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Curare e prendersi cura
La priorità delle cure domiciliari

Riportiamo due capitoli degli atti del convegno


ritorna


CURE DOMICILIARI:PERCHÉ NON SIANO SOLO BUONE INTENZIONI
Mariena Scassellati Galetti - Ass. "La bottega del possibile", Torre Pellice (TO)
(indice)
Siamo sempre più consapevoli che il rispetto della domiciliarità fa bene alla salute, dà energia, dà voglia di futuro e ….. allora desideriamo, proseguire nella ricerca, sempre di più, insieme ad un maggior numero di persone, di operatori, di forze sociali, di cittadini per favorire la domiciliarità come risorsa per la persona, risorsa di qualità.
Speriamo anche che l'Europa non significhi solo primato dell'economia ma, nata dal mercato, sappia costruire non più beni ma più bene, a servizio della pace, della democrazia, della libertà anche di scegliere dove continuare ad abitare.
Speriamo che la globalizzazione che avanza possa essere governata a servizio delle persone del mondo attivando un percorso da puro "fatto" a "progetto" per uno sviluppo nell'equilibrio, nell'equità, nella giustizia, nella legalità.
I diritti degli altri sono i nostri doveri - lo Stato siamo anche noi .
La nostra proposta di domiciliarità, nel rapporto con esperienze sempre più vaste, ci conferma nella motivazione forte, energica, condivisa, solidale e responsabile, per promuovere, attivare, garantire il rispetto della Domiciliarità e ciò … è positivo perché fa qualità della vita e qualità del servizio.
Domiciliarità è l'intero e l'intorno della persona; non ha lo stesso significato di assistenza domiciliare; è un obiettivo culturale e politico; la domiciliarità esige anche la cura del territorio. Il rispetto della domiciliarità è un diritto in una cornice di valori laici.
L'INTORNO comprende anche la CASA e … la casa è importante.
Francesco Guccini canta: " La casa…., tu cerchi là le tue radici, se vuoi capire l'anima che hai". La casa è il "luogo" per eccellenza, luogo delle relazioni e luogo del progetto di vita, luogo della memoria e … "senza memoria non c'è futuro" scrive Barbara Spinelli. La casa è aperta, è casa delle relazioni e dell'esperienza, non loculo, non contenitore.
La casa come luogo del corpo e dell'anima (Card. Martini).
Allora, sempre, ma soprattutto quando ci sono dei problemi che generano sofferenza, per dare ancora qualità alla vita, "curiamo" la persona lasciandola nella sua casa, curiamola con il rispetto della domiciliarità, nel senso di prenderla in carico con quattro parole magiche domiciliarità, nella solidarietà, condivisione, responsabilità, … perché il rispetto della domiciliarità dà energia, fa star meglio, fa qualità perché è un diritto insito nella natura della persona.

Garantire la domiciliarità
La battaglia per garantire domiciliarità è quotidiana perché troppo poche ancora sono le risposte integrate nel sistema di rete, nella progettualità del territorio-laboratorio; troppo carenti sono le risposte alternative al ricovero non desiderato dalla persona e dalla famiglia, ricovero non necessario, a volte davvero evitabile con gli strumenti che oggi conosciamo, che hanno ormai sperimentato i territori-laboratori, intesi come spazio e tempo di ricerca per far salute e quindi qualità della vita.

