Perchè il Protocollo Italia-Albania viola il diritto internazionale di Fulvio Vassallo Paleologo, in A-dif.org. 21 ottobre 2024. Vedi anche In Cassazione non solo “paesi sicuri”, ma diritti di difesa e ruolo della giurisdizione Albania e nuovi emendamenti al d.l. 145/2024. Un modo per sovvertire i principi democratici? La ritirata d’Albania, un altro fallimento epico del governo italiano Il trattenimento nei CPR (non solo albanesi) è costituzionale? Il protocollo Italia-Albania viola il codice di deontologia medica e i diritti umani ASGI. La manipolazione del Governo sulla questione “Albania” e l’attacco alla Costituzione; - Migranti. Albania come Ruanda; - Un DL e un ricorso in Cassazione per aggirare i vincoli europei di protezione internazionale. 1. Il Presidente della Repubblica in occasione del suo ultimo intervento nel quale invocava una “sintesi” affinché collaborino e “non si limitino a visioni di parte”,per il superamento dello scontro che la politica di governo ha innescato nei confronti della magistratura, ha richiamato anche l’art. 117 della Costituzione, secondo cui “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.” Non si può fornire alcun alibi a Giorgia Meloni che ha detto che “la magistratura è chiamata a collaborare col sistema Paese“. Le dichiarazioni di Mattarella sembrano andare in questa direzione, piuttosto che affermare esplicitamente il principio costituzionale della indipendenza della magistratura, ci cui è principale custode il Capo dello Stato, nella veste di Presidente del CSM proprio per garantire l’autonomia della giurisdizione. In un momento in cui il governo si accinge a varare l’ennesimo decreto legge per aggirare le decisioni di non convalida dei trattenimenti amministrativi nei centri previsti dal Protocollo Italia-Albania, in un clima avvelenato da ricostruzioni farlocche delle decisioni della Sezione specializzata del Tribunale di Roma e da intercettazioni illegali e parziali di conversazioni private tra magistrati, occorre ribadire il contrasto degli acccordi conclusi lo scorso anno dalla Meloni, con il premier albanese Edi Rama, con il diritto internazionale del mare e con il diritto dei rifugiati. Con la conseguenza che si dovrebbe stabilire la invalidità di quel Protocollo ai sensi dell’art.53 della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati, ed il contrasto dell’intera legge, che ne costituisce ratifica nell’ordinamento interno, con la Costituzione italiana e con il Diritto dell’Unione europea che, con il Regolamento Frontex n.656 del 2014, rende vincolanti per gli stati membri il rispetto delle Convenzioni internazionali UNCLOS, SAR e SOLAS, e della Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati. Come peraltro ribadisce il Piano SAR nazionale del 2020, che stabilisce le modalità di ricerca e soccorso in mare, anche in acque internazionali, a cui sono tenute le autorità italiane. 2. I centri di detenzione in Albania , secondo l’art. 3 comma 2 della legge di ratifica, saranno riservati unicamente a persone imbarcate su mezzi delle autorità italiane, anche a seguito di operazioni di soccorso, in zone situate all’esterno del mare territoriale della Repubblica o di altri Stati membri dell’Unione europea. Dunque a naufraghi che saranno soccorsi nelle zone di acque internazionali, oltre 12 miglia dalla costa, che potrebbero essere quelle comprese nelle zone SAR (di ricerca e salvataggio) della Libia e della Tunisia, ma anche nella zona SAR maltese, al di fuori del mare territoriale. Una previsione contenuta in una legge dello Stato, per ratificare il Protocollo Italia-Albania, che sconfessa i divieti di sbarco imposti nel 2018 e nel 2019 alle navi militari Diciotti e Gregoretti, alle quali veniva impedito per giorni lo sbarco dei naufraghi proprio perchè questi sarebbero stati soccorsi in acque internazionali. Sembra al contrario che si riconosca come doverosa l’attività di ricerca e soccorso da parte di navi militari italiane nelle acque internazionali, anche se nelle zone SAR maltese, “libica” e tunisina, purchè al di fuori delle acque territoriali (12 miglia dalla costa) degli Stati membri. Anzi, sarà probabile che soprattutto nei mesi invernali quando