Altra caratteristica irrinunciabile è quella di riunire in sé il fatto
di essere punto sicuro e invito implicito di andare oltre,
di rischiare, di continuità e nello stesso tempo di rottura.
Andrea Canevaro
Nel corso degli ultimi anni il tema dell’abitare per le persone con disabilità ha conosciuto un forte cambiamento favorito anche dalla Legge 112/2016 – Dopo di noi che ha promosso un processo di avvicinamento all’abitare, quando non di residenzialità stabile, impensabile fino a poco prima, aprendo così, per le persone con disabilità, la possibilità di scegliere dove vivere e con chi, fuori dagli aspetti emergenziali che per molto tempo hanno riguardato il tema. Tutto questo movimento non è privo di aspetti complessi, soprattutto quando si tratta di persone con una disabilità complessa, e si colloca nel vasto panorama dell’abitare per le persone con disabilità comprendente anche i Servizi accreditati. È all’interno di questa variegata cornice che si colloca il lavoro del Tavolo “Di casa in casa” della Rete TikiTaka dedicato al tema dell’abitare e all’interno del quale si sono sviluppate riflessioni e progettualità concrete nel territorio della Provincia di Monza e Brianza.
Qualche riferimento: la Rete TikiTaka, abitare e non solo
La Rete TikiTaka[1] rappresenta lo sviluppo del Progetto TikiTaka avviato nel 2017 all’interno del programma di Fondazione Cariplo dedicato al Welfare in Azione. Nata nei territori di Desio e Monza e poi estesasi anche agli altri Ambiti territoriali della Provincia, la Rete TikiTaka ha favorito diversi sviluppi progettuali che hanno portato all’avvio di Tavoli tematici territoriali (ciascuno dedicato ad una specifica tematica, dall’abitare al lavoro, alla cittadinanza attiva, fino allo sport e all’arte) e soprattutto alla costituzione di nuove sinergie all’interno delle comunità locali. L’obiettivo della Rete è infatti primariamente quello di promuovere lo sviluppo di una cultura territoriale capace di incidere sulle politiche sociali rendendo le comunità più accoglienti e inclusive nei confronti delle persone con fragilità.
Intorno al tema dell’abitare, il Tavolo “Di casa in casa”[2] è stato il primo, grazie alla collaborazione con la Fondazione di Comunità di Monza e Brianza, ad avviare un lavoro provinciale mettendo in connessione le realtà che avevano in essere dei percorsi sperimentali di abitare e giungendo a maturare un lavoro mirato all’interno dei diversi Ambiti territoriali.
Dall’emergenza al desiderio di casa: nuovi sguardi sull’abitare delle persone con disabilità
Il forte rinnovamento che ha interessato l’abitare per le persone con disabilità ha condotto alla nascita di diverse esperienze sperimentali di casa, tutte differenti, ma accumunate dalla costruzione di percorsi “su misura”, attenti alle persone e creati a partire dall’ascolto dai loro desideri e bisogni; percorsi nei quali uno degli aspetti cardine è l’interdipendenza, la possibilità di vivere una vita adulta insieme ad altri, maturando un desiderio di emancipazione anche da giovanissimi e costruendo nell’oggi il proprio percorso di casa consapevoli che potrebbe cambiare nel tempo in virtù di nuovi bisogni e nella logica del percorso di vita. Per costruire questi progetti non si può prescindere da un costante accompagnamento delle persone con disabilità e delle loro famiglie che necessitano di sostegni per affrontare le preoccupazioni e le insicurezze dettate dalla separazione, così come di aiuto nel costruire fiducia negli operatori. Anche il territorio necessita di un giusto accompagnamento attraverso la creazione prima e la cura poi di relazioni comunitarie che consentano alle persone con disabilità di essere riconosciute e valorizzate nel proprio contesto di appartenenza. La casa, infatti, non è solo i muri che la sorreggono, ma le relazioni che la rendono possibile dentro e fuori da essa[3].
