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La cura della vita
nella disabilità e nella malattia cronica

ritorna


Prefazione

Al centro di queste pagine c’è la “relazione di aiuto”, la “relazione che cura”, la “relazione tra curante e curato”. Là dove il curato può essere ricondotto al malato o al disabile e dove il curante può essere il medico, l’operatore sanitario, l’educatore, il volontario, l’amico, il parente.
Relazioni che rimandano ad una asimmetria, ad una impossibile parità.
L’invito è quello di vedere oltre la malattia, la limitatezza, la disabilità, la patologia, per arrivare alla persona - alla donna e l’uomo con un nome ed un cognome - con i suoi bisogni, i suoi desideri, le sue necessità.
Vedere oltre, questa è la richiesta, l’invito. Un invito ai curanti perché in quel vedere oltre c’è anche un vedere dentro di sé, volgersi verso i propri sentimenti ed emozioni.
Troppo spesso, infatti, “lo sguardo del medico non incontra il malato ma la sua malattia, e nel suo corpo non legge una biografia ma una patologia, dove la soggettività scompare dietro l’oggettività dei segni sintomatici, che non rinviano a un ambiente, ad un modo di vivere, a una serie di abitudini contratte, ma a un quadro clinico, dove le differenze individuali, che si ripercuotono nell’evoluzione della malattia, scompaiano in quella grammatica di sintomi con cui il medico classifica le entità morbose, come il botanico le piante” (U. Galimberti, Il corpo, Feltrinelli, 1984).
C’è una relazione che cura e che guarisce anche quando, paradossalmente, davanti a noi c’è una persona inguaribile. Quando l’altro cessa di essere una malattia, una patologia, una insufficienza. Ricompare, allora, l’umano. Un umano che ci mette davanti alle nostre difficoltà e paure - che possono assumere la maschera del distacco, fino, a volte, alla supponenza - che ci fa sperimentare più spesso l’impotenza. A volte ci viene richiesto soltanto di esserci: presenti e silenziosi. Si può così anche prendere progressiva consapevolezza del grande potere dei curanti nei confronti dei curati.

L’incontro con la debolezza e la sofferenza può diventare anche l’incontro con noi stessi con le nostre fragilità e incertezze; le nostre incapacità di ascolto. La nostra paura di farci “spazi vuoti” per accogliere l’altro. Un incontro che può condurci alla conoscenza dell’altro. E “non c’è conoscenza, se non c’è amore fra chi cura e chi è curato (…). Se l’amore non entra nelle relazioni umane, quelle della vita quotidiana e quelle della vita personale, nulla di essenziale e di decisivo si può cogliere di una esistenza: solo l’amore conosce, e fa conoscere, una persona nella sua radicalità e nella sua radice essenziale. Sono affermazioni, queste, che non nascono da teoriche astrazioni, ma dal cuore dell’esperienza clinica” (E. Borgna, Aver cura dei propri sentimenti. La soggettività che è in gioco nella relazione di cura , in “Animazione sociale”, n. 1-2008).

Le pagine che seguono, nelle quali - vale la pena ricordarlo - non c’è alcun rifiuto di competenze e specializzazioni, vogliono essere un invito a farci attraversare dall’altro, a fargli posto, un altro che non deve scomparire dietro una diagnosi o una patologia. Un altro che rendendoci meno sicuri e più incerti, può restituirci, nei nostri ruoli, un po’ di umanità.
Di questo, ci pare, c’è grande bisogno all’interno delle “istituzioni che curano”, siano esse ospedali, residenze sanitarie, servizi socio educativi (cfr, V. Iori, Il lavoro di cura tra razionalità e affettività, in, AA.VV., “L’etica della cura”, Angeli, 2008). Luoghi accoglienti e non giudicanti; luoghi umanizzanti per gli stessi curanti.

Gruppo Solidarietà


    Indice

  • Prefazione
  • L’incontro nella cura, Ivo Lizzola
  • La Cura educativa, Roberto Franchini
  • Quando il corpo diventa limite, Ivo Lizzola
  • I sentimenti nelle relazioni di cura risorsa (e non ostacolo), Vanna Iori
  • Oltre l’assistenzialismo e l’irrecuperabilità. Le dimensioni pedagogica e comunitaria, Antonio Valentini
  • Grave? Un invito a conoscere, Andrea Canevaro
  • Disabilità. L’inclusione competente, Andrea Canevaro
  • Una critica ed un ripensamento del concetto di handicap intellettivo, Riziero Zucchi
  • L’autonomia nel tempo delle dipendenze, Andrea Canevaro