In ricordo di Mariena Scassellati Galetti Ci ha lasciato Mariena Scassellati Galetti fondatrice della Bottega del possibile. Mariena è stata una tenace promotrice della cultura della domiciliarità in Italia. In più occasioni è stata ospite del Gruppo Solidarietà e noi ospiti della Bottega. La vogliamo ricordare proponendo il suo intervento al convegno Curare e prendersi cura: la priorità delle cure domiciliari (Jesi, 7 novembre 1998). Per conoscere meglio la sua storia segnaliamo questa intervista di alcuni anni fa. CURE DOMICILIARI: PERCHÉ NON SIANO SOLO BUONE INTENZIONI Siamo sempre più consapevoli che il rispetto della domiciliarità fa bene alla salute, dà energia, dà voglia di futuro e ….. allora desideriamo, proseguire nella ricerca, sempre di più, insieme ad un maggior numero di persone, di operatori, di forze sociali, di cittadini per favorire la domiciliarità come risorsa per la persona, risorsa di qualità. Speriamo anche che l'Europa non significhi solo primato dell'economia ma, nata dal mercato, sappia costruire non più beni ma più bene, a servizio della pace, della democrazia, della libertà anche di scegliere dove continuare ad abitare. Speriamo che la globalizzazione che avanza possa essere governata a servizio delle persone del mondo attivando un percorso da puro "fatto" a "progetto" per uno sviluppo nell'equilibrio, nell'equità, nella giustizia, nella legalità. I diritti degli altri sono i nostri doveri - lo Stato siamo anche noi. La nostra proposta di domiciliarità, nel rapporto con esperienze sempre più vaste, ci conferma nella motivazione forte, energica, condivisa, solidale e responsabile, per promuovere, attivare, garantire il rispetto della Domiciliarità e ciò … è positivo perché fa qualità della vita e qualità del servizio. Domiciliarità è l'intero e l'intorno della persona; non ha lo stesso significato di assistenza domiciliare; è un obiettivo culturale e politico; la domiciliarità esige anche la cura del territorio. Il rispetto della domiciliarità è un diritto in una cornice di valori laici. L'INTORNO comprende anche la CASA e … la casa è importante. Francesco Guccini canta: " La casa…., tu cerchi là le tue radici, se vuoi capire l'anima che hai". La casa è il "luogo" per eccellenza, luogo delle relazioni e luogo del progetto di vita, luogo della memoria e … "senza memoria non c'è futuro" scrive Barbara Spinelli. La casa è aperta, è casa delle relazioni e dell'esperienza, non loculo, non contenitore. La casa come luogo del corpo e dell'anima (Card. Martini). Allora, sempre, ma soprattutto quando ci sono dei problemi che generano sofferenza, per dare ancora qualità alla vita, "curiamo" la persona lasciandola nella sua casa, curiamola con il rispetto della domiciliarità, nel senso di prenderla in carico con quattro parole magiche domiciliarità, nella solidarietà, condivisione, responsabilità, … perché il rispetto della domiciliarità dà energia, fa star meglio, fa qualità perché è un diritto insito nella natura della persona. Garantire la domiciliarità La battaglia per garantire domiciliarità è quotidiana perché troppo poche ancora sono le risposte integrate nel sistema di rete, nella progettualità del territorio-laboratorio; troppo carenti sono le risposte alternative al ricovero non desiderato dalla persona e dalla famiglia, ricovero non necessario, a volte davvero evitabile con gli strumenti che oggi conosciamo, che hanno ormai sperimentato i territori-laboratori, intesi come spazio e tempo di ricerca per far salute e quindi qualità della vita. Le difficoltà sono quotidiane perché l'industria del vecchio e del suo ricovero cavalca, attraverso una sorta di "magia nera", perché non esiste ancora in modo generalizzato e adeguato il sostegno alla famiglia che assiste in casa, alla persona che - con il supporto della rete - vuol stare a casa, vuol morire a casa. L'alternativa al ricovero è faticosa perché ci sono " i mandanti"… al ricovero che possono essere: - la famiglia, che non ce la fa più perché non riesce ad avere il supporto necessario (quel supporto di rete concreto - rete, non come slogan ma rete reale di cui oggi parliamo) e - suo malgrado - è costretta a mandare al ricovero, ma anche la famiglia che non vuole più la persona anziana o vecchia, ormai da rottamare (questi sono i parenti che "chiudono" nel ricovero); - le istituzioni, che spesso non hanno ancora recepito la cultura della domiciliarità e che ancora sovente si sentono "nude" senza mura per ricoverare ( il ricovero ancora come unica risposta, quella che si vede, quella che alimenta il clientelismo!!). - l'ospedale che troppo sovente continua a spogliare il territorio dei servizi territoriali (o cerca di invaderlo) e a spostare dalle mura dell'ospedale a quelle della struttura residenziale (e la salute non si costruisce nell'ospedale ma cresce e si sviluppa nella comunità locale, sul territorio); - gli operatori sociali e sanitari, stanchi e demotivati dall'assenza di strumenti, o non sollecitati dalla cultura della domiciliarità che, resi pigri, non cercano l'alternativa o non