Servizi sociosanitari. Le allarmanti “ipotesi” della regione Marche su standard e tariffe
Fabio Ragaini, Gruppo Solidarietà
“Là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore” . Servizi socio sanitari per persone non autosufficienti: la proposta della regione Marche su standard, tariffe ripartizione degli oneri tra sanità e sociale.
In una precedente scheda, Il modello assistenziale integrato della regione Marche. Un documento da cambiare, avevamo analizzato la bozza di documento della regione Marche sul modello assistenziale riguardante alcuni servizi dell’area sanitaria e socio sanitaria rivolti a persone con disabilità, anziani non autosufficienti, soggetti con disturbi psichici. A distanza di qualche mese alcune ulteriori bozze sono circolate insieme ad una ipotesi di proposta di legge riguardante le autorizzazioni sanitarie, sociosanitarie e sociali.
Di seguito, in maniera sintetica, proporremo una breve analisi delle proposte in corso, a partire dalla situazione esistente.
Da dove veniamo
Ad oggi nella nostra Regione si è in presenza di questo quadro regolamentare riguardo i servizi sociosanitari, con riferimento a tariffa, ripartizione degli oneri, standard, fabbisogno.
Vedi tabella nell'allegato pdf
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Tariffa |
Ripartizione costi sanità/sociale |
Standard |
Fabbisogno |
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Anziani |
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Rsa
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no |
Definita solo quota sociale |
no |
Si (con Cd l. 20/00) |
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Rp |
si |
si |
si |
si |
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CD l. 20-02 |
no |
no |
si |
no |
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CD l. 20-00 |
no |
no |
no |
Si (con Rsa) |
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Disabili |
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Rsa Rsr est |
si si |
Completo carico sanità Completo carico sanità |
si |
si |
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Rp |
no |
no |
si |
no |
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Coser |
no |
si |
si |
si |
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CD (l. 20-02) |
no |
no |
si |
no |
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CD (l. 20-00) |
si |
Completo carico sanità |
no |
si |
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Salute mentale |
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Srt |
no |
Completo carico sanità |
no |
si |
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Srr |
no |
Completo carico sanità |
no |
si |
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Cp |
no |
no |
No-si |
si |
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CD |
no |
Completo carico sanità |
no |
si |
Ripreso da, Livelli essenziali e servizi sociosanitari nelle Marche, in www.grusol.it
La regione Marche non ha dato applicazione alla normativa sui Lea; le uniche strutture per le quali sono definite tariffe e ripartizione degli oneri sono quelle per la disabilità ex art. 26/833 (tutte a carico del FSN) autorizzate con legge 20/2000 e le residenze protette per anziani non autosufficienti, autorizzate con legge 20/2002. Per gli altri servizi sociosanitari, standard, tariffe e quando presenti, ripartizione degli oneri sono, quando non gestiti direttamente, definiti dall’Asur attraverso accordi con i soggetti gestori siano essi pubblici e privati. Nel volume, Trasparenza e diritti. Soggetti deboli, politiche e servizi nelle Marche, http://www.grusol.it/pubblica.asp, abbiamo documentato tale situazione attraverso l’analisi dei più significativi accordi dell’ultimo biennio. Ne risulta una situazione di estrema eterogeneità rispetto a standard, offerta, tariffe; in molto casi le differenze tra identici servizi non possono considerasi fisiologiche ma del tutto patologiche (le schede possono consultarsi al link, Osservatorio Marche, in http://www.grusol.it/vocesociale.asp).
Verso quale direzione?
Appare dunque del tutto auspicabile mettere fine a tale situazione così da regolamentare l’area sociosanitaria. Anche a questo fine è nata poco più di un anno fa, la Campagna regionale “Trasparenza e diritti”, http://leamarche.blogspot.it/. Si tratta, ora, di capire “come” la Regione intende regolamentare e applicare la normativa sui livelli essenziali di assistenza. E’ necessario dunque entrare sui contenuti delle proposte, all’interno dei quali viene proposto anche un “modello organizzativo” dei servizi diurni e residenziali dell’area sociosanitaria.
