Parte così la traduzione operativa di una legge regionale che anticipa la riforma in arrivo a livello nazionale in materia di disabilità introdotta dalla Legge Delega 227/2021[2]. La legge regionale e la legge delega condividono infatti lo stesso approccio sulla disabilità basato sui diritti umani e sui principi di autodeterminazione e non discriminazione.
Questo quadro di riforme segna un passaggio epocale, un cambio di paradigma sotteso all’approccio stesso con cui guardare al percorso di vita delle persone con disabilità e più in generale al ruolo dei servizi.

Il primo nodo di questo cambio di sguardo si rintraccia nel fatto che le norme in oggetto hanno come destinatarie tutte le persone con disabilità, indipendentemente dal grado di compromissione funzionale, reddito o condizione. Poiché esse si muovono nel campo dell’affermazione dei diritti non vi sono categorie, classi o criteri che ne condizionino l’applicabilità. A tutte le persone con disabilità deve essere garantita piena inclusione e partecipazione nella società e il diritto a condurre la propria esistenza con la stessa libertà di scelta delle altre persone, esercitando appieno la propria cittadinanza. Questo passaggio non è affatto scontato in quanto si esce dal campo della valutazione del bisogno o dall’accertamento dei requisiti soggettivi e ci si muove verso la definizione di un sistema che deve produrre garanzie universali. In altre parole l’inclusione non deve essere un’aspirazione ma un diritto garantito per tutti.

Questo non significa che l’inclusione e la vita indipendente si prescrivano e si costruiscano per legge ma la Legge è un passaggio fondamentale per rendere tale aspirazione una possibilità concretizzabile e realizzabile. Avere un assetto normativo favorevole rappresenta infatti una condizione determinante per costruire un sistema in cui il tema dell’esigibilità dei diritti possa concretamente innestarsi.  Al sistema dei servizi spetta ora la sfida di contribuire a rendere questo diritto esigibile.

Vita indipendente come diritto universale all’autodeterminazione

Possiamo fare un passo in più nel comprendere meglio il senso di questo passaggio se ci soffermiamo sul pilastro che sta al centro dell’impianto normativo, ovvero il concetto di vita indipendente.
Un errore comune è quello di interpretare questo concetto come l’equivalente di vita autonoma o connesso alla dimensione abitativa, tuttavia non è questo il significato. L’indipendenza non è sinonimo di autosufficienza e non ha a che fare con il vivere per conto proprio, ma rimanda al diritto compiere le proprie scelte, di essere liberi di esprimersi e di poter scegliere cosa fare della propria vita senza condizionamenti. È dunque da intendersi nell’accezione di autodeterminazione. Vita Indipendente delle persone con disabilità non significa quindi vita senza sostegni o supporti bensì con la possibilità di scegliere dove e come vivere con i dovuti sostegni ed i dovuti accomodamenti ragionevoli.

A partire da queste premesse, parlare di progetto di vita indipendente implica l’assunzione di un nuovo sguardo che pone al centro il diritto all’autodeterminazione della persona con disabilità. Il campo di applicazione di questo diritto è la vita stessa. Non si riferisce dunque all’ambito limitato di un servizio o ad un segmento definito dell’esperienza (come ad esempio la salute, la casa o il lavoro) ma assume una valenza esistenziale, trasversale a tutti gli ambiti del vivere nella loro varietà e mutevolezza. Questo ci pone di fronte a un orizzonte ampio, evolutivo, non sempre facile da afferrare. Un orizzonte liquido in cui si muovono desideri, sogni, aspirazioni, relazioni e intenzioni che devono però trovare ancoraggio in una dimensione progettuale. Parlare di progetto implica uscire da una logica prescrittiva per assumere una postura costruttiva in grado di definire direttrici, tappe e strumenti per garantire che uomini e donne con disabilità possano decidere della loro vita e realizzarsi al pari di tutte le altre persone.  Proprio perché legato alla dimensione esistenziale il progetto non potrà che essere fluido e dinamico, soggetto a monitoraggio, aggiustamenti e adattamenti continui.

La persona con disabilità come titolare del proprio progetto

Sia la Legge 25 di Regione Lombardia sia la Legge Delega 227 aggiungono tasselli ulteriori e innovativi a questa prospettiva perché definiscono alcuni elementi di garanzia che la costruzione del progetto di vita deve avere. Il progetto deve infatti essere individuale, personalizzato e partecipato. Ciascuno di questi termini ha un peso e una valenza estremamente importante e segna un passaggio cruciale:

  • Individuale: il progetto si applica ad una singola persona. Non si sta parlando dunque di un progetto di servizio o rivolto ad un gruppo di beneficiari bensì di un progetto che riguarda un singolo nella sua individualità e in considerazione di tutte le specifiche caratteristiche del proprio contesto di vita.
  • Personalizzato: oltre a riguardare una e una sola persona, il progetto è definito, costruito e sviluppato esclusivamente per essa. Si tratta di un’opera sartoriale e irripetibile. Questo elemento pone di fronte alla sfida del superamento della logica della standardizzazione che fini qui ha caratterizzato la maggior parte dei servizi alla persona.
  • Partecipato: qui si gioca un nodo di fondamentale importanza. La persona con disabilità non è oggetto della costruzione del progetto ma ne è il titolare e, pertanto, concorre attivamente alla definizione dello stesso, determinandone i contenuti sulla base dei propri bisogni, interessi, richieste, desideri e preferenze.