le partenze dalle coste nordafricane diminuiranno per le cattive condizioni del mare, le navi militari italiane vadano “a caccia” di naufraghi in acque internazionali, per riempire i centri di detenzione in Albania, ovviamente dopo una sbrigativa verifica in alto mare che questi naufraghi provengano da “paesi di origine sicuri”. Saltano così buona parte delle argomentazioni addotte dalla difesa del senatore Salvini nel processo Open Arms a Palermo, secondo cui i casi Diciotti e Gregoretti costituirebbero un “precedente” del caso Open Arms, pur trattandosi di navi militari, e che i soccorsi operati nelle acque internazionali ricadenti nelle zone SAR libiche e tunisine andrebbero coordinati ed operati dalle autorità e dalle guardie costiere di questi paesi. Tesi già smentita da tutti i tribunali che hanno sospeso o annullato i provvedimenti di ferno amministrativo adottati nei confronti delle navi del soccorso civile che non avrebbero obbedito alle intimazioni a mano armata delle sedicenti guardie costiere libiche. 3. La Relazione ilustrativa del disegno di legge di ratifica del Protocollo Italia Albania ricorda che nella sentenza n. 6626/2020 la Cassazione penale (sez. III, c.d. caso Rackete) si stabilisce che l’obbligo di prestare soccorso dettato dalla convenzione internazionale SAR di Amburgo, non si esaurisce nell’atto di sottrarre i naufraghi al pericolo di perdersi in mare, ma comporta l’obbligo accessorio e conseguente di sbarcarli in un luogo sicuro (c.d. “place of safety”). Ad ulteriore conferma di tale interpretazione la Corte di Cassazione ha richiamato la risoluzione n. 1821 del 21 giugno 2011 del Consiglio d’Europa (L’intercettazione e il salvataggio in mare dei domandanti asilo, dei rifugiati e L’individuazione del porto di Shengjn in Albania, come POS (place of safety), ovvero “porto sicuro di sbarco”, esclusivamente per le persone soccorse in acque internazionali da navi militari italiane, appare discriminatoria ed in contrasto con il diritto internazionale (dunque anche con le Direttive UE in base al Regolamento n.656/2014) anche se prevista dal Protocollo Italia.Albania e dalla legge di ratifica. Secondo l’art. 4 paragrafo 4 del Protocollo “L’ingresso dei migranti in acque territoriali e nel territorio della Repubblica di Albania avviene esclusivamente con i mezzi delle competenti autorita’ italiane. All’arrivo nel territorio albanese, le autorita’ competenti di ciascuna delle Parti procedono separatamente agli adempimenti previsti dalla rispettiva normativa nazionale e nel rispetto del presente Protocollo”. Si deve però riconoscere, come osservano gli internazionalisti, che “la zona di frontiera …. è fondata su una finzione, ma un conto è fingere che una fascia spaziale più o meno ampia, a ridosso del confine e in continuità con esso, non sia ancora territorio interno, ai fini dell’autorizzazione all’ingresso degli stranieri, altro è inventarsi che il territorio di uno Stato terzo, neppure contiguo alle frontiere italiane e collocato a centinaia di chilometri da esse, possa considerarsi una zona di frontiera italiana“. La sentenza della Corte di Cassazione n. 22917/2019 afferma invece come il principio di non-refoulement non si esaurisce nell’obbligo negativo di non-respingimento verso un territorio in cui la vita e la libertà di una persona possono essere minacciate, ma comprende anche l’obbligo positivo di assicurare accesso al territorio al fine di formulare una domanda di asilo. La Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951 afferma come principio generale il diritto di accesso al territorio di uno Stato per la proposizione di una domanda di protezione, anche quando si verifichi l’attraversamento irregolare della frontiera, che costituisce, generalmente in assenza di documenti di viaggio, il caso più comune di arrivo di richiedenti asilo, in assenza di canali legali di evacuazione o di ingresso con visti umanitari. In base all’art.3 gli Stati contraenti sono tenuti a rispettare il principio di non discriminazione. In base all’art.33 della Convenzione (Principio di non respingimento) “Nessuno Stato contraente potrà espellere o respingere (refouler) – in nessun modo – un rifugiato