L’attenzione regionale viene posta, ancora una volta, sulle sole aree semiresidenziali e residenziali. Assente ogni riferimento alla domiciliarità: sia riguardo le cure domiciliari come disciplinate dalla normativa sui LEA, sia riguardo gli interventi di tipo esclusivamente sociale.
Ma forse, come vedremo meglio in seguito, ciò non stupisce. Gli interventi domiciliari, si pensi in particolare all’assistenza tutelare (i LEA prevedono che il costo sia ripartito al 50% tra sanità e sociale) richiederebbero un impegno del servizio sanitario che nella nostra regione è stato sempre disatteso. Esigerebbe dunque oneri aggiuntivi.
E forse qui arriviamo al cuore della questione. Pare evidente che le proposte fin qui presentate, siano tarate a partire dalle esigenze di bilancio. Le indicazioni o scelte di tipo tecnico appaiono, di conseguenza, ben lontane da ogni neutralità. Sono piegate alle ragioni di tipo economico. Il risultato che si vorrebbe ottenere è quello di essere finalmente adempienti rispetto all’applicazione dei livelli essenziali sociosanitari addossando le responsabilità “degli esiti” - ovvero l’addossare oneri a carico di utenti e comuni - alla normativa nazionale. Sarebbe comodo, ma non serio.
Come precedentemente detto, cercheremo di affrontare in modo sintetico i singoli aspetti, elencando per ognuno le questioni che riteniamo più importanti.
1) Servizi socio sanitari e applicazione dei LEA. Come è noto nelle Marche sono presenti due leggi che disciplinano le autorizzazioni sanitarie e sociosanitarie (le leggi 20/2000 e 20/2002). I servizi di riferimento sono indicati nella tabella. Le due leggi non fanno riferimento ai criteri indicati dai LEA (la 20/2000 è precedente, quella del 2002 è di poco successiva) riguardo intensività degli interventi (intensivo, estensivo, lungo assistenza) o di differenziazione delle prestazioni negli interventi per disabili gravi e no. La sola legge 20/2002 indica tre tipologie di strutture (funzione abitativa, tutelare, protetta). E’ evidente che una applicazione corretta dei Lea, tenendo anche conto delle indicazioni dell’atto di indirizzo sull’integrazione sociosanitaria, non può prescindere dalle condizioni delle persone (bisogni) e dal conseguente standard assistenziale erogato. Va pertanto rifiutata ogni subdola derubricazione a servizio sociale di alcuni dei servizi socio sanitari autorizzati ai sensi della legge 20/2002. Se dunque, in strutture a più bassa intensità assistenziale vengono inseriti soggetti che dovrebbero afferire a servizi di più alta intensità, non potrà essere il servizio fruito, ma la condizione delle persone a determinare il criterio di intensività, estensività o lungoassistenza. Criterio che definisce la ripartizione degli oneri tra sanità e sociale.
Se, come viene fatto osservare, alcuni di questi servizi non hanno minutaggio ma solo indicazione del rapporto operatore/utente e ciò è problematico ai fini della determinazione della tariffa, ci si chiede perché, in 10 anni non si è mai provveduto in questa direzione. Risulta peraltro che ci sono Regioni che hanno disciplinato questi servizi (Vedi Emilia Romagna) mantenendo il riferimento al rapporto operatore/utente e non sembra che ciò abbia impedito di definirne la tariffa.
Quali sono i servizi socio sanitari che si vorrebbero derubricare a sociali? In particolare, i centri diurni per anziani non autosufficienti e parte di quelli per disabili. Deve essere premesso che in mancanza della definizione del numero dei posti convenzionabili/accreditabili ogni valutazione può essere solo parziale, ma:
- i Centri diurni anziani della legge 20/2002 ospitano poco meno di 300 utenti. Gli oltre 20 CD, non sarebbero più considerati, ai sensi dei LEA, come prestazioni di mantenimento (50% a carico della sanità). Per fare ciò si dovrebbe dimostrare che gli anziani accolti sono autosufficienti;
- i Cser per disabili ospitano circa 1050 utenti. La tipologia di utenza, indicata dalla legge 20/2002, è riferibile al “disabile grave”. La proposta prevede una duplice tipologia di Centri diurni da affiancarsi a quelli della legge 20/2000 (ex art. 26/833) che sono tutti a carico della sanità, hanno definito la tariffa, ma … non gli standard.