hanno il tempo di farlo perché gli strumenti organizzativi non lo consentono; - quei dirigenti che, con una cultura esclusivamente di tipo contabile e senza assunzione di responsabilità nei confronti della traduzione concreta e reale della domiciliarità, distruggono i servizi alla persona; - le commissioni UVG (o U.O. territoriali distrettuali) che troppo sovente ancora costituiscono una sorta di "commissione invalidi civili", limitandosi a redigere una formale graduatoria per l'ingresso in struttura (dove invece le UVG lavorano nell'integrazione attuano invece splendidi progetti di domiciliarità per dare risposte a casa) Anche la non cura del territorio può essere un mandante al ricovero; frane, alluvioni, dissesti idrogeologici ce lo confermano continuamente. Ci sembra un peccato tutto ciò, perché, e lo sappiamo con certezza, dove la famiglia è sostenuta con risposte di buona qualità, con le strutture residenziali che si aprono per dar supporto alla domiciliarità, con l'assistenza domiciliare, con il centro diurno e il foyer invernale per il freddo dell'inverno in montagna, con l'operatore domiciliare itinerante tra le case sparse, con il telesoccorso, il volontariato a domicilio, le famiglie affidatarie, con l'abbattimento delle barriere architettoniche, la sicurezza della casa, i pasti caldi a domicilio, si costruiscono progetti integrati, reali, effettivi, visibili di domiciliarità affinché Jole, Angela, Natale possano stare a casa o, con l'aiuto necessario, possano tornarvi. Il Distretto di base, articolato in sub-aree o unità territoriali minime, può essere un grande, un meraviglioso riferimento per costruire opportunità di domiciliarità, per garantirla a chi lo desidera, a chi non vuole arrendersi, a chi non accetta di andarsene da CASA, via dal suo INTORNO. Bisogna volerla davvero la domiciliarità: bisogna favorirla a livello tecnico e politico, di ASL, di Consorzi, di Comunità Montane, di Comuni, di Regione. Coltiviamo dunque la quotidianità anche come ricerca di domiciliarità., come ricerca di solidarietà e la solidarietà è un valore laico; lo dice la Costituzione della nostra Repubblica. Bisogna lavorare con la metodologia di lavoro integrata tra professioni, comparti, servizi e risorse locali, associazionismo e volontariato, per fare MIRACOLI di domiciliarità, per fare addirittura …. l'impossibile. Tutto ciò in una scelta di libertà, la nostra quinta parola; aggiungiamola, sempre, tutte le volte che è possibile la parola "libertà", elevando la soglia di tale possibile. "La libertà degli altri sei tu" è il messaggio di Amnesty International . "Costruiamo la statua della Responsabilità vicino a quella della Libertà". La "Bottega del possibile" Per tutto ciò è nata appunto nel gennaio '94 "La Bottega del Possibile", a Torre Pellice per fare un lavoro culturale, per fare con l'aiuto di molti, l'impossibile per assicurare il rispetto della domiciliarità, per favorire la domiciliarità come valore per la persona. Ci auguriamo, dunque, che sul territorio della nostra Italia, della nostra Europa e del mondo, aumentino i "professionisti della cura" con lo strumento domiciliarità; possono esserlo tutti, più o meno direttamente, nella comunità locale che - in un percorso di ricerca - diventa sempre più competente per far star meglio. Tutti possono essere protagonisti, al livello di ciascuno, per curare con la domiciliarità, dal Sindaco, al ministro di culto, al volontario (che graffia, che è non oppio ma "sale" nutritivo di domiciliarità), alla Cooperazione sociale e certamente e in primis - se saranno loro dati e cercheranno gli strumenti adeguati - gli operatori sociali e sanitari a tutti i livelli di governo e di gestione. Anche la Regione dovrebbe dare indirizzi concreti. Tutti, ricercando nella quotidianità, anche con creatività e fantasia, possono attivare un "pacchetto di cura con il rispetto della domiciliarità" per la persona o la famiglia in difficoltà, un "pacchetto di qualità" che mantiene e determina appartenenza, che diviene anche un bene collettivo, perché la salute è un patrimonio comune. Speriamo ancora nelle riforme dello Stato, nella prossima - ci auguriamo - riforma dell'assistenza sociale (la attendiamo ormai da troppi anni), che confidiamo, aiutando a superare anche il municipalismo, l'assistenzialismo e le visioni particolaristiche, dia dignità all'area del comparto sociale, ridefinendo chiaramente le competenze, rendendo disponibili le relative risorse e gli strumenti istituzionali, consentendo la via della prevenzione, del sostegno a domicilio, del rispetto e della garanzia dei diritti. Dipenderà anche dalle comunità locali accogliere le proposte per dare qualità nella progettualità al servizio alla persona in difficoltà, alle fasce più deboli. Il futuro è in mano a chi ha un progetto. Allora, sul territorio/laboratorio, comunità locale di tutti e di ciascuno, bisogna concertare, co-progettare, annodare le competenze, attivare sinergie, mettere insieme le forze del fare. Certo tutto ciò se si è solidali, se si condivide e quindi ci si assume