tema della disabilità ma si poneva come
necessità di una maggiore integrazione in un percorso unitario,
e questo venne ben prima dell’integrazione di disabili. La seconda
questione importante per la scuola e per gli ordinamenti è sempre
stata quella di permettere – a volte con difficoltà organizzative
– un percorso di un gruppo classe per più anni con gli stessi
insegnanti. Questo metteva in chiaro la possibilità di avere dei
ritmi a seconda dello sviluppo del singolo soggetto e non esigere che
al termine dell’anno scolastico tutti fossero con lo stesso livello
di apprendimenti: alcuni avrebbero potuto apprendere nell’anno successivo,
c’era quindi una composizione di ritmi e di capacità differenziate.
La pluralità all’interno del gruppo classe non era dichiarata
in maniera così esplicita ma era sottintesa in maniera pragmatica
attraverso queste due indicazioni che vogliamo sottolineare. Il fenomeno
dell’emigrazione interna mette di fronte il problema di una quantità,
che per accumulo – nel senso che non era prevista - si scoprì
essere molto alta, di soggetti che venivano messi in un circuito differenziato
e quindi classi differenziali e classi speciali con un numero molto alto
di individui che non avevano delle caratteristiche tali da poterli dichiarare
disabili – diremmo oggi – ma che mettevano in difficoltà
l’insegnamento così come era stato concepito fino ad allora;
avevano dei presupposti linguistici diversi, avevano degli accenti dialettali,
costruivano le loro frasi e i loro processi logici in termini tali che
mettevano in difficoltà l’insegnamento e si preferì
avviarli verso le classi differenziali.
Questo processo, però, non ebbe un’affermazione e l’accumulo
e la quantità di soggetti che venivano scartati dall’insegnamento
ordinario creò un elemento di resistenza all’utilizzare in
maniera così massiccia alle scuole differenziali e si collegò
al momento in cui si scopriva la necessità di superare le forme
di esclusione nelle istituzioni che venivano chiamate totali e che tuttora
potrebbero venir chiamate così se non che se ne è perso
un po’ il significato e qualcuno non capisce di che cosa si tratti.
Si tratta di istituzioni, di luoghi in cui bisognava cogliere e risolvere
tutti i problemi di un soggetto senza relazioni con altri luoghi, altre
istituzioni, altri soggetti e quindi con un impoverimento negli apprendimenti,
nei comportamenti sociali e quindi nelle prospettive. L’esclusione
attraverso gli istituti venne alla luce con episodi che non erano solo
episodi, segnavano anche l’impreparazione di molte strutture ad
accogliere le problematiche che portavano con sé questi soggetti
e soprattutto vi fu l’impressione che la questione economica fosse
alla base della presenza di tante istituzioni totali e che si potesse
affrontare la stessa questione in ben altri modi.
L’integrazione quindi emerse come un elemento importante di scelta
di civiltà, si potrebbe dire, ma anche come una ingenua intesa
che bastasse abbattere dei muri per recuperare una quantità enorme
di soggetti. Non era così semplice: l’operazione mise in
moto una serie di aggiustamenti che non sono mai finiti e che hanno avuto
andamenti ciclici di entusiasmi, non venuti mai meno forse alla base,
ma certamente condizionati da tante questioni e negli ultimi anni soprattutto
dalle leggi finanziarie cioè da provvedimenti indiretti che però
mettono molti bastoni tra le ruote alla prospettiva inclusiva, riducendo
il numero di ore scolastiche, riducendo le possibilità di servirsi
di sussidi, di materiali, riducendo la possibilità di articolare
gli spazi.
Le riduzioni sono il contrario dell’integrazione; integrazione vuol
dire invece mettere insieme e collegare realtà, abilità,
competenze. In un punto in particolare la nostra situazione italiana ha
mostrato una difficoltà non da poco che in qualche modo ha potuto
essere tenuta sotto controllo fino a qualche tempo fa ma che si è
rivelata poi fortemente in difficoltà con le politiche scolastiche
dell’ultimo quinquennio, vale a dire la formazione degli insegnanti,
in particolare degli insegnanti specializzati per l’integrazione,
con la necessità di non circoscrivere i progetti formativi unicamente
al periodo iniziale e tenere presente che la formazione reale è
quella che si fa lavorando, è quella che diventa la formazione
permanente, l’interscambio, la possibilità di collegamento
con figure professionali della stessa professionalità ma più
esperte o di altre professionalità, in un dialogo interprofessionale
che dovrebbe essere alla base del lavoro di chi si occupa di educazione
e che risulta invece fortemente ridotto e ridotto anche ad una dimensione
volontaristica e quindi poco utilizzabile in una prospettiva di politica
della scuola.
La possibilità di mettere ordine a questo settore certamente c’è;
la possibilità però deve tener conto del fatto che bisogna
mettere fine alle strutture temporanee, ai corsi una tantum, alle operazioni
messe in moto per aggiustare una certa categoria di precariato, di insegnanti
che hanno una lunga trafila ma adottare e adattare i provvedimenti in
modo tale da costituire un percorso formativo stabile, regolare e che
permetta anche a chi fa formazione di imparare a fare formazione perché
nulla si impara da zero e tutto si può fare se si ha l’esercizio
e la possibilità di continuarlo nel tempo.
La possibilità che le politiche scolastiche siano in più
proficuo contatto con le politiche socio-sanitarie è anche questa
evidente ma occorre superare ostacoli notevoli. Noi pensiamo di essere
stati testimoni di un rarefarsi del contatto e del dialogo interprofessionale
con possibilità rare di incontri reali e con somministrazione di
diagnosi, somministrazione di farmaci, somministrazioni, mentre il dialogo
è altra cosa; mantenere le proprie competenze professionali in
una protezione rigida di mansionario diventa un elemento difensivo che
poco ha a che fare con la prospettiva inclusiva.
Ci auguriamo che questa stagione abbia prodotto sufficienti danni da poter
essere capiti e quindi da potere rivelare le grandi potenzialità
che la nostra struttura organizzativa ancora riserva, basta rimetterla
in moto, rimetterla in ordine e avere una progettualità di più
ampio respiro e non quella contenuta dietro degli slogan ma impoverita
molto negli ultimi anni che abbiamo vissuto.
Andrea Canevaro
Direttore Dipartimento scienze dell’educazione
Università di Bologna
Aprile 2006
Indice
- Introduzione di Andrea Canevaro
- Integrazione scolastica: aspetti pedagogici, psicologici e sociologici
del modello italiano
Andrea Canevaro
- L’integrazione scolastica in Italia:un’esperienza che
viene da lontano
Marisa Pavone
- L’integrazione scolastica e sociale delle persone con deficit
in situazione di gravità
Marisa Pavone
- Personalizzare l’integrazione. Un progetto educativo per l’handicap
Marisa Pavone
- Dal Piano Educativo Individualizzato al Progetto di vita adulto. Cinque
temi forti per assicurare tale passaggio
Dario Ianes
- Punti fermi sull’integrazione scolastica
Salvatore Nocera
- La qualità dell’integrazione scolastica. Mozione Conclusiva
Convegno “La qualità dell’integrazione scolastica
- L’inserimento lavorativo di persone con disabilità intellettiva:
aspetti metodologici e condizioni psicologiche
Carlo Lepri
- Alcune considerazioni critiche sullo stato di attuazione della legge
68/99
Carlo Lepri
- Il diritto al lavoro dei disabili nel nord-est della piena occupazione
Antonio Saccardo, Orianna Zaltron
- I SIL del Veneto tra continuità e innovazione
Antonio Saccardo
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