Non sono disabili gravi gli utenti dei Cser? Si può da subito verificare l’utenza ospitata, così da valutarne il livello di inapropriatezza. Peraltro la proposta - che dovrebbe essere stata cambiata - di 40 minuti di fisioterapista al giorno per utente, disegna un servizio altro rispetto a quello della 20/2002. Ma forse qui, bisognerebbe, riprendere il ragionamento da capo e capire davvero cosa la regione Marche intenda per Centro diurno per disabili gravi. L’impressione è che oltre ad esserci poca chiarezza si sia sideralmente lontani dalla realtà dei servizi per persone con grave disabilità intellettiva. Sostanzialmente, ritenendo che l’intervento socio riabilitativo per giustificare l’assunzione di oneri sanitari necessiti di specifiche figure sanitarie, tra queste marginalmente rientra la figura dell’educatore (professionale e no).
Destino diverso riguarda invece le Comunità socio educative per disabili delle legge 20/2002. Esse verrebbero considerate come servizio per disabili non gravi (privo di sostegno familiare), con onere a carico della sanità del 40%. Una parte di questi posti (in totale sono circa 250), circa il 25% di quelli previsti nell’atto fabbisogno per i disabili gravi verrà considerato come tale. Non conoscendo i contenuti dell’atto di fabbisogno, non si possono fare valutazioni. Ciò che è certo è che attualmente la gran parte delle persone disabili ospitate nelle Coser sono in condizione di gravità e indifferenziabili da quelli della Rsa anziani e delle Residenze protette. Si vuole, per questi, fare parti disuguali tra uguali?
Vale la pensa ricordare che per i Cd anziani e disabili ad oggi la ripartizione degli oneri avviene tramite accordi locali; quasi mai per quelli per anziani supera il 50%, per la gran parte di quelli per disabili non vengono versate quote sanitarie.
Appare così evidente che non considerarli socio sanitari o come nelle Coser, derubricarli a servizi per non gravi, significa applicare in maniera strumentale i LEA, funzionale alla non assunzione di oneri da parte del servizio sanitario. Che però contestualmente prevede per gli oltre 200 posti di Rsa disabili la loro applicazione, passando dall’onere sanitario della sanità del 100% al 70%.
In questo senso desta grande perplessità la bozza di proposta di legge sulle autorizzazioni nella quale non si declinano le tipologie di servizi per funzione ma si fa un generico rinvio alla sola funzione (strutture sanitarie: intensive ed estensive; sociosanitarie: lungoassistenza, mantenimento e protette; sociali: tutela ed accoglienza). Ad esempio cosa distingue una funzione di mantenimento da una protetta? Omettendo di definire le tipologie di strutture riconducibili alla funzione, significa non essere chiari a monte, permettendo così negli atti applicativi successivi, scelte che possono avere ricadute pesanti sui fruitori dei servizi.
2) Posti convenzionabili/accreditabili. Come già detto, una valutazione complessiva può essere fatta solo dopo aver visto per ogni tipologia di servizio il numero dei posti convenzionabili/accreditabili. A quel punto si potrà verificare, area per area, quanti sono i posti a completo carico della sanità, quanti a compartecipazione e con quale percentuale. E’ infatti evidente che anche una applicazione corretta dei LEA non accompagnata da una adeguata offerta di posti convenzionabili per singolo servizio non può che determinare una evidente ingiustizia. L’analisi proposta per le Coser si può estendere ad alcuni servizi residenziali della salute mentale. Oggi ci sono alcuni servizi (comunità protette, comunità alloggio fino al gruppo appartamento) che hanno standard assimilabili o addirittura superiori a quelli delle residenze sanitarie (SRT, SRR) che gestiscono la fase post acuta. Bisogna capire perché. Ed è evidente che se una residenza è autorizzata come “bassa intensità assistenziale”, ma ospita persone che dovrebbero afferire ad un livello più alto, a quel livello il fabbisogno dovrà riferirsi.