Sperimentazioni di abitare per la disabilità complessa tra tentativi e criticità
Le sperimentazioni dell’abitare nel territorio di Monza e Brianza sono molteplici. La maggior parte di esse interessa le persone con una disabilità non complessa, altre invece, come, ad esempio, Nottetempo e Casa Battisti[4], sono dedicate a chi ha un più altro grado di disabilità. Si tratta di esperienze costruite all’interno di contesti di casa adeguatamente attrezzati per accogliere la disabilità complessa che, seppur non in grado di rispondere ai bisogni di assistenza sanitaria, rappresentano una possibilità di sperimentazione anche per coloro che sono più fragili. Nonostante questi progetti, i tentativi di rispondere al bisogno di abitare delle persone con un alto grado di disabilità si confronta con molteplici criticità, dalla definizione stessa di disabilità complessa[5] ai supporti realizzabili nei contesti di casa, fino al tema della sostenibilità e alla concretizzazione della residenzialità in un appartamento, tutti aspetti che interrogano fortemente gli enti oltre alle famiglie.
Sollievo e sostenibilità: questioni aperte dell’abitare per le persone con disabilità complessa
Le questioni aperte intorno all’abitare delle persone con disabilità sono molteplici. Il tema del sollievo è una di queste. Spesso confuso con i percorsi di avvicinamento all’abitare, il sollievo sottende bisogni diversi e per i quali occorrono misure dedicate per evitare, non solamente di non riuscire a rispondere alle necessità delle persone, ma anche di utilizzare in modo inadeguato le risorse economiche. Ad esempio, la misura del Dopo di noi, utilizzata soprattutto nei primi anni della sua introduzione anche con funzione di sollievo, non è la risposta congrua al bisogno portato da numerose famiglie; bisogno che con grande difficoltà trova risposta anche all’interno dei contesti accreditati e che costituisce una questione ugualmente aperta per gli enti stessi.
Un ulteriore aspetto rilevante dell’abitare per le persone con disabilità complessa, più che in altri casi e specie nei percorsi sperimentali, è quello della sostenibilità economica e relazionale. Come testimoniano alcune progettualità della Rete TikiTaka, spesso le esperienze sono rese difficili dall’alto livello di supporto e assistenza alle persone e dai costi per garantirle, unitamente alla scarsa disponibilità di operatori e alla complessità di costruire gruppi adeguati. Il tema della sostenibilità e delle sue molteplici sfaccettature richiama la necessità di trovare delle risposte che vadano oltre l’idea che i servizi siano poco sostenibili proprio a causa del livello di gravità delle persone che accolgono, provando invece ad approfondire altri scenari (ad esempio il ruolo delle famiglie, il lavoro degli operatori, etc.) a partire dai quali costruire nuove soluzioni. In questa complessa riflessione il Progetto di vita, uno degli aspetti centrali della L.r. 25/22 di Regione Lombardia, riveste un ruolo cruciale e rappresenta il fulcro del cambiamento anche per quanto concerne la sostenibilità delle esperienze e dei servizi. Stare sul Progetto di vita consente, infatti, di uscire dalla logica della retta e della standardizzazione della risposta prevedendo, invece, per ciascuno un “intervento” differente con costi e gradi diversi di compartecipazione.
