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Articolo pubblicato sul numero 233, 3-4/2020
luglio-dicembre 2020

Ricordo di Enrico Montobbio

Mario Paolini

Pedagogista e formatore, Treviso

Tipologia: Articolo


È difficile scrivere di Enrico Montobbio sapendo ma non accettando bene il fatto che non c’è più. Sapevamo che non stava bene, sapevamo che negli ultimi mesi era peggiorato ma era ancora qui. Lui che ha ricevuto in vita dalla sua città il Grifo d’argento, ora potrà avere anche quello d’oro, che viene dato solo alla memoria.

Ciao Enrico, le pagine che ci hai lasciato sono dense di idee, pensieri, tentativi. I ricordi sono anche altro, come il tuo pugno chiuso a salutare sorridendo quando ti diedero il Grifo.

Sono tempi scomodi per parlare di un pugno chiuso, ma penso che varrebbe la pena lo stesso di farlo, perché se non ci fosse stata la spinta di civismo del movimento operaio a Genova a sostenere la lotta per acquisire il diritto al lavoro per le persone fragili, per le persone con disabilità, oggi non ci sarebbe a legge 68/99, anche se molti non sanno nemmeno cos’è. Quello che voi avete fatto 1 non era solo razionalità e non era solo pragmatismo, era anche passione che ha cambiato un modo di pensare: a chi resta, se ci crede, spetta il lavoro quotidiano di continuare a nutrire il cambiamento. Sono state scritte diverse cose, da te e dai tuoi collaboratori, ma solo dopo averle fatte, non prima e questo lo sanno e spero lo dirà chi c’era, come Carlo Lepri e tanti altri.

I libri
I tuoi piccoli libri, scritti sempre a più mani e già questo è un esempio, restano pagine da sfogliare, da studiare, da condividere, da imprestare, qualche volta da regalare o lasciare andare per ricomprarselo poi. I poeti, sempre citati con gentilezza nei tuoi libri e nei tuoi incontri, sono una cifra di stile per alzare lo sguardo dal particolare al tutto ma rimanendo sempre attento a quei particolari che facevano sì che il racconto della storia di una persona fosse una storia piena.
“Lavoro e fasce deboli” resta un libro che crea il cambiamento. Non riesco a pensare a quanti bravi operatori nella mediazione verso il lavoro quel libro e il pensiero che ci sta dietro abbia dato qualcosa di importante.
“Casa senza specchi” resta un pugno nello stomaco per parlare di qualcosa che non ha tempo per mutare, perché il tempo si azzera ogni volta che succede a qualcuno di avere un figlio gettato nel mondo dal lancio di dadi del computer di Dio con le caratteristiche di qualcosa di differente (scusa Enrico, ti ho citato a memoria e non ho voglia di cercare la pagina per trovare le parole esatte), ma resta e resterà qualcosa di cui avere profondo rispetto e considerazione, se non si vuole sbagliare tutto.
“Il falso sé nell’handicap mentale” fu un altro libro futurista, e oggi dovrebbe essere alla base del lavoro degli insegnanti che si occupano di far crescere ragazzi con disabilità, di educatori che ne raccolgano il testimone nel governare le fasi successive dell’ingresso nell’adultità.

L’alleanza educativa
Ma a me, perché te lo chiesi e me lo dicesti, resta al primo posto tra i tuoi insegnamenti la ricerca dell’alleanza educativa. Sempre difficile, a volte quasi impossibile ma sempre necessaria. Non capire questo, non lavorare ogni giorno su questo, è una rinuncia di ruolo e un arretramento rispetto alla cultura del sopruso, dell’ineguaglianza, della violenza, facili materie da apprendere quest’ultime, in un clima favorente. Ci proverò, Enrico, perché penso che è proprio così e perché quello è il metro per misurare molte cose, la giustizia, la passione, il senso. La prima volta che ci incontrammo fu a Mestre, ti avevo invitato a presentare il tuo libro “Prova in altro modo” ma quasi tutto l’incontro, pieno di educatori, fu dedicato allo scandalo di una frase detta e mal digerita da tanti ancora oggi: gli educatori per sentirsi tali hanno bisogno che i disabili restino tali per sempre. Apriti cielo.
“Chi sarei se potessi essere” è un libro da rileggere spesso, per il piacere di farlo prima ma poi perché ti aiuta in quel che fai. Uno dei libri più belli che conosco per chi voglia comprendere il lavoro con le differenze ma anche un libro scomodo, perché mette in trasparenza i buonismi e li demolisce in poche righe argomentate.
“Prova in altro modo”, è stato il tuo ultimo lavoro compiuto, un sussidiario di parole da studiare. È in quel libro, Enrico, che ho incontrato il tema dell’alleanza educativa di cui da allora non smetto di occuparmi, ritenendolo importante, e mi scusino tutti quelli che potrebbero citare altri libri e altri autori che se ne occuparono prima e forse meglio: non sto facendo una tesi ma un omaggio a un amico-maestro. Le storie raccontate sono uno stile di cui nutrire chi continua a perdere, e a far perdere a tutti, vicende che varrebbe la pena di raccontare. Anche senza la pretesa di essere letteratura ma sicuramente privilegiando la ricchezza e l’unicità di storie che raccontano dettagli di vita di persone che non fanno la storia.
Spero che tu abbia un campo da tennis dove andrai, e che la palla che lanci sia per noi la molla per correrle dietro, senza alibi, senza pigrizia.
Grazie.



1 Si riferisce al Centro per l’integrazione lavorativa dell’ASL di Genova.


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