Non è affatto banale che all’interno di una norma si nomini in modo inedito e si ponga esplicitamente l’accento sul rispetto dei desideri delle persone con disabilità e venga ufficializzato l’impegno per promuoverne l’autodeterminazione guardandoli come soggetti attivi nel processo di “costruzione” della propria esistenza e non solo come oggetti di cura. Ciò che si afferma è dunque che il progetto di vita non può essere deciso esclusivamente dagli operatori sulla base di item predefiniti o dalla lettura di bisogni codificati dall’esterno; il progetto deve nascere dalle istanze della persona stessa che di esso ne sarà titolare e protagonista principale, il primo attore.

Questo fatto pone il tema, per molti servizi e molte istituzioni ancora inesplorato, di come fare i conti con le condizioni che permettono a ciascuno di esprimersi, senza che vengano saturati gli spazi in cui la possibilità di scelta possa essere esercitata. Si evidenzia pertanto una nuova competenza che necessita di essere allenata da parte del sistema e che richiede un nuovo assetto da parte dei servizi: favorire e promuovere le scelte personali e agire per sostenere tali scelte.
Questo assetto rappresenta un prerequisito progettuale o una meta-competenza non solo professionale, ma anche organizzativa e istituzionale.

Da oggetto a soggetto della valutazione

Nodo centrale per la definizione e il monitoraggio del progetto di vita è rappresentato dall’Unità di valutazione multidimensionale riguardo la quale è necessario fare alcune precisazioni. Innanzitutto occorre chiarire che il suo compito non è di stabilire se la persona abbia o meno diritto ad avere un progetto, tale diritto è sancito a priori per tutte le persone con disabilità.
Inoltre va specificato che ad essere oggetto della valutazione non è la persona con disabilità bensì il suo progetto. La persona con disabilità è considerata infatti parte integrante dell’unità di valutazione ed è quindi soggetto che valuta, non oggetto della valutazione.

La valutazione multidimensionale, derivante dalla richiesta di progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato, promossa dalla persona con disabilità, dà avvio al percorso di co-progettazione in cui la persona ha un ruolo determinante e attivo, evidenziando le condizioni e il contesto di vita, gli interessi, i bisogni, le richieste, i desideri e le preferenze della persona stessa. (art. 6 comma 2 L.r. 25/22)

È dunque fondamentale interpretare la costruzione e la gestione del progetto personalizzato come un dialogo competente e appassionato tra i diretti interessati e gli operatori impegnati istituzionalmente in tal senso. Un dialogo che sostenga il percorso esistenziale della persona e promuova azioni abilitanti per il suo contesto di vita. Un compito da affrontare come si affronta una sfida di cambiamento personale e sociale più che come un semplice adempimento burocratico, un piano terapeutico o una prestazione da erogare o un servizio da realizzare. Un processo che deve determinare un preciso accordo di corresponsabilità che delinei un orizzonte di azione da realizzarsi paritariamente tra tutti i componenti di questo dialogo di progettazione condivisa, che insieme, lo sottoscrivono e poi insieme, lo valutano.

Concorrono a questo processo anche i Centri per la Vita Indipendente definiti come servizio integrato a titolarità plurale fra Enti di terzo settore ed ente pubblico, con personale afferente ai diversi soggetti per garantire una reale corresponsabilità degli esiti previsti. In questa accezione i centri rappresentano uno spazio fisico e relazionale in grado di fungere la ponte fra la persona, la famiglia e la rete dei servizi, e in cui la persona con disabilità può trovare il confronto e i sostegni necessari per poter elaborare, esprimere e definire i propri desideri, preferenze e mete come fondamenta del proprio progetto di vita.

Cultura, processi e integrazione delle risorse

Gli elementi sopra riassunti definiscono una trasformazione epocale delle lenti con cui si guarda alle persone con disabilità e, di conseguenza, del modo in cui i servizi si prendono cura di loro. Affinché però la norma non si riduca ad una mera dichiarazione di intenti è necessario che si pongano in essere alcune condizioni che ne permettano la reale attuazione.