verso le frontiere dei luoghi ove la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a causa della sua razza, della sua religione, della sua nazionalità, della sua appartenenza ad una determinata categoria sociale o delle sue opinioni politiche“. Per rifugiato vanno intesi anche i richiedenti asilo al di là dei tempi di formalizzazione della loro istanza di protezione. Analogo divieto ricorre nel caso in cui si verifichi il respingimento, o comunque l’allontanamento forzato, verso un paese che non garantisca a sua volta il divieto di non respingimento. Il Protocollo Italia-Albania potrebbe consentire invece veri e propri respingimenti collettivi, vietati dall’art, 4 del Quarto Procollo allegato alla CEDU e dall’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, analogamente a quanto riscontratato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Hirsi Jamaa e altri c. Italia, Certo, l’Albania non è la Libia, ma in entrambi i casi persone soccorse in mare e potenziali richiedenti asilo, verrebbero sbarcati in un paese terzo all’esterno dell’Unione europea, dopo che le nostre autorità hanno esercitato nei loro confronti una prima giurisdizione esclusiva, a bordo delle navi militari italiane, che poi verrebbe trasferita, seppure per fasi limitate, ma che possono arrivare all’esecuzione di un rimpatrio con accompagnamento forzato, alle autorità di polizia in un paese terzo. Tutto questo diventerebbe ancora più grave se i trasbordi sulla nave militare italiana diretta in un porto albanese avvenissero in acque territoriali italiane, magari a ridosso dell’isola di Lampedusa. La nave militare italiana va comunque considerata come parte del territorio nazionale, e dunque non si può fingere che i naufraghi siano tenuti per giorni all’esterno dei confini dell’Unione europea, in uno spazio di non diritto. 4. L’UNHCR, in un documento pubblicato nella fase di ratifica del Protocollo Italia-Albania, scive Effettuare lo screening a bordo delle imbarcazioni in alto mare comporterebbe gravi rischi per i migranti/richiedenti asilo e per gli operatori coinvolti, nonché limiti pratici, tra cui la necessità di personale specializzato a bordo (ad esempio con competenze mediche e/o di interpretariato) e di sistemi adeguati. Potrebbe, altresì, comportare problemi di sicurezza e ordine pubblico. Inoltre, uno screening condotto a bordo delle imbarcazioni limiterebbe l’applicazione di un meccanismo di monitoraggio trasparente di questa fase della procedura (o implicherebbe sforzi sproporzionati per garantirlo)”. Si tratta di attività funzionali alla verifica della identità e della nazionalità, che certamente non possono neppure avviarsi a bordo di una nave militare, affiancata in acque internazionali da altri mezzi della Giardia costiera e della Guardia di finanza che trasbordano naufraghi appena soccorsi, da riprendere a bordo dopo una prima sommaria selezione, e altri invece da sbarcare a Lampedusa, soltanto quando, secondo le autorità di polizia, in una fase di accertamento preliminare, o pre-screening, se di sesso maschile, vengono ritenuti vulnerabili, minori, o vittime di tratta. In particolare non si comprende come sia possibile operare a vista, a bordo della nave militare, un accertamento dell’età minimamente attendibile, senza violare quanto ancora previsto dalla legge Zampa n.47/2017, e in particolare, nei casi dubbi, la presunzione di minore età. La Direttiva 2008/115/CE in materia di rimpatri non prevede forme di trattenimento amministrativo a bordo di navi, o nel territorio di paesi terzi, nè contempla procedure di pre-screening in mare. Dovrà quindi applicarsi la Direttiva n 33 del 2013, secondo cui il trattenimento del richiedente asilo in frontiera dovrebbe essere adottato solo come extrema ratio e con un provvedimento dotato di una adeguata motivazione individuale sul punto, senza alcun riferimento alla provenienza da un paese di origine sicuro. L’allontanamento di una persona respinta o espulsa, dopo un diniego su una istanza di protezione, se questa persona è stata davvero sotto la giurisdizione delle autorità italiane, sia pure in territorio albanese, non può essere eseguita con la partenza di un volo, verso il “paese