Continuità e ripensamento dei servizi accreditati
L’abitare per le persone con disabilità richiede un approfondimento anche intorno ad tema della strutturazione dei servizi residenziali accreditati. Alla luce dei tanti cambiamenti che stanno interessando le persone con disabilità e i loro diritti, sembra sempre più utile, non tanto lo “smantellamento” dei Servizi residenziali, ma un ripensamento degli stessi a partire proprio dall’attenzione al Progetto di vita delle persone. I servizi accreditati costituiscono una risorsa importante per le persone con disabilità complessa (e non solo). Se, infatti, l’abitare sperimentale ha cambiato il modo di pensare la residenzialità spostandola dall’emergenza al diritto di un abitare nell’oggi, è altrettanto vero che restano necessari contesti più strutturati rispondenti a bisogni complessi non affrontabili in un appartamento. Nell’esperienza della Rete TikiTaka non mancano esempi di persone con disabilità e famiglie che, dopo un percorso di avvicinamento all’abitare in un progetto sperimentale, esperienza che ha permesso di maturare cognizioni e desideri nuovi , hanno concretizzato il proprio percorso di casa all’interno di un ente accreditato in modo più consapevole e meno traumatico[6]. Occorre tuttavia provare a rendere i servizi accreditati meno chiusi, più capaci di dare risposte personalizzate e maggiormente integrati; desiderio che gli enti hanno da tempo ma che, paradossalmente, si deve confrontare con una forte riduzione di quanto è possibile fare nei Servizi: la normativa, infatti, in nome della tutela e della sicurezza, tutti aspetti legittimi, ha irrigidito molto il funzionamento dei Servizi. Bisogna invece pensare ad una maggiore flessibilità che guardi al tema dell’inclusività come alla possibilità che la vita delle persone non si esaurisca in un unico contesto, ma che abbia possibilità differenti e più ampie. Un esempio in tal senso è la RSD Luigi e Dario Villa gestita dalla Fondazione Stefania, che, oltre ad un’attenzione alle aspettative delle persone che accoglie perché non siano unicamente subordinate alle regole di gestione del servizio, favorisce momenti di inclusione e partecipazione attiva alla vita della comunità locale. Questo evidenzia come l’attuale scenario culturale, pur mantenendo prevalentemente invariati i servizi esistenti, apre a nuovi modi di concepirli affinché possano diventare dei punti di riferimento e risposta ai bisogni della comunità e non solo a quelli delle persone con disabilità[7].
Un cambiamento di tale portata può però essere generato non tanto da una norma che modifichi la strutturazione dei servizi, quanto dagli enti stessi: è indispensabile che si “ribellino” ad una serie di rigidità disambiguando alcune questioni e creando proposte innovative che aprano delle crepe in ciò che già esiste.
Educatori, persone con disabilità e famiglie: il paradigma della complessità
Una parte rilevante del cambiamento in atto intorno alla disabilità è fortemente legata agli operatori, a come si pongono e la intendono, al loro ruolo professionale e alla loro responsabilità. Oggi più che mai occorre lavorare sulla motivazione degli educatori il cui compito non può ridursi in semplici termini tecnici, ma deve avere alla base un senso politico e sociale capace di interrogarsi sulla disabilità e sul modo di mettersi in ascolto del bisogno accompagnando la sua espressione. Agli educatori è richiesto sempre più di “ragionare secondo il paradigma della complessità: ovvero, di porre attenzione non a un unico fattore ma ai vari livelli della realtà, alle molteplici logiche dei contesti, ai diversi piani in cui si snodano le situazioni” (Arioli, 2018, pag. 62)[8]. Questo aspetto appare ancora più rilevante all’interno dei contesti accreditati e richiama fortemente il tema della responsabilità, non “intesa come risposta puntuale alle prescrizioni”, ma “come rispondere alle sollecitazioni circolanti in un contesto complesso” (Olivetti Manoukian, 2021, pag.146)[9] nel quale ciascuno ha un ruolo rilevante e dove è necessario cooperare nella costruzione degli interventi e dei percorsi accompagnando, tra gli altri, le famiglie, rendendole capaci di vedere e rispettare il volere delle persone con disabilità; avere così un atteggiamento educativo verso la cultura familistica che da sempre determina anche il modo di svolgere il lavoro educativo.