Le difficoltà sono quotidiane perché l'industria del vecchio e del suo ricovero cavalca, attraverso una sorta di "magia nera", perché non esiste ancora in modo generalizzato e adeguato il sostegno alla famiglia che assiste in casa, alla persona che - con il supporto della rete - vuol stare a casa, vuol morire a casa.
L' alternativa al ricovero è faticosa perché ci sono " i mandanti"… al ricovero che possono essere:
la famiglia, che non ce la fa più perché non riesce ad avere il supporto necessario (quel supporto di rete concreto - rete, non come slogan ma rete reale di cui oggi parliamo) e - suo malgrado - è costretta a mandare al ricovero, ma anche la famiglia che non vuole più la persona anziana o vecchia, ormai da rottamare (questi sono i parenti che "chiudono" nel ricovero);
le istituzioni, che spesso non hanno ancora recepito la cultura della domiciliarità e che ancora sovente si sentono "nude" senza mura per ricoverare ( il ricovero ancora come unica risposta, quella che si vede, quella che alimenta il clientelismo!!).
l'ospedale che troppo sovente continua a spogliare il territorio dei servizi territoriali (o cerca di invaderlo) e a spostare dalle mura dell'ospedale a quelle della struttura residenziale (e la salute non si costruisce nell'ospedale ma cresce e si sviluppa nella comunità locale, sul territorio);
gli operatori sociali e sanitari, stanchi e demotivati dall'assenza di strumenti, o non sollecitati dalla cultura della domiciliarità che, resi pigri, non cercano l'alternativa o non hanno il tempo di farlo perché gli strumenti organizzativi non lo consentono;
quei dirigenti che, con una cultura esclusivamente di tipo contabile e senza assunzione di responsabilità nei confronti della traduzione concreta e reale della domiciliarità, distruggono i servizi alla persona
le commissioni UVG (o U.O. territoriali distrettuali) che troppo sovente ancora costituiscono una sorta di "commissione invalidi civili", limitandosi a redigere una formale graduatoria per l'ingresso in struttura (dove invece le UVG lavorano nell'integrazione attuano invece splendidi progetti di domiciliarità per dare risposte a casa)

Anche la non cura del territorio può essere un mandante al ricovero; frane, alluvioni, dissesti idrogeologici ce lo confermano continuamente.
Ci sembra un peccato tutto ciò, perché, e lo sappiamo con certezza, dove la famiglia è sostenuta con risposte di buona qualità, con le strutture residenziali che si aprono per dar supporto alla domiciliarità, con l'assistenza domiciliare, con il centro diurno e il foyer invernale per il freddo dell'inverno in montagna, con l'operatore domiciliare itinerante tra le case sparse, con il telesoccorso, il volontariato a domicilio, le famiglie affidatarie, con l'abbattimento delle barriere architettoniche, la sicurezza della casa, i pasti caldi a domicilio, si costruiscono progetti integrati, reali, effettivi, visibili di domiciliarità affinché Jole, Angela, Natale possano stare a casa o, con l'aiuto necessario, possano tornarvi.
Il Distretto di base, articolato in sub-aree o unità territoriali minime, può essere un grande, un meraviglioso riferimento per costruire opportunità di domiciliarità, per garantirla a chi lo desidera, a chi non vuole arrendersi, a chi non accetta di andarsene da CASA, via dal suo INTORNO.
Bisogna volerla davvero la domiciliarità: bisogna favorirla a livello tecnico e politico, di ASL, di Consorzi, di Comunità Montane, di Comuni, di Regione.
Coltiviamo dunque la quotidianità anche come ricerca di domiciliarità., come ricerca di solidarietà e la solidarietà è un valore laico; lo dice la Costituzione della nostra Repubblica.
Bisogna lavorare con la metodologia di lavoro integrata tra professioni, comparti, servizi e risorse locali, associazionismo e volontariato, per fare MIRACOLI di domiciliarità, per fare addirittura …. l'impossibile.
Volendo si può perché …, quello che non è proibito, è consentito
(per questo non servono i "possono" nelle leggi; servono i "debbono"!).
E' difficile, è faticoso ma, in uno spirito non di complicità ma di solidarietà, condivisione, responsabilità, si può, a servizio della persona, di quella più sola (che soffre di quella solitudine che diviene anche un grave problema di salute), di quella più disarmata di fronte a chi continua a proporle un'unica risposta, a chi non le garantisce una scelta e quindi la democrazia (perché, ce lo chiediamo sovente, che scelta è se la risposta continua ad essere unica, non dico sempre, ma ancora troppo spesso!).
Tutto ciò in una scelta di libertà, la nostra quinta parola; aggiungiamola, sempre, tutte le volte che è possibile la parola "libertà", elevando la soglia di tale possibile. "La libertà degli altri sei tu" è il messaggio di Amnesty International . "Costruiamo la statua della Responsabilità vicino a quella della Libertà".