di origine sicuro”, da un paese terzo. Al di là di quanto afferma il Viminale sulla giurisdizione all’interno delle aree concesse in uso dal governo albanese per i centri di Shengijn e di Gjader, è indubbio che persone soccorse in acque internazionali da navi militari italiane e da queste condotte in un porto albansese al momento dello sbarco vengono consegnate, almeno temporaneamente alle autorità di frontiera albanesi, con una sovrapposzione di giurisdizioni che potrebbe configurare anche un respingimento collettivo, in quanto, come si evince dai documenti allegati alla legge di ratifica, la giurisdizione sulle persone trattenute nei centri in Albania non è del tutto italiana. La sorveglianza esterna dei centri rimane affidata anche alle forze di polizia albanese, come pure alle stesse autorità di polizia saranno affidati i richiedenti asilo denegati che dovranno essere rimpatriati direttamente dall’Albania. Infatti, all’art.6 del Protocollo si aggiunge che ” Le competenti autorita’ della Parte albanese assicurano il mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica nel perimetro esterno alle Aree e durante i trasferimenti via terra, da e per le Aree, che si svolgono nel territorio albanese”. E ancora “In caso di uscita non autorizzata dei migranti dalle Aree, le autorita’ albanesi li ricondurranno nelle stesse”. Secondo quanto dichiarato dal ministro degli esteri Tajani in visita in Albania alla fine dello scorso anno ,”Qui a Shengjin attraccheranno le navi militari che porteranno i migranti soccorsi in acque internazionali. Verranno identificati prima a bordo, poi ci sarà un’altra identificazione albanese sul territorio”. Il ministro ha poi aggiunto :“L’Albania aiuterà l’Italia a raccogliere i migranti che dovranno poi essere riaccompagnati nei loro Paesi di origine, tutti Paesi sicuri“. Al riguardo si deve osservare che l’Albania, non facendo parte dell’Unione europea, non è tenuta al rispetto, oltre che della Cotituzione italiana, delle Direttive e dei Regolamenti europei in materia di respingimenti, trattenimento amministrativo ed allontanamento forzato. Che sono invece pienamente operativi, o dovrebbero esserlo, in territorio italiano. Per queste ragioni le procedure informali di Pre-identificazione (pre-screening) in mare, e quindi la scelta se sbarcare i naufraghi in Italia, o trasferirli in Albania, incidono fortemente sulla libertà personale, e sono della massima importanza, comprimendo diritti fondamentali, e non possono essere affidate a prassi discrezionali di polizia di frontiera, tantomeno in paesi terzi, al di fuori di una espressa previsione di legge, violandosi altrimenti non solo l’art.13 della Costituzione italiana, ma anche l’art.117 della Costituzione che impone il rispetto del diritto internazionale cogente e del diritto dell’Unione europea. 5. Tanto per le persone soccorse in acque internazionali e deportate in Albania, quanto per i naufraghi soccorsi ad agosto del 2019 dalla Open Arms deve valere il principio giurisprudenziale secodo cui, come si ribadisce in una sentenza della Corte di Appello di Roma (n.1803 del 13 marzo 2024), “ ”la procedura di designazione del POS quale “atto amministrativo endo-procedimentale vincolato nell’an e discrezionale nel quomodo”, con la conseguenza che questo sia pienamente sindacabile in sede giurisdizionale, atteso che “il potere concretamente esercitato è sottoposto a vincoli normativi (anche sotto il profilo procedimentale) a fronte dei quali vengono in rilievo situazioni giuridiche individuali in astratto meritevoli di tutela giurisdizionale…. In definitiva” la condotta del Governo, per la sussistenza dei parametri giuridici che ne vincolano l’esercizio e per la presenza di pretese giustiziabili, deve qualificarsi (…) alla stregua di un atto amministrativo – più precisamente un atto di alta amministrazione – pienamente sindacabile”. Sarebbe dunque pienamente sindacabile dall’autorità giudiziaria la decisione aministrativa di trasferire migranti soccorsi in acque internazionali in un Porto di sbarco sicuro (POS) individuato in Albania, L’appoggio politico fornito al governo Meloni dalla attuale Presidente della Commissione europea Von der Leyen