la responsabilità …, anche come semplice cittadino (ma il senso del servizio "politico" di ciascuno c'è? Spesso vengono dei dubbi!). A piccoli passi si dice ma …, vorremmo non troppo piccoli, perché mentre il tempo passa, in ogni momento nel nostro mondo muoiono persone per carenza di risposte, di mezzi per vivere, anche i più necessari anche, i "… più minimi", anche di domiciliarità. "Non si deve aver paura di muoversi lentamente, quanto di restar fermi" (proverbio cinese). Guardiamo indietro per andare avanti. L'albero dei guasti del non rispetto della domiciliarità lo conosciamo, ora vogliamo costruire l'albero della qualità per la persona, per la famiglia, per i servizi per la comunità locale. Sappiamo - senza mania di grandezza, perché ce lo dicono l'esperienza, e le storie delle persone e delle famiglie - come potrebbe, dovrebbe essere il welfare attivo di territorio. Allora, costruiamolo insieme, senza altri ritardi perché se aspettiamo paga sempre "pantalone", che può essere una persona vecchia, ma anche un disabile, un bambino, una famiglia in difficoltà; mettiamoci nei loro panni!! Non depriviamo la comunità e la famiglia della ricchezza che può dare anche il vecchio, esperto di vita, anche se meno autosufficiente, nel patto tra generazioni; non abituiamoci alla vita senza …anziani, come alla vita senza rondini! Non respingiamo la persona nel momento della vecchiaia, che può essere serena, ma anche difficile; dipende anche da tutti noi renderla migliore. Se condividiamo gli obiettivi, in un contesto di solidarietà e di libertà, assumiamocene dunque la responsabilità e… ritroviamo energia nel nostro "esserci per accompagnare". La responsabilità non è sempre degli altri . Continuiamo ad essere curiosi, non per guadagnare di più ma per "saperne di più" anche di domiciliarità; la non conoscenza è nemica della libertà; allora rispetto della domiciliarità, come "nuovo curante", come politica per la salute, come progetto culturale che arricchisce quello politico perché contribuisce a costruire qualità per la persona, a dare orizzonti di senso. Il rispetto della domiciliarità, non sarà più considerata utopia quando la maggioranza dei cittadini la condividerà nella libertà con solidarietà; e la solidarietà è anche ricerca per re-inventare, per re-imparare!! La domiciliarità non è un'utopia è un ideale, un obiettivo spesso concretizzabile, fattibile. Vogliamo dare dei dati per promuovere cultura; per questo desideriamo trasformare le storie di domiciliarità in esperienze trasmissibili attraverso una sorta di "pedagogia delle situazioni". Le nostre Rondini, ci motivano, sono persone che, grazie al nostro progetto e all'attivazione dei servizi, delle risorse della rete (non virtuale ma reale) dei loro territori-laboratori, sono già volate in un nido, il loro di prima, o uno nuovo, ma in una casa "verde" di speranza per una vita di qualità, nella libertà; sono le persone a cui si è già potuto dire: "Alzati e cammina verso casa tua" e loro lo hanno fatto, serene e fiduciose perché desiderose di futuro. E a proposito di qualità attesa e percepita dal "cliente", voglio chiudere con la frase di Natale - "una nostra rondine" - che, dopo un ricovero di 22 anni, è tornato in una casa trovata per lui dal Comune di Genova e, infilando per la prima volta la chiave nella porta della "sua" casa ( la casa trovata per lui), ha affermato sorridendo, "ma … questa è la porta del paradiso!!"; dove paradiso (valore laico) vuol dire appunto qualità nella quotidianità. Queste parole hanno fatto bene anche alla nostra salute, alla salute de "La Bottega…del Possibile". Ascoltiamo, dunque, il crescere della domiciliarità - come nel Laos ascoltano crescere il riso. E' un augurio per tutti perché … fa qualità!
Volendo si può perché …, quello che non è proibito, è consentito (per questo non servono i "possono" nelle leggi; servono i "debbono"!). E' difficile, è faticoso ma, in uno spirito non di complicità ma di solidarietà, condivisione, responsabilità, si può, a servizio della persona, di quella più sola (che soffre di quella solitudine che diviene anche un grave problema di salute), di quella più disarmata di fronte a chi continua a proporle un'unica risposta, a chi non le garantisce una scelta e quindi la democrazia (perché, ce lo chiediamo sovente, che scelta è se la risposta continua ad essere unica, non dico sempre, ma ancora troppo spesso!).
Per fare ciò servono risposte articolate e flessibili, integrate nella continuità e nella progettualità, nel sostegno tra risorse formali e informali nella verifica e valutazione, con il supporto della formazione permanente.
Il momento storico attuale è complesso, è un momento di passaggio, che può diventare una grossa opportunità per ripensare e attivare maggior equità e giustizia nel rispetto dei diritti sociali, attraverso un uso più corretto e solidale delle risorse, per far qualità della vita, per far qualità dei servizi.
Abbiamo finalmente il piano sanitario nazionale e questo dà importanza rilevante agli interventi domiciliari e alla prevenzione.