La "Bottega del possibile"
Per tutto ciò è nata appunto nel gennaio '94 "La Bottega del Possibile", a Torre Pellice per fare un lavoro culturale,per fare con l'aiuto di molti, l'impossibile per assicurare il rispetto della domiciliarità, per favorire la domiciliarità come valore per la persona.
Ci auguriamo, dunque, che sul territorio della nostra Italia, della nostra Europa e del mondo, aumentino i "professionisti della cura" con lo strumento domiciliarità; possono esserlo tutti, più o meno direttamente, nella comunità locale che - in un percorso di ricerca - diventa sempre più competente per far star meglio. Tutti possono essere protagonisti, al livello di ciascuno, per curare con la domiciliarità, dal Sindaco, al ministro di culto, al volontario (che graffia, che è non oppio ma "sale" nutritivo di domiciliarità), alla Cooperazione sociale e certamente e in primis - se saranno loro dati e cercheranno gli strumenti adeguati - gli operatori sociali e sanitari a tutti i livelli di governo e di gestione.
Anche la Regione dovrebbe dare indirizzi concreti.
Tutti, ricercando nella quotidianità, anche con creatività e fantasia, possono attivare un "pacchetto di cura con il rispetto della domiciliarità" per la persona o la famiglia in difficoltà, un "pacchetto di qualità" che mantiene e determina appartenenza, che diviene anche un bene collettivo, perché la salute è un patrimonio comune.
Per fare ciò servono risposte articolate e flessibili, integrate nella continuità e nella progettualità, nel sostegno tra risorse formali e informali nella verifica e valutazione, con il supporto della formazione permanente.

Il momento storico attuale è complesso, è un momento di passaggio, che può diventare una grossa opportunità per ripensare e attivare maggior equità e giustizia nel rispetto dei diritti sociali, attraverso un uso più corretto e solidale delle risorse, per far qualità della vita, per far qualità dei servizi.
Abbiamo finalmente il piano sanitario nazionale e questo dà importanza rilevante agli interventi domiciliari e alla prevenzione.
Speriamo ancora nelle riforme dello Stato, nella prossima - ci auguriamo - riforma dell'assistenza sociale (la attendiamo ormai da troppi anni), che confidiamo, aiutando a superare anche il municipalismo, l'assistenzialismo e le visioni particolaristiche, dia dignità all'area del comparto sociale, ridefinendo chiaramente le competenze, rendendo disponibili le relative risorse e gli strumenti istituzionali, consentendo la via della prevenzione, del sostegno a domicilio, del rispetto e della garanzia dei diritti.
Dipenderà anche dalle comunità locali accogliere le proposte per dare qualità nella progettualità al servizio alla persona in difficoltà, alle fasce più deboli.

Il futuro è in mano a chi ha un progetto.
Allora, sul territorio/laboratorio, comunità locale di tutti e di ciascuno, bisogna concertare, co-progettare, annodare le competenze, attivare sinergie, mettere insieme le forze del fare. Certo tutto ciò se si è solidali, se si condivide e quindi ci si assume la responsabilità …, anche come semplice cittadino (ma il senso del servizio "politico" di ciascuno c'è? Spesso vengono dei dubbi!).
A piccoli passi si dice ma …, vorremmo non troppo piccoli, perché mentre il tempo passa, in ogni momento nel nostro mondo muoiono persone per carenza di risposte, di mezzi per vivere, anche i più necessari anche, i "… più minimi", anche di domiciliarità.
"Non si deve aver paura di muoversi lentamente, quanto di restar fermi" (proverbio cinese). Guardiamo indietro per andare avanti.
L'albero dei guasti del non rispetto della domiciliarità lo conosciamo, ora vogliamo costruire l'albero della qualità per la persona, per la famiglia, per i servizi per la comunità locale.
Sappiamo - senza mania di grandezza, perché ce lo dicono l'esperienza, e le storie delle persone e delle famiglie - come potrebbe, dovrebbe essere il welfare attivo di territorio. Allora, costruiamolo insieme, senza altri ritardi perché se aspettiamo paga sempre "pantalone", che può essere una persona vecchia, ma anche un disabile, un bambino, una famiglia in difficoltà; mettiamoci nei loro panni!!
Non depriviamo la comunità e la famiglia della ricchezza che può dare anche il vecchio, esperto di vita, anche se meno autosufficiente, nel patto tra generazioni; non abituiamoci alla vita senza …anziani, come alla vita senza rondini!
Non respingiamo la persona nel momento della vecchiaia, che può essere serena, ma anche difficile; dipende anche da tutti noi renderla migliore.
Se condividiamo gli obiettivi, in un contesto di solidarietà e di libertà, assumiamocene dunque la responsabilità e … ritroviamo energia nel nostro "esserci per accompagnare".
La responsabilità non è sempre degli altri . Continuiamo ad essere curiosi, non per guadagnare di più ma per "saperne di più" anche di domiciliarità; la non conoscenza è nemica della libertà; allora rispetto della domiciliarità, come "nuovo curante", come politica per la salute, come progetto culturale che arricchisce quello politico perché contribuisce a costruire qualità per la persona, a dare orizzonti di senso.
Il rispetto della domiciliarità, non sarà più considerata utopia quando la maggioranza dei cittadini la condividerà nella libertà con solidarietà; e la solidarietà è anche ricerca per re-inventare, per re-imparare!! La domiciliarità non è un'utopia è un ideale, un obiettivo spesso concretizzabile, fattibile.
Vogliamo dare dei dati per promuovere cultura; per questo desideriamo trasformare le storie di domiciliarità in esperienze trasmissibili attraverso una sorta di "pedagogia delle situazioni". Le nostre Rondini, ci motivano, sono persone che, grazie al nostro progetto e all'attivazione dei servizi, delle risorse della rete (non virtuale ma reale) dei loro territori-laboratori, sono già volate in un nido, il loro di prima, o uno nuovo, ma in una casa "verde" di speranza per una vita di qualità, nella libertà; sono le persone a cui si è già potuto dire: "Alzati e cammina verso casa tua" e loro lo hanno fatto, serene e fiduciose perché desiderose di futuro.

