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Mille fili mi legano qui
Vivere la malattia
Silvia Bonino
Laterza, 2006
pp. 170, € 12,00
In breve
«Ho scritto questo libro per me, perché nulla quanto
lo scrivere chiarisce i propri pensieri, sentimenti ed emozioni. Ho scritto
questo libro per gli altri, perché confido che le mie riflessioni
possano essere utili anche ad altre persone. Ho ritenuto di cercare di
fondere insieme la conoscenza teorica con l’esperienza personale,
la scienza e la testimonianza. Mi è sembrato che soltanto questa
fusione consentisse di esaminare davvero la malattia nei suoi infiniti
aspetti, che solo il malato può conoscere, e di andare, nello stesso
tempo, oltre la propria personale e irripetibile esperienza.»
Una studiosa affermata, psicologa dello sviluppo, sperimenta su di sé
la più traumatica delle esperienze. Nell’urto devastante
contro uno stato esistenziale e fisico che modifica radicalmente l’orizzonte,
le aspettative, le condizioni di vita, scienza e privato si incontrano
nello sforzo di dare un senso a quanto sta avvenendo.
Perché questo libro
Ho scritto questo libro per me, perché nulla quanto lo scrivere
chiarisce i propri pensieri, sentimenti ed emozioni. Ho scritto questo
libro per gli altri, perché confido che le mie riflessioni possano
essere utili anche ad altre persone.
Devo questa decisione a una giovane donna sconosciuta, incontrata nel
settembre del 2000 nei corridoi dell’ospedale che ospita il centro
specialistico dove sono in cura. Quel giorno aspettavo di parlare con
il medico ed ero felice. Perché anche questo può accadere
quando si è malati cronici: essere contenti alla notizia, che per
la maggior parte delle persone suonerebbe come una condanna, che d’ora
in poi si dovrà fare ogni giorno un’iniezione. A me quella
notizia pareva una liberazione: di fronte a me si apriva una nuova speranza
e io ero felice. Uscivo da tre mesi di sofferenza nei quali avevo provato
una cura, quella comunemente prescritta nella mia malattia, che era risultata
per me insostenibile: non camminavo quasi più e ogni piccolo sforzo
della vita quotidiana era ormai al di là delle mie possibilità.
Pochi giorni prima avevo ricevuto l’attesa telefonata che mi aveva
riempita di gioia: potevo smettere la terapia e iniziarne una nuova e
diversa. Si era liberato un posto e poteva essermi somministrato in via
«compassionevole» un farmaco costosissimo, a quel tempo non
ancora in vendita nel nostro paese. Il termine «compassionevole»
faceva pensare più al senso di superiorità verso un essere
inferiore che non alla genuina partecipazione empatica; me ne lamentai
in seguito con lo specialista, ma egli, con la saggezza maturata nei molti
anni di lavoro, mi fece notare con realismo che contro la burocrazia purtroppo
non c’è niente da fare, e quella era la terminologia che
consentiva all’ospedale di dispensare il farmaco gratuitamente,
il che, alla fin fine, era la cosa più importante.
Quel giorno nemmeno quella terminologia offensiva riusciva a darmi fastidio.
Potevo smettere la cura che mi aveva ridotta al lumicino e iniziarne un’altra
che sembrava presentare pochi effetti collaterali. Oggi so che non sarebbe
stato così, ma allora tutte le mie speranze erano concentrate su
quel nuovo farmaco. Mentre uscivo dall’ambulatorio con in mano il
grande pacco con le confezioni del farmaco da portare a casa e mi sistemavo
su una sedia in corridoio, aspettando il medico, una giovane donna, anch’essa
seduta in attesa, mi parlò. Come avrei imparato in seguito, c’è
spesso un grande bisogno da parte dei malati di parlare con gli sconosciuti
compagni di sventura che si incontrano nei corridoi e nelle stanze degli
ospedali.
Mi chiese se anch’io, come lei, avevo dovuto abbandonare la cura
usuale per iniziare la quotidiana iniezione; per lei, però, nemmeno
quest’ultima aveva funzionato e ora seguiva un’altra cura,
molto pericolosa e con risultati incerti, ma necessaria perché
la sua malattia si presentava in forma molto aggressiva. Mi parlò
della sua bambina, della stanchezza che le impediva di giocare con la
piccola, della fatica nell’affrontare la vita di ogni giorno, della
depressione che spesso si confondeva con la stanchezza, in un giro vizioso
in cui l’una aumentava l’altra. Mentre l’ascoltavo e
le rispondevo con parole di aiuto, mi accorsi che dentro di me c’erano
due persone: da un lato ero la psicologa che ascoltava una donna in difficoltà
e rispondeva con professionalità alle sue richieste, dall’altro
ero una persona malata che viveva ogni giorno sulla sua pelle, se pure
in modo diverso, la stessa esperienza. La malata aiutava la psicologa
a capire meglio e a intervenire con maggiore efficacia, mentre la psicologa
aiutava la malata a capire meglio e a comunicare in modo appropriato con
un’altra persona che tanto le somigliava. Anche se tutto questo
mi stordiva facendomi girare la testa in modo ben diverso dalle frequenti
vertigini, capii in quel momento che quella doppia condizione di malata
ed esperta in psicologia faceva di me una persona privilegiata, che disponeva
di risorse particolari cui attingere nel far fronte alla malattia e nel
comprenderne le vicende; capii anche che non potevo tenere quelle riflessioni
per me, ma che avrei dovuto trovare il modo per comunicarle agli altri.
Poiché la parola, soprattutto la parola scritta, è stata
a ragione definita il microcosmo della coscienza, scrivere e condividere
questa scrittura avrebbero aiutato allo stesso tempo me stessa e gli altri
a essere più consapevoli dei propri pensieri, sentimenti, emozioni.
Indice
Perché questo libro – I Sani e malati: uguali e diversi –
Oltre il mito della salute perfetta – Attori del proprio sviluppo
– Attori del proprio sviluppo nella malattia cronica – II
Perché proprio a me? – Trovare un senso – Ricostruire
l’identità – Il sentimento di autoefficacia: l’esercizio
– del controllo – Lo stress – Affrontare lo stress –
III Tutta colpa sua – Il dolore – La stanchezza – La
depressione – La perdita e il lutto – L’ottimismo e
la felicità – Pensiero logico e pensiero magico – Raccontare
la propria malattia – IV La relazione terapeutica – La fiducia
– L’empatia – Il malato tra logica statistica e logica
clinica – Le medicine alternative – La riservatezza –
V Noi e gli altri – Tra visibilità e invisibilità
– La solitudine – Gli affetti – Il lavoro – La
vita e la morte – Bibliografia
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