Data di pubblicazione: 18/11/2024
Numero accessi: 119

indietro

Dialoghi aperti e costruttivi sull’aiuto a morire

Intervista a Luciano Orsi, medico rianimatore e palliativista,  Consulta scientifica del “Cortile dei Gentili” - ilpunto.it

L’8 novembre si è svolto a Palermo il convegno “La richiesta di aiuto medico a morire. Raccomandazioni sul ruolo dei comitati etici e delle strutture pubbliche del Servizio sanitario nazionale” che presenterà il documento sull’aiuto medico morire. Il gruppo multidisciplinare “Un Diritto Gentile" ha raccolto in un documento le raccomandazioni. Al convegno è stato discusso anche il documento – “Dialogo sul suicidio medicalmente assistito” – pubblicato dal “Cortile dei Gentili”, struttura del Dicastero per la cultura e l’educazione costituita per favorire l’incontro e il dialogo tra credenti e non credenti. 

Dottor Orsi, come si inserisce la pubblicazione del “Cortile dei Gentili” nel dibattito attuale sul tema dell’aiuto a morire?

Questo documento si inserisce nel contesto delle due sentenze della Corte costituzionale – la n. 242 del 2019 e la n. 135 di quest’anno – e dell’ordinanza n. 207 del 2018. Rientra anche nella scia dei documenti del Gruppo “Un Diritto Gentile” l’ultimo dei quali circoscritto al ruolo dei comitati etici delle strutture sanitarie nella gestione delle richieste di suicidio assistito. Inoltre, è allineato al documento della Pontificia Accademia della Vita Piccolo lessico di fine vita, pubblicato quest’estate. Negli ultimi due anni, diverse riflessioni hanno contribuito a evidenziare la necessità di una legge che regoli in modo specifico le richieste di suicidio assistito, come hanno sottolineato alla presentazione del documento sia il cardinal Ravasi che il Presidente Amato, l’uno il fondatore del “Cortile dei Gentili” e l’altro il Presidente della Consulta scientifica (qui, l’autoregistrazione della presentazione). Questo è il contesto in cui si presentano tanto il documento del “Cortile dei Gentili” che quello del gruppo “Un Diritto Gentile”.

Quali sono le principali di linee propositive e raccomandazioni etiche del documento?

Innanzitutto il documento sottolinea la possibilità di trovare un equilibrio tra due principi fondamentali della nostra Costituzione: il valore della vita e il rispetto dell’autonomia della persona (autodeterminazione). Questo implica che non vi è un’opposizione insormontabile per una normativa specifica sul suicidio medicalmente assistito, che dovrebbe tuttavia essere preceduta da un dialogo pluralista e interdisciplinare, centrato e guidato dalle evidenze scientifiche. È necessario evitare che il dibattito sia superficiale e retorico, ridotto a slogan, che rischiano di impoverirlo. Inoltre, il documento sottolinea la necessità di precisare meglio le quattro condizioni stabilite dalla Corte costituzionale per rendere legittima una richiesta di suicidio assistito. Ad esempio, non è sufficiente indicare solo l’irreversibilità della patologia (ci sono malattie come il diabete che, pur essendo irreversibili, non sono di portata sufficiente per una tale richiesta); pertanto, servono criteri che considerino la gravità della malattia e l’onerosità delle terapie. Un’altra questione delicata è quella della sofferenza fisica o psichica. All’interno del “Cortile dei Gentili” erano presenti due visioni differenti. Tuttavia, poiché l’obiettivo del documento era raggiungere un punto di condivisione, abbiamo deciso di privilegiare la sofferenza fisica, che nei casi di patologie gravi comporta inevitabilmente anche sofferenza psichica, trovando così un equilibrio. La Corte costituzionale, in un’ottica più aperta, aveva invece considerato la sofferenza fisica o psichica. Sarà poi compito del legislatore chiarire meglio questo aspetto.