3) Tariffe. Mentre in precedenti bozze le tariffe erano definite, nell’ultima che abbiamo potuto visionare, sono scomparse. La motivazione risiede nella diversità del costo del personale a seconda dei contratti e nella differenziazione dei costi gestionali tra le diverse strutture. La conseguenza è che laddove le tariffe (quasi esclusivamente strutture ex art. 26) sono state già definite, rimangono. Laddove invece non lo siano state fino ad ora, l’ASUR definirà la tariffa finale da applicare agli accordi con i singoli gestori. Alcune domande:
a) le Regioni che hanno definito le tariffe (tutte quelle nei quali i servizi socio sanitari hanno dignità), vanno considerate come sprovvedute?
b) l’entità della quota sociale a carico dell’utente, quando presente, non dipenderà, dunque, più dalla tipologia di servizio, ma di quella del contratto?
La deregolamentazione tariffaria pare continui ad avere seguaci di peso. Il fatto, ci pare, di una gravità inaudita. Se una regione arriva ad ipotizzare questo vuol dire che nel rapporto tra ente regionale ed ente strumentale qualcosa è irrimediabilmente saltato.
4) Il modello. Il documento oltre agli aspetti richiamati si premura di definire anche il modello organizzativo. Il cuore è la modularità delle strutture (non solo per singola area), ma anche per aree diverse. Se l’offerta potesse realizzarsi ex novo, il modello di riferimento sarebbe quello di più moduli da 20, sia della stessa area che di settore diverso. Siccome però c’è da fare i conti con l’attuale organizzazione dell’offerta, in linea generale si prevede accorpamenti per funzioni diverse senza distinzioni tra servizi che hanno una funzione abitativa che può durare decenni e servizi per periodi limitati o per una fase della vita (inclusa quella finale). Ciò a cui non si intende derogare, anche se c’è l’aggiunta del “di norma”, è il “modulo minimo”, previsto in 20 posti.
Per la nostra Regione significherebbe la fine dei modelli comunitari di piccole dimensioni, inseriti nei normali contesti abitativi. Un modello che non riguarda solo la gran parte dei servizi per disabili (diversa è la questione delle strutture riabilitative, seppur inglobate nell’area disabilità) ma anche quelli per la salute mentale. Si ritiene davvero di poter ridisegnare, allo scopo di una pretesa compatibilità economica, l’organizzazione di gran parte dei servizi residenziali di questi due settori? Pensare di intervenire in questo modo sui servizi appare una pretesa, francamente, inconcepibile, oltre che, irrealizzabile.
Credo, auspico e mi auguro che su questo punto le resistenze siano insuperabili.
D’altra parte che ci sia un retroterra imperniato di approccio, di tipo simil ospedaliero è rintracciabile ad esempio nella scomparsa nei servizi per la disabilità del piano educativo individualizzato, a favore del piano riabilitativo; la scomparsa dell’unità multidisciplinare a favore dell’Unità valutativa integrata che ha competenze solo nell’area anziani. Sono aspetti che non possono essere sottovalutati, che danno l’idea dell’orientamneto che guida l’impostazione del documento.
Altro aspetto da segnalare è la parte riguardante le permanenze all’interno delle residenze. Ad esempio nel caso di RSA anziani si indica un arco temporale di 60 giorni prorogabile a 120, al termine del quale la dimissione è posticipata solo a condizione che non ci sia posto all’interno delle strutture a minore impegno assistenziale (Residenza protetta). Ciò che non si discute è la possibilità che la dimissione non sia possibile perché le condizioni della persona non permettono il passaggio ad un livello inferiore (nella residenza protetta l’assistenza infermieristica è di 20 minuti al giorno). L’aspetto valutativo non viene in alcun modo considerato, non volendo considerare che ci sono condizioni, anche di fine vita, che richiedono impegni curativi importanti (assistenza ventilatoria, alimentazione artificiale, piaghe da decubito, ecc…). Il problema richiederebbe di essere affrontato in altro modo, non per via amminiostrativa, ed è quello di identificare dei criteri che definiscono le permanenze. Affermare che il periodo di 60 giorni, estendibile a 120, “è da considerarsi congruo per consentire alle cure estensive di raggiungere l’obiettivo indicato”, è la scorciatoia con la quale si pretende di affrontare situazioni complesse. Si definiscano invece i criteri e si faccia in modo che le Unità valutative siano tali.