E a proposito di qualità attesa e percepita dal "cliente", voglio chiudere con la frase di Natale - "una nostra rondine" - che, dopo un ricovero di 22 anni, è tornato in una casa trovata per lui dal Comune di Genova e, infilando per la prima volta la chiave nella porta della "sua" casa ( la casa trovata per lui), ha affermato sorridendo, "ma … questa è la porta del paradiso!!"; dove paradiso (valore laico) vuol dire appunto qualità nella quotidianità.
Queste parole hanno fatto bene anche alla nostra salute, alla salute de "La Bottega…del Possibile".
Ascoltiamo, dunque, il crescere della domiciliarità - come nel Laos ascoltano crescere il riso -
E' un augurio per tutti perché … fa qualità!

LE CURE DOMICILIARI NELL'ANZIANO DEMENTE: L'ESPERIENZA DELL'ASL ROMA C
Luisa Bartorelli - Geriatra, Ospedale S. Eugenio, Roma
(indice)
Premessa
Pensare, programmare, realizzare una rete assistenziale, per una tipologia di malati così complessa, è una sfida che richiede un considerevole sforzo culturale e di servizio da parte degli operatori e un altrettanto notevole impegno da parte della comunità. L'esperienza continua a contatto di questi malati rileva come, allo stato attuale delle possibilità terapeutiche, la loro qualità di vita e il loro destino sia legato alle situazioni ambientali, sia familiari che sociali, e alla disponibilità di servizi adeguati e di professionalità competenti. Competenza, adeguatezza e disponibilità costituiscono tre parole chiave, una triade inscindibile di partenza, se si vogliono raggiungere obiettivi concreti e misurabili. Misurare l'efficacia degli interventi in questo campo è infatti un'altra difficile sfida, ma doverosa da perseguire in tempi altrettanto difficili per la sanità pubblica, proprio perché tali malati e le loro famiglie non corrano il rischio di essere defraudati delle cure necessarie e sufficienti. Ai compiti di coloro che assistono i pazienti, si aggiunge oggi, quindi, quello di trovare gli indicatori più idonei a valutare anche gli small gains, tuttavia così importanti per la qualità di vita, nell'ambito degli outcomes dell'assistenza fornita. Questa è una sfida che si addice al geriatra, il quale è culturalmente adeguato a convogliare le varie professionalità su di un lavoro integrato, valutando i bisogni in modo multidimensionale, programmando e mettendo in atto interventi mirati, verificandone l'efficacia nel tempo.

La rete dei servizi
L'esperienza riportata si basa sul Progetto Alzheimer per la città di Roma (Tab. 1), modello concordato tra il Dipartimento Tutela della Salute dell'Anziano (DTSA) della Azienda Usl RM C e la Conferenza Sanitaria Cittadina, modello che ha fatto parte degli interventi proposti per il Progetto Città Sane dell'OMS dal Comune di Roma. Alcune circostanze del progetto sono in pieno svolgimento, altre sono in fieri, altre ancora in attesa di provvedimenti istituzionali. Tutte le iniziative sono discusse, approvate e supportate dall'Associazione Italiana Malattia di Alzheimer (AIMA), la cui Sezione Romana, che annovera circa 400 iscritti tra familiari, operatori e altri cittadini, ha sede presso la Geriatria dell'Ospedale "S. Eugenio". Tale vicinanza ha fatto sì che non ci fosse uno iatus tra i reali bisogni dei malati e delle loro famiglie e la tonalità degli interventi programmati.

Tab. 1 - Progetto Alzheimer per la Città di Roma

CENTRO PER L’INVECCHIAMENTO CEREBRALE E LA MALATTIA DI ALZHEIMER

Day Hospital Geriatrico

Ospedale S. Eugenio – ASL Roma C

Valutazione e approfondimento diagnostico-terapeutico e adozione interventi riabilitativi e di follow-up

CENTRO DIURNO

Continuazione trattamenti iniziati presso il Day Hospital

ASSISTENZA DOMICILIARE INTEGRATA

Equipe formata "ad hoc" dal Centro

Garantire la permanenza nel proprio ambiente

RESIDENZA SANITARIA ASSISTENZIALE

Distretto XII – ASL Roma C –

Progetto di fattibilità

Nucleo di "Respite Bed" (10-15 posti) standard strutturali ed assistenziali adeguati

GRUPPO DI SOSTEGNO AI PARENTI

Day Hospital Geriatrico

Contenimento emotivo, sostegno e informazione

TELEFONO A

Mercoledì 13.30 – 16.30

Informazioni, corsie preferenziali e formazione dei "Caregiver"

CORSI PER ASSISTENTI DOMICILIARI

Formazione dei "Caregiver"



Day Hospital Geriatrico
La Geriatria del "S. Eugenio", che costituisce il polo ospedaliero del Dipartimento, è stata inserita, per la sua attività a favore dei malati di Alzheimer, nello "Studio Comparativo dei Centri Esperti Europei", coordinato dal professor Mouliàs. La sua sede, infatti, è accreditata come "centro di attrazione", e secondo gli otto criteri del progetto europeo la sua tipologia è:
a missione geriatrica polivalente (specialità del primario e maggiormente rappresentata tra i medici; 20% dei pazienti con accesso per disturbi cognitivi);
a carattere multidisciplinare (presenza di almeno sette professionalità o mestieri nell'équipe);
a largo raggio d'azione (> di 30 Km);
a popolazione anziana mista (più della metà ultrasettantacinquenne e con sex ratio da 1,5 a 0,5);
a valutazione multidimensionale (bilancio biologico, psicometrico e sociale);
con presa in carico della qualità di vita dei pazienti e delle famiglie (possibilità di interventi a domicilio, di aiuto ai caregiver, di programmi di collocazione, di rieducazione funzionale e cognitiva, di utilizzo di volontari);
a cooperazione (con le altre strutture, comprese quelle di emergenza, con i medici di base, con i servizi domiciliari, con le associazioni);
con follow up nel tempo.
Per tali caratteristiche, l'esperienza del DTSA è stata richiesta e rappresentata anche al progetto "European Alzheimer Clearing House" (EACH), che si pone appunto come obiettivo di fare l'uso migliore delle informazioni e delle conoscenze esistenti e contemporaneamente di mettere in evidenza gli esempi di "good practice" nel campo delle cure dei pazienti con malattia di Alzheimer e relativi disturbi (ADRD).
EACH, Priority projects:
training;
good practice;
Alzheimer associations;
socio-economic impact;
ethical issues;
support programmes;
nursing qualifications;
substance counselling;
clinical specifics.
Nel 1996 sono afferiti all'Unità di Valutazione Geriatrica 490 pazienti affetti da disturbi cognitivi, dei quali 199 sono stati seguiti in Day Hospital, per la tipizzazione della demenza e la messa a punto del programma d'intervento (Tabelle 2 e 3). Dei 199 ricoveri in Day Hospital 108 erano diagnostici e 91 riabilitativi.


Tab. 2 - Distribuzione per età e sesso dei pazienti afferiti al Centro nel 1996

Sede

Pazienti

(n°)

Femmine

(n°)

Maschi

(n°)

Età

(anni)

Range età

(anni)

Degenza

(giorni)

DH

UVG

490

199

284

136

206

63

74,7

75,4

52-101

46-92

-

-

  Tab. 3 - Tipizzazione dei disturbi cognitivi dei 199 pazienti afferiti
al D-H nel 1996

Tipo

Numero

Demenza di Alzheimer

Demenza senile tipo Alzheimer

Demenza vascolare

Demenza mista

Demenza secondaria

Idrocefalo normoteso

Deterioramento cognitivo età-correlato

Pseudodemenza depressiva

15

64

26

14

7

1

11

61


Accanto alla valutazione cognitiva e affettiva, particolare cura viene data alla patologia concomitante, ai deficit sensoriali e agli stressor (fatica, dolore, cambiamento di abitudini, stimolazioni psicosensoriali eccessive, ecc.), che provocano spesso un eccesso di disabilità, in parte reversibile. Particolare attenzione viene data anche all'anamnesi sociale e a quella farmacologica. Nei riguardi dell'uso di farmaci, sono stati sperimentati gli anticolinesterasi, con risultati che saranno noti prossimamente (valutati mediante la scala ADAS-cog). Nell'ambito del Gruppo di Studio sull'Invecchiamento Cerebrale della SIGG, coordinato dal Prof. Senin, in corso di validazione la versione italiana della scala di valutazione per la demenza grave "The Severe Impairment Battery" (SIB). Si ritiene che tali attività di ricerca siano estremamente importanti, per la sperimentazione globale del modello assistenziale e per lo stimolo ad una formazione continua degli operatori su strumenti omogenei. Nei riguardi dei disturbi comportamentali la filosofia del reparto è che il trattamento farmacologico dei sintomi vada messo in atto e monitorizzato quando essi alterino negativamente la relazione con il mondo esterno, mettano a rischio il paziente e chi gli sta attorno, o addirittura conducano all'espulsione del paziente dal proprio ambiente. I pazienti ricoverati in Day Hospital ricevono anche un approccio terapeutico-riabilitativo, sia dal punto di vista motorio (attraverso la fisioterapia individuale e di gruppo, tesa a recuperare, per quanto sia possibile, la consapevolezza del proprio corpo e lo schema motorio a prevenzione delle cadute), sia dal punto di vista cognitivo (tramite esercizi di riattivazione della memoria computerizzati, per i casi lievi-moderati). La terapia di orientamento reale viene effettuata con programmi e procedure studiati nel reparto, a seconda della gravità dei pazienti. I suoi risultati, e in generale quelli di riattivazione cognitiva, sono discreti: al di là del punteggio risultante alle scale e ai test, non v'è dubbio che ci sia un aumento della dignità, del controllo e dell'autostima del paziente (da misurare con scale di qualità di vita), e di conseguenza una maggiore possibilità di permanere nel proprio ambiente, diminuendo i sistemi di contenzione sia farmacologica che fisica. Tuttavia è necessaria una ripetizione ciclica dell'intervento, per il mantenimento appunto degli "small gains" ottenuti. Ciò riporta alla necessità assoluta di un Centro Diurno, che continui con minore intensività sanitaria l'opera del polo ospedaliero, portando avanti i programmi terapeutico-riabilitativi individualizzati.

Il Centro Diurno
Il Centro Diurno Alzheimer si inserisce nell'auspicata rete di servizi in risposta ai bisogni di tali malati, che dopo la diagnosi, l'avvio di terapia farmacologica e di riattivazione effettuati in Day Hospital necessitano di continuare, a cicli, i trattamenti specifici, fornendo un sostegno qualificato alle famiglie nel grosso carico assistenziale che la gestione della malattia comporta. Gli obiettivi principali del servizio sono quindi: diminuire il ricorso all'ospedale, evitare la istituzionalizzazione, diminuire lo stress dei caregiver e possibilmente l'uso degli psicofarmaci, migliorare il ritmo sonno-veglia.

Attività del Centro Diurno:
cura della persona;
attività della vita quotidiana;
attività motoria e adeguato riposo;
socializzazione e comunicazione;
disegno, pittura, musicoterapia;
giardinaggio;
svago: canto, ballo;
incontri di sostegno alla famiglia.

L'insieme di uno spazio ben congegnato, di un'équipe formata ad hoc, di un programma di intervento individualizzato, costituisce un ambiente di tipo protesico, nel quale terapia farmacologica e riattivazione hanno una maggiore efficacia. Anche la scelta degli arredi deve avere la sua significatività ed essere più simili a quelli di una casa che a quelli di una struttura sanitaria, pur avendo sempre presenti i criteri di sicurezza del paziente, soprattutto nei riguardi del rischio di cadute. In particolare il personale deve essere adeguatamente formato per la comprensione dei comportamenti, all'intervento nei momenti di crisi, anche tramite la terapia di validazione, alla comunicazione verbale e non verbale, mettendo l'accento sul contatto visivo e tattile. Inoltre l'offerta di uno spazio-giardino può rivelarsi la scelta più congrua, dal punto di vista della efficacia dell'approccio terapeutico-riabilitativo, sia per la valorizzazione delle capacità residue, sia per il contenimento emotivo, che per la dignità del paziente affetto da demenza. Il "Giardino Alzheimer" è infatti uno spazio controllato, protetto, delimitato (quindi pur sempre "interno"), ma è soprattutto l'hortus conclusus che maggiormente può riuscire ad accogliere e soddisfare l'emotività del paziente. In qualche modo è grembo, invaso per una personalità il cui danno cognitivo ha generato un cambiamento dei connotati: la progressiva perdita della memoria, la privazione del vissuto, li rendono sospesi in un vuoto in cerca del suo colmo, di una forma che li contenga. Una prima riflessione porterebbe ad escludere forme squadrate dall'impianto del giardino, in quanto estranee al paziente: invece di calma potrebbero generare uno stato d'angoscia. Il Giardino Alzheimer viceversa può "connaturarsi" per offrire la sensorialità del suo fruitore una emozione controllata, rarefatta senza essere spenta, in modo tale che la sua forma non venga percepita come diversità ma come "prolungamento": lo si pensi in questo caso come luogo di contenimento, rassicurazione, innocenza, evocatore di un "ésprit d'enfance". Tale intendimento, al quale dare corso nei contenuti del Giardino, potrebbe contribuire ad attenuare le espressioni di degrado che caratterizzano il malato di Alzheimer e ne deteriorano l'immagine. Un progetto di spazio adeguato alla tipologia del suo frequentatore avrà anche questa funzione e si qualificherà, realizzando una sequenza armonica di stimoli percettivi in sequenza lineare, vale a dire senza cesure, elementi a sorpresa, barriere, improvvise modificazioni di paesaggio, contrasti di luce-ombra.
I percorsi saranno tendenzialmente sinuosi, rettilinei, con tratti brevi, a condizioni omogenee di luminosità la più ampia possibile, con cura di evitare abbagliamenti e riflessi. Va tenuta presente da un lato la propensione del paziente a camminare incessantemente (wandering), dall'altro il suo disorientamento spaziale e temporale: la fruizione dovrà prevedere mete o punti da raggiungere ben visibili, senza eventuali diramazioni fra i percorsi che non riconducono al punto di partenza.
I materiali usati per la pavimentazione, i piani di calpestio, i recinti, devono rispettare i criteri di sicurezza.
L'erba, i fiori, l'acqua da toccare e da sentire, l'orto e un recinto con animali, sono i complementi di un progetto che punta da un lato su di una spazialità rassicurante, dall'altro su una serie di attività che contribuiscono a rallentare l'estraneità della condizione del demente. Il progetto del Centro Diurno Alzheimer di Villa Ramazzini, dell'architetto L. Pilato per la committenza della Sezione Romana dell'AIMA, centro che sarà gestito dal Dipartimento Tutela della Salute dell'Anziano dell'Azienda USL RM C, è stato chiamato "Pantarei", ovvero "tutto scorre", perché vuole essere in relazione particolare con il tempo.
Il fruitore sperimenterà in un percorso a due semicerchi, scandito da siepi a raggiera, come un disco d'orologio dalle ore, un continuum di percezioni, attraverso le quali il microcosmo del giardino, in quanto tessuto biologico e naturale, diventa vissuto biologico ed esistenziale. Su questa linea progettuale lo spazio è stato interpretato e qualificato.

L'assistenza domiciliare
E' possibile recare questo bagaglio culturale a domicilio, trasformandolo in attività efficaci a migliorare la qualità di vita del paziente e dell'ambiente familiare? I punti cruciali per ottenere i risultati attesi sono una buona integrazione con i servizi sociali dell'Ente locale e la formazione, per l'assistenza domiciliare al demente, di nuove figure professionali, o di vecchie figure con nuovi compiti. E' inoltre necessario l'appoggio incondizionato del medico di base alla valutazione d'accesso, al programma d'intervento e alla verifica dei risultati.
La situazione del territorio romano ci induce al pessimismo in quanto le attuali forze in campo non sono adeguate nè per quantità, nè tantomeno per qualità, e soprattutto si sottraggono alla filosofia dipartimentale, necessaria ad un lavoro di rete. Ma l'ottimismo della volontà, tipico del geriatra, avrà ragione delle difficoltà reali e degli ostacoli pretestuosi, che emergono ogniqualvolta si propone l'attuazione di una rete di servizi pubblica efficiente ed efficace. Il protocollo d'intesa tra un Distretto della Azienda USL RM C e la rispettiva Circoscrizione, con la partecipazione della Cattedra di Geriatria dell'Università Cattolica per la formazione all'uso dello strumento di valutazione VAOR-ADI, va in questo senso.

Considerazioni conclusive
Il problema dell'assistenza al demente è ormai arrivato a sensibilizzare vari strati della popolazione: coloro che vivono l'esperienza all'interno della propria famiglia e coloro che la temono; gli addetti ai lavori e quelli che con slancio solidale desiderano occuparsi di malati così coinvolgenti e perturbanti; infine molti altri, sensibili alla voce dei mass media che da qualche tempo si occupano con assiduità dell'argomento. Tale sensibilizzazione pur auspicata da tutti gli addetti ai lavori, proprio a causa di questo allargamento degli interessi comporta il rischio di una banalizzazione degli interventi, che devono invece mantenere il livello di alta specificità e competenza che la complessività della malattia richiede. Ciò conduce a riaffermare il bisogno di centri di riferimento per una formazione degli operatori, che non solo fornisca loro la competenza ai vari livelli della rete dei servizi, ma anche li sostenga con continuità, dotandoli di strumenti interiori, per tollerare il difficile rapporto con il paziente e l'ambiente che lo circonda.
Altro punto strategico è che l'approccio al malato, per avere una sua forza riattivante, deve essere un approccio integrato a vari livelli: ospedale-territorio, azienda sanitaria-ente locale, operatore-famiglie, associazioni-istituzioni. Sarà stato notato che in questa disamina ed esperienza, non è mai citata l'unità operativa ospedaliera tradizionale a far parte della rete dei servizi, proprio perché non si configura come una risposta adeguata ai bisogni dei dementi, nemmeno nei momenti di crisi.
Il cambiamento d'ambiente, la sua restrizione, l'inadeguatezza quantitativa ma soprattutto qualitativa del personale di assistenza, l'organizzazione mirata in questi casi più a sedare che a riattivare (neurolettici, catetere vescicale, immobilizzazione, depressione, a volte perfino contenzione fisica incongrua), fanno sì che siano preferibili le altre forme di assistenza. Se crediamo che il momento di crisi del demente sia l'espressione di un evento di natura ambientale, che si scontra con la sua vulnerabilità adattiva, insita nella malattia, non possiamo che riservare il ricovero ospedaliero tradizionale ad alcuni reali momenti di necessità, come gli interventi chirurgici, e per il più breve tempo possibile. Infine, è d'uopo sottolineare il problema dell'accoglienza, particolarmente delicato per questi soggetti, la prima fase in assoluto dell'approccio al malato, che non va subito invaso con esami obiettivi testitici o strumentali, ma visto nella sua interezza, permettendo le giuste pause di adattamento e l'instaurarsi così di una valida relazione di aiuto.
In questo caso l'équipe geriatrica è maestra nei tempi e nei modi, nel preservare la dignità della persona.

BIBLIOGRAFIA
(indice)
Libri

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