non supera il difetto attuale di una base legale per le attività di pre-screening in mare, a bordo di navi militari italiane, e non a bordo di traghetti, come previsto in sede di ratifica del Protocollo come emerge anche dalla convenzione stipulata con l’UNHCR, e quindi, più in generale, per le “procedure accelerate in frontiera” deterritorializzate in Albania. Di certo il Protocollo concluso dalla Meloni con Edi Rama non ha prodotto quell’effetto di deterrenza delle partenze, che adesso sarebbe messo a rischio dalle decisioni della magistratura. Secondo gli ultimi dati forniti dall’UNHCR, nella settimana tra il 14 e il 20 ottobre sarebbero 1.898 le persone arrivate sulle coste italiane. Il 70% partite dalla Libia. Il 79% sbarcate a Lampedusa, con un incremento del 46% rispetto alla settimana precedente. Come si è già rilevato dagli studiosi di Diritto internazionale , l’art. 43 n. 1 lett. c) del regolamento sulla procedura comune di protezione internazionale dell’Unione, che sostituirà la direttiva procedure, approvato dal Parlamento europeo con risoluzione del 10 aprile 2024, applica la procedura di frontiera, oltre che nei casi di chi sia stato intercettato o si sia presentato volontariamente, anche nell’ipotesi di sbarco «a seguito di un’operazione di ricerca e soccorso» precisando, però, che detto sbarco deve avvenire «nel territorio di uno Stato membro». Il Nuovo Patto su migrazione e asilo contiene un nuovo atto legislativo: il Regolamento UE n.1352 del 14 maggio 2024 recante modifica dei regolamenti (UE) 2019/816 e (UE) 2019/818, allo scopo di introdurre accertamenti nei confronti dei cittadini di paesi terzi alle frontiere esterne, prevede uno screening dei cittadini di paesi terzi alle frontiere esterne. Si tratta di un atto che non è ancora entrato in vigore, come tutti i Regolamenti compresi nel Patto sulla migrazione e l’asilo concluso tra gli Stati membri dell’Unione europea nello scorso mese di maggio. Finora sono stati soltanto pubblicati nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 22 maggio 2024 i diversi strumenti che compongono il nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo. Il pacchetto approvato comprende dieci fascicoli legislativi ma gli Stati membri sotto la sorveglianza della Commissione devono ancora procedere alla loro implementazione. Si tratta dunque di Regolamenti non ancora applicabili dalle autorità nazionali, tenute a rispttare fino al 2026, o fino all’entrata in vigore dei nuovi regolamenti, la vigente normativa dell’Unione, anche per non creare scompensi tra paesi membri e scontri istituzionali che potrebbero portare, in caso di iniziative unilaterali di singoli Stati, all’apertura di una procedura di infrazione. Con riferimento alle modalità applicative che vanno emergendo si profila inoltre una violazione dell’art. 5 n. 1 CEDU, per la violazione delle garanzie procedurali in materia di libertà personale, rilevabile in sede di ricorsi internazionali, anche alla Corte di Giustizia UE, e la concreta possibilità di proporre eccezioni di incostituzionalità,in base agli’articoli 3,10,13,24, e 117, a partire dalla legittimità delle preidentificazioni in mare e del ricorso alla categoria di paese di origine “sicuro”. Riceviamo dall’Ammiraglio Vittorio Alessandro e volentieri condividiamo #CaniEPorci. Qualcuno aveva già anticipato che un nodo decisivo dell’avventura italiana in Albania si sarebbe formato in mare, proprio su quel limitato specchio d’acqua compreso tra il confine delle dodici miglia a sud di Lampedusa e le acque Sar maltesi, dove i naufraghi (“come pacchi”, ha detto il vice presidente della CEI, monsignor Francesco Savino) vengono trasbordati da una nave all’altra e sommariamente selezionati per genere, età, stato fisico e provenienza. La prima scrematura ha dato gli esiti che sappiamo, e i sedici migranti trasferiti trionfalmente in Albania sono stati velocemente riportati indietro, con il costoso dispiegamento di una nave della Marina militare, di due motovedette della Guardia di finanza e una della Guardia costiera. Non abbiamo ancora visto tutto, però. Un naufrago ha raccontato a Paolo Ciani, deputato del Pd, di essere stato recuperato quando “Lampedusa era vicina, potevo raggiungerla a nuoto”: se così fosse, ci troveremmo di fronte – oltre che alla salata brutta figura che sappiamo – a una grave infrazione, visto che, secondo protocollo, dovevano essere trasferite nelle celle albanesi soltanto le persone soccorse al di là delle acque territoriali. Lontano dagli sguardi indiscreti (il governo ha cancellato dalla scena anche i velivoli del soccorso civile), è facile ipotizzare che i migranti saranno recuperati e portati su nave Libra anche quando avranno varcato il confine verso l’Italia, magari con pericolose manovre ostruttive, con ciò degradando il soccorso italiano al livello dei miliziani libici che inseguono, ostacolano, catturano e “fanno numero” di deportati, per passare poi alla cassa. Non abbiamo ancora visto tutto: non ancora, per esempio, le condizioni proibitive del mare e del tempo che imperverseranno nelle prossime settimane. Si tratta di incultura dolosa. L’avvocato Giulia Bongiorno, nella sua arringa al processo di Palermo in difesa di Salvini – accusato di aver sequestrato i migranti su Open Arms – ha affermato che essi avevano a bordo tutte le cure necessarie e che “bastava dichiarare: soffro di insonnia e di stress, non mi adatto, non voglio vivere una situazione di promiscuità, e si scendeva”. Ora, l’avvocato difensore fa il proprio mestiere anche usando argomenti fantasiosi, ma certamente sfugge alla Bongiorno – come al governo e alla platea di satelliti che a vario titolo lo sostengono e difendono – cosa sia veramente il mare. È vero, dal 2 agosto 2019 – quando Open Arms chiese per la prima volta l’assegnazione di un porto – al successivo giorno 20, allorché la nave attraccò finalmente a Lampedusa, i migranti a bordo si ridussero da 124 a 83: fu un continuo stillicidio di consegne alla motovedetta di persone che cedevano, e qualcuno di loro si buttò in mare. Perché la lunga sosta sotto il sole d’agosto, in particolare quella degli ultimi giorni, fecero insorgere sofferenza e malattie di ora in ora. La situazione a bordo non è mai una fotografia, tutto è sempre in movimento, ed è la nave stessa che si ammala quando è costretta, da qualcosa o qualcuno, per giorni in mezzo al mare o quando procede inutilmente verso viaggi senza speranza. Come il veliero della “Linea d’ombra” di Conrad inchiodato dalla bonaccia, o come l’Amiral-Bragueton del “Viaggio al termine della notte” di Celine, i cui passeggeri, condannati alla “stabilità disperante del calore”, avevi appena il tempo di vederli sparire. Fossi stato al posto del comandante di Open Arms, come lui mai avrei messo la prua verso la Spagna, riportando in alto mare quel carico di umanità che scontava ogni ora un nuovo supplizio bisognoso di cure urgenti. Non l’avrei fatto neanche se avessi avuto a bordo cani e porci veri, figuriamoci quelli di cui Salvini parla riferendosi ai migranti. Altri materiali nella sezione documentazione politiche sociali. PUOI SOSTENERE IL NOSTRO LAVORO CON IL 5 x 1000. La gran parte del lavoro per realizzare questo sito è fatto da volontari, ma non tutto. Se lo apprezzi e ti è anche utile PUOI SOSTENERLO IN MOLTO MODI. Clicca qui per ricevere la nostra newsletter.
dei migranti in situazione irregolare), secondo cui “la nozione di “luogo sicuro” non può essere limitata alla sola protezione fisica delle persone ma comprende necessariamente il rispetto dei loro diritti fondamentali” (punto 5.2.) che, pur non essendo fonte diretta del diritto, costituisce un criterio interpretativo imprescindibile del concetto di “luogo sicuro” nel diritto internazionale. La domanda che si pone oggi è : quanto saranno rispettati i diritti fondamentali dei migranti deportati, dopo essere stati socorsi in acque internazionali da navi militari italiane, e soltanto loro, nei centri di detenzione in Albania ? Quanto è alto il rischio che persone in fuga dalla Libia o in Tunisia, a bordo di imbarcazioni fatiscenti, intercettati in acque internazionali da navi militari italiane, dopo la propaganda nell’intero globo terraqueo della “deterrenza” affidata ai trasferimenti in Albania, tentino di sottrarsi ad un “soccorso” che di fatto diventa una intercettazione, e mettano a rischio la loro vita ?