5) La vicenda delle quote sanitarie delle residenze protette per anziani. Vale la pena in conclusione richiamare la vicenda, http://www.grusol.it/apriSociale.asp?id=729, perché indicativa di come si possono aggirare norme ed accordi. Una questione che, evidentemente, esula dall’analisi del materiale analizzato, ma che invece da l’idea di quale considerazione abbiano i diritti delle persone ed i doveri delle istituzioni.
Nel 2013 per i posti convenzionati (circa il 65% di quelli che ospitano anziani non autosufficienti) si doveva arrivare al assunzione dell’intera quota sanitaria (50% della tariffa che è pari a 66 euro). Ad oggi la quota non è stata versata e non si sa se verrà mantenuto tale impegno. Ma vale la pensa contestualizzare. La tariffa complessiva è decisamente bassa rispetto allo standard ed è stabile da molti anni, la quota sanitaria arriva a regime dopo 4 anni, 2000 anziani non autosufficienti sono esclusi dalla convenzioni. Si pagano, quindi, per intero la retta di degenza. Una delle motivazioni che indurrebbe l’ASUR a non rispettare le indicazioni regionali troverebbe ragione nel fatto che questo sarebbe l’unico servizio in cui da un anno all’altro non si taglia ma addirittura si aumenta la spesa sanitaria! Dunque: prima non paghi quello che devi, poi quando ti impegni a farlo e in un arco temporale lunghissimo, decidi unilateralmente che puoi venir meno all’impegno assunto. Da notare che per l’adeguamento delle quote sanitarie la Regione, come per atri servizi, non trasferisce un fondo all’ASUR ma deve essere assicurato attraverso il budget assegnato a quest’ultima. La domanda, qui come per altri aspetti, è: dove sta la Regione e chi davvero “comanda”, nel governo della sanità?
Per … non finire
Mentre concludevamo questa nota, abbiamo preso visione di un comunicato stampa della Regione, http://www.regione.marche.it/Home/Comunicazione/ComunicatiStampa/Comunicato.aspx?IdNews=23251, con questo titolo, Sanità extra ospedaliera e socio sanitaria residenziale e semiresidenziale: la Giunta definisce gli standard assistenziali e i costi gestionali. Mezzolani: “Un altro passo della riforma”. Vedremo nei prossimi giorni i contenuti. Certo è che se saranno quelli dei documenti che abbiamo analizzato, non potrà essere rinviata una forte mobilitazione a difesa delle esigenze e dei diritti delle persone non autosufficienti.
Per approfondire
- Servizi sociosanitari. Interventi, utenza, standard, oneri
- Livelli essenziali e servizi sociosanitari nelle Marche
- Gruppo Solidarietà (2013), Trasparenza e diritti. Soggetti deboli, politiche e servizi nelle Marche, prefazione di Tiziano Vecchiato
- Gruppo Solidarietà (2011), La programmazione perduta. I servizi sociosanitari nella regione Marche, prefazione di Nerina Dirindin
Gruppo Solidarietà (2010), I dimenticati. Politiche e servizi per i soggetti deboli nelle Marche, prefazione di Giovanni Nervo
- Gruppo Solidarietà (2007), Quelli che non contano. Soggetti deboli e politiche sociali nelle Marche, prefazione di Roberto Mancini.
in http://www.grusol.it/pubblica.asp
Vedi anche
Trasparenza e diritti. Campagna per la regolamentazione dei servizi socio sanitari e applicazione dei Lea nelle Marche, http://leamarche.blogspot.it/
L’appello di avvio del la Campagna, http://www.grusol.it/apriInformazioni.asp?id=2892
9 luglio 2013