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Politiche sanitarie nelle Marche e tutela dei soggetti deboli
Fabio Ragaini-Gruppo Solidarietà
(indice Voce sul sociale)

Si analizza il quadro delle politiche sanitarie regionali avendo come riferimento gli interventi ed i servizi rivolti alle fasce più deboli della popolazione. In particolare: l'evoluzione ed applicazione del Piano sanitario regionale ed i principali Atti della nuova amministrazione regionale insediatasi lo scorso maggio. Viene proposta anche una scheda riguardante l'applicazione del Piano socio assistenziale.


Il Piano sanitario (1) è in scadenza, nel periodo di vigenza a livello nazionale è stata approvata la "riforma ter" (D. Lgs 229/99) e si rimane in attesa dell'emanazione dell'atto di indirizzo sull'integrazione socio sanitaria previsto dal D. lgs 229/99. Prenderemo a riferimento i bisogni di quelle persone che richiedono continuità assistenziale in quanto le malattie cui sono stati colpiti si caratterizzano per una situazione di cronicità determinando un quadro di parziale o totale non autosufficienza. Per quanto attiene ai servizi ci riferiamo alla situazione riguardante i posti letto ospedalieri di riabilitazione e lungodegenza e a quelli del sistema extraospedaliero.

Riabilitazione e lungodegenza

Il Piano prevedeva, nel triennio, di arrivare a realizzare 862 posti letto (0,65 per 1000 abitanti); ricordiamo che la normativa nazionale prevede che per tale funzione debbano essere previsti posti letto pari a 1 per 1000 abitanti (circa 1.440 posti). La DGR 2090/2000 riguardante il fabbisogno di strutture (alleghiamo parte della lettera inviata dopo la proposta della Giunta regionale poi modificata dopo il passaggio in Commissione sanità e servizi sociali) prevede che gli 862 p.l. debbano essere per metà destinati alla funzione di riabilitazione e l'altra metà a quella di lungodegenza (431 + 431). La presenza di tali posti letto, in ogni AUSL, permetterebbe di poter usufruire di tempestivi interventi di riabilitazione intensiva e di continuità di cure.

Sui pochi posti di RSA e sul loro distorto utilizzo

Riportiamo la lettera inviata lo scorso 12 settembre dal Coordinamento Volontariato Vallesina alla Regione Marche sulla proposta di delibera, poi diventata, 2090/2000

Già in occasione della predisposizione del PSR avevamo ritenuto che la previsione dei posti letto di RSA (nelle prime stesure il dato era addirittura poco superiore ai 600 p.l.) fosse largamente insufficiente a coprire i bisogni di residenzialità di anziani malati non autosufficienti non curabili a domicilio. La previsione contenuta nella delibera in oggetto stima un fabbisogno che tutti sappiamo largamente insufficiente che non copre neanche i bisogni delle persone malate e non autosufficienti oggi già presenti (impropiamente) nelle Case di riposo (l. r. 43/88, art. 41, comma 1 lett. e), stimabili in circa 2500 persone. Il Progetto Obiettivo Anziani (POA) stimava la necessità di posti letto in RSA pari al 2% della popolazione ultrasessantacinquenne. Considerando che tale popolazione nella nostra regione è di circa 300.000 persone si determinerebbe la necessità di circa 6.000 posti. La previsione della delibera in oggetto si assesta intorno allo 0,5% (che peraltro somma RSA e NAR). Non vogliamo entrare nel tema riguardante la riconversione della spesa; ma è evidente che non è possibile comprimere i bisogni sulla base delle risorse economiche; una compressione che naturalmente riguarda i settori deboli e non quelli forti (vedi posti letto ospedalieri). Affermare, come la delibera in oggetto, che 1597 posti letto di residenze sanitarie sono il fabbisogno di RSA nell'intero territorio regionale significa affermare una cosa, che sappiamo, non vera. A questo va aggiunto che molte delle attuali RSA non funzionano come RSA (gestione di malati non autosufficienti stabilizzati) ma come RST, RSR, lungodegenze, ecc…, prevedendo comunque una permanenza a termine e dirottando i malati verso strutture assistenziali. Si ribadisce pertanto la proposta di andare ad una identificazione delle strutture, impedendo alle AUSL subdoli cambi di destinazione delle stesse.
Chiediamo quindi di rivedere la previsione di tali posti con almeno il raddoppio dei posti letto previsti.
Riguardo le strutture semiresidenziali riteniamo importante almeno che venga prevista la creazione di un Centro Diurno rivolto a soggetti con malattia di Alzheimer o altre demenze per ogni Azienda sanitaria.
Si segnala infine la necessità di attivare i posti di riabilitazione e lungodegenza almeno secondo le indicazioni del Piano (0,65 per 1000 abitanti) standard già al di sotto dell'1 per mille previsto dalla legislazione vigente. Si chiede inoltre di verificare, a circa due anni dall'approvazione del Piano, il numero dei p.l. attivati dalle AUSL. E' evidente che l'insufficiente presenza di tali posti continua a determinare il, più volte denunciato, improprio utilizzo delle RSA.