Un altro punto importante riguarda la valutazione della capacità mentale e della libertà di decisione della persona. Come “Cortile dei Gentili”, abbiamo suggerito la valutazione di uno specialista esterno. Non per complicare il processo, ma perché, essendo una valutazione che coinvolgerà sia una commissione tecnica e clinica sia un Comitato etico, una valutazione terza rappresenta una garanzia ulteriore sia per il richiedente e i suoi familiari che per i valutatori stessi. Sul tema dei trattamenti di sostegno vitale, il documento ha trovato un equilibrio considerando la complessità e l’onerosità del trattamento. Non esiste, né probabilmente esisterà, una definizione univoca di trattamento di sostegno vitale, dato che l’assistenza sanitaria moderna si avvale di tecnologie varie e non facilmente classificabili. Il suggerimento è di basare la valutazione non sulla natura del trattamento o sui dispositivi tecnologici, ma sulla complessità e i disagi che questo comporta per il paziente. Inoltre, la recente sentenza della Corte costituzionale n. 135, emessa a luglio, si muove proprio in questa direzione, allargando la categoria dei trattamenti in base all’esperienza e alla sofferenza del paziente, piuttosto che ad una categorizzazione legata alle apparecchiature impiegate per questi trattamenti.

Come si integrano le raccomandazioni del “Cortile dei Gentili” con quelle del documento del Gruppo “Un Diritto Gentile”?

La Corte costituzionale, nella sentenza n. 242 del 2019, aveva introdotto il ruolo di Comitati etici territoriali competenti, che di fatto corrispondono ai comitati per la sperimentazione su farmaci e dispositivi. Tuttavia, né il “Cortile dei Gentili” né il gruppo “Un Diritto Gentile” li ritengono adeguati alla valutazione di richieste di suicidio assistito. Queste, infatti, richiedono un contatto diretto con i pazienti e competenze etiche e cliniche specifiche sul fine vita, che includono un ascolto attivo e non giudicante. Per questo, entrambi i gruppi raccomandano l’istituzione di Comitati etici per la pratica clinica, specificamente dedicati ai problemi di etica sul fine vita. Al momento, questi comitati sono presenti solo in alcune Regioni italiane, tra cui Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, quando invece sarebbe necessario estenderli a livello nazionale. Inoltre, il “Cortile dei Gentili” ha evidenziato l’importanza di un dialogo diretto tra i valutatori del comitato etico, i membri della commissione clinica, il paziente e i suoi familiari, idealmente in ambiente protetto, perché una valutazione a distanza e basata solo su dati clinici non sarebbe sufficiente. Il documento sottolinea anche la necessità di offrire cure palliative in fase precoce ai pazienti che manifestano il desiderio di suicidio assistito, fornendo informazioni adeguate su questo percorso. L’obiettivo è distinguere le richieste legate a sofferenze trattabili in ambito palliativo da quelle che invece riflettono un autentico desiderio di anticipare la morte per sofferenze non alleviabili. Infine, viene ribadita l’importanza di un accesso equo e potenziato alle cure palliative su tutto il territorio nazionale, in linea con quanto sostenuto dalla Corte costituzionale nonché dal gruppo “Un Diritto Gentile” e dal “Cortile dei Gentili”.

Il “Cortile dei Gentili” ha raggiunto un punto di equilibrio sulla clausola di coscienza per il suicidio medicalmente assistito. Quali sono le raccomandazioni principali?