La coprogettazione: sinergie che creano risposte
Le esperienze sperimentali di abitare chiamano in causa l’importanza della coprogettazione dei percorsi e il ruolo centrale rivestito da ciascuno dei protagonisti coinvolti, in modo particolare quello delle famiglie. La coprogettazione è un elemento innovativo, ma porta con sé una quota di complessità molto alta: uscendo dalla logica della delega e di risposte predefinite ai bisogni delle persone ed entrando nella costruzione congiunta di soluzioni personalizzate create dalla messa in comune di competenze e punti di vista differenti, obbliga tutti a un riposizionamento del proprio ruolo e alla necessità di assumersi una quota di “rischio” inedita. Tutto questo rappresenta un punto di forza nella costruzione dei percorsi di abitare (e non solo) in quanto li avvicina maggiormente all’autenticità della vita, ma è anche fonte di grandi criticità. L’assenza di risposte certe, la necessità di continui accomodamenti e ricerca di soluzioni nuove preoccupa le famiglie che, accanto a percorsi meno istituzionalizzanti, chiedono alti livelli di protezione dei propri cari e dunque risposte che non sempre si conciliano con le esperienze innovative. Eppure la sfida della coprogettazione può davvero essere una risposta maggiormente adeguata ai bisogni delle persone e all’individuazione di risorse nuove, non solo intorno al tema dell’abitare. In tal senso, la creazione dei Centri per la vita indipendente, altro aspetto innovativo della L.r. 25/22, rappresenta un punto di svolta in quanto ha proprio la finalità, attraverso un’équipe multiprofessionale, di rispondere ai bisogni attraverso la sinergia di competenze e l’attivazione di reti territoriali. In questo percorso sarà fondamentale che l’ente pubblico lavori insieme agli enti del terzo settore diventando così la garanzia della realizzazione e del monitoraggio del Progetto di vita delle persone con disabilità. In questo rinnovato sistema anche le sperimentazioni diventeranno meno incerte e più affidabili integrando il sistema dei servizi accreditati altrettanto chiamati a cambiare, crescere, aprirsi. Per farlo occorre l’impegno di tutti e la consapevolezza che il cambiamento nasce da un incessante e attento lavoro di riflessione unitamente a coraggiose spinte verso il nuovo.
[1] Per approfondimenti si rimanda ai seguenti articoli pubblicati su LombardiaSociale.it: Melzi A. (a cura di), Quando dare valore alla disabilità arricchisce la comunità, 8 luglio 20219; Melzi A. (a cura di), Dal progetto alla Rete TikiTaka equiliberi di essere, 25 maggio 2021
[2] Per ulteriori approfondimenti si rimanda al documento DI CASA IN CASA Le esperienze di abitare sperimentale sul territorio – Mappatura 2023
[3] Per ulteriori approfondimenti si rimanda ai Quaderni di TikiTaka: https://www.progettotikitaka.com/di-casa-in-casa
[4] Casa Battisti è il frutto del lavoro di coprogettazione che ha coinvolto il Comune di Cesano Maderno, il Consorzio Desio Brianza, la Cooperativa Il Seme e la Cooperativa Spazio Aperto Servizi.
[5] Definizione costellata da differenti aspetti e che richiama a bisogni e fragilità differenti (fisica, cognitiva, comportamentale, etc.) che meriterebbero un approfondimento specifico.
[6] I contesti sperimentali non sono sempre la risposta adeguata ai bisogni delle persone con disabilità complessa, ma possono rappresentare una tappa nella costruzione del proprio percorso di vita fuori dal contesto famigliare; esperienze utili e costruttive tanto per le persone con disabilità che per i famigliari.
[7] Per approfondimenti si rimanda al contributo pubblicato su LombardiaSociale.it:
Melzi A. (a cura di), Da Cosa Nostra a Casanostra: partire dal “fuori” per creare il “dentro”, 28 giugno 2016
[8]Iori V. (a cura di), Educatori e pedagogisti. Senso dell’agire educativo e riconoscimento professionale, Erikson, Trento, 2018
[9] Del Carro C. e Morelli R. (a cura di), L’inclusione sociale delle persone con disabilità ai tempi del covid. Tracciare nuove rotte nella tempesta, Maggioli Editore, 2021
Vedi anche
Re-immaginare i servizi per le persone con disabilità
Persone con disabilità. Oltre la Convenzione ONU
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