Dati del 1998 riportati nella Relazione sullo stato sanitario del Paese, a cura del Ministero della sanità stimano per questa funzione (riabilitazione + lungodegenza) nelle Marche la presenza di 0,2 posti letto per mille abitanti (circa 270) senza distinguere tra le due funzioni; Un recente studio (2) stima in 72 il numero dei posti di lungodegenza presenti nelle Marche nel 1997; 42 di questi appartengono a strutture private rivolte a persone con malattia mentale. In pratica in tutta la regione si tratta di qualche decina di posti letto. Alcune unità operative dovrebbero essere state successivamente attivate (Senigallia, Fano, INRCA Ancona), ma ben lontani si è da una presenza di tali posti letto in tutte le AUSL. Dei circa 200 posti letto di riabilitazione, 130 appartengono al Gruppo S. Stefano e sono presenti nelle strutture di Ancona (40) e Porto Potenza Picena (90). Anche da questi dati si rileva la grande carenza di posti letto in gran parte delle ASL della regione.
In tale quadro non può che prodursi un utilizzo improprio delle strutture del sistema extraospedaliero o la non effettuazione di alcuni interventi.

Il sistema extraospedaliero

Il sistema residenziale extraospedaliero (3) come definito dal Piano sanitario regionale e da successivi atti regionali (4), presenta diverse tipologie di strutture: le Residenze sanitarie terapeutiche (RST), Le Residenze sanitarie riabilitative (suddivise a loro volta in intensive ed estensive), le Residenze sanitarie assistenziali (previste a seconda della tipologia di utenza per: anziani, disabili, malati mentali, tossicodipendenti) ed i Nuclei di assistenza territoriale (NAR) previsti all'interno delle strutture assistenziali, per i quali il PSR prevedeva entro 4 mesi (febbraio 1999) la definizione da parte della Giunta regionale delle forme di partecipazione alla spesa da parte del SSR. Le previsioni sono le seguenti (PSR + DGR 2090/2000): RST (361); RSR intensive + estensive (552); RSA anziani (1597); RSA disabili (410); RSA malati mentali (506); RSA tossicodipendenti (564).
Come nelle intenzioni di questa scheda cercheremo di analizzare la situazione dei servizi riguardanti malati che necessitano di rilevanti e continuativi interventi sanitari e che senza adeguati servizi di cure domiciliari e un robusto sostegno familiare devono ricorrere a strutture residenziali.