Il documento del “Cortile dei Gentili” riconosce la necessità di una clausola di coscienza, che consenta agli operatori sanitari di non essere coinvolti nell’attuazione pratica del suicidio medicalmente assistito, qualora abbiano obiezioni personali o etiche. Tuttavia, il documento specifica che la valutazione e il dialogo con il paziente devono essere garantiti, essendo questi atti professionali che fanno parte del dovere sanitario. L’aiuto medico a morite richiede disponibilità individuali e sicuramente una clausola di coscienza va prevista. Personalmente, più che di clausola di coscienza prenderei in considerazione una “disponibilità di coscienza” come alternativa all’obiezione, ma questo è un tema che richiederà un dibattito più ampio durante il processo legislativo. Infine, il “Cortile dei Gentili” raccomanda un investimento nella formazione degli operatori sanitari sulle cure nelle fasi terminali della malattia, nonché nell’ascolto e nella comunicazione. Suggerisce anche di prevedere un supporto psicologico per i professionisti coinvolti in queste pratiche e per i familiari, per affrontare l’elaborazione del lutto e le complesse sfide emotive che possono emergere.

Come “dialogano” le cure palliative con il suicidio medicalmente assistito? Qual è la posizione della Società italiana di cure palliative (Sicp) su questo tema?

La posizione della Sicp è chiara su due punti fondamentali. Primo, le cure palliative – inclusa la sedazione palliativa, che è l’approccio più intenso di palliazione – sono distinte dal suicidio medicalmente assistito. Le cure palliative si propongono di alleviare la sofferenza e migliorare la qualità della vita nelle fasi terminali, mentre il suicidio assistito mira ad aiutare il paziente sofferente che ne ha fatto richiesta di anticipare la propria morte in modo medicalmente assistito. Secondo, la Sicp sottolinea l’importanza di garantire a tutti i cittadini un accesso adeguato alle cure palliative, anche per ridurre le richieste improprie di suicidio assistito. Le cure palliative possono fare molto per alleviare le sofferenze dei pazienti, ma non sono in grado di annullare completamente tali richieste. Vi è una piccola quota di pazienti che, pur avendo accesso alle migliori cure palliative, continua a richiedere il suicidio assistito. Questo accade perché alcuni pazienti, nel tratto finale della loro vita, percepiscono una perdita di senso e coerenza con il sistema valoriali che li ha guidati per tutta la vita, spingendoli a desiderare un’anticipazione della morte. In questi casi, la risposta può trovarsi soltanto nella procedura di suicidio medicalmente assistito, poiché né la palliazione né la sedazione palliativa possono soddisfare queste specifiche richieste. In conclusione, la Sicp riconosce che, nonostante la diffusione e la qualità delle cure palliative, persiste una residua domanda di suicidio assistito che richiede un inquadramento normativo attento, prudente e graduale.

È possibile trovare un terreno di dialogo tra prospettive diverse e distanti, religiose e laiche, su un tema così delicato e complesso?

Il documento del “Cortile dei Gentili” rappresenta un buon esempio di come possano coesistere e dialogare due culture diverse, credenti e non credenti, nonché visioni laiche e religiose sul tema dell’anticipazione della morte. Questo dialogo è possibile solo se si parte dal rispetto reciproco delle opinioni e da un ascolto sincero del pensiero altrui, unito alla volontà di trovare punti di consenso comune. Abbiamo definito questo approccio come “consenso per intersezione”, in cui nessuna delle due parti perde la propria specificità, ma vengono valorizzati i punti in comune. Già con le linee propositive del documento precedente del “Cortile dei Gentili” (“Linee propositive per un diritto della relazione di cura e delle decisioni di fine vita”, 2015), che abbiamo incluso come appendice, siamo riusciti a identificare aree significative di convergenza, dimostrando che anche in un ambito delicato come la piena valorizzazione delle volontà anticipate del malato e la limitazione terapeutica è possibile trovare un terreno comune, a patto di rispettare i punti di partenza di ciascuno.

Come viene affrontata la tensione tra l’autonomia personale del paziente e il ruolo delle istituzioni mediche e religiose nel contesto del suicidio assistito?