Innanzitutto si pone la necessità di lavorare su un nuovo assetto culturale dei servizi, superando la visione medico patologica del lavoro con la disabilità per andare verso un approccio personalizzato in cui è richiesta la partecipazione e cooperazione di tutti, compresa la persona con disabilità in base alle sue abilità e possibilità. Presupposto fondamentale è il riconoscimento della persona con disabilità come capace di scegliere e agire purché messa nelle condizioni di usare in modo funzionale tutte le risorse di cui dispone il suo contesto relazionale e sociale. Gli operatori, gli esperti, non sono chiamati a selezionare elementi predefiniti che consentono di collocare la persona dentro categorie diagnostiche, ma piuttosto a sviluppare una comprensione della situazione che si mantiene fluida, contestualizzata e dialogante. La domanda che deve muovere i servizi deve essere come concorrere ad un’azione comune che, attraverso sostegni, azioni o misure possa garantire a tutti il diritto all’autodeterminazione e alla piena inclusione in ogni campo dell’esistenza.

Va da sé che perché questo possa compiersi, accanto al cambio culturale, sia necessario lavorare per l’infrastrutturazione dei processi e del sistema di raccordo tra servizi e settori, che porti ad una ricomposizione funzionale delle politiche. Fondamentale sarà partire dalle buone prassi territoriali già sperimentate nei Pro.VI[3], nei progetti sul Dopo di Noi[4] o nell’ambito del PNRR con particolare riferimento alle sperimentazioni innovative di costruzione e governo dei progetti personalizzati.

L’introduzione del Progetto di vita, per garantire uno sguardo a 360 gradi sulla persona, necessita di superare le estreme frammentazioni di prestazioni, servizi e delle misure. Da questo punto di vista un ruolo importante dei centri per la vita indipendente deve essere quello di fungere da snodo affinché i servizi e i nodi formali e informali della rete siano in grado di attivarsi e lavorare congiuntamente per obiettivi condivisi facilitando la cooperazione, attivando connessioni, sostenendole e promuovendole nel tempo in una continua tensione al dialogo e alla riprogettazione. Affinché questo si realizzi si deve però preventivamente lavorare sulla necessità di creare sinergie a più livelli, integrando gli ambiti della programmazione con quelli più squisitamente progettuali, sostenendo la capacità di coordinamento unitario e codificando i processi di raccordo.

Non possiamo infine trascurare il tema della sostenibilità economica e del budget di progetto. Va da sé che se il progetto di vita viene garantito di diritto, la sua attuazione non possa essere subordinata all’ammontare delle di risorse disponibili. Un nodo importante riguarda dunque l’entità e i modelli di integrazione delle risorse disponibili affinché siano sufficienti e funzionali a realizzare gli intenti dichiarati. Ma questo non è sufficiente. L’esperienza ci dimostra infatti che le risorse da sole non bastano e che c’è il rischio che si dimostrino inefficienti e inefficaci senza un allenamento ad una connessione e costruzione di una visione integrata. In tal senso il ruolo di mediazione giocato dalle organizzazioni della società civile nel contribuire a strutturare un sistema di servizi, accessibile, integrato e che risponda alle esigenze dell’articolato mondo della disabilità rappresenta una condizione necessaria e importante per fare in modo che l’esito delle politiche vada nella direzione desiderata.

In conclusione, partendo dall’esperienza e dallo sguardo di chi già oggi sostiene ed accompagna le persone a realizzare progetti per nuovi percorsi di vita, emerge forte la convinzione che per promuovere una concreta prospettiva per la vita indipendente sia necessario un lavoro sociale di tessitura continua di nuovi legami fiduciari tra persone, famiglie, servizi, istituzioni e luoghi della comunità. La piena inclusione e la vita indipendente non si realizzano esclusivamente attraverso una prescrizione normativa. Si realizzano attraverso un’azione continua che testimoni un grande amore per la dignità e le libertà personali, una forte disposizione ad agire per contrastare crescenti emergenze di esclusione e per favorire l’emergere di nuove aspettative di vita, andando incontro e spesso anche portando forme innovative e processi integrativi alla definizione delle nuove norme e dei loro processi applicativi.

1] Per approfondimenti, i contributi pubblicati su LombardiaSociale.it:
Mozzanica R., Il diritto alla vita indipendente di tutte le persone con disabilità, 3 marzo 2023
Plebani R., Voglio una vita … di quelle fatte così, 29 maggio 2023
[2] In materia si segnala anche l’approvazione del Decreto Legislativo «Definizione della condizione di disabilità, della valutazione di base, di accomodamento ragionevole, della valutazione multidimensionale per l’elaborazione e attuazione del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato», approvato dal Consiglio dei Ministri, il 3 novembre 2023, ed ora all’esame della Conferenza Unificata, del Consiglio di Stato e delle competenti Commissioni parlamentari.
[3] Un esempio sul tema: l’esperienza del territorio viadanese dell’Oglio Po
[4] Un esempio sul tema: la stipula del Patto per il Dopo di Noi nella provincia di Pavia

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Vedi anche, Welfare sociale e disabilità in Lombardia 2018-2023. Cambia il discorso?

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