Riguardo ai dati sopra riportati si segnala:
a) l'estensione della denominazione RSA a tutte le strutture extraospedaliere deputate a categorie di utenti (anziani, disabili, malati mentali, tossicodipendenti), fa una certa impressione, ad esempio l'utilizzo della RSA anche per le strutture (comunità terapeutiche) rivolte al recupero di persone tossicodipendenti;
b) la mancata previsione del numero di posti letto dei NAR (assente sia nel Piano che nella delibera 2090/2000).
Va inoltre ricordato che ad oggi le RSA anziani sono le uniche strutture che prevedono il pagamento della quota alberghiera (dopo i 90 giorni se provenienti da una struttura ospedaliera; dal 1º giorno se provenienti dal domicilio); nelle altre strutture (RST, RSR, RSA disabili) il costo è per intero a carico del FSN. Ad una prima analisi ciò farebbe pensare ad una estrema "benignità" del sistema sanitario marchigiano, vedremo che ciò non risponde al vero.
La varietà di tipologie di strutture extraospedaliere, pone un problema di "riconoscimento". Se gran parte dei posti letto riconducibili alla tipologia RSR e RSA disabili sono ricompresi nei posti letto degli istituti ex art. 26/833 e sono comunque normati da intese Regione-Centri "convenzionati" (il Manuale di autorizzazione pone inoltre tra i requisiti da rispettare i minuti di assistenza (senza peraltro specificare la tipologia di intervento): 140 per RSA disabili e RSR estensiva, 180 per le RSR intensive; diverso è il discorso riguardante i posti di RST (del tutto assimilabili alle lungodegenze ospedaliere) previsti in 360, per le quali non è ancora chiaro dove sono o dovrebbero essere e quali sono gli standard di funzionamento) e quelli delle RSA anziani. Il problema riguarda principalmente le strutture disattivate dalla funzione ospedaliera e riconvertite (Delibere 99 e 3240 del 1992) in RSA (280 p.l.?).
Per le strutture RST e RSA anziani non è stato ancora definito alcun standard assistenziale (quelli previsti in una bozza del Manuale di Autorizzazione, Del. 2200/2000, è stato stralciato e si è in attesa di un nuovo atto. In realtà per le RSA sono ancora in vigore le indicazioni previste nella delibera 3240/92 e nella legge regionale 36/1995); ma il problema è che a tutt'oggi:
a) non è chiaro quante siano le RSA attive (dove sono e con quanti posti letto);
b) quanti dei posti letto considerati come RSA funzionino come tali.

Il rischio è allora di continuare a dare dei numeri che sono completamente lontani dalla realtà. Nella sostanza ciò significa che quei pochissimi posti di RSA presenti nella nostra regione accolgono un'utenza riconducibile ai posti letto di riabilitazione e lungodegenza o a quei posti extraospedalieri a loro volta assimilabili alla funzione riabilitazione lungodegenza. Ed allora si capisce che il sistema non è per nulla benigno! Anzi. Il percorso diventa "lineare": dopo la fase acuta in ospedale (che sappiamo sempre più contratta) il sistema regionale (ma dovremmo anche diversificare i percorsi in base all'età: per i più anziani a parità di condizioni cliniche l'accesso alla riabilitazione lungodegenza è sempre più impervio) offre pochissimi posti di riabilitazione-lungodegenza, posti di riabilitazione intensiva in regime extraospedaliero e i posti classificati in RSA. Il percorso (per quelle persone che avevamo definito in situazione di totale non autosufficienza, ma anche per gli esiti di demenze) si conclude, generalmente, dopo qualche mese, qualunque sia la condizione clinica, nel ricovero presso una qualsiasi struttura assistenziale (con costi giornalieri a carico dell'utente o dei loro familiari oscillanti tra le 80.000 e le 120.000 al giorno). Tali strutture, deputate ad accogliere anziani autosufficienti e parzialmente non autosufficienti (l.r. 43/88, art. 41, comma 1, let. e), hanno, ma non sempre, il supporto di un infermiere per un turno con un rimborso delle spese da parte delle Aziende sanitarie attinti dal fondo regionale ADI (di circa 40 miliardi).
L'aspetto che diventa inaccettabile da un punto di vista etico è il totale disimpegno del sistema sanitario regionale per la stragrande maggioranza di malati (adulti e anziani) cronici non autosufficienti e non curabili a domicilio.
Riassumendo: le poche RSA presenti sul territorio non funzionano come tali; le strutture utilizzate per l'accoglienza permanente sono le strutture assistenziali (Mengani, 1998, stima che nelle 105 case di riposo presenti nel territorio regionale per oltre 4.500 posti sia presente all'interno delle strutture una percentuale di ospiti non autosufficienti - comprese persone con malattia mentale - stimabile intorno al 70%); tra queste per un imprecisato numero di posti letto (e comunque ipotizzabili con una stima approssimativa in 400-500 complessivi) sono presenti dei "posti protetti", generalmente in nuclei da 20 per i quali esistono convenzioni tra l'ente gestore e la ASL territoriale che assume parte dell'onere del costo retta (di solito pari a circa il 50% della spesa). Come dicevamo in queste strutture (che dovrebbero assumere la denominazione di NAR rispettando i vincoli posti dal PSR e del Manuale di autorizzazione), gli standard assistenziali, non sono, ad oggi, definiti da alcun atto regionale.
E' evidente la difficoltà a mettere mano ad un sistema totalmente squilibrato nell'offerta dei servizi (strutture assistenziali nate e sviluppate per ospitare persone autonome in luogo di strutture rivolte a persone malate e non autosufficienti), ma è necessario farlo, partendo dal principio che, purtroppo ci sono malattie che producono non autosufficienza e dunque, se da un lato "deve modificarsi il privilegio dell'acuto che ancora caratterizza largamente sia la mentalità medica che la mentalità della popolazione" (5), dall'altro è necessario capire che tutto questo non può essere fatto a costo zero. Ad esempio se accettiamo che la RSA sia la struttura deputata ad accogliere il malato non autosufficiente stabilizzato e non curabile a domicilio, dobbiamo anche pensare che alcuni standard di personale fissati in proporzione del costo retta non possono essere considerati accettabili; o peggio ancora (come purtroppo accade nella stragrande maggioranza delle regioni italiane) anche se in contrasto con le indicazioni del POA e del DPR 14.1.1997 (RSA come struttura propria del servizio sanitario nazionale), che vengano definite e classificate come RSA anche strutture assistenziali con un modesto supporto di figure sanitarie.