Se si rispettano le visioni reciproche e si cerca un consenso condiviso, si può trovare una via intermedia tra il rispetto per la vita e il diritto all’autodeterminazione del paziente. È importante notare che il dibattito sul suicidio medicalmente assistito è complesso: mentre la Chiesa cattolica si oppone a questa pratica, una sentenza della Corte costituzionale ha aperto a possibilità legislative future. Per i cattolici è essenziale partecipare attivamente a questo dialogo pubblico, come suggerito dalla Pontificia Accademia per la Vita. Qui, visioni diverse possono collaborare per affrontare problematiche sociali senza perdere le specificità culturali o religiose di ciascuno. È fondamentale percorrere insieme questa strada per risolvere un problema attuale, cercando un equilibrio tra le diverse esigenze e valori.

Come si conciliano le raccomandazioni proposte nel documento con i principi fondamentali del Codice di deontologia medica riguardo al dovere del medico di tutelare la vita e la salute del paziente?

L’articolo 17 del Codice di Deontologia Medica è stato modificato in seguito alla sentenza 242, che ha introdotto una nuova dizione. In precedenza, il codice impediva al medico di effettuare o favorire atti finalizzati a provocare la morte del paziente anche in caso di sua richiesta, ma ora specifica che chi rispetta determinate condizioni per aiutare non è penalmente perseguibile. Questo cambiamento implica che il Codice dovrà evolversi in linea con la sentenza della Corte costituzionale e dovrà adeguarsi alle innovazioni che la società e il progresso tecnico scientifico di fatto impongono. Il Codice deontologico delle professioni infermieristiche, che è stato aggiornato nel 2019, si è già mosso in questa direzione e non include più il divieto di partecipare a queste manovre, segnalando un ulteriore cambiamento nei valori etici del settore sanitario.

Per concludere?

L’introduzione dell’anticipazione della morte con l’aiuto del sistema sanitario rappresenta un significativo salto antropologico: c’è una differenza fondamentale tra “indurre la morte” e “lasciar morire” evitando trattamenti inappropriati, futili, sproporzionati o rifiutati dalla persona malata. Questa questione richiede una profonda riflessione sulle concezioni della vita e della morte da parte della società, della medicina e delle norme deontologiche e giuridiche. L’evoluzione dei diritti e dei vissuti sociali, insieme ai progressi scientifici, rendono essenziale affrontare le richieste delle persone che desiderano scegliere come affrontare la fase finale della vita. Rifiutare tali richieste non è meno gravoso dal punto di vista psicologico ed emotivo rispetto ad accettarle: se è difficile aprirsi alla possibilità di anticipare la morte di un malato e concepire il proprio diretto intervento, è altrettanto difficile chiudersi a tale possibilità, sapendo che ci sono persone che soffrono profondamente per questo. Ognuno, quindi, dovrà fare i conti con sé stesso e scegliere quale prezzo pagare: un prezzo esiste, sia per chi decide di entrare moralmente  e attivamente nell’ambito dell’aiuto al suicidio, sia per chi sceglie di restarne fuori. Entrambi i punti di vista sono legittimi a livello individuale, e chiudersi a questa evoluzione presenta sfide significative che ci porterebbe a ignorare le esigenze e i bisogni di una parte della cittadinanza che meritano un’attenta considerazione.

Vedi anche

Sull’aiuto medico a morire. Le raccomandazioni del gruppo “Un diritto gentile”

Pontificia Accademia per la Vita. "Piccolo lessico del fine vita" 

Corte costituzionale. Requisiti per assistenza al suicidio e trattamenti di sostegno vitale



Adempimenti legge 4 agosto 2017, n. 124


Il nostro Bilancio


60030 Moie di Maiolati (AN), via Fornace, 23


(+39) 0731 703327


grusol@grusol.it

Il materiale elaborato dal Gruppo Solidarietà presente nel sito può essere ripreso a condizione che si citi la fonte

-


IBAN IT90 V050 1802 6000 0002 0000 359 (Banca Etica)


Iscrizione al RUNTS, decreto n. 212 del 14/09/2022