Articolo di Appunti (Accesso libero)

torna al sommario

Articolo pubblicato sul numero 234, 1/2021
gennaio-marzo 2021

Raccontiamo noi l'inclusione. Trovare la giusta distanza: come accompagnare all'autonomia … anche abitativa

G., mamma di D

Intervista realizzata a luglio 2019, nell’ambito del progetto “Le storie di vita insegnano”.

Tipologia: Intervista


La mia speranza è che questi ragazzi possano essere sempre più autonomi e noi genitori avere il nostro di spazio, come fanno tutti i figli che a una certa età aprono la porta e dicono: “Ciao!”. Tante volte - quando ci mettiamo a tavola e lui non c’è - io e mio marito ci guardiamo e diciamo: “Eccoci, siamo due vecchietti!”. Poi quando torna D. si mette al suo posto e dice con aria orgogliosa: “Oh! l’ho riempito di nuovo questo posto!”. Anche il nonno gli ha detto prima di ripartire: “Non andare via più che nonno ti vuole tanto bene!” e lui sicuro ha riposto: “Eh ma io sto bene anche là, poi comunque torno qui!” (Intervista a cura di Gloria Gagliardini)

Mi chiamo G. ho 59 anni, abito a Monsano (AN), con mio marito e mio figlio. Svolgo attualmente due lavori: uno di pulizie in un’azienda e l’altro qui nella villa in cui abito come custode e giardiniera. Abitiamo in un appartamento vicino alla casa dei miei suoceri, affianco alla villa di cui ci prendiamo cura come custodi. Il tempo libero quindi non ne ho; finito questo impegno ho anche da accudire mia madre che ha 80 anni, se le serve qualcosa lascio il lavoro qui e vado, sono sempre a disposizione. Infine c’è D., nostro figlio, anche lui a volte ha bisogno di me.

Ti va di presentarcelo?
D. ha 31 anni, è nato a febbraio del 1989. È un ragazzo molto allegro e solare, certo si arrabbia ma lo vedo subito se c’è qualcosa che non va perché si ammutolisce oppure diventa irrequieto e domanda sempre “perché”. Gli è stata definita una disabilità intellettiva medio-grave, a livello motorio è autonomo. Non sappiamo bene il motivo di questa menomazione, devo capire ancora cosa ha avuto: pensa dopo 31 anni ancora non so perché!
Mi sono accorta che lo sviluppo non era normale verso gli 8 mesi di vita, mi chiedevo perché non gattona? Poi perché non si mette in piedi?
Abbiamo così iniziato le prime ricerche dal pediatra, che ci ha mandanti al Salesi 1 poi diversi ricoveri. A due anni ancora non parlava e successivamente ha iniziato la logopedia, fino all’età della scuola media. Ha iniziato a parlare intorno ai 5 anni; a 2 anni ha iniziato a camminare, me lo ricordo benissimo. Lui all’inizio si teneva la testa, mentre camminava e poi ha comincia dire qualcosa con difficoltà; esempio a scuola c’era un bimbo che si chiamava Giacomo lui lo chiamava “Gamomo”. Per la logopedia siamo andati a Bologna dal dottor Stella. Quando lui l‘ha visto la prima volta ha detto: “Ah ma lui non parlerà!”, se lo vedesse adesso altro che non parla!!”

Secondo te, questa nascita in famiglia cosa ha cambiato?
Secondo me niente, con mio marito non ha cambiato niente io gli ho sempre detto che se ci è andata così è perché così doveva andare; era un destino della vita. Cerchiamo di aiutarlo, non tutto è possibile, ma ci affidiamo a quello che viene.

Ci vuoi parlare della scuola?
L’ho iscritto al nido con l’idea che fosse un modo per stare con gli altri e per essere stimolato a parlare e a camminare; ma la vera molla per lui è stata la cugina, un anno più piccola di lui. Lei un vero “terremoto” … e quando giocavano gli diceva: “Dai, D. fai così fai così”, sono cresciuti insieme, giocavano tantissimo. 
A scuola materna gli hanno affiancato un sostegno, cosa che non ha avuto invece alle elementari. Con D., posso dire di aver visto la nascita di tutti i servizi territoriali, compreso la cooperativa che c’è ancora, quella volta la differenza era che l’educatore a casa lo pagavamo.
In prima elementare la figura dell’insegnante di sostegno non c’era ancora. Avevamo un monte ore tra scuola e casa. In quel periodo è successa una cosa un po’ sgradevole: c’è stato il terremoto e i ragazzini di Monsano - per inagibilità della scuola - li hanno trasferiti in una scuola a Jesi. Lì è caduto e si è tagliato con i vetri di una finestra. Da quella volta gli insegnanti lo hanno segnalato come bambino irrequieto che andava seguito in rapporto personalizzato. Noi non ce l’aspettavamo proprio, ci hanno convocato ad una riunione alla Asl con la psicologa e operatori e maestre. Ma lui era tranquillo! Ancora, se glielo chiedi, si ricorda questo incontro inaspettato, si è sentito colpevolizzato solo perché era accaduto un fatto che poi non si è più ripetuto. Poi ha fatto le medie, le superiori a Chiaravalle: l’”Istituto Podesti” indirizzo grafico-pubblicitario.

A distanza di anni, pensi che la scuola per lui sia stato un percorso importante?
Si si, ha imparato molto, con i suoi tempi … ha ripetuto tante volte. Dal punto di vista delle amicizie invece direi di no, non è stata fonte di relazioni importanti per lui, non ha avuto quasi mai amici che venivano a casa a giocare, se capitava poi magari era lui stesso che si stancava, non ha avuto mai un buon rapporto con gli amici. Anche tra di noi genitori era difficile uno scambio. A volte penso, guardando le foto di quando era piccolo, che stiamo meglio adesso. L’infanzia è stata faticosa, non riuscivamo a stargli dietro, adesso è più calmo e ragiona diversamente, ha i suoi amici.

La scuola comunque gli ha dato buone competenze dicevi.
Sì, ad esempio sa gestire e usare i soldi, esce, prende l’autobus, c’è da seguirlo un po’ ma è abbastanza autonomo, va a fare da solo una piccola spesa, la ricarica del cellulare, l’acquisto dei biglietti per la corriera, usa il computer. Il pomeriggio manteneva l’educatore che devo dire lo ha reso autonomo tanto che lui era in grado già dalla scuola di prendere il pullman alle superiori e io lo lasciavo andare da solo. Una professoressa, tra l’altro di sostegno, vedendo che andava da solo in autobus lo ha rimproverato e lui ci è rimasto malissimo, mi hanno chiamata per andarlo a prendere! Questa è stata la stessa insegnante che non lo ha fatto partecipare alla gita scolastica e lui questo se lo ricorderà a vita. Quella volta ricordo che alla fine abbiamo organizzato una gita noi in famiglia per non lasciarlo nella tristezza della vicenda.

D. ha un progetto educativo? Senti che lui sta percorrendo un suo progetto di vita?
Adesso sì, da quando è entrato a far parte di questo progetto di Autonomia Abitativa 2 in appartamento a Jesi. Prima, fino a qualche anno fa, mi sembrava che la sua vita finisse con noi. Dalle scuole superiori abbiamo avuto un educatore che veniva a casa e lo aiutava a fare i compiti, ad andare in bicicletta e a imparare a prendere l’autobus nel tragitto Monsano-Jesi. Avevamo 18 ore di servizio educativo tra casa e scuola. A 19 anni, ha avuto un incidente molto brutto, tanti ricoveri è stato in ospedale tra tutto 2 anni. E questo ci ha stoppato su tante cose. È stato investito sulle strisce pedonali.
Il bello è che al momento dell’incidente, non l’hanno operato subito perché c’erano casi più urgenti, ma gli hanno fatto uno “stiramento”; gli hanno messo dei pesi uno al braccio uno alla gamba, alla prima notte che stava così si è lamentato sempre, alle 5 della mattina ho visto che si è addormentato e invece era andato in coma. Abbiamo vissuto un momento molto difficile, ci siamo arrabbiati con i medici. Devo dire che nel reparto era benvoluto da tutti, tanto che, dopo mesi, era diventato anche per lui un ambiente familiare e aveva espresso il desiderio di trovare un impiego in ospedale. Invece, poco dopo ha iniziato un inserimento lavorativo provando in varie scuole come aiuto bidello. Tuttora presta servizio con un “tirocinio ad inclusione sociale” in una scuola media di Jesi, riceve un compenso di 220 € al mese, per 4 ore al giorno, ormai da tanti anni. Fa le fotocopie, le pulizie alla fine delle lezioni, cioè tutto quello che riguarda il lavoro di un bidello. Ormai se lo gestisce da solo, viene confermato di anno in anno e si va avanti così; io non vengo interpellata più dai servizi su questo.
Rispetto al lavoro che prospettive ci sono secondo te?
A lui basterebbe lavorare con uno stipendio un po’ più adeguato. Penso anche alla possibilità, ormai dopo tanti anni, di cambiare. Il problema che mi pongo è solo come verrà accolto da chi non lo conosce. Ci deve essere un clima di accoglienza da gestire all’inizio specialmente. Lui poi tutte le rotture le vive male, con senso di colpa. Come quando il suo educatore è stato licenziato, lui l’ha vissuta personalmente come fosse dipeso da un suo comportamento sbagliato, per lui è stato un abbandono. Poco dopo per fortuna è iniziato il Progetto di Autonomia. Da qualche anno il progetto è finanziato dal “Dopo di Noi” e non paghiamo più una quota. Prima pagavamo una buona cifra e lui era contento che una parte ne pagava col suo compenso del lavoro. Diceva: “Quello è l’appartamento mio, pago io”. Questo mi fa capire rispetto al lavoro che lo stipendio è un bisogno, è dignità e un vero lavoro per lui sarebbe utile, pensando di andare davvero via di casa in autonomia.

Allora parliamo di questo progetto. Lui aveva 25 anni …
La psicologa dell’Unità Multidisciplinare ci convocò ormai più di 5 anni fa, ad una riunione chiedendoci la disponibilità a  partecipare ad un progetto dei servizi territoriali che iniziava con qualche pomeriggio in gruppo o il weekend con altri ragazzi con disabilità. La prospettiva del fine settimana ci metteva un po’ paura, D. diceva: “Io sto bene a casa mia” e così abbiamo iniziato ad aderire a delle attività di autonomia che si svolgevano nei pomeriggi. Lui era già stato fuori casa per alcuni giorni grazie al gruppo degli scout e quindi la resistenza era solo iniziale. La psicologa ha così lavorato con D. incoraggiandolo a provare proprio il progetto di Autonomia.

Voi come genitori siete contenti di questo percorso? Cosa senti che ha dato che prima non c’era?
Autonomia in D. e più libertà a noi. Mi sono detta che ora è il momento che mi posso permettere di stare male, non ho più l’obbligo di stare sempre con lui. Lui era molto legato a me e se io stavo male e doveva fare delle cose senza di me diceva: E come faccio? Mi sento molto più sollevata, libera, adesso posso concedermi di stare male! Quando iniziano i giorni di permanenza in appartamento, lo accompagno poi lui lì è autonomo in quella casa, disfa la valigia, fa tutto da solo… invece quando torna a casa la lascia lì e non la tocca più… “qua c’è mamma”. Da lì va anche al lavoro a piedi perché è pressappoco lo stesso quartiere della città. Mi piace questa esperienza perché ha trovato anche delle buone relazioni di condominio con i signori del palazzo, e vuole essere utile per gli altri, perché lui senza fare niente non è D.. In estate, quando il tirocinio si sospende, dobbiamo trovare qualcosa che lo tenga occupato magari in giardino con noi, altrimenti si annoia o si mette a fare cose strane.

Lo vedi diventare grande, diventare uomo?
Si, abbastanza, caspiterina! Con gli educatori ha imparato delle cose: fare la spesa anche per altri, apparecchiare, pulire … Cucinare e fare il bucato ancora no. Non stando mai due intere settimane consecutive non si crea neanche il bisogno forse di fare proprio tutto.

Prima mi dicevi degli scout. Da che età ha iniziato questa esperienza?
Verso i 12 anni. Qui a Monsano non c’era niente che lo coinvolgesse, siamo andanti a Jesi a sentire alla parrocchia di San Giuseppe e ha trovato questo gruppo scout con cui è stato per 4/5 anni. Con questi ragazzi ha fatto tante esperienze: dormire sotto la tenda, nei campi, arrangiarsi con gli altri fuori casa; gli è piaciuto!

E quella è stata una fonte di amicizia per lui?
Sì, negli scout ritrovava il gruppo però lui pure a volte si mette da una parte e se non viene coinvolto tende a isolarsi. Un’altra attività che lo ha accompagnato fin da bambino è stato il nuoto. Ce l’ho portato da piccolino sempre per fargli fare movimento. Dai 3 fino ai 5/6 anni per un periodo partecipava alle gare di agonismo.

Cosa prevedi per il futuro?
La mia speranza è che questi ragazzi possano essere sempre più autonomi cosicché noi genitori possiamo avere anche il nostro di spazio, come fanno tutti i figli che a una certa età aprono la porta e dicono: “Ciao!”. Tante volte quando ci mettiamo a tavola siamo io e mio marito e ci diciamo: “eccoci, siamo i due vecchietti!” poi quando torna D. si mette al suo posto e dice con aria orgogliosa: “Oh! L’ho riempito di nuovo questo posto!!”. Anche il nonno gli ha detto prima di ripartire per la casa in autonomia: “Non andare via più che nonno ti vuole tanto bene!” e lui sicuro ha riposto: “Eh ma io sto bene anche là, poi comunque posso tornare sempre qui!”

Senti che anche per voi genitori c’è un percorso in questa crescita di D.?
Sì, noi genitori stiamo più tranquilli. Nel tempo si sono strutturate delle riunioni tra genitori con la psicologa e anche tra educatori, ragazzi e genitori. A volte mi viene il dubbio se ci diciamo sempre la verità a questi incontri. Ora che mio marito è in pensione gli chiedo di partecipare anche a lui a queste riunioni, ma non lo ha mai fatto e ormai ci siamo come divisi i compiti familiari…

Questo fatto di incontrarti con altre famiglie, di conoscere altre situazioni vi ha aiutati?
Sì, perché ti rispecchi negli altri e vedi quanta somiglianza di pensieri, preoccupazioni, storie. Confrontarsi poi aiuta ad andare avanti, altrimenti non conosci niente. Anche una piccola riunione, non è mai stupida perché ognuno dice la sua, magari c’è chi approfondisce alcune cose, come quando è uscita la legge “Dopo di noi 3” e qualcuno te ne parla… riesci sempre a capire di più.

Se dovessi pensare a questa storia senza l’aiuto dei servizi…
E dove ti metti le mani? Noi viviamo in un paese piccolo, ognuno si fa gli affari suoi! Il servizio ti instrada, è sempre difficoltoso però ti insegna! Se c’è qualcosa che non va posso alzare il telefono e chiamare qualcuno, anche tramite i genitori, si crea una rete di aiuto.

In appartamento ogni tanto vai?
Poco. Perché lascio fare a lui, vediamo come va. Devo essere un po’ in disparte, fare quello che i genitori non hanno fatto con me. Il concetto è: ti aiuto dove non arrivi, però per il resto fai da solo.

La cosa più bella che ti rimane di questa storia fino a qui?
Il progetto di autonomia in appartamento. Perché osservo crescere mio figlio, la sua autonomia, io mi invecchio e lui va avanti. Non lo avrei mai pensato prima e invece questa proposta dai servizi ci è arrivata all’età giusta … come quando ti sposi sei giovane e progetti la tua vita. Di intoppi ce ne sono stati tanti, il giudizio che ho sentito su di me, da parte di alcune persone, per fargli fare questa esperienza… ma poi lasci perdere e vai per la tua strada. Se tu ad un figlio gli dai la tranquillità e l’amore poi lui va avanti. È bello per me quando lui dice: “Io ho due case, una a Jesi e una a Monsano!”



1 Ospedale materno infantile “G.Salesi” di Ancona.

2 Progetto Autonomia Abitativa: “risponde all’esigenza di andare a vivere fuori dal nucleo familiare non solo per necessità (la morte o l’impossibilità di permanere nel contesto della famiglia di origine) ma come desiderio come scelta di una vita indipendente.” Fonte: http://www.aspambitonove.it/disabili/34-area-disabili/128-progetto-esercizi-di-volo-sottoprogetto-2-%E2%80%9Cla-casa-dei-week-end%E2%80%9D.html. Per approfondire il tema del progetto di Autonomia Abitativa dell’Ambito Territoriale 9 di Jesi, rimandiamo ad un’altra mamma intervistata che ne racconta l’esperienza dal suo punto di vista: Ponzetti Franca, Raccontiamo noi l’inclusione. Un genitore si racconta. Seconda parte, in Appunti 1/2020, http://www.grusol.it/apriInformazioniN.asp?id=7427.

3 Legge 112/2016 “Dopo di noi“. Per approfondire: F. Giancaterina, Come costruire tra diritti sociali e la loro esigibilità. Le opportunità della legge 112/2016, in Appunti sulle politiche sociali, n. 2/2019, p. 1.


torna al sommario

torna al titolo