Facciamo nostre le parole di Anna Banchero (Prospettive sociali e sanitarie, n. 20/2, p. 43), che commentando il ritardo dell'emanazione dell'Atto di indirizzo sull'integrazione socio sanitaria ai sensi dell'articolo 3 septies del citato D. lgs 229/99, dovuto alle frenate degli assessori alla sanità preoccupati del disavanzo della spesa afferma: "Proprio così, la voragine della spesa sanitaria, che ha raggiunto i 129 mila miliardi, si 'preoccupa' di fronte a pochi migliaia di miliardi, non più di 8-10 mila, che sono utilizzati per le attività nei confronti degli anziani "cronici", dei disabili, malati di mente e comunque delle fasce più deboli. Non sono forse destinatari anch'essi dell'assistenza sanitaria, oppure si vuole non riconoscere il loro diritto alla cura per consegnarlo ad un "fai da te" collegato alle disponibilità economiche e spesso privo di qualità. Sono i corsi e ricorsi della finanza pubblica: quando si raggiunge uno stato di allarme, non si pensa alla quantità di servizi inutili, e inappropiati, anche tra le elevate tecnologie, ci si attesta invece nella parte dei più deboli …"




Dopo il Piano socio assistenziale

Il Piano socio assistenziale (6) è stato approvato nell'ultima riunione del precedente Consiglio regionale, compito della nuova amministrazione e del nuovo assessore è quello di dare gambe alle previsioni del Piano.
A livello nazionale nel novembre scorso è stata approvata la riforma dell'assistenza (L. 328/2000); tra gli adempimenti delle regioni, ricordiamo quello di determinare (entro maggio 2001) "gli ambiti territoriali per la gestione unitaria del sistema locale dei servizi sociali". Si dovrà inoltre provvedere a modificare la legge regionale 43/1988 di riordino delle funzioni di assistenza sociale, dando attuazione, in particolare, all'art. 22, comma 4 della riforma con la definizione degli interventi da assicurare in ogni ambito territoriale.
Avevamo espresso (7) le nostre perplessità sui contenuti del Piano; sulla genericità di alcune parti: in particolare quella relativa alla rete dei servizi essenziali; sull'enfasi che ne aveva accompagnato l'approvazione. Naturalmente il parere non è cambiato; questi primi mesi di applicazione confermano che, purtroppo, nessun lavoro è stato fatto a monte (per 5 anni sono andati avanti gli incarichi! non pare ingeneroso chiedere: per produrre che cosa, visto che oggi si comincia a fare il monitoraggio, la mappatura, ecc.., cosa offre un Piano quando non è capace neanche di dire che cosa si intende per una comunità alloggio o un gruppo appartamento, ecc…! se in nome della sussidiarietà tutto doveva essere fatto dopo, non sembrava così necessaria la presenza di esperti o consulenti); si parla allora di "Piano processo" …..,

Di seguito riportiamo le scadenze previste:

Le scadenze del Piano

1 mese (30 aprile 2000): La giunta regionale istituisce un Comitato permanente per l'attuazione del Piano.

3 mesi (30 giugno 2000): Le Conferenze dei sindaci individuano gli ambiti territoriali. Trascorsi i 90 giorni senza che i comuni abbiano avanzato proposte; la giunta entro 60 giorni provvede con proprio Atto alla individuazione degli A.T.

6 mesi (30 settembre 2000): La Giunta regionale definisce i livelli minimi di servizi, prestazioni e attività. Il Consiglio regionale determina "linee guida" nei diversi campi dell'integrazione socio sanitaria ed individua i livelli minimi di integrazione da attuare in ogni A.T.. - Gruppi di lavoro coordinati dalla regione individuano le figure professionali corrispondenti agli operatori di base e agli operatori tecnici di medio livello. - Il Consiglio regionale individua le tipologie di strutture soggette all'autorizzazione.


Nel mese di dicembre si è insediato il Comitato tecnico permanente per l'attuazione del Piano; alla stessa data nessuna delle altre scadenze previste è stata rispettata; si è in attesa della definizione degli ambiti territoriali, sui quali si sono espresse le Conferenze dei sindaci (si parla di 28-29 ambiti, con proposte anche di costituzioni di ambiti per 10-15 abitanti). E' stato poi costituito un "Osservatorio regionale per le politiche sociali" (DGR 1768/2000), e affidato un incarico (DGR 2225/2000) per un programma di formazione territoriale (livello di Aziende sanitarie) per l'avvio dell'attuazione del Piano. Si è inoltre provveduto alla modifica (8) di una importante legge di settore: la legge regionale 18/1996 sull'handicap. Ritorneremo nei prossimi numeri di "Appunti", sul Piano e sull'attuazione a livello regionale della riforma dell'assistenza.





Legge regionale 20 ottobre 1998, n. 34, Piano sanitario regionale 1998/2000 (Sup. BUR n. 223 del 29.10.1998);
Cfr., F. Pesaresi, M. Simoncelli, La lungodegenza ospedaliera in Italia, in "Tendenze nuove", n. 5/2000, p. 4;
Cfr., Riabilitazione residenziale e accoglienza permanente per persone handicappate nel Piano sanitario della regione Marche, in "Appunti" 5/1998, p. 12; Presente e futuro delle RSA nelle Marche, in "Appunti" 4/1999, p. 16;
In particolare segnaliamo la legge 20/2000, Disciplina in materia di autorizzazione alla realizzazione e all'esercizio, accreditamento istituzionali e accordi contrattuali delle strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private (B.U.R. n. 30 del 23.3.2000) ed alcuni suoi successivi atti: D.G.R. n. 2090 del 10.10.2000, L.R. 20/2000 art. 28 - determinazione degli ambiti territoriali in cui si riscontrano carenze di strutture sanitarie o socio-sanitarie o di capacità produttive delle stesse (B.U.R., n. 108 del 26.10.2000); D.G.R. n. 2200 del 24.10.2000, L.R. 20/2000 art. 6 - Determinazione dei requisiti minimi richiesti per l'autorizzazione alla realizzazione e all'esercizio di strutture sanitarie e socio-sanitarie (B.U.R., n. 115 del 9.11.2000);
Cfr., documento del Consiglio superiore di sanità, Questioni etiche nell'assistenza alle persone affette da patologie croniche, in "Appunti", 2/2000, p. 20;
Delibera amministrativa n. 306 del 1 marzo 2000, Piano regionale per un sistema integrato di interventi e servizi sociali 2000/2002 (Sup. BUR n. 15 del 30.3.2000);
Cfr., Sulla proposta di Piano socio assistenziale della regione Marche, in "Appunti" 6/1999, p. 18;
Legge regionale 21 novembre 2000, n. 28, Modifiche ed integrazioni alla Legge regionale 4 giugno 1996, n. 18 "Promozione e coordinamento delle politiche di intervento in favore delle persone handicappate" (B.U.R. n. 124 del 30.11.2000).