Gruppo Solidarietà
Via D'Acquisto, 7
- 60030 Moie di Maiolati Sp. AN- ITALY
tel/fax 0731703327
grusol@grusol.it
 
Il materiale presente nel sito può essere ripreso citando la fonte
Home page - Chi siamo - Voce sul sociale - Centro Documentazione - Schede di approfondimento
Rivista Appunti - Banche Dati - Pubblicazioni - Informazioni - Links utili

Persone con disabilità. Percorsi di inclusione

ritorna


Gruppo Solidarietà (a cura di), Persone con disabilità. Prospettive inclusive, prefazione di Andrea Canevaro, Castelplanio 2012, p. 112, euro 12.00.

L’educazione inclusiva vuole innovare riferendosi a un individuo sociale. Innovare perché tutto è cambiato dal trionfo, da una narrazione che ha cancellato la società imponendo l’individuo. Questa narrazione riguarda la scuola (i genitori assediano il singolo insegnante per essere sicuri che il proprio erede abbia tutto il programma completo e senza ostacoli dati da agenti atmosferici che costringono a stare a casa qualche giorno per neve e ghiaccio, come dovuti alla presenza di chi ha bisogni speciali…), il lavoro (inutile invocare il mondo del lavoro di anni fa. Il lavoro è fatto di contratti individuali che non alimentano solidarietà ma competizioni individuali, progetti individuali, ecc.), i servizi (raggiungere la risposta attraverso amicizie, spettacolarizzazioni della propria condizione attraverso giornali e mezzi televisivi, in un crescendo che va dal giornale locale alla trasmissione televisiva su un canale nazionale…). L’educazione inclusiva deve attingere dal passato, compresa la sua origine dovuta ad un amore ancillare. Ma deve innovare senza nostalgie di un passato che non tornerà. Ha il dovere di essere appassionata di futuro, incontrando e lavorando con tutti coloro che sono appassionati di futuro. Questo vuol dire progetto. Nel progettare, l’autodeterminazione del singolo sta nell’autodeterminazione dello stesso progetto. L’integrazione, nella prospettiva inclusiva, non vuole conservare nel presente chi ha Bisogni Speciali. Vuole che sia nel futuro comune.
(Dalla introduzione di Andrea Canevaro).

Contributi di: Andrea Canevaro, Lucio Cottini, Fausto Giancaterina, Alain Goussot, Marisa Faloppa, Giampiero Griffo, Vanna Iori, Vittorio Ondedei , Mario Paolini, Antonio Saccardo.


Introduzione

Rampa d’accesso
di Andrea Canevaro

Prendiamo la parola autodeterminazione come indicatore stradale del percorso di chi legge questo libro.
Le parole sono importanti. Noi veniamo al mondo e troviamo parole già in servizio attivo, con i loro significati già diffusi. Dobbiamo assumerle, così come le troviamo. E adattarle, riempiendole di significato, secondo le nostre intenzioni. Che a loro volta non dovrebbero trascurare chi riceve le nostre parole. La parola autodeterminazione come viene ricevuta? Difficile pensare che vi sia una sola risposta. Se dovesse essere una, sarebbe “dipende…”. Se dovesse essere ascoltata da Victor, il ragazzo selvaggio che alla fine del ‘700 fu trovato abbandonato nei boschi dell’Aveyron (Sud della Francia) e affidato poi all’educazione da parte di Itard, e se Victor capisse quella parola, potremmo immaginarne la gioia. Che si manifesterebbe in una corsa verso i boschi e l’acqua di un fiume. Riprenderebbe la sua libertà. Ne sarebbe felice. Ma forse tornerebbe dal Dottor Itard e dalla sua Governante Madame Guérin. Scoprirebbe che la parola autodeterminazione non indica una libertà senza confini, ma una necessità di combinare le nostre esigenze e quelle di chi è attorno a noi. E se al tempo di Victor il sauvage, Itard e Madame Guérin quell’ “attorno a noi” aveva un certo significato, oggi ne ha un altro, e domani ne avrà un altro ancora.
Le parole hanno una storia, e assumono il significato che i contesti storici e culturali promuovono, permettono, impediscono. Ma le parole possono essere collocate, da chi ne fa uso, sullo sfondo, o contesto, giusto o ritenuto tale. Le parole possono richiamare al centro della scena un contesto e anche compiere il forse meritorio servizio di presentare - far presente - scenari che le risse e le spettacolarizzazioni hanno oscurato.
Le parole di questo libro si collocano su tre sfondi, o contesti:
- le leggi
- le esperienze
- le ricerche.
Precisiamole, sia pure in breve meglio.

Le leggi possono diventare una rete in cui impigliarsi e non uscirne più. O possono essere un riferimento che permette di procedere con sicurezza. Le leggi possono essere nello stesso tempo difensive e propositive. Possono difendere le scelte inclusive, sostenendole con la forza del diritto. E possono farci capire che l’orizzonte si sposta e bisogna guardare lontano. Ci sono leggi che danno garanzie circa la gestione dei progetti inclusivi. E ci sono leggi che hanno la forza di essere fondanti e capaci di aprire il futuro: ci aiutano a rappresentare i valori fondamentali nel futuro del mondo. La nostra Costituzione è limpida: Art.3 - principio di uguaglianza formale - “ tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali” - principio di uguaglianza sostanziale - “ è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Ma le leggi devono essere esigibili e credibili. Questo è un compito che il libro ha assunto pienamente.

Ci vogliono le esperienze. Che devono confrontarsi con le ricerche. Esperienze e ricerca non vanno sempre d’accordo; implica cercare di mettere d’accordo chi vive sulla strada e anche della strada, e chi vive al piano nobile del palazzo. Il dottor Itard e Madame Guérin hanno bisogno uno dell’altra, e viceversa. Itard è la ricerca: costruisce un lavoro da laboratorio, pone obiettivi, misura, fa ipotesi e verifica… Madame Guérin ha la cura della casa, della cucina, delle pulizie, che sono il suo laboratorio. Victor reagisce come può alle proposte di Itard. Fa lui delle proposte, prende delle iniziative, in relazione con la casa, la cucina, le pulizie. Con il laboratorio di Madame Guérin.
Chi legge questo libro non incontra Victor il sauvage, Itard e Madame Guérin. Evocare i loro nomi non è però fuori luogo. Vediamo perché. Sono gli antenati da cui discendiamo. Deriviamo da una coabitazione fra ricerca ed esperienza. Da lì, da questa coabitazione, è nata l’educazione inclusiva. Che, come frutto della coabitazione di un Signore, o Padrone (ricerca) e di una Governante, o Donna di servizio (esperienza), non può dichiarare con tranquilla disinvoltura la propria discendenza. Insomma: non è una nobile origine, ma il frutto di un amore ancillare. Che sia proprio questo a permettere un processo di autodeterminazione per nulla banale, e forse anche carico di elementi utili per tanti. Ricordiamo che il diritto all'autodeterminazione è il riconoscimento della capacità di scelta autonoma ed indipendente dell'individuo. Le caratteristiche dell’educazione inclusiva – nella parte di mondo in cui ci è dato vivere – rendono più forte, urgente e significativo il desiderio di autodeterminazione. L’urgenza fa correre rischi: mettersi sotto la protezione delle leggi; vantarsi di essere esperienza; lo stesso, ma riferendosi a ricerca.
Sono rischi comprensibili. L’autodeterminazione può farci capire meglio. Perché quella parola, per essere distinta dall’individualismo, va sorretta da leggi, esperienza, ricerca. L’educazione inclusiva deve affermarsi, innovando, in una società disfatta in tanti individui, che, appunto, non si riconoscono in una società. E il fatto che siano individui in maggioranza falliti – precari, fragili, senza progetti – unisce a volte in indignazioni precarie, fragili, senza progetti. L’educazione inclusiva deve agire in una cultura che è percorsa dalla proposta di scommettere, individualmente, per risolvere ogni problema vincendo, a un quiz, a una lotteria, al totocalcio. Potrai realizzare la tua autodeterminazione se vinci. E dunque gioca.
L’educazione inclusiva vuole innovare riferendosi a un individuo sociale. Innovare perché tutto è cambiato dal trionfo, direbbe il sociologo Franco Cassano, da una narrazione che ha cancellato la società imponendo l’individuo. Questa narrazione riguarda la scuola (i genitori assediano il singolo insegnante per essere sicuri che il proprio erede abbia tutto il programma completo e senza ostacoli dati da agenti atmosferici che costringono a stare a casa qualche giorno per neve e ghiaccio, come dovuti alla presenza di chi ha bisogni speciali…), il lavoro (inutile invocare il mondo del lavoro di anni fa. Il lavoro è fatto di contratti individuali che non alimentano solidarietà ma competizioni individuali, progetti individuali, ecc.), i servizi (raggiungere la risposta attraverso amicizie, spettacolarizzazioni della propria condizione attraverso giornali e mezzi televisivi, in un crescendo che va dal giornale locale alla trasmissione televisiva su un canale nazionale…).
L’educazione inclusiva deve attingere dal passato, compresa la sua origine dovuta ad un amore ancillare. Ma deve innovare senza nostalgie di un passato che non tornerà. Ha il dovere di essere appassionata di futuro, incontrando e lavorando con tutti coloro che sono appassionati di futuro.
Questo vuol dire progetto. Nel progettare, l’autodeterminazione del singolo sta nell’autodeterminazione dello stesso progetto.

L’integrazione, nella prospettiva inclusiva, non vuole conservare nel presente chi ha Bisogni Speciali. Vuole